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Autore: Emera96    30/10/2012    3 recensioni
La rivolta è finita.
Katniss e Peeta vivono a pochi metri, ma quei metri sembrano chilometri.
Tutto sembra finito, ma a volte basta poco perchè si riaccenda la speranza: anche solo un fiore.
// Storia classificata Quinta sul forum nel contest 'Tutto ha una fine' di Giacopinzia.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Elisita.
Titolo della storia: Dandelion.
Fandom: Hunger Games.
Genere: Introspettivo.
Avvertimenti: Missing Moment, OS.
Pairing: Peeta/Katniss
Rating: Verde.
Introduzione: La rivolta è finita, cambiando la vita di ogni personaggio. Katniss e Peeta sono rimasti nel Distretto 12, vivono a pochi metri di distanza, ma è come se fossero divisi da migliaia di chilometri. Ma a volte basta poco, anche un fiore, per spazzare via ogni dubbio.
NdA: (a vostro piacimento!). Non sono abituata a scrivere OS così lunghe, spero che non risulti forzata.

- Nel pacchetto trovato il sentimento era la speranza. Questo è il risultato.
 
 
 

Dandelion.

 
 
La luce tenue del mattino illumina con debolezza la mia stanza.
Non voglio alzarmi dal letto, non voglio affrontare un’altra giornata. E’ tutto inutile.
Perché sforzarsi e perdere tempo, perché impegnarsi anche nella più insignificante cosa, quando sai che non ci sarà nessuno con cui condividere tutto? E’ un circolo vizioso, un gioco subdolo.
E io sono stufa di giocare, di essere manovrata dal potere di altre persone.
 
Basta farci caso:ogni singolo oggetto ha la sua metà.
Ogni oggetto, persona o animale, ha qualcosa che riesce a completarlo.
Cosa sarebbero le note di una canzone, se non fossero scritte su uno spartito? Come potrebbero essere imparate, amate, se non fossero nemmeno scritte? Sarebbero inutili.
E cosa sarebbe il sole se ogni tanto non venisse coperto da qualche nuvola? Come potrebbe il sole riuscire a nascondersi se non ci fosse niente e nessuno disposto a farlo? Sarebbe inutile.
Io adesso sono le note mai scritte su uno spartito, sognate dopo qualche bicchiere di troppo, e subito dimenticate, in un sonno senza sogni. Io adesso sono il sole che vorrebbe nascondersi.
 
La luce inizia a crescere, fino a illuminare la stanza di una sfumatura lilla.
Il bagliore timido del sole si scontra con il grigio freddo dei miei occhi, annacquati dalle solite lacrime mattutine, che hanno bagnato il cuscino sprimacciato a cui mi aggrappo ogni giorno.
Una vocina dentro la mia testa, con una forza d’animo che non mi appartiene più, mi ordina:
 
-         Scappa –
 
 
E la mia razionalità è così frammentata che non posso fare a meno di ascoltarla.
Non prendo niente con me, con una eccezione: la spilla a forma di ghiandaia che mi regalò Madge qualche anno fa prima che tutto finisse nel mio personale precipizio, anche la vita stessa.
 
Prima di appuntarla sul petto, la osservo brillare, attraversata dalla luce del sole.
Non ricordavo che fosse così piccola e leggera, così fragile e indifesa nella presa delle mie mani, che la rivoltano fino a trovarci qualcosa di buono, invano. Quella spilla è la causa di tutto.
Quella spilla è solo morte, è una promessa che non ho saputo mantenere con l’unica persona che sono sempre stata sicura di amare davvero. Quella spilla è stata la mia condanna all’inferno.
 
Asciugandomi una lacrima che mi inumidisce le labbra, me la appunto con accuratezza.
E dimenticando volutamente arco e frecce, mi incammino verso una strada intrisa di ricordi.
Cammino sentendomi spinta da una forza che non riesco a riconoscere, i piedi che in automatico mi portano su una strada sempre meno vissuta, ai limiti del bosco. Ed io mi faccio portare da loro, senza protestare, le mani in tasca, i capelli sciolti che mi nascondono dalle mie paure.
 
