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Autore: sistolina    30/10/2012    8 recensioni
Volevi solo andare, così, drammatico, in un ralenti da B movie del sabato pomeriggio, imbucati di straforo perché lui aveva scritto l'ennesimo saggio sul Grande Gatsby al tipo brufoloso che puliva i cessi per mantenersi il vizio di collezionare miniature del Signore degli Anelli.
Volevi andartene come se quella casa non volesse ingoiarti, come se attraversare il corridoio e sentir ridere Fiona con la mano davanti alla bocca per non fare troppo casino non ti si aggrappasse alle caviglie, come se la luce della torcia di Debs attraverso la serratura non fosse capace di strapparti di mano il borsone ordinato alla cazzo di cane.
Come se non avessi ancora appiccicato addosso l'odore di quella sera, di quella canna, di quella birra. Di quel sorriso che gli altri vedono svanire, e tu trattieni contro la pelle perché lì brucia, lì trova un posto, un senso.
Ma lui no. Lui non ci sta nemmeno per il cazzo a lasciarti sgusciare via come un ladro, portandoti via un pezzo di casa Gallagher.
Il suo fratellino.
Il suo pezzo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Rubik's Cube



 
 I'm sick of living
in your shadow.
(Ian to Lip, Shameless, 2x07)

 

E' successo una sera. Non ti ricordi come.
C'era uno strano riflesso sulla parete, un lampione rotto in strada, forse. Forse i fari di una macchina parcheggiata male sul marciapiede. Forse un altro esperimento di Carl con un qualche animale domestico e una lampadina. 
Hai notato lo strano effetto che aveva quella luce sul suo naso rannicchiato sotto il cuscino, e il modo in cui quasi cadeva dal letto, sbuffando nel sonno, bofonchiando parole senza senso soffocate dal materasso. Ricordi l'afa di quell'estate, l'attesa, e i dubbi.
Ricordi anche la foschia di quella notte che scivolava dentro dalla finestra aperta, sgomitando con il tuo fiato esalato al rallentatore, come per rinfrescarti, per asciugare quel sudore sulle braccia e sulle gambe intrecciate alle lenzuola fradice.
Hai sentito Karen nella sua voce, e Frank, e quel sorriso inconsapevole, sfiorando Debs nel sonno. Sai che è lì, anche se scalcia imprecando in una vita che non vuole, e si lascia sfinire dal sesso con qualcuno che lo terrorizza, lui non andrà via.
Nessuno lo farà. Non finché Liam non ce la farà da solo, finché l'arrampicata di Deb verso la vita non avrà incontrato la vera amarezza, non finché Carl non avrà impugnato qualcosa di diverso dalla fiamma ossidrica per conoscere se stesso.
L'amore lo incatenerà alle assi sconnesse del pavimento, e lo avvinghierà di senso di colpa. E tu non vuoi essere lì. Non vuoi essere con lui quando si accorgerà che c'è davvero il mondo oltre i binari della ferrovia. E che è per lui, e per te, e per Fiona. E nessuno di voi potrà vederlo.
E fa male guardarlo adesso, rincorrere i pensieri nel digrignarsi della sua mandibola, e nel tendersi dei suoi tendini contro il lenzuolo.
 
The world is too heavy,
too big for my shoulders,
come take the weight off me, now 
 
