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Autore: MistakenWind    01/11/2012    1 recensioni
Cosa c'è di peggio di una maschera sul viso? Perdi l'uomo che eri, e vivi secondo ciò che credi di essere.
Un pagliaccio. Un pazzo. Il diverso. Anche il pagliaccio può piangere però.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Riflettori puntati sul suo volto. Grandi applausi e tante rose lanciate sulla sabbia del suo piccolo palcoscenico del Circo. Le raccolse una ad una e sorridendo se ne andò con il suo solito modo comico di salutare la platea che lo acclamava. Scompariva dietro le quinte con il suo mazzo di rose e si perdeva tra gli altri suoi compagni che si preparavano ad andare in scena. Abbandonò le rose in un cesto e incurante dei complimenti che qualcuno gli lanciava uscì fuori dal tendone del Circo e si sedette, come faceva ogni volta, su una balla di fieno. 
Iniziava a farsi sentire il freddo dell'inverno alle porte, ma il pagliaccio sembrava non curarsene. Era intento a guardarsi le sue stelle, che splendevano piene di vita ed energia nel cielo. Erano tutte per lui quella sera. 
Non era felice. C'era qualcosa che non andava sotto tutto quel trucco bianco e rosso, un uomo che si era perso, un uomo che aveva perso la sua strada da tempo. Con un fazzoletto colorato di un verde acceso, si cercò di togliere quel cerone sul volto, senza molto successo. Con rabbia gettò il fazzoletto a terra che finì in una pozzanghera scura, risucchiato dal fango.
Cosa c'era di sbagliato in lui? Tutto era sbagliato. Si prese la testa tra le mani e strinse forte gli occhi, come quando da piccolo rimaneva al buio e non riusciva ad accendere la luce per la troppa paura di essere solo.
Adesso era solo davvero. Non c'era più nessuno per lui. 
Era costretto a lavorare come pagliaccio per potersi guadagnare quei pochi soldi per poter vivere, quel poco di denaro che bastava per un tocco di pane e un buon bicchiere di vino. Cosa aveva fatto per avere di più? Niente. Aveva sempre voluto il massimo, senza voler fare niente, ed ecco com'era finito, a fare il pagliaccio per quattro soldi e due rose che stavano già sfiorendo nel cesto. Aveva sempre fallito in ogni cosa avesse provato a fare, ogni cosa che avrebbe sempre voluto fare finiva accantonata in un angolo perchè c'era sempre chi gli urlava alle orecchie che non era abbastanza bravo, abbastanza forte, abbastanza intelligente, abbastanza portato per farlo. Ed eccolo li. 
La sua maschera di pagliaccio era l'unica cosa che gli rimaneva. Lo proteggeva dalle angherie della gente e dai suoi sentimenti. Col passare degli anni quella maschera era entrata con violenza in lui, tanto da portargli via i suoi desideri più profondi, i suoi sogni, le sue emozioni, le sue paure. Era un pagliaccio. Lo strambo. Il diverso. Il pazzo. Lo sfigato. Era il morto di fame, colui che non riusciva ad arrivare a sera e che dormiva fuori la notte. Colui che non aveva nessuno che lo amava, lui troppo falso da trovare qualcuno che lo amasse. 
Strinse più forte le palpebre, mentre sentiva il solletico familiare delle lacrime che spingevano per poter uscire fuori allo scoperto, ma la sua maschera di metallo impediva ad ogni emozione di trapelare, e anche quelle lacrime furono respinte nell'antro buio e accantonato da tempo delle sue emozioni. 
La notte blu era dipinta da tante stelle chiare che sembravano fissare quell'uomo, dipinto da tanti colori sgargianti, ma con gli occhi neri come il petrolio, invaricabili, scuri, vuoti. Non c'era modo forse, di poter scuoterlo dal suo torpore, di farlo svegliare e farlo lottare di nuovo per ciò che sognava. Forse quella maschera si era divorata anche l'ultimo briciolo di lui, o forse no. Uno scroscio di applausi fece risvegliare il povero pagliaccio, che ammirò un ultima volta quelle stelle per poi ritornare in fretta in scena, dove il pubblico lo reclamava a gran voce.