Arrivo al Prato senza nemmeno accorgermene.
Senza accorgermi che i miei passi, svelti e frettolosi, sono seguiti da altri, più lenti, come di qualcuno che si trascina, che quasi zoppica. L’intuito mi suggerisce un volto, un paio di occhi azzurri e profondi come pochi altri, un sorriso luminoso, un abbraccio caldo e familiare.
Ma quando le mie aspettative si materializzano in Peeta, capisco che è tutto veramente troppo.
 
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, squadrandoci.
Sembrano passati secoli dall’ultima volta che guardandoci abbiamo provato quell’alchimia che tutti erano riusciti a percepire ancora prima che noi la potessimo anche solo immaginare.
Sembrano passati secoli da quando quelle labbra che adesso si trattengono per non sputare sentenze si premevano sulle mie, suggellando una promessa.
 
E’ Peeta a rompere il silenzio.
 

- Non mi hai sentito arrivare? –
- No, io.. no, non ti avevo sentito. –

 
Sento la gola chiudersi.
Sento che non riuscirò a trattenere le lacrime ancora a lungo.
Ma cosa ne è stato della ragazza in fiamme di un paio di anni fa?
 

- Ti ho vista uscire da casa, sembravi triste. –
- Non devi preoccuparmi per me. Non puoi, Peeta. –
-  Perché invece che dirmi cosa devo fare, non provi ad ascoltarmi?
 
 

Perché ascoltare fa male, Peeta.
Ascoltare vuol dire affrontare la verità senza rimorsi.
E io non sono pronta a farlo, non senza te che mi stringi.
 

- Se ti ho seguito oggi, è perché devo dirti delle cose. Sono cose che ho dovuto capire in questi mesi, affrontando i flashback e spaccando qualche soprammobile quando non riuscivo a vincerli. Voglio portarti con me attraverso i mesi in cui lottavo per sopravvivere solo per sentire ancora la tua voce, quando non era necessario chiederti cosa avevamo fatto insieme e cosa no. –

 
 
Lo ascolto, cullata dall’abbraccio della sua voce.
E senza trattenermi sento la prima lacrima scendere e crollare sul terreno arido del Prato.
L’unica cosa che conta adesso, è lui e tutto quello che può darmi.
 

-Non posso dirti che è stato facile. Non posso dire che sentire le voci di Johanna, Darius e Lavinia ogni notte sia stato facile. Non posso nemmeno dire che resistere senza sentire la tua sia stato altrettanto facile.-
-    Peeta.. –
- Shh. Ascolta. –

 
E quando con un gesto timido Peeta mi prende la mano, sento che niente può andare storto.
Che forse, sull’orlo del precipizio ci stiamo tutti e due, anche se un po’ stretti.
Che non sempre il buio è negativo. Che prima o poi la luce arriva, anche quando meno te lo aspetti. Che anche in questo prato così arido e polveroso, potrai trovare un dente di leone da raccogliere, sperando in qualcosa che magari accadrà.
Aggrappandomi alle sue mani forti sebbene siano tremanti, mi avvicino a Peeta, in silenzio.
 

- Quando ho capito cosa stava succedendo era troppo tardi per reagire. Mi hanno fatto soffrire nel modo più crudele che un essere umano possa usare: hanno distrutto me stesso. Ma non si sono limitati a distruggermi, perché avevano qualcosa di molto più utile da usare contro di me. –
 

Sapendo già la risposta, mi conficco le unghie nei palmi, cercando di concentrami sul dolore che provo per non essere trafitta da quello così reale di Peeta.
E pur sentendo martellare la mano dal dolore, le parole di Peeta pesano più di mille macigni.
 