Non voglio andarci, in quei cazzo di TAN, non davvero, vorresti dirgli.
Vorresti essere capace di guardarlo ancora come prima, senza sentirtelo camminare addosso come il sudore di quest'estate confusa di foschia incandescente. Vorresti sentirti a casa come in quel furgone, mentre dalla tua bocca rotolava la verità, e la sua si tendeva in quei sorrisi un po' inquieti che sapevano farti sentire al sicuro anche se non ti guardavano mai davvero.
E vorresti non pensare a lui, adesso, al mondo in cui l'afa gli appiccica i capelli agli zigomi, alla piega della sua spalla che si perde sotto le arricciature impercettibili del cotone, al modo in cui la sua gamba litiga costantemente con l'ultima porzione di lenzuolo che ha ancora addosso.
Prima c'era la sua faccia pesta, quegli occhi incredibilmente grandi curvati verso il basso, sempre gonfi, ricoperti di lividi, stanchi. Occhi capaci di proiettarti addosso ogni ombra e ogni luce. Il mondo iniziava e finiva con le sue dita che avvicinavano una canna alle tue labbra, l'attesa, il momento in cui rimanevano sospese accanto al tuo viso, e sembravano poter restare lì per anni senza che nessuno dei due parlasse. Prima il suo corpo era qualcosa che a stento percepivi distinto dal tuo, che a malapena serviva a ricoprire ossa e nervi e sangue.
Ora ti sembra di conoscerlo a memoria, di averlo imparato, di poter percorrere le piegature dei gomiti, le angolature delle ginocchia, le morbidezze sugli spigoli che non ha mai avuto. 
 
Thousands of answers,
for one simple question,
come take the weight off me, now. 
 
Fa paura. Ingoiare la bile e imprecare in silenzio, tremare da solo guardando fuori dalla finestra sperando che la foschia porti via anche quello che vedi quando chiudi gli occhi, quando ti volti la mattina, non più per incontrare il suo sguardo ancora sospeso nel sonno, un occhio aperto e l'altro affondato nel palmo della mano, ma sperando di poter osservare un solo minuto, uno solo, prima di rispondere al mondo del silenzio malcelato delle tue urla.
Ma quello che davvero ti manca è l'innocenza plasmata attraverso le sue dita. È toccarlo, è parlargli, è vederlo muoversi per la stanza senza pensare a come baciarlo, alla sensazione di vedere i suoi occhi rovesciati all'indietro per te, anziché per Karen, o Danielle, o una qualunque, perché tu conosci il suo ritmo meglio di tutti, perché lo hai sentito respirare la notte, quando la voglia era troppo forte e il tuo sonno troppo leggero. Allora era solo l'ipnotico mondo di Lip che diventata vero, e ti abbracciava per un po', per un po' eri anche tu.
Ora è il tuo ritmo che vuole esplodere con lui, e guardarlo negli occhi, fino in fondo, fino a marchiare a fuoco quello che sei sul fondo della sua gola.
Perché chiunque può scoparlo, può toccarlo, e respirare con lui mentre succede, ma tu sei suo fratello. E quando l'orgasmo finisce, quando la sigaretta si consuma fino al filtro fuori di casa di Karen senza poter entrare, quando Frank semina cazzate colando merda dall'affetto, e Monica gli volta le spalle per rintanarsi nella sua misera vita di schizofrenica egoista, restate voi. Una canna, un quartino da dividere, un tiro a testa, contro la finestra aperta di una stanza che soffoca i rumori e tiene il palmo premuto sulle sensazioni. 
Quando tutti gli si accartoccia addosso, resti tu.
 
I'm like a kid who just won't let it go,
Twisting and turning the colours in rows,
I'm so intensified that's what it is.
This is my Rubik's Cube
And all i can't figure it out. 
 