Passarono altri mesi. Passò l'inverno tra spettacoli e spettacoli, tra notti passate a guardare le stelle, tra sorrisi falsi mostrati alla gente, tra parole gettate al vento e sospiri gridati al niente. Arrivò la primavera a svegliare gli animi intorpiditi di amanti segreti, e mentre il pagliaccio camminava per le strade del piccolo paesino in cui viveva, brontolava con rabbia e disprezzo vedendo le coppie di innamorati che si stringevano l'un l'altro in un abbraccio e si tenevano per mano. Dentro di lui però, un grido silenzioso si fece spazio e riecheggiò per le mura della sua mente tuonando e facendo tremare per un attimo quella maschera d'acciaio. Così si fermò su una panchina sotto ad un albero, difronte ad un lago limpido come uno specchio, scosso da quell'emozione emersa dalla sua mente, che era riuscita a superare la sua barriera d'acciaio. Era un grido disperato di un sogno che nutriva da quando era solo un piccolo giovane voglioso di scoprire la vita. Si passò una mano tra i capelli folti e ribelli che invece di diminuire sembravano aumentare. Si alzò e si osservò in quel lago trasparente, e per la prima volta dopo anni, si guardava davvero. Il corpo tonico e forte di chi ha lavorato tanto nella vita, i lineamenti forti e la barba che cresceva sul mento, gli occhi scuri perplessi e i suoi capelli ribelli. Per la prima volta dopo anni si vide bello, e non potè non sorridere a quell'immagine strana che lo specchio d'acqua gli rifletteva. La maschera però tornò ribelle a riprendersi il controllo dell'uomo, che sbuffò e lanciò un sasso sull'acqua distorcendo la sua immagine.   Se ne tornò a sedere con il suo fare sconsolato e rimase a fissare la vita intorno a lui. La sua attenzione poi fu catturata da una piccola bambina che ballava spensierata insieme a sua madre sui bordi del laghetto. Ogni tanto si schizzavano a vicenda e poi crollavano in un mare di risate. Il pagliaccio conosceva quell'emozione e una forte nostalgia lo colpì, mentre altre emozioni trapelavano dalla sua maschera. Per un attimo si lasciò andare, e rise vedendo la bambina che si rotolava tra l'erba seguita dalla madre. La bambina dopo un po' si accorse della sua presenza, e timida sembrò parlare all'orecchio di sua madre. Il pagliaccio intanto aveva distolto l'attenzione e stava tornando nel suo oblio trascinato dalla sua maschera. La bambina curiosa si avvicinò, un po' intimorita da quell'uomo, che riconobbe come il famoso pagliaccio che dilettava il circo più famoso della regione. Lo guardò un attimo nascosta dietro un albero mordendosi le labbra sottili mentre ciocche di capelli biondi le scivolavano sul viso. Si avvicinò ancora e una volta vicino scosse la manica del pagliaccio. L'uomo sorpreso si voltò e vedendo la bambina il suo cuore tremò insieme alla maschera che stava per cedere. La bambina in un sorriso gli mostrò un mazzo di margherite colte da lei e mordendosi le labbra gliele porse. Il pagliaccio si perse nello sguardo di quella bambina che sembrava voler scrutare a fondo dentro i suoi occhi scuri, e sentì la morsa che lo stringeva rompersi, e una marea di emozioni liberarsi finalmente dopo anni che lo teneva prigioniero. La bambina posò una mano sulla sua, guardando a fondo quegli occhi scuri che gli piacevano tanto, anche quando erano contornati da tanto trucco colorato. Il pagliaccio sorrise. Un sorriso vero che rotolò nei meandri della sua anima, liberandola dalle sue catene, mentre quel grido silenzioso di prima si faceva sempre più forte e calde lacrime iniziarono a scendere dagli occhi ormai non più vuoti del pagliaccio. Senza pensarci due volte l'uomo abbracciò la bambina che ridendo gli diede un bacio sulla guancia. Era il suo piccolo eroe. Lo guardava sempre alla televisione e da grande avrebbe voluto essere come lui. La piccola indicò sua madre che era rimasta seduta sorridendo osservando la scena da lontano. L'uomo si avvicinò alla donna con la bambina in braccio, si accovacciò difronte alla madre e la guardò negli occhi. Due occhi chiari, tristi e sofferenti, proprio come erano i suoi fino a poco tempo prima. La solitudine negli occhi chiari della donna lo spinse ad andare avanti, a valicare le sue paure di pagliaccio, e con fare imbranato tirò fuori dalle tasche una rosa di stoffa che le porse. La bambina si allargò in un enorme sorriso, e la madre e il pagliaccio la imitarono. Un sorriso liberatorio, un sorriso che sciolse le catene, un sorriso che rotolò nell'aria riempiendola di mille colori e suoni, un sorriso che diventò a poco a poco una risata, una risata che fece tremare l'universo, una risata che scacciava le paure, una risata piena di armonia, una risata che fece rinascere l'amore.

Così, quel grido silenzioso di un sogno dimenticato nel cassetto, divenne realtà. Il sogno di quel povero pagliaccio si era avverato, e il sogno era diventato una realtà che respirava e amava ogni giorno di più. Il sogno grande, quasi impossibile, della ferfida immaginazione di un ragazzo adolescente che progetta in grande,  non se n'era mai andato e  aveva lottato a lungo per farlo tornare l'uomo che era.
Eccolo il suo piccolo, ma grande sogno, eccolo, inarrestabile e potente. Sognava di amare eternamente la donna che lo avesse divertito, e adesso viveva amando il sorriso della donna che aveva sciolto le sue catene con una risata.
  
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