- Eri tu. Eri, sei, sei sempre stata tu. Tu, il mio punto debole, tu, quello che più mi spaventava. Tu, che ad ogni Mietitura sembravi così forte mentre io speravo solo che non estraessero il tuo nome perché non sarei riuscito a sopportarlo.-

 
Un soffio di vento mi scompiglia i capelli, accelerando la discesa delle lacrime che ormai mi bagnano il viso senza alcun ritegno. Mi chiedo come possa aver resistito tutto questo tempo senza le sue mani a riportarmi alla realtà, senza la sua voce a migliorare la realtà stessa.
 

- Tu che quando ti sei offerta volontaria mi hai fatto solo sperare di essere estratto per passare gli ultimi momenti che mi restavano anche solo respirando la tua stessa aria. Tu che non mi avresti mai permesso di proteggerti, se te lo avessi chiesto, ma me lo hai lasciato fare ugualmente. E tu, che mi hai protetto per prima. –

 
Ormai i singhiozzi mi fanno tremare.
Quando Peeta cerca di abbracciarmi, lo scanso, per paura.
Paura di un flashback che potrebbe essermi fatale, nonostante il bel momento.
Paura di non reggere a quella stretta che mi fa sentire al sicuro ogni volta.
 

- Non era il dolore che mi provocava il veleno degli aghi inseguitori a spezzarmi, bensì la consapevolezza che l’unica cosa di cui sono stato certo per anni mi stava scivolando via, senza che io potessi reagire in alcun modo. Ero tornato ad essere una pedina nelle loro mani, ma stavolta non avrei vinto. Sarei stata solo una delle tante vittime, una scommessa persa per quei pochi che si permettevano di scommettere su di me. E la confusione che provavo ogni volta che vedevo il tuo viso, era la sensazione che riusciva davvero a spiazzarmi. Perché tu sei parte di me, e io ti sentivo lontana. –

- Peeta, io.. –
- Tu non devi fare niente, se non avvicinarti subito. –
- Ma.. –
- Non ti farò del male, Katniss. Non lo farò. –
 

Senza paura mi avvicino a lui, e quando sento le sue braccia avvolgermi in un abbraccio caldo, sento il mondo annullarsi nella sua stretta. Il sole non esiste se non nella luce dei suoi occhi.
L’unico rumore, oltre al suono della sua voce, che adesso voglio sentire è il battito regolare del suo cuore, che mi tranquillizza ad ogni rimbombo. Faccio un cenno a Peeta, per farlo ricominciare. E lui non esita ad accontentarmi, senza riserve. Di nessun tipo.
 

- Ho provato a lottare ma erano troppo forti. Ho provato a scappare e l’unica cosa che ho ottenuto è stata la morte di Darius e Lavinia. Ovviamente, mi hanno fatto assistere a tutto, per farmi rendere conto del fatto che era tutto successo a causa del mio gesto ribelle. –
- Non potevi sapere che lo avrebbero fatto. –
- Avrei potuto fermarli.. –
- Sai che non avresti potuto farlo. Continua. –

 
Una piccola pausa causata da un altro alito di vento interrompe Peeta, che adesso è più rigido, lo sguardo vuoto, le mani contorte in una posizione innaturale. Percepisco l’avvicinarsi di uno dei suoi flashback ancora prima che lui stesso se ne accorga, ma non mi scosto da lui.
A mio rischio e pericolo.
 