E tu davvero non vuoi entrarci nei Marines, perché di morire non ne hai voglia, e di uccidere ancora meno. Te ne sbatte il cazzo della patria, delle stelle e delle strisce, e di quella bugiarda di una fottuta Statua della Libertà. Perché se fossi libero, se il vapore che si arrampica dai tombini vi avvolgesse entrambi per davvero, i tuoi polpastrelli saprebbero districare la trama instabile delle sue cazzate mescolate al terrore di perdere tutto, e la tua voce avrebbe quel suono, un sussurro a malapena percettibile sintonizzato sulla frequenza di quelle speranze enormi che ha compresso sul fondo della botola delle sue difese, dove suo padre non potrà afferrarle e pisciarci sopra, che non potrà vendere al banco dei pegni per alcolizzarsi fino a svenire.
Perché Frank non è tuo padre, e questo significa qualcosa.
Perché Lip di avrebbe lasciato in quella casa a farti sfondare di bibite analcoliche fino ai ventun anni, se solo fosse servito. Se ti avesse lasciato aperto uno spiffero d'aria che Frank non potesse fagocitare.
Avrebbe saputo dire addio per te. Senza voltarsi, senza sentire le dita tremare attorno al filtro di una sigaretta che non avrebbe senso fumare intera, senza barcollare un attimo di troppo di fronte al tuo letto vuoto. 
E tu gli devi almeno metà di questo. Un quarto. Un decimo.
Gli devi una vita meno merdosa, una vita non passata a pensare al modo in cui il suo fratellino lo guardava, lo toccava, e non riusciva più a stare nella stessa stanza senza incrinarsi.
Gli devi la fottuta fiaccola della libertà di esistere senza marcire dentro.
E lo dici a te stesso, lo ripeti fra i denti come una di quelle preghiere che non hai mai davvero imparato, con una precisione diversa dalla zoppicante tecnica con cui impugni il fucile. Non c'è niente da capire, da imparare. Devi solo lasciar andare.
“Te la batti?” e davvero NON vorresti che la sua voce ti arrivasse alle spalle come una gomitata nella mischia. Non quando i tuoi pensieri erano già fuori dalla porta, già nel caldo afoso del quartiere sempre incasinato di spazzatura in decomposizione e gatti morti.
Volevi solo andare, così, drammatico, in un ralenti da B movie del sabato pomeriggio, imbucati di straforo perché lui aveva scritto l'ennesimo saggio sul Grande Gatsby al tipo brufoloso che puliva i cessi per mantenersi il vizio di collezionare miniature del Signore degli Anelli.
Volevi andartene come se quella casa non volesse ingoiarti, come se attraversare il corridoio e sentir ridere Fiona con la mano davanti alla bocca per non fare troppo casino non ti si aggrappasse alle caviglie, come se la luce della torcia di Debs attraverso la serratura non fosse capace di strapparti di mano il borsone ordinato alla cazzo di cane.
Come se non avessi ancora appiccicato addosso l'odore di quella sera, di quella canna, di quella birra. Di quel sorriso che gli altri vedono svanire, e tu trattieni contro la pelle perché lì brucia, lì trova un posto, un senso.
Ma lui no. Lui non ci sta nemmeno per il cazzo a lasciarti sgusciare via come un ladro, portandoti via un pezzo di casa Gallagher.
Il suo fratellino.
Il suo pezzo.
 
We're lost in the playground,
Late night nostalgia,
open the sky for me, now. 
 
