Nota
E’ la stessa identica che ho
scritto nella one-shot “ Memorie di un Jinn ”.
Ovvero, la fanFic presenta fatti
inerenti al terzo libro della trilogia di Bartimeus.
Quindi, per chi fosse intenzionato
a leggerla, consiglio di non proseguire nella lettura.
Premetto che sarà una long-fic.
Difatti, questo è solo il prologo.
I fatti si svolgono cinque anni
dopo la conclusione del libro. La protagonista principale è Kitty
Jones.
Forse ci sarà l’inserimento di
qualche nuovo personaggio, ma è ancora tutto da vedere.
Buona lettura^^.
-Prologo-
La ragazza mescolava
svogliatamente il suo caffè, mentre gettava uno sguardo al giornale mattutino.
“Giorno della memoria nazionale”. Diceva così il titolo in prima pagina,
stampato a lettere cubitali.
Sospirò. Quanto tempo era passato. Ma, poi,
neanche così tanto. Non sufficiente per dimenticare, almeno.
Scosse la testa.
Lei non avrebbe mai dimenticato, comunque. Fossero passati semplici minuti o
secoli.
Cacciò giù la malinconia e quelle lacrime mai più versate.
Si
sforzò di non continuare a leggere. A che sarebbe servito? Proprio a niente.
Solo ad alimentare la rabbia e il rimpianto, ecco cosa.
Già, quel dolce e maligno
rimpianto di non averglielo neanche solo sussurrato.
Che sciocca.
Sarebbero bastate due semplici
parole. Solo due…
L’imperterrito “don”, scoccò
traditore. L’orologio della cattedrale segnava le dodici.
Doveva affrettarsi.
Aveva promesso a Jacob che avrebbe pranzato con lui quel giorno.
Prese la
tazza e, mentre la portava alle labbra, vide il suo riflesso nel liquido scuro.
Accidenti com’era cambiata. Gli occhi erano sempre gli stessi. Forse non proprio
come quelli di un tempo.
Una volta, in questi risiedevano le pene e le
sofferenze patite. Sul fondo di questi, però, giaceva la speranza. La Sua
speranza. E ora?
Sbatté stizzita la bevanda sul piano e questa fuoriuscì
risentita, macchiando la tovaglia bianca.
Lasciò alcuni spiccioli sul tavolo,
e si incamminò con fare spedito verso le districate vie della città.
Il
vociare della gente, che camminava, le riempì le orecchie. I lunghi capelli
neri, dondolavano al ritmo del suo passo.
Un solitario color plumbeo
scalfiva il cielo. Odiava quel giorno.
La fontana zampillava nella grande
piazza. Accanto, una statua rimaneva immobile. Lei le passò vicino, cercando di
rimanere impassibile.
Era tutto inutile.
Sapeva che, di lì a poco, si
sarebbe voltata e avvicinata ad essa, rimanendo a scrutarla per minuti.
E così, infatti, fece.
La
figura di un uomo si stagliava nitida agli occhi della gente. Imperiosa e
austera.
Percorse con gli occhi la statua,
quasi teneramente. Si soffermò sul suo sguardo. Era freddo e inanimato.
Sospirò, di nuovo.
La
targhetta, ai piedi del monumento, parlava ai passanti, inespressiva: “John
Mandrake. Morto in difesa della nazione”. Poco sotto, veniva narrata brevemente
la sua vita e le sue azioni.
Un sorriso amaro le si dipinse sul volto. Sapeva
a memoria quelle parole. Le aveva lette così tante di quelle volte. Erano
diventate quasi un’ossessione per lei.
Perché continuava a torturarsi
così?
Doveva convincersi ormai. La realtà le è stata difficile da accettare.
Ha sempre creduto che tutto potesse cambiare, trovare un rimedio. Ma la morte
non ha un rimedio.
Strappa ciò che fino a un momento prima pensavi ti
appartenesse. E tu non puoi farci nulla.
I primi anni era fuggita in America,
sperando di poter dimenticare.
Ma come si può annullare dalla propria mente
quello sguardo, quel volto, quella determinazione, che tanto l’avevano fatta
palpitare?
Poco dopo, era ritornata a Londra. Non ce la faceva più. Quel
luogo faceva parte di lei, in un modo o nell’altro.
E, ora, ogni volta che si
trovava davanti a questa statua, ricordava nitidamente tutto.
Con rimpianto,
con rabbia, con sofferenza, eppure, continuava a ricordare.
Era lei a
volerlo.
Strinse i pugni. Gli occhi le si inumidirono.
“Stupido.”, disse sommessamente,
rivolta al volto di granito. Questo, però, gli rispose con la sua stessa
espressione di sempre, indifferente.
Si allontanò, poi, voltandogli
frettolosamente le spalle. Ma che, puntualmente, restituiva, in cambio, anche
solo, di un suo freddo sguardo.
Morto. Morto da
tempo.
***
“Eccoti, finalmente.”, disse,
accogliendo la ragazza con un ampio sorriso, mentre guardava l’orologio
contrariato.
“Le strade erano gremite di gente.”, spiegò lei, cercando di
risultare convincente. Si sedette accanto al giovane, mentre, svogliata,
prendeva il menù, che le porgeva il cameriere.
“Già, già..”, disse lui con
falso interesse, studiando, invece, le pietanze con gola.
“Oggi è il giorno
della memoria, Jacob. Ricordi?”, insisté lei, osservandolo con una punta di
risentimento.
“Eh?”, fece lui distogliendo lo sguardo dai piatti.
Notando, poi, l’espressione della ragazza, disse: “Oh, sì, Kitty..”.
