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Autore: Nimel17    02/11/2012    3 recensioni
La fiaba di Raperonzolo è molto conosciuta, ma qualcosa mancava...Rumpelstiltskin. La vera protagonista è comunque Rapunzel.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rapunzel si mise gli occhiali da sole. Booth era uscito dal diner e stava camminando per la strada, tranquillo come se non avesse infranto da pochi giorni le speranze di un uomo. Notò che trascinava leggermente una gamba e tamburellò le dita sul volante, trovando impossibile restare ferma in quel frangente. Era il suo primo pedinamento.
Premette il piede sull’acceleratore e seguì a distanza l’impostore. Aveva iniziato a piovigginare, proprio come aveva pensato. Poche persone escono con la pioggia. Le arrivò un messaggio di Rumpelstiltskin: si sarebbe fermato in negozio, visto che qualcuno gli aveva fatto uno scherzo di pessimo gusto spostando tutti i suoi articoli in posti differenti. Lei sorrise. Le dispiaceva aver rovinato il suo lavoro, ma questo l’avrebbe tenuto impegnato per un po’. Aveva detto a Scar di aspettarla nel centro commerciale di Storybrooke alle tre, l’ora in cui c’era così tanta gente da risultare faticoso spostarsi. Con il brutto tempo, poi, tutti sarebbero corsi al riparo. Sarebbe stato così facile poi sgranare gli occhi, preoccupata, sostenendo di non esser riuscita a trovarlo e di esser tornata a casa.
Quando lo vide dirigersi verso il bosco fermò la macchina e scese. Le sue scarpe non facevano rumore sul sentiero e lei conosceva il posto meglio di lui. Aveva l’esca perfetta per attirarlo in trappola. Tirò fuori dalla giacca un pugnale… preso in prestito dal negozio, ricurvo come quello di Rumpelstiltskin e lo nascose malamente tra le foglie, ai piedi di un albero, facendo in modo che fosse ben visibile agli occhi di chiunque fosse passato. Si nascose dietro il tronco e attese che gli occhi di Booth registrassero qualcosa d’insolito, mentre tirava fuori la sua arma. Le pupille dell’uomo erano dilatate per l’interesse, e dopo essersi guardato intorno lui iniziò ad avvicinarsi a lei e alla trappola. Quando lo vide chinarsi a spostare il fogliame, strinse con forza il sacchetto di sabbia e lo calò sulla nuca dell’altro, senza esagerare il colpo.
Booth cadde a terra e Rapunzel gli tastò il polso per precauzione. Sorrise, soddisfatta. Era ancora vivo.
Gli aprì la giacca e lo perquisì velocemente, togliendogli la pistola. Grazie alle piccole informazioni di Rumpelstiltskin, aveva imparato a riconoscere i posti più probabili dove trovare armi nascoste. Quando gli controllò le gambe, corrugò le sopracciglia. Un arto era troppo duro. Tirò su un poco i pantaloni e li lasciò ricadere subito, frastornata. Una gamba di legno. Legno. Si passò una mano fra i capelli e si rialzò, recuperando l’equilibrio. Chi….? Ma non c’era tempo. Lo trascinò faticosamente alla macchina, procedendo più lentamente di quanto avrebbe voluto. Sperò ardentemente che l’altro non si risvegliasse. Tirò fuori dal bagagliaio le funi che aveva ottenuto da Leroy e legò le mani dell’uomo dietro la schiena, per poi passare ai piedi. Quando era sulla torre aveva letto talmente tanti libri sul mare e sulla navigazione, che fare un nodo resistente era uno scherzo per lei. Mise Booth nel sedile del passeggero davanti e gli allacciò la cintura, sapendo che chiunque avrebbe semplicemente visto una persona addormentata. Inserì le chiavi e le girò bruscamente, accendendo il motore con più forza di quanto fosse necessaria, ma il rumore le diede nuova energia. Prese il cellulare e compose un numero.
“Pronto?”
“Stiamo arrivando.”
“Magnifico. Ho proprio bisogno di compagnia.”