Non resta immobile come uno che è appena stato sgamato a darsela a gambe per scopare con Mickey Milkovich, ma come se tu lo avessi colpito dritto sulla nuca con un teaser.
Non si ferma, stride.
Non risponde, si affloscia su se stesso, come una bambola sgonfia.
“E quella cazzo di borsa cosa cazzo è?” non riesci nemmeno a pensare. 
E pensare per te è sempre stato il solo modo. L'unico. Ma lui ti fotte il cervello, perché è uno schizofrenico in libertà, si muove in cerchio e sbatte, e ribatte, contro gli stessi spigoli.
Lui ti manda ai matti, perché non sai più leggerlo, perché è come avere un libro in mano che conosci a memoria, scritto in sanscrito.
“Dovevo...” e non puoi vedere la sua faccia, il modo in cui la pelle ingloba di imbarazzo le lentiggini chiare. Ma lo sai, riesci a sentire quasi la temperatura cambiare.
“Dovevi cosa? Fartelo succhiare in autostop fino in Nuova Zelanda? Dove cazzo pensi di andare alle tre di notte con una borsa da viaggio, senza dire un cazzo a Fiona?” lasci cadere le ginocchia giù dal letto, i piedi che atterrano sulle assi del pavimento in un rimbombo prolungato.
Parli ancora con la sua schiena, e ancora vedi tracciate le linee di tensione fra le sue scapole, come un istinto di fuga “Glielo hai detto a Fiona che ci sfanculi tutti, o pensavi di lasciarle un biglietto scarabocchiato dietro la foto macchiata di sperma di un grosso uccello?” la rabbia si aggrappa alla base del collo, incandescente. E al di sotto la paura. Solo una paura fottuta, l'ansia in gola, il panico che sa di bile sul palato.
Sfanculi tutti? Sfanculi me?
“Vaffanculo Lip” ed è fredda, la stanza, ad un certo punto.
Fuggevolmente pensi che va bene così, che ci sei riuscito.
Hai provato a stanarlo. Cristo se ci hai provato. Su quel vialetto, quando la possibilità di non marcire per sempre su quei tappeti lisi diventava reale per lui. E anche dopo, anche con la cazzo di West Point, mattatoio di merda dove ti caveresti gli occhi pur di non doverlo vedere. Anche sempre, perché tutto è meglio di lì, di Frank, di Monica, dell'emporio di Kash e di Mikey Milkovich che prima o poi si stancherà di farsi scopare da lui, e cercherà il brivido nelle docce del Penitenziario Statale.
L'hai spinto via, un pezzo per volta, sapendo di staccarti di dosso la pelle.
Ti sei detto che era lui a scegliere, lui a decidere, lui a voler restare.
Ma eri tu, sei sempre stato tu. Sei tu.
Perché adesso che se ne va, sei tu che non respiri più.
Muovi un passo, e un altro, e un altro ancora, gli alluci che sfregano sul pavimento consumato in più parti, bianco di candeggina, lavaggi, sangue ripulito di fretta ancorato alle travi di legno. C'è più di un po' di voi su quel pavimento. Forse ci siete per intero, e quello che resta in piedi è lo scarto.
“Ma vaffanculo che, eh?” lo colpisci alla nuca, sulle orecchie, sulle spalle. Lo colpisci piano solo per toccarlo, per riempire il vuoto d'aria che sfarfalla nell'esofago.
Non sei pronto alla sua espressione, quando si volta.
Una volta c'era sempre l'ombra di un sorriso lì dove stai guardando, negli interstizi delle sue emozioni. Forse triste, di traverso, timido sulla bocca e fra le sopracciglia, ma sentivi di poterlo afferrare e distendere, come un filo da bucato teso fra di voi, come se bastasse tirare un po' dalla tua parte per vederlo schiarirsi.
Lì non c'è solo amarezza, o scazzo, o paura, o rabbia.
Ci sei tu. In un mosaico che non avresti mai voluto ricomporre fra gli occhi di Ian.
“Lasciami coglione” ed è il modo in cui ti tocca, o non ti tocca, l'agitarsi delle sue mani in aria che sembrano scottarsi contro le tue. È il modo in cui ti colpisce per tenerti davvero lontano, anziché per lasciarsi avvolgere.
Gli schiaffeggi i polsi, le palme aperte, serri fra le nocche i suoi pugni. Riesci a fermare quel frusciare impazzito, solo per un secondo, prima che si scrolli via di dosso ogni traccia di te.
Empasse.
Respira. Male, troppo velocemente, i muscoli si tendono, la pelle si ritira sulla mandibola. 
Il labbro screpolato addentato a sangue, come in penitenza.
E tu sai che vorresti solo che ti lasciasse entrare, capire. Che ti lasciasse fermare tutto. Per lui. Sempre.
E il terrore è più forte della rabbia, e la familiarità più difficile da grattare via degli insulti piovuti e persi nel rigagnolo delle cose che vi siete detti.
“Ian, cazzo...” non sai cos'è, ma quando lo tocchi lui sembra davvero bruciare.
Ma non è una calore che avvolge, né un'afa che soffoca. È un calore che disintegra. Un'autocombustione. La deflagrazione di una bomba.
“Devo andare via”
“Perchè?”
“Qui non ci resto ok? Fattene una ragione e non rompermi le palle”
“Ma che cazzo ti prende ragazzino? Guarda che sono io quello che ha fatto l'equilibrista in questi mesi per sbatterti fuori a calci da questa casa”
“BENE. Benissimo. Allora siamo a posto”
“Apposto un paio di coglioni! Mio fratello scappa di casa di notte come un ladro...”
“IO NON SONO TUO FRATELLO!” urla, con quella voce che si spacca a metà, trivellata da frammenti di cristallo raschiati in gola. Occhi grandi, vuoti, che stanno per esplodere “non sono tuo fratello” e il suo spezzarsi è solo lo specchio del tuo incrinarti.
Il suo grido il tuo silenzio afono.
La sua rabbia è la tua.
Afferri quel che trovi, orli, stoffa, pelle, non lo sai, e lo scrolli, come se volessi fargli risalire le parole ingoiate, e le lacrime deglutite.
 
