Inseguendo un sogno
PROLOGO
Era
buio.
Una villa enorme, tutte le
luci erano accese, tutte tranne una.
Colei che si muoveva
nell’oscurità della stanza sapeva bene che cosa fare, lo aveva architettato da
molto tempo ormai, troppi scandali, troppe incomprensioni, era impossibile
vivere soffocati da tutta quella gente che andava e veniva
quotidianamente.
Lo zaino era pronto, non c’era
tutto, giusto il minimo indispensabile e qualche soldo, non se ne sarebbe
accorto nessuno. Aveva lasciato un biglietto sulla scrivania: “vado da papà, non
cercarmi. Saori”.
Aprì l’armadio e tirò fuori
tutte le sue lenzuola e le legò una dopo l’altra facendo diventare la sua opera
lunga quanto bastava, l’aveva visto fare in alcuni film, di solito
funzionava.
Buttò la fila di lenzuoli giù
dalla finestra, nell’aprirla venne investita dalla leggera brezza d’inizio
Settembre, sospirò, era l’ultima volta che vedeva quel panorama, che era stato
negli ultimi anni la sua unica fonte di conforto, c’erano mille luci colorate
appartenenti alle insegne dei bar e locali della grande metropoli in cui
abitava, le scese una lacrima, l’ultima goccia di malinconia se ne stava
andando, la stava lasciando in quella casa troppo grande per una ragazza come
lei, salutò le sue luci e si girò per legare un’estremità dell’ultimo lenzuolo
al letto su cui non avrebbe mai più dormito.
Fece tre saldi nodi, no,
quattro è meglio, per stare sicuri, poi si mise lo zaino in spalla e buttò la
lunga corda di coperte dalla finestra, erano giuste giuste, poi si mise degli
occhiali da sole nerissimi e un cappello che racchiudeva tutti i capelli, non
doveva assolutamente farsi riconoscere da nessuno. Dopo ciò si aggrappò alla
corda da lei fatta e cominciò a scendere dalla finestra, passo dopo passo la
tensione aumentava, anche perché i nodi si stavano sciogliendo, mancava poco
quando:
-porca…-.
Non disse altro, il volo fu breve, cadde di sedere, in quel momento invidiò con tutta se stessa i gatti e la loro innata abilità di cadere sempre in piedi.
Rimase con in mano un lenzuolo
che buttò a terra e cominciò a correre a perdifiato per quel cortile che
conosceva molto bene, era riuscita a non farsi vedere dai sorveglianti, ora si
trovava davanti ad un muro, oltre il quale c’era la libertà, lei conosceva un
passaggio nascosto da un cespuglio, lo aveva creato lei anni prima, ma non si
era mai decisa ad usarlo, fino a quella notte.
Passò attraverso la muraglia e
si trovò in strada, ricominciò a correre verso la fermata più vicina, una volta
lì aspettò il pullman, con lei c’erano dei loschi individui ubriachi che
ridevano per ogni cazzata che sparavano, li guardò con disgusto, uno di quelli
si avvicinò:
-ciao ragazzina… ti va di
divertirti insieme a noi?- aveva l’alito che odorava di tutte le porcherie
possibili e immaginabili e una voce per niente
rassicurante.
-toccami e te ne pentirai- lei
era impassibile, era abituata a gente simile.
-ma davvero?- disse lui
toccandole la spalla col dito, la ragazza fece una mossa fulminea, gli infilò il gomito in pancia,
facendolo cadere sul marciapiede, dolorante.
Poco dopo arrivò il bus e ci
salì da sola, finalmente.
Era l’unica sul mezzo, si
sedette all’ultimo posto, non voleva altri contatti con
persone.
-dove ti porto ragazzina?-
chiese il guidatore assonnato.
-in stazione… ho
l’abbonamento- rispose lei.
Guardò fuori dal finestrino,
quelle stesse luci che vedeva dalla sua stanza, da vicino facevano tutto un
altro effetto, erano meno rassicuranti, forse era per i barboni che vi sostavano
perennemente fuori? Non ci credeva nemmeno lei, non avrebbe più rivisto quei
posti, non ci sarebbe mai più tornata, la vita di città non faceva per lei, era
troppo stressante, troppo piena di gente e lei aveva bisogno di
tranquillità.
Il pullman la scaricò davanti
alla stazione, entrata dentro le sembrò di essere sotto a milioni di riflettori,
socchiuse gli occhi nonostante gli occhiali
scurissimi.
Andò in biglietteria e chiese
un biglietto di sola andata per un paesino lontano, poi si diresse verso il suo
binario, decise finalmente di accendere il suo mp3 e mettersi le
cuffie.
Il treno arrivò dopo qualche
minuto e lei salì, trovandosi un posto in uno compartimento da sola, non voleva
contatti con nessuno.
Puntò la sveglia del suo
cellulare per le dieci del mattino, non doveva perdere la
fermata.
