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Autore: Antony_    30/10/2012    1 recensioni
La mia storia inizia da una sfida.
Sfida che, stupidamente, ho accettato una noiosa mattinata di scuola.
Con la mia compagna di banco.
Ora che ci penso, quasi tornerei indietro. Quasi.
Avevo promesso qualcosa di pericoloso, estremamente pericoloso e avevo giurato che avrei combattuto per ciò in cui credevo, quello che propriamente, la maggior parte delle persone chiama il proprio ideale, comunque, avrei combattuto e, se fosse stato necessario, sarei morta.
Promessa da coglioni, vero? Me ne accorgo ora, ma ora è troppo tardi.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 12

Ancora non capivo molto, ma andando avanti avrei risolto ogni questione.

Quel pomeriggio lo passai facendo i compiti come una normale, si fa per dire, 17enne insie­me a Guido e Diego. Mi sentivo a casa e finalmente sapevo che casa significava il gruppo di persone che abita un edificio, non l'edificio stesso.

A metà pomeriggio Aliviero ci portò tre tazze di tè con i biscotti allo zenzero. Lui e Mr. Cloud, apparentemente preso da un quotidiano, erano stati a confabulare tutto il tempo lì accanto.

I compiti finirono presto e così potemmo provare a creare il blog. Fu incredibile, eri libero di fare ciò che volevi, quello era il tuo spazio nel web, molto più libero di una pagina Face­book. Lo chiamammo: “Geni incompresi” e sotto il titolo mettemmo una frase “anche da loro stessi...”. Ciascuno creò dei post, ma ben presto capimmo che io dovevo scrivere i post, Diego si doveva occupare della pubblicità in rete e Guido doveva documentarsi su quello che accadeva nel mondo ateo e in quello religioso. Per lui era facile, partecipava ad ogni manifestazione e aveva buone persone su cui fare affidamento per avere notizie fre­sche. Io riuscivo ad abbellirle trasmettendo le mie emozioni e Diego era un vero e proprio mito con la pubblicità!

Passarono alcuni mesi. Il blog decollò, avevamo centinaia di membri e migliaia di visualiz­zazioni. Ormai tutti lo chiamavano “Genio”. “Ehi ragazzi, ci aggiorniamo su Genio?” era una frase abituale.

La pagina del don avrà anche avuto centinaia di migliaia di “mi piace”, ma che la seguivano sul serio erano ben pochi, noi avevamo tantissimi commenti ogni giorno.

Mio padre non si faceva sentire e io ero tranquilla, forse non l'avrei rivisto mai. Diego era la mia vita, tutto il mio amore si concentrava su di lui. La scuola andava avanti peggio del resto, non che importasse. Cloe era sempre più arrabbiata: continuavano a succedere belle cose solo a noi.

Temevo che sarebbe cambiato, la ruota della fortuna gira instancabile. E le mie perplessità persistevano. Arrivò un giorno che volli sapere.

Faceva un caldo terribile, era domenica, mi ero messa una maglietta bianca, i pantaloncini corti e un paio di scarpe tutte rotte “bianche”, non avevo resistito a tirarmi la maglietta so­pra l'ombelico fermandola con un nodo. Lavoravo sul balcone con le piante e la terra che sembrava appiccicarsi ovunque. I capelli neri erano tenuti su da alcune forcine, ma il collo era completamente fradicio di sudore. La pelle sotto il sole mi si era ulteriormente inscuri­ta, il trucco doveva essere colato. Rientrai nella libreria e andai in bagno. Mi feci una doc­cia e indossai un abitino leggero a righe azzurre e nere stretto in vita, ciabattando per la li­breria con le infradito, raggiunsi l'atrio e trovai Mr. Cloud, gli davo ancora del “lei”.

Mr. Cloud?–

Dimmi Ronny– disse alzando gli occhi dal libro che stava leggendo e sfilandosi gli occhia­li argentati.

Dove dobbiamo arrivare?–

Cosa intendi?– la sua espressione si fece curiosa.

So che non potrà sempre andare tutto bene, dobbiamo cercare di batterla la Chiesa, noi abbiamo tanti ammiratori sul blog e domani faremo anche un concerto per propagare la nostra idea, ma non è così che si sconfigge qualcuno. Ho letto troppi libri per crederci, c'è sempre una battaglia finale– Mr. Cloud parve pensare

Ronny, le cose non vanno bene come appaiono ai nostri occhi– disse infine.