I'm like a kid who just won't let it go,
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I'm so intensified thats what it is.
This is my Rubik's Cube
And all i can't figure it out.
 
Lo scrolli come se potessi strappargli quel travestimento sadico e tornare a vederlo davvero.
Il materasso cigola quando Ian cade, si lamenta quando anche tu ti schianti con lui, un ginocchio premuto contro la sua coscia, l'altro a penzolare. Scricchiola stizzito, sotto il peso di una sconfitta che vi fagocita entrambi.
Ti accorgi che non hai più forza per premergli contro la gola, per immobilizzarlo, per scontrarti con il respiro convulso della sua gabbia toracica. Il cuore che pompa, e preme tanto da scoppiare.
Non hai la forza per risalire dal fondo di quello sguardo nero senza scampo, dal bambino che ti chiede aiuto sul fondo del pozzo.
Non puoi riportarlo indietro, anche se sfiori le sue dita protese.
Non sai rassicurarlo, perché pronunci parole silenziose che lui non sente.
Ma non puoi lasciarlo lì, senza rimanerci un po' dentro anche tu.
“'Fanculo stronzetto. Ma non ci pensi a Fiona, Debs, Carl...e Liam? A me, cazzo, non ci pensi?”
A me.
Me.
Prima era come dire noi.
Ora non so dove sei.
“Lasciami” e ascolti le parole che dice, i suoni che si accavallano e prendono forma, e ma senti quello che il suo corpo fa. Il modo in cui ti parla.
Succede, come dieci, cento altre volte. Avverti la pressione, il cambiamento, la pelle sotto i jeans strappati al ginocchio.
È successo mille volte.
Ma non come ora.
E puoi far finta di non vedere, di non sentire la pressione, di non combattere contro la scarica elettrica dei tuoi nervi. Puoi chiudere gli occhi e riaprirli senza aver davvero vissuto quell'istante.
Ma il corpo di Ian è ancora lì, teso contro di te, e dentro gli occhi che credevi di saper rivoltare come un calzino c'è una voragine senza fondo dove non riesci ad arrivare. Ed è come se tuo fratello fosse lì, incuneato dall'altra parte, e ti implorasse di andare a riprenderlo.
Ma lui non è tuo fratello.
E non perché vostra madre si è scopata lo zietto che se la spassa da borghese, con la sua moglie gelida e il suo vialetto sempre spalato, non perché il vostro DNA non combacia alla perfezione, ma perché quello che lui è, adesso, e quello che tu sei diventato per lui, e Ian per te, ha scavalcato la staccionata degli aggettivi ed è precipitato nel caos senza definizione.
 
Credits roll over,
the edge of the horizons,
but I haven't discovered yet.
 