Erano ormai le undici di sera,
le si chiudevano gli occhi, così si sdraiò sul sedile tutto per lei e si
addormentò cullata dalla sua musica.
Passarono le ore, l’mp3 si
scaricò, la luce entrava nello scompartimento furtiva, come se volesse far
svegliare lei, ma non bastava così poco per farla tirare su, ma dopo poco la
sveglia del telefono suonò facendola sobbalzare.
-maledetta sveglia… ti
imbavaglio subito- detto ciò la fece smettere di suonare, mentre dormiva le si
era tolto il cappello e le era caduto a terra, era proprio sotto il sedile, la
ragazza lo raccolse di malavoglia e poi si ravvivò un po’ i capelli corvini
lunghi fino alle scapole.
-chissà dove sono…- si disse
ad alta voce.
Si diede della pazza, come
poteva parlare da sola? Ma non era da biasimare, non era una gran chiacchierona,
ma una parolina di tanto in tanto le faceva bene.
Rimase ad aspettare, dopo un
po’ il treno si fermò in una stazione, ma non era la
sua.
Si rese conto di quanto fosse
cambiato il panorama rispetto a quella notte, ora davanti a lei c’erano
innumerevoli campi, campi a perdita d’occhio, era giunta in
campagna.
Dopo un’oretta il treno si
fermò ancora in un paese, la passeggera solitaria lesse il nome, era arrivata,
prese lo zaino e si precipitò fuori.
Appena scesa dal treno fu
avvolta da un’aria diversa da quella della città, era pulita, pura, si mise
avidamente a respirarla, come se volesse togliere ogni minimo residuo della
città dal suo organismo.
Poi riprese a camminare verso
una meta che conosceva bene, non guardava la gente che inevitabilmente veniva
attratta dalla sua presenza.
“accidenti… ma che hanno da
guardare… e io che volevo passare inosservata” pensò tra sé e
sé.
Si mise a correre, non
sopportava quegli sguardi, voleva fuggirli, ma se li sentiva sempre alle
calcagna, come se la perseguitassero, svoltò l’angolo andando in una via che
sembrava priva di gente ma…
-ops… scusami… non l’ho fatto
apposta, aspetta che ti aiuto- le disse il ragazzo dal capelli neri con cui
aveva avuto lo scontro. I suoi occhi erano neri come la pece, ma trasmettevano
tranquillità alla ragazza, che rimase per un attimo paralizzata da quello
sguardo così… amichevole. Anche il ragazzo rimase colpito da lei, aveva degli
occhi castani, scurissimi, in quel momento sembravano spaesati, persi, ma gli
fecero uno strano effetto.
La magia durò
poco.
-scusami tu… non ho bisogno
d’aiuto…- disse lei con tono distaccato e fece per
superarlo.
-non ti ho mai vista, sei
nuova?- le chiese lui con aria interrogativa.
-sono appena arrivata,
scusami, ma devo andare…- lei non lo aveva neanche guardato in faccia, e se ne
andò, allontanandosi da lui, che la osservò sparire, si era accorto che lei
aveva bisogno d’aiuto, ma non osava seguirla, era stato rapito dal suo sguardo,
poi si girò davanti e vide per terra un cappello, il cappello della ragazza. Lo
raccolse e decise di tenerlo, era sicuramente un segno, l’avrebbe senz’altro
incontrata di nuovo, il paese era piccolo e si conoscevano tutti, prima o poi
l’avrebbe trovata, così continuò per la sua strada, un amico lo salutò per
strada.
-ciao
Goten!-
-ciao Trunks! Pronto per
l’inizio della scuola?-
-abbastanza,
tu?-
-non molto, l’estate è sempre
così corta…-
-capisco…-
-tu non puoi immaginare quello
che mi è appena successo-
-racconta…-.
Così Goten cominciò a narrare
all’amico il bizzarro incontro con la ragazza
sconosciuta.
Intanto lei era arrivata
davanti ad una casa, titubante se bussare o no, alla fine si decise, salì le
poche scale di legno e suonò il campanello.
Aspettò per pochi secondi una
risposta, sentì dei rumori provenire dall’interno e un uomo le aprì la
porta.
-ciao papà, scusami se mi
presento così… ma sono qui per restare, se non è un
problema-
-ciao Saori, entra pure… mi
aspettavo che arrivasse questo giorno, sei sempre la benvenuta dal tuo papà,
ricordalo sempre-.
La ragazza sorrise ed entrò, per lei stava per cominciare una nuova vita in un paesino in mezzo alle campagne.
Eccovi il prologo della mia nuova ff, ho una vaga idea di quello che succederà poi, ma a me piace, spero anche a voi, anche se da questo primo pezzo non si capisce molto. Fatemi sapere se devo continuarla o se fa proprio pena, badate che aggiornerò solo dopo aver ricevuto abbastanza recensioni, quindi sta a voi decidere.
Kiss!!! By black 91