Rapunzel partì, guidando prudentemente per la città, fino ad allontanarsi e a risalire per una collinetta. Si fermò davanti ad una grande casa bianca, simile a quella di Rumpelstiltskin. Il suo compagno di viaggio si mosse leggermente e lei lo prese come un segno di doversi sbrigare. Scese e fece un cenno all’uomo alto che stava sotto il portico, il quale le andò incontro sorridendo.
“Rapunzel, sei puntualissima. Sbrighiamoci, o ci bagneremo come gattini. È questo il nostro ospite?”
“In carne e ossa. Anche se sembra più esatto dire carne, ossa e legno.
“Spiegherebbe perché pesi così tanto.”
Lo portarono dentro, Jefferson reggendolo per le spalle e lei per le gambe.
“Grazie per aver offerto la tua casa come rifugio di delinquere, Cappellaio.”
“Te lo dovevo. Inoltre, mi annoio. Ho bisogno di diversivi.”
Lo mollarono sul divano e Rapunzel si sedette anche lei, le guance rosse e la fronte sudata.
“ ’Ccipicchia, che faticaccia.”
“Coraggio, biondina. Ce n’è ancora da fare. Allora, hai pensato a cosa fare al Bello Addormentato?”
“Ho un’idea. Ma ti chiederei di non essere nella stanza, mentre lo faccio.”
“Come vuoi.”
Jefferson si alzò e schiaffeggiò senza troppa delicatezza il prigioniero sulla guancia.
“Su, su! È tardi, è tardi! Siamo in tremendo ritardo! Sorgi e brilla, Bella Addormentata!”
Booth aprì piano gli occhi.
“Che cosa…?”
Rapunzel lo interruppe.
“Non cosa, ma chi.
Lo sguardo nebuloso dell’uomo si posò su di lei, passando dalla confusione alla consapevolezza, poi di nuovo alla confusione.
“Emilie? Che cosa ci fai tu qui?”
“Sono io che ti ho portato qui.”
Jefferson si tolse il cappello in un inchino ironico.
“Con il mio aiuto. Sei piuttosto pesante, sai, come un tronco di legno.”
Booth s’irrigidì e lei lo osservò attentamente. Per quanto cercasse di mascherare la sua inquietudine,  quell’uomo era preoccupato.
“Cosa ci facevi nel bosco, Booth? E perché eri tanto interessato a quella cosa nascosta ai piedi dell’albero?”
Lui si schiarì la voce.
“Non sapevo fosse così preziosa… pura curiosità. Era qualcosa che brillava, è ovvio che mi abbia subito attirato, no?”
Diede loro un sorriso che voleva sembrare affascinante. Rapunzel e Jefferson lo guardarono, poi si guardarono a vicenda.
“Jefferson, che ne dici di iniziare a preparare il the? Ho molta sete.”
“Giusto, giustissimo. Tra poco arriveranno anche due ospiti.”
“Oh? Non me l’avevi detto. Chi arriva?”
“Il mio amico del Cheshire e il nostro terzo compagno di quando eravamo a casa. Ti piacerà, vedrai.”
“Mi fido.”
Jefferson richiuse la porta alle sue spalle, canticchiando una vecchia filastrocca. Rapunzel sorrise dolcemente a Booth e si tolse l’impermeabile. Ora che aveva capito chi fosse veramente, si sentiva più sicura, più potente. Comprese in quell’istante perché Rumpelstiltskin avesse quella piccola ossessione sui nomi. Perché nel suo vecchio mondo sapere il nome di qualcuno dava potere.
“Molto bene, caro il mio Pinocchio. Immagini perché sei qui?”
“Come…?”
Lei gli lanciò un’occhiata tagliente.
“Non insultare la mia intelligenza. Di bugiardi fatti di legno ce ne sono pochi.”
Booth deglutì, poi recuperò la sua disinvoltura e il suo charme.
“Dimmi, Emilie, che affari hai con il Cappellaio?”
“Diciamo che abbiamo qualche cosa in comune. Ma hai sbagliato domanda, prova ancora.”
“Ti ha chiesto Rumpelstiltskin di portarmi qui, vero? Sapevo che era troppo bello che mi lasciasse andare così. Me lo vedrò arrivare fra poco e mi picchierà col suo bastone come ha fatto con quel poveraccio di French?”
