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Autore: Milla Chan    30/10/2012    2 recensioni
No Dan, no. Come ti sentiresti, se dovessi farlo tu? Con quale coraggio?
Siamo amici. Siamo fratelli.
Cosa faranno Berwald e Tino? Ci hai pensato?
Cosa dirò a Eirik?
Sei uno stupido.
Siamo una famiglia, non bisogna fare così.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Finlandia/ Tino Väinämöinen, Nordici, Norvegia, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Non ne sono in grado, non sono così forte, non sono forte affatto, non sono niente, non lasciarci da soli.
 
-Uccidimi, Norge.-
 
Lui scosse piano la testa, incredulo, portandosi la sua mano fredda alla guancia e rimanendo in silenzio.
Si impose di non sentire il calore del sangue sotto le proprie dita, di non osservarlo scorrere fuori, senza sosta, da quelle ferite profonde.
Sentiva tutta la fatica che faceva per respirare, per parlare, esalare parole con quel tono straziante.
 
-Fa male...-
 
-Non fare l’idiota. Ti cureremo.-
 
-No Nor, ti prego, fallo smettere...-
 
Norvegia lo guardò in silenzio, inginocchiato davanti alla sua figura che ora sembrava tanto debole, così distesa, così ferita, sporca, ansante. Ascoltò i suoi lamenti lunghi e strascicati che riempivano il silenzio, il tempo e lo spazio attorno, perdendosi nei suoi occhi appannati, seguendo con lo sguardo il sangue che colava dalle labbra secche, registrando ogni sua smorfia di dolore, ogni suo spasmo involontario, ogni sua richiesta supplicante che gli spezzava il cuore.
Una cantilena infinita mentre gli stringeva il mantello tra le dita, tirandolo verso di sé, per quanto potesse averne la forza, come se volesse averlo più vicino possibile, per vederlo bene, o forse solo per sentirlo accanto, o per un gesto inconscio e disperato che gli gridava di non andare via, di non lasciarlo lì ad affondare in quella sofferenza orrenda che lo stava divorando e lo uccideva troppo piano.
 
-Rinascerò...-
 
-Mathias...-
 
-Aiutami, Norge...-
 
Si fermò ad annegare nei suoi occhi blu, così spenti e spaventati, sentendosi invadere dalla tristezza, ripetendosi che non poteva farlo, non poteva davvero, ma non doveva abbandonarlo lì, a soffrire, lasciando che il dolore lo divorasse fino a spegnerlo del tutto.
Chiuse gli occhi, sfregò ancora la sua guancia contro la mano gelida e ruvida con un lungo sospiro ansioso.
 
No Dan, no. Come ti sentiresti, se dovessi farlo tu? Con quale coraggio?
Siamo amici. Siamo fratelli.
Cosa faranno Berwald e Tino? Ci hai pensato?
Cosa dirò a Eirik?
Sei uno stupido.
Siamo una famiglia, non bisogna fare così.

 
Nonostante i suoi pensieri gli affollassero la mente, si alzò in piedi, sussurrando scuse con la voce spezzata, sentendosi male per il sorriso sollevato di Danimarca, la sua espressione grata mentre il rumore della lama sguainata che lo faceva morire dentro.
 
C’è qualcosa di così giusto e così altrettanto sbagliato che fa schifosamente male.
 
 
Quando Berwald finalmente li trovò, Lukas non si muoveva.
Il sangue era seccato.
Intervallava singhiozzi e sussulti, le guancie umide di lacrime e il volto piegato sotto quella smorfia che sembrava essersi scolpita nei suoi lineamenti, aggrappato ell’elsa della spada conficcata fin dentro la terra smossa, attraverso il petto dell’uomo che guardava il cielo grigio con gli occhi fermi.

 
***
 

Tino osservò le sue labbra socchiuse e la pelle pallida.
 
Solo qualche minuto.
 
Sentì le lacrime bagnargli gli occhi e allungò le dita sul dorso della sua mano fredda.
 
Ora me ne vado, lo giuro. Ora ti lascio in pace.
 
Si inginocchiò davanti al letto e fece una smorfia di dolore, mentre la mano scivolava sul suo volto immobile, tra i capelli scarmigliati, di un biondo spento, color grano appassito.
-Manchi a tutti.- sussurrò flebile, dolce come se avesse potuto sentirlo.  –Manchi a me. Manchi tanto.-
Gli si spezzò la voce. Forse sperava davvero di sentirlo rispondere, di sentirgli dire che non avrebbe dovuto preoccuparsi perché lui era lì e non avrebbe dovuto avere paura.
 