E non ha nome quando si solleva contro di te, e sulle labbra hai il sapore di sangue non tuo, ma anche tuo. Quel sangue lo conosci, quel sangue è tutto.
È familiare come scambiarsi il sudore, come accasciarsi strafatti sul materasso alle quattro di notte, come passarsi una canna, come dividersi una birra.
Come sentirsi e toccarsi nel buio. Senza niente. Solo con la pelle che arriva dove non può arrivare, a scaldare, a capire, a consolare e a proteggere.
Tu hai fatto tutto.
Ma tutto non è abbastanza. 
Non puoi proteggerlo da questo, non puoi proteggerti da lui.
Ma intanto sei ancora lì, contro la sua bocca che cerca spazio, che prende aria, che la trova nella tua e si mescola alla bile e alla paura. Trova pace contro il tuo palato, contro la lingua, suo denti.
E sembra che le sue dita a stropicciare la tua stupida maglietta abbiano senso, che siano state lì sempre, come le gambe che non sai come ma ti trattengono, e sfregano, e sgusciano.
Lui ne ha bisogno. Ha bisogno che tu sia questo adesso, qualcuno da amare.
E tu puoi essere tutto quello che vuole. Tutto quello che gli serve. Ma è difficile, perché non c'è nessun nemico contro cui scagliarsi, nessun pugno da prendere al posto suo, nessuna delusione da ingoiare e far finta che sia tua, perché lui non debba vederla.
Non c'è la schiena di Monica che si richiude la porta dietro il culo, o quella testa di cazzo di Frank che gli spacca il naso con una testata. Non è il sangue che deve tamponare, non un livido da lasciar assorbire, da dimenticare con un po' d'erba buona e una Budweiser in lattina raccattata da Kash.
Non è qualcosa che vedi, che tocchi, che puoi arginare.
È solo Ian che scricchiola e si sfalda, ogni pezzo di lui che ti resta in mano come un fottuto cubo di Rubik fracassato contro il muro. 
Ma nemmeno quello, perché tu sei bravo con quel gioco, a te riesce senza sforzo. Ian era così prima, bastava che lo guardassi negli occhi per un minuto, ed era tuo. Ogni pensiero, ogni parola, ogni fantasia sembravano incastrarsi fra una lentiggine e l'altra, in un'equazione che sapevi risolvere. Non c'erano x per te, non con lui.
Ma adesso quello che vedi fa paura, fottutamente paura, perché le lettere sono mescolate, perché il grafico non corrisponde e le cifre sono sballate. Perché vedi qualcosa incastrato fra le sopracciglia, sospeso fra il naso e la bocca, a scivolare in gola, che non è il risultato di un'operazione giusta. È sballato, è sbagliato, non combacia.
Ian non combacia più.
 
I'm like a kid who just won't let it go,
Twisting and turning the colours in rows,
I'm so intensified thats what it is.
 
“Lip” sembra quasi soffiare dentro la tua bocca, prendere aria.
C'è solo fiato fra voi, impalpabile “Lip scusa. Scusa, Lip, non...Lip non odiarmi...” sai che crollerà, che ha già ceduto, che sei l'unica cosa solida e viva che lo tiene in piedi.
E fa male quella paura, il dolore che scivola negli anfratti e marcisce, sedimenta, raggela. Fa male che sia suo, fa male non poter fare niente se non cullare, non accarezzare, non stringere.
“Sta zitto” è solo un sussurro, una percezione quasi falsata. 
Ma lo senti rilassarsi, e cedere, e arrendersi.
Lo vedi rannicchiarsi, proteggersi.
Lasci che il tuo corpo lo riconosca, chiudi la mente fuori, chiudi tutti i trattati sull'incesto in un preambolo chilometrico della tua mente.
Lasci che la sua schiena s'incastri, scivoli nel tuo abbraccio, che vuol dire solo pelle, istinto e calore: non poco da lasciarlo cadere, non troppo da soffocare.
Quanto basta.
Per sopravvivere a domani, a stanotte, per un altro giorno con te.
Sarò quello che vuoi.
 
This is my Rubik's Cube
And all I can't figure it out.
***
 
Note: non dirò nulla se non, chiedo scusa. Perchè questa è follia e come follia dovete intenderla.
Se non fosse per Elle Sinclaire non l'avrei nemmeno scritta. Ma Shameless fa questo effetto, e Lip e Ian ancora di più^^
Se lasciaste un parere alla storia ne sarei immensamente onorata, perchè è un pairing folle, è una cosa nata dal niente, ma mi mangerei chiodi a manciate se fosse anche totalmente OOC. Ci tengo a saperlo, grazieXD
Ah, potete anche trovarmi qui^^
   
 
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