Cioè?–

Sembra che la società a favore della Chiesa...–

Fermi tutti, quale società a favore della Chiesa?–

Abbiamo dei nemici, e la società di cui parlo ha, penso, come massimo esponente il don che conosci tu–

Don Franco?– chiesi perplessa.

Proprio lui–

Non credevo ci fossero società–

Nemmeno noi, ma io e Aliviero abbiamo concluso che Cloe non può aver stretto un simile patto con te, senza tramare niente–

Quindi, se capisco bene, Cloe è una me, ma dalla parte opposta–

E' quello che intendevo–

E cosa pensate stiano tramando?– ora ero preoccupata, Cloe sapeva essere fastidiosa, però, non potevo convincermi che facesse parte di una specie di società segreta nemesi de­gli scopritori di talenti.

Qualcosa di tremendo, se hanno smesso di lanciarci frecciatine significa che stanno pre­parando una bomba–

Perché lo dice soltanto ora?!– chiesi frustrata.

Non volevo preoccuparti, non ne sono certo–

E mio padre?– lo interrogai molto più turbata di prima.

Tuo padre potrebbe essersi alleato con loro–. I miei dubbi erano stati confermati. Lui sa­rebbe tornato, dovevo mantenere la parola data e ucciderlo. Presto ci sarebbe stata la guer­ra o almeno uno scontro.

Non possiamo indagare meglio e scoprire cosa hanno intenzione di fare?– mi mordicchia­vo nervosa il labbro interno.

No, io e Aliviero non disponiamo di mezzi adatti per spiare in questo modo–

Ma fate parte di una società! Non ci possono aiutare?–

Non sono sicuri che tu sia quella giusta e, per ora, non si sbilanciano– rispose.

E rimaniamo così, impotenti, ad aspettare che ci sferrino un colpo?–

Non vedo altra soluzione, Ronny– disse triste.

Quella sera Aliviero preparò piatti buonissimi che io non riuscii a mangiare del tutto.

Non ti senti bene?– mi domandò lui ad un certo punto.

Sto bene Aliviero. È che mi si è chiuso lo stomaco–.

Aliviero lanciò un'occhiata eloquente a Mr. Cloud e lui confermò con un cenno. Per tirarmi un po' su di morale provai a chiedere ai due se c'erano stanze che ancora non avevo sco­perto in casa. Dissero di no e io mi rattristai ulteriormente.

Finito di cenare uscii a fare un giro per il borgo. Le luci dei lampioni erano fioche, l'aria calda e il cielo coperto di stelle. Quasi non sembrava di trovarsi a Milano. Diedi varie oc­chiate agli edifici di tufo rosso, tanti fiori erano esposti sui balconi, anziani sedevano all'a­perto a godersi l'aria tranquilla e fresca della sera. Le zanzare vorticavano fameliche, mi pungevano di rado, avevo il sangue amaro. Mi fermai, di fianco a me c'era una pasticceria ed esposti un battaglione di dolci caserecci. C'era del cioccolato, pensai di comprarne un po' perché sia Mr. Cloud che Aliviero lo adoravano.

Mentre stavo per entrare uscì una ragazza correndo e mi prese in pieno. Sentii delle fitte alla fronte e la vista confusa, le gambe molli cedettero e caddi sul pavimento di pietra lavi­ca. Riaprendo gli occhi ne vidi altri due a pochi centimetri, di un azzurro limpido. Allonta­nai la testa e vidi un viso roseo ovale terminante con un mento a punta incorniciato dai ric­cioli biondi che sfuggivano a una coda alta. Le ciglia erano nere di mascara e la boccuc­cia era lucidata di un rosa lampone. Il nasino a patatina era perfettamente adattato al viso. Poco a poco capii di che bellezza ancora infantile fosse. Il corpo non diceva lo stesso, il seno era una terza scarsa, molto più di quello che io avrei mai desiderato e il sedere pieno e ro­tondo. Pareva russa per le sue forme. Indossava una gonnellina di jeans, una camicetta bianca e sopra un grembiule azzurro.

Ti sei fatta male?– si curò con voce dolce, avevo sempre voluto una voce così, la mia o era troppo forte oppure un sussurro, la sua era giusta: squillante, ma mai irritante.

No, sto bene– mi sfuggì un gemito e mi tenni la testa ergendomi –mmm... allucinazioni temporanee, sono Veronica, chiamami Ronny–

Oh– mi guardò con occhi da cerbiatto –mi spiace, io mi chiamo Deborah–

Avevo sempre connesso quel nome ai capelli rosso lampone, non so perché. Evidentemente mi sbagliavo.

Che bel nome, hai un diminutivo?–

Deb–

Debby mi sembra più adatto, può andare?–

Mi piace, sicura di stare bene?–

Mica ti faccio causa!– risi. La vidi imbarazzata, fantastico, non era molto spiritosa.

Scusa,– le dissi –sono di un sarcasmo infinito, sto bene comunque. Lavori alla pasticceria?–

E' una cioccolateria, ogni dolce è fatto con una percentuale o per intero di cioccolato: bianco, al latte, fondente, al peperoncino, alla frutta, con nocciole...–

Ok, ok, ricevuto– dissi mettendomi le mani nei capelli.

Scusa– disse mortificata.

Ci risiamo, scherzavo, non prendermi sul serio, la maggior parte delle volte non so nem­meno io cosa dico– mi sorrise. I denti erano bianchi e perfetti, cominciavo a provare una leggera invidia per Debby e soprattutto provavo una fortissima voglia di fare amicizia con lei.

-Che belli i tuoi capelli, li ho sempre desiderati lisci e lucidi, i miei sono sempre così crespi, non so come tenerli a bada– a dire la verità amavo i miei capelli, alcune volte sembrava di avere una cascata di seta sulla testa, però, tutto quello che mi piaceva di me, più di lei, fini­va lì. Parlammo per una mezz'ora di capelli, trucchi e cose da donna. Lei era così riservata e mite, ci completavamo. Mi disse che i suoi genitori si erano diplomati all'alberghiero di... una qualche città prestigiosa e che lei desiderava seguire le loro orme. La sua famiglia era perfetta, c'erano lei, suo fratello più grande, sua madre e suo padre (che si amavano e non avevano cercato di uccidersi a vicenda o di scappare disperati) e il loro cagnetto, Willy. Willy, scoprii pochi secondi dopo che lei lo chiamò con un fischio (io non ero mai stata ca­pace di fischiare), era un ammasso pulitissimo di peli lunghi e grigi ingarbugliati.

Io per Willy ho un richiamo segreto, prova ad imitarlo, scommetto che non ci riusciresti– m'incitò.

Puoi esserne sicura, non so fischiare– mi derisi, mi dedicò degli occhi sorridenti degni di un anime. Forse la comprendeva un po' la comicità.

E tu? Non mi hai parlato della tua famiglia– emisi un risolino –ok, cosa c'è di comico in questo?– chiese confusa.

Niente, in questo proprio niente. Negli ultimi giorni ho parlato della mia famiglia a tre persone diverse. Non è che l'argomento mi entusiasmi–

I tuoi genitori sono separati?–

Magari– dissi –prometti di non scappare via se ti parlo di mia madre e mio padre?–

Certo–. Non sapeva quanto una famiglia poteva fare paura.

Oh, mio Dio– disse infine.

–“Mio Dio” no, per favore– la pregai –sei credente?–

Credente? Non più di tanto, non mi è mai interessata molto la religione, semplicemente la ignoro–

E' il modo più sicuro quello– ammisi –Vuoi conoscere la mia vera famiglia?– proposi.

Con mio sommo piacere non si tirò indietro. Non mi scorderò mai la faccia che fece quan­do vide Guido: prima impaurita, poi quella di una che ha appena scoperto una nuova spe­cie vivente e, infine, arrossì visibilmente. Arrossì sulle guance, non sul collo. Vedendo simi­li sintomi avevo subito intuito che Debby si fosse presa una bella cotta per il mio amico e non mi dispiacque affatto.

Anche se mi piaceva vedere come si squadravano Guido e Debby controllai Diego ogni se­condo. Temevo che lei lo avrebbe conquistato, sapevo come si era comportato in tutti que­sti anni e avevo paura, una paura tremenda di perderlo. Io chi ero in confronto a Debby. Non smettevo di notare quanto fosse bella e quanto io fossi imperfetta.

Fu proprio Diego a invitarla il giorno dopo al concerto che si sarebbe tenuto, lei accettò di buon grado.

Quella sera quando Diego mi salutò mi diede un misero bacetto a stampo, la passione se n'era già andata? Lei non poteva essere così... tutto da fargli dimenticare di me in un istan­te.

Quella notte, nel letto, l'ultimo viso che mi apparì prima di addormentarmi fu quello bellis­simo di Debby. 

   
 
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