-Rivoglio i tuoi sorrisi.-
 
Si alzò in piedi, velocemente, un timore infondato di essere visto –perché avrebbe dovuto averne paura? Non c’era niente di male, dopotutto.
Indietreggiò piano e si sforzò di distogliere gli occhi dal suo corpo tra le lenzuola bianche.
-Torna presto, Mathias.-
 
 
***
 
 
Lukas si ritrovò sommerso dall’acqua, risvegliandosi così dai suoi pensieri mentre i suoi stessi capelli gli ricaddero gocciolanti davanti gli occhi.
 
-È caldissima.- borbottò, quasi infastidito.
-Rilassa.- rispose semplicemente Berwald con tono basso e pacato, versandogli addosso un altro secchio d’acqua. -...Ti fa bene.-
-Posso fare anche da solo.- riprese di nuovo l’altro, guardandolo con la coda dell’occhio ed appoggiandosi con la schiena al legno della grande tinozza. Berwald l’aveva riempita per lui di acqua scaldata sul fuoco al punto giusto e, anche se non gli sarebbe piaciuto ammetterlo, gli piaceva che qualcuno si preoccupasse un poco per lui.

-Non mi fiderei a lasciarti da solo, ora.- disse lo svedese dopo qualche secondo di silenzio, soddisfatto di essere riuscito a dire esattamente ciò che stava pensando.
Lukas storse appena il naso e spostò lo sguardo fuori dalla finestra, perdendosi tra le chiome verdi degli alberi accarezzati dalla luce pallida.
-Lo sai che non sono impulsivo.-
Si strinse le gambe al petto, sospirando piano e sperando in silenzio che Berwald gli versasse dell’altra acqua calda.
 
-Umh...-  sul subito non seppe cosa dire, limitandosi invece a continuare in tutta calma il suo lavoro, togliendo delicatamente il sangue scuro e secco che proprio non voleva saperne di venire via. -...Preferisco comunque essere qui.-
 
-Qui?-
 
-...Vicino.- annuì imbarazzato, passando distrattamente con il pollice sotto il suo occhio, togliendo un’altra macchia di terra.
 
Lukas lo guardò, celando la gratitudine dietro un muro invisibile.
-Sverige...-
-...Andrà tutto bene.- lo rassicurò lui, cercando non farlo sentire in colpa -di colpe, lui proprio non ne aveva- mentre gli passava le dita sulla fronte, sollevando i capelli che coprivano quei suoi occhi profondi e bellissimi. -...È una promessa.-
 
L’acqua si mosse un poco, mentre Norvegia cercava ancora la mano ruvida di Berwald con la guancia.
 

***
 

Finlandia trovava rilassante restare appoggiato alla corteggia di quell’albero dalle fronde tanto ampie, così ombroso e fresco, sperando di trasmettere la stessa tranquillità al ragazzo disteso con la testa sulle sue gambe.
Ma Norvegia non era affatto rilassato. Solo, Tino ignorava di saperlo.
Abbassò gli occhi, spostando lo sguardo sul prato, tra le chiazze irregolari del sole filtrato dalle foglie.

Lukas teneva gli occhi chiusi e le mani intrecciate sul ventre.
Non aveva detto nulla quando le sue dita avevano iniziato ad accarezzargli i capelli. Forse era un buon segno.
 
-Dov’è pabbi?-
 
Islanda era seduto sull’erba, giusto accanto a loro, cercando un modo per legare tra di loro i steli delle margherite che staccava delicatamente, ignaro di tutto. Ignaro del peso che tutti, lì, sentivano gravare sulle loro spalle, della tensione che riempiva l’aria, ignaro del senso di colpa che sentiva il fratello, di quanto stesse combattendo contro se stesso, di quanto Finlandia, silenzioso, lo stesse tenendo in piedi pur senza muovere un muscolo.
 
-Ora dorme.- sussurrò appena Tino, come se temesse di spezzare qualcosa parlando troppo forte, spezzare l’espressione che era riuscito a modellare sul volto del norvegese.
Lukas aprì gli occhi con flemma, guardandolo, osservandolo distaccato e assente.
 
-Norja...-
-Non voglio parlare.- sibilò piano.
-Dovresti, invece. Parlare fa bene, soprattutto con la famiglia...- Tino socchiuse le palpebre, tentando di nascondere al mondo gli occhi malinconici mentre gli spostava i capelli dalla fronte.
 
L’altro lo guardò, il volto immobile, salvo la fronte che per un attimo si contrasse, come se non avesse capito a pieno il discorso.
 
- ...Tu pensi a noi come ad una famiglia, Fin?- chiese dopo lunghi attimi di silenzio, nei quali rimase con le labbra serrate e lo sguardo perso, la mente che elaborava pensieri e ragionamenti.
 
-Mi sembra... ovvio, no?- mormorò, inclinando appena la testa. Cosa gli stava passando per la testa?
Non capiva il senso di quella domanda. Aveva forse dei dubbi a riguardo?
Finlandia si irrigidì ascoltando il silenzio di Norvegia, il sorriso tranquillo che si spegneva a mano a mano che la sensazione di disagio si faceva spazio nel suo petto.


-Norja, non dovresti riflettere così tanto in questo momento. Dimmi a cosa pensi, piuttosto.-


Un profondo ed intricato miscuglio di ammirazione, invidia, senso di colpa e vuoto sembrò afferrare Norvegia e stringerlo attorno al busto, mentre sentiva pronuncire quelle parole ed osservava le foglie sui rami muoversi appena, accarezzate dal vento gentile, dal sole pallido, tra le quali rivedeva la faccia stupida e sorridente di Danimarca.
Si diede dell’idiota. Cose del genere accadevano in continuazione.
Le guerre accadevano in continuazione, le battaglie, la ferite e anche la morte.
Perché allora faceva così male?
 
- ...Che cos’è una famiglia, secondo te, Fin?-


Il ragazzo rimase a guardarlo, cogliendo una tristezza velata ed agitata.


-La famiglia è... Eirik che viene a farsi consolare, dopo un incubo, o dopo che è caduto e si è fatto male. Quando ti chiama bror e rimane in braccio a farsi accarezzare i capelli. Quando Berwald gli insegna a leggere e quando si fa fare il solletico da Mathias.-
 
Nel suo discorso, lanciava occhiate rassicuranti a Norvegia, il volto rilassato tradito dalle labbra che tremavano.
 
-Famiglia è quando Mathias e Berwald bisticciano per cose banali, io provo a mettermi in mezzo e tu ci guardi tutti come se fossimo degli stupidi. Cosa che forse siamo davvero, ora che ci penso. Quando torniamo a casa tutti insieme e ci medichiamo l’un l’altro, quando ci sediamo in cerchio a cantare o ad inventare storie per Eirik. Ed è normale che tu stia così, Norja.-
 
-...Una famiglia, eh?- mormorò pensoso l’altro.
 
-È così. Per quanto tu ti ostini a chiamarmi straniero.-  sussurrò di nuovo Tino, questa volta con una punta di amarezza.
Lukas sbattè più volte gli occhi, sentendosi per un attimo sconcertato. Era vero, non era stato propriamente gentile con quel finnico, da quando era arrivato. Di fatto, era stato l’unico ad essere stato ostile con lui. Non ne aveva avuto un vero motivo, se non un piccolo timore intimo e personale.
Lui era riuscito a costruire la sua famiglia, il suo cerchio di affetti, attorno ai suoi due fratelli.
Era bastato l’arrivo di Tino per turbarlo tanto? Per fargli temere che tutto si sarebbe sgretolato e che gli avrebbe portato via tutto quello per cui aveva lavorato nella sua vita?
Sì, era bastato questo per farlo sentire invidioso, quando Mathias gli sorrideva stupidamente e Berwald sembrava volerlo proteggere più di ogni altra cosa al mondo.
Che sciocco.
 
-...Ho smesso di chiamarti straniero già da un po’.- ribattè a voce bassa, tornando a chiudere gli occhi.
 
-È un passo avanti.- gli disse Tino, positivo.
 
-Non montarti la testa. L’unica cosa che abbiamo in comune è amare la nostra famiglia.-
 
L’altro gli abbozzò un sorriso, nascondendovi dietro una breve conclusione per quella frase, un pensiero che lo fece raggelare per la vergogna, sapendo che sarebbe sempre stato incapace di affrontarlo sul serio.
 
...E Mathias.
 

***
 

Un crampo al centro del petto sembrò farlo implodere, massacrandogli il cuore, che sembrò rigirarsi su se stesso, comprimersi, pressato, senza alcuno spazio per potersi espandere.
Sentì i polmoni riempirsi d’aria, dolorosamente, prepotenti e avidi, assalito dalla stessa sensazione di smarrimento e panico di quando si annega. Il sangue si scaldò nelle vene fino a fargli credere che la sua carne stesse andando a fuoco.
 