Le sorrise
maldestramente, mentre lei divenne d’improvviso cupa.
“Dai retta a me,
dovresti lasciarti questa storia alle spalle.”, affermò, poco dopo, poggiandole
una mano sulla spalla. Lei sussultò a quel contatto e il suo sguardo
s’indurì.
Lui distolse la mano, rassegnato.
Kitty scosse la testa. “Non
posso..”.
“Insomma, sono passati cinque anni!”, esclamò esasperato lui, come
infastidito.
“E con questo?”, fece gelida.
“Bé, nella vita si va avanti,
no?”, rispose lui, ora, un po’ a disagio.
Non poteva capirla. Lui era
sempre stato insofferente al solo parlar di maghi. Non sapeva quanto soffrisse.
Quanto avesse provato ad andare avanti. Quanto…
Calò un silenzio prominente.
“Senti, io…”, cercò di scusarsi lui
Sorrise tirata. “Parliamo d’altro?”,
fece lei, ritirando il seme della discordia. Jacob annuì leggermente,
guardandola confuso. Fissò, poi, il menù con un concentrazione
insistente.
Lei seguì il suo esempio, senza troppa attrattiva.
Dopo poco,
il ragazzo sembrò aver riacquistato la sua giovialità. Parlò quasi per tutto il
tempo.
Lei annuiva distratta. Pensieri persistenti le facevano visita,
dispettosi.
-Mi dispiace Jacob, oggi è così. Non posso e non voglio
dimenticare.-
***
“Signorina Jones?”. Una voce femminile la
distolse dal suo lavoro.
La figura anziana di una donna fece capolino dalla
porta del suo ufficio.
“Si, Molly?”, rispose, stancamente.
“Non pensavo di
trovarla qui.”, disse lei gentile.
Kitty alzò le spalle. “Preferisco così,
per oggi.”, spiegò, senz’enfasi.
“Capisco.”, disse cordiale, senza aggiungere
altro.
“Una tazza di tè?”, domandò, poi,
l’anziana signora prima d’uscire.
“No, la ringrazio.”, rispose la ragazza,
ritornando alle sue scartoffie.
La segretaria uscì, guardandola
teneramente.
La giovane sbuffò. Il
Ministero era davvero difficile da gestire.
Corrugò la fronte, mentre leggeva le varie presentazioni da
approvare.
D’altronde, era stata lei stessa ad acconsentire alla proposta
che, cinque anni prima, le era stata offerta.
Nonostante, all’inizio, avesse
rifiutato. Pochi mesi dopo, aveva fatto dietro front sulla sua
scelta.
Inutile dire il perché. Buttarsi a capo fitto nel lavoro, pensava,
sarebbe servito a qualcosa.
Ma lì, proprio in quell’edificio, aleggiava la
presenza di Nathaniel.
Si era data l’ennesima zappa sui piedi.
Guardò
l’orologio da polso. Non era passata neanche un’ora.
Decise che sarebbe
rimasta lì ancora per un po’, almeno il tempo che finisse il discorso del
Presidente del Governo.
Esattamente tra dieci minuti. Le avevano chiesto più
volte di partecipare, ma non c’era stato verso.
Scimmiottare davanti al
popolo il patriottismo nazionale, non le interessava affatto.
Era pura
ipocrisia.
A nessuno interessava, davvero, se qualcuno fosse morto per
proteggere le persone a loro care.
Bè, almeno, l’importante era che non lo
facesse qualcuno di veramente rilevante.
Di certo, Lui non era uno tra
quelli…
Driin.
Il suono del telefono trillò nell’aria muta
dell’ufficio.
Due, tre squilli. “Molly, risponde lei, per
piacere?”.
Niente. Il rumore si fece insistente, quasi assordante.
Si
decise. Alzò la cornetta.
“Pronto, parla Kitty Jones”, disse atona.
“Oh,
signorina, cercavo proprio lei. Sono Albert Derwe.”, rispose una voce maschile,
titubante.
Probabilmente, era sorpreso di sentire rispondere direttamente
lei.
Ah, già. L’editore. Aspettava quella telefonata da mesi. “Mi dica, ha
novità?”, chiese impulsiva.
“Si, si. Ho finito di stampare l’aggiornamento
sulle creature demoniache..”, iniziò con lo spiegare l’uomo.
“Si chiamano Jinn”, la corresse lei, educata,
senza mascherare una nota di risentimento nella voce.
Quando avrebbero
imparato a rispettarli?
La normativa in difesa dei loro diritti era andata
miseramente in fumo.
Aveva cercato
di dissuadere i maghi dal ricorrere al servizio degli spiriti, ma senza
successo.
Era riuscita ad ottenere, comunque,
solo una minima parte di quello che avrebbe voluto.
Un jinn poteva essere chiamato una
sola volta all’anno e potevano essergli affidati fino a tre compiti.
Sempre
meglio di niente. Fece una smorfia.
“Eh? Si , bè, insomma, proprio quelli e,
come promesso, le ho messo da parte una copia. Se mi dice dove, posso
spedirgliela personalmente.”, continuò lui, come se non fosse stato
interrotto.
“No, verrò io personalmente. La ringrazio, a presto.”.
Così
dicendo, mise giù, senza lasciargli il tempo di dire altro.
Un sorriso le si
dipinse sulle labbra stanche. Era ora di scoprire la
verità.
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Note
dell’autrice:
Yavanna:
poiché
mi avevi chiesto di continuare la one-shot su Bartimeus, ho deciso di
accontentarti pubblicando un seguito, del tutto inventato, della trilogia in
questione.
Spero
ti piaccia^^.
Anle