- Katniss, vattene. –
- No, Peeta –
- Io ti farò del male, io sono pericoloso, io non sono più io. –
-  Non mi interessa, io mi fido di te. –
- No, non devi! Io sono solo il prodotto meglio riuscito di Capitol City, sono uno dei loro schifosissimi ibridi. Io lo sono perché penso che anche tu lo sia,e questo mi annienta! Io posso ferirti senza provare il più minimo rimorso, io posso anche ucciderti senza accorgermene! Katniss, vai via, vai via! –
- E’ inutile. Io resto qui. –

 
 
Il suo sfogo non mi sorprende.
Urla, strepita, piange e cerca di trattenersi mentre, travolto dai suoi peggiori ricordi, mi insulta accusandomi di cose mai fatte, pentendosi immediatamente di quello che dice, e cercando di punirsi. Non lo fermo, ma mi limito ad osservarlo, aspettando che il momento passi e che, di nuovo sé stesso, si stenda accanto a me con quel sorriso meravigliosamente suo stampato in faccia. Ma dopo interi minuti in cui lui, sempre più sfinito, continua a reagire con rabbia anche al mio silenzio, capisco che non passerà mai. Che i flashback non se ne andranno mai.
 
Immagino.
Immagino una vita diversa.
Immagino me e Peeta mentre girovaghiamo per casa: io, appena sveglia, dopo una nottata in preda agli incubi, lui, alzato da qualche ora, magari a cucinare per non pensare a tutto quello che ha dovuto subire qualche anno prima.
Immagino due bambini che quando ci guardano sono fieri di noi.
Immagino i pomeriggi sul Prato passati uno nelle braccia dell’altro, senza dover parlare.
Immagino un abito bianco e un –Sì- detto con convinzione.
Immagino anche le lacrime e gli schiaffi.
Immagino il dolore, la tristezza, la rabbia e la consapevolezza.
Immagino tutto questo mentre Peeta, padrone della mia fantasia, si calma lentamente.
 
Confuso, come se si fosse appena svegliato da un lungo sogno, Peeta si siede accanto a me, a debita distanza, per paura di una crisi che non riuscirebbe a controllare pienamente.
Il mio sguardo si posa su un puntino giallo in un punto lontano del Prato, che splende alla luce del sole, piccolo in quel mare di verde e cenere, una luce nella nebbia e nella confusione.
La soluzione in mezzo ai problemi che noi stessi ci creiamo intorno.
 
Mi alzo e corro verso quel puntino, senza dire una parola.
La confusione di Peeta gli dona un’aria corrucciata, come di un bambino che ascoltando i ‘grandi’ parlare non riesce a cogliere il senso del discorso e si chiede il perché di tutto.
Raccolgo il dente di leone e torno da Peeta, che mi guarda sorridente.
 

-  Che hai raccolto? –
-  E’ un dente di leone, Peeta. –
-  Lo so. Ma perché? –
-  Quando mio padre morì, tu sei riuscito a salvarmi solo lanciandomi del pane. Il giorno dopo a scuola avrei voluto ringraziarti, e ti vidi mentre raccoglievi uno di questi fiori. –
- Quindi? –
- Ogni volta che vedevo un dente di leone, pensavo a una cosa sola. –
-  A che cosa? –
-  Alla speranza. Perché se c’è una cosa che riesce ad annullare la paura, è la speranza. La speranza è l’unica cosa più forte della paura. E tu con la tua speranza mi hai salvato. –

 
Peeta si avvicina a me, con un sorriso complice.
Il bacio che sceglie di donarmi mi lascia senza fiato, portandomi indietro nel tempo, quando i nostri baci erano solo per le telecamere, quando era tutta una finzione per salvarci a vicenda.
E’ quello che succede dopo a lasciarmi senza parole.
 

- Katniss? –
-  Dimmi. –
- Resta con me. –
-  Sempre. –

 
E con il profumo di quel fiore stropicciato che aleggia intorno a noi, ci lasciamo alle spalle tutto per iniziare un percorso nuovo insieme. Pieno di paure, e dubbi. Di difficoltà. Ma anche di amore. Un percorso in cui la speranza e il suo profumo soave spazzano via ogni minima paura.
 

 
 
 
 
 
 
 Spazio autrice:

ehi!
Ho appena scoperto di essere arrivata quinta a questo concorso, e volevo condividere con voi questa schifezza.
Un bacio a tutti.
   
 
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