Fu in una giornata sporca di umido e pioggia, con l’ombrello in una mano e nell’altra un pugno di sensazioni, con gli occhi che si voltavano indietro per continuare a non guardare niente di particolare.

Oltre l’orlo dell’ombrello non pioveva così forte, quindi non saltellavo da una pozzanghera all’altra, in mille schizzi di pioggia.

Fu una pioggerellina così sottile da non fare rumore.

Sporcava il cielo di un grigiore autunnale, e grossi nubi galoppavano nel fitto soffitto completamente vuoto.

Bastava spostare l’ombrello per perdercisi dentro.

Non era troppo diverso da quando non riesci a dormire e fissi il bianco soffitto sopra di te, come se non ci fosse null’altro da vedere.

Rettifico: fu esattamente la stessa cosa.

Il cielo, carico di nuvole e di rimorsi, si specchiò in questi occhi sporchi di marrone. Tutto tacque.

Piovigginava cenere su questa città di ricordi, e io stavo seduta alla stazione dove non arrivano treni per portarti lontano, ma ali di rondini per tornare indietro.

“Quando passa il prossimo?” chiedeva un passante.

“E’ appena arrivato” risposi “E’ sempre stato lì”

Una rondine sbatteva perduta le ali nel cielo grigio.

Il suo lieve stormire fece il rumore di un sospiro, tra le nuvole e i raggi di sole.