Dopo lunghissimi secondi di agonia interminabile, il primo battito. Lento e faticoso.
Faceva tanto male che credeva di morire.
Invece era tutto il contrario. Stava vivendo. Ma era ancora tutto buio.
 
Il bruciore sembrò diminuire, a poco a poco, disperdendosi in tutto il corpo, fino alla punta delle dita.
 
Secondo battito. Tanto atteso, tanto forte da scontrarsi contro la cassa toracica e rimbombargli dentro.
Riuscì a muovere le dita e percepì la luce oltre le palpebre.
Mancava la forza per aprire gli occhi.
 
L’aria sembrava un’estranea. Tossì. Una, due volte.
Non capì se fosse stato improvvisamente adagiato tra le lenzuola o se avesse semplicemente riacquistato la sensibilità.
 
Terzo battito. Strinse gli occhi e poi li socchiuse piano, il panorama sfocato e i colori vaghi e confusi. Tossì ancora, come se avesse in gola qualcosa di cui proprio non riusciva a liberarsi, mentre il cuore sembrava ancora volerlo prendere in giro, contraendosi a sorpresa.
 
-Mathias.-
 
La voce gli arrivò lontana e ovattata, tra un colpo di tosse e l’altro.
 
-Mathias!-
 
Riuscì ad aprire del tutto gli occhi, impiegando qualche secondo per riuscire a mettere a fuoco la figura di Berwald seduto accanto al letto.
Gli rivolse un sorriso sghembo, socchiudendo gli occhi lucidi e alzando il braccio verso di lui.
-Non... Non vi libererete mai di me.- mormorò con voce roca.  
Berwald rispose al sorriso, un po’ malinconico, allungando la mano e serrandola con la sua in una stretta forte e fraterna.
-...Non farci mai più prendere uno spavento del genere.-
Danimarca si tirò a sedere e, prima che se ne rendesse conto, si ritrovò stretto contro il suo petto. Sospirò pesantemente, l’espressione affaticata ma felice oltre l’inverosimile.
-Sei stato qui tutto il tempo?-
-Non sprecare fiato, sei vivo da appena due minuti.-
-Sentimentalone di uno svedese. Hai gli occhi lucidi?-
-...Idiota.-
 

***
 

-Pabbi!-
Danimarca afferrò al volo il bambino che si era lanciato verso le sue gambe, alzandolo in aria con un po’ di fatica dovuta alla recente rinascita e stringendolo al petto.
-Eirik!-
-Ho fatto i fiori per pabbi!- gridò entusiasta, mostrandogli la ghirlanda di margherite e allungando le braccia per posargliela in testa.
Il ragazzo scoppiò a ridere, accarezzandogli i capelli candidi e ringraziandolo di cuore.
 
Norvegia fu l’ultimo ad alzarsi dal prato.
Tino e Eirik avevano iniziato a correre gridando il suo nome non appena la figura zoppicante di Mathias, sostenuto da Berwald, aveva fatto capolino dal portone.
 
Lukas invece si era alzato in tutta calma. Non capiva tutta quella fretta –non è vero, la capiva benissimo e se avesse potuto sarebbe sicuramente stato il primo a stringerlo tra le braccia. Eppure era doloroso.
L’ho ucciso io, si diceva in continuazione.
Mosse qualche passo incerto sull’erba, le braccia strette attorno al petto quasi convulsamente.
Vide Danimarca alzare lo sguardo e sorridergli con occhi felici.
Avrebbe voluto gridare, dirgli che lo aveva fatto star male e che era stato lo stupido più stupido di sempre.
Ma si limitò a lasciarsi avvolgere dalle sue braccia, strizzando gli occhi e sussurrandogli un debole ma sincero  –Non farlo mai più.-
 
La sua mano gli si poggiò tra i capelli e qualcosa gli si sciolse nel petto.
 
-...Grazie, Lukas.-
 
Lui chiuse gli occhi e sentì gli altri stringersi attorno a loro. Si sentì a casa. Sentì davvero di far parte di qualcosa e si rese conto di quanto bene volesse a ciascuno di loro.
Si stupì di se stesso.
 
-La prossima volta ti lascerò lì.- borbottò contro la sua spalla, sorvolando sul calore che quel piccolo grazie aveva trasmesso al suo cuore.
-Non ci sarà una prossima volta.- ridacchiò l’altro in tono sicuro.
-Lo spero davvero.-
-Per te o per me?-
-...Per tutti.-
   
 
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