“Lui sarà l’ultima delle persone che vedrai oggi, te lo assicuro.”
Gli occhi chiari dell’uomo erano, se prima confusi, completamente disorientati.
“Non capisco…”
“Vedi, Rumpelstiltskin era piuttosto alterato quella famosa sera in cui hai preso le sue speranze e ridotte a brandelli, così ha mancato alcuni punti essenziali della tua storia.”
L’altro sussultò.
“Che cosa ne sai tu? Chi sei?
“Emilie Rampion.”
Rise, prendendosi gioco di lui.
“Facciamo un patto, dunque. Alla fine di tutto, ti dirò il mio nome. Ma ho due cose importanti da fare prima.”
“Cioè?”
Rimasero a fissarsi per qualche secondo. August sembrava intimidito da quegli occhi verdi e non avrebbe commesso due volte l’errore di sottovalutarla. La sua nuca aveva recato un bernoccolo delle dimensioni di una puntura di vesta dopo il suo incontro con lei.
“Sapere cosa sai esattamente di Baelfire e vendicare Rumpelstiltskin.”
Gli occhi le si riempirono di lacrime, che però non scesero. Rapunzel non voleva mostrarsi troppo debole.
“Voglio sapere anche perché hai ritenuto necessario distruggerlo come hai fatto.”
L’uomo era diventato pallido. Era difficile dire se provasse davvero rimorso oppure no, ma a lei non importava molto in realtà. Il pentimento sarebbe sicuramente venuto dopo.
“Mentre rifletti sulle risposte da darmi, vado a vedere a che punto è il the.”
Jefferson stava disponendo sei tazzine e una teiera su un vassoio.
“Avevi detto che avevi solo altri due ospiti.”
“Il sesto è per mia figlia Grace.”
Rapunzel si sentì triste per lui, ma gli sorrise incoraggiante.
“Dovevo immaginarlo.”
“Ehi, Jefferson!”
“Cappellaio!”
Lei si voltò. Aveva riconosciuto la voce dello Stregatto, ma era curiosa di vedere chi fosse l’altro. Era piccolo di statura, dai capelli biondi spettinati, orecchie lunghe, viso stretto e la bocca un po’ deformata da incisivi sporgenti. Era sicura di non averlo mai incontrato.
“Emilie, ti ricordi del Gatto del Cheshire, immagino.”
“Indimenticabile.”
“Questo è il mio amico Leprotto Marzolino, ma a Storybrooke si chiama Roger Liddle.”
Liddle scoppiò in una risata isterica e le strinse entusiasticamente la mano, tirandola con forza su e giù.
“Piacere, piacere, ma è l’ora del the o sbaglio?”
Mentre lei teneva aperta la porta, Jefferson sussurrò:
“Allora, hai deciso cosa fare del nostro Pinocchio?”
“Non ancora. Immagino di dovermi affidare all’ispirazione del momento.”
“Eccellente, biondina, eccellente.”
Quando rientrarono nel salotto, i due amici erano seduti ai lati di Booth e gli facevano domande con vivo interesse.
“Davvero stai tornando di legno?”
“Sei stato nella pancia di una balena?”
“Che cos’è una balena?”
“È un uccello, sciocco.”
“Ti sbagli, sono certo che sia un felino.”
Rapunzel intervenne.
“Il the è pronto.”
Entrambi lasciarono perdere Booth e si versarono da bere.
“Festeggiamo il Non Compleanno del nostro nuovo amico!”
Dopo essersi schiarito la gola, August riuscì ad articolare qualche parola.
“Il mio che?”
Il Leprotto lo guardò con la bocca e gli occhi spalancati.
“Non sa cos’è un Non Compleanno? Dunque: trenta dì conta novem... no! Né di Venere né di Marte non si spo..”
Jefferson gli batté la mano sul ginocchio.
“Stai farfugliando ancora, Roger. Un Non Compleanno, caro il mio Pinocchio, è un giorno in cui non compi gli anni.”
“Ma questo vuol dire che ci sono 364 Non Compleanni.”
“Appunto! È questo il bello!”
Jefferson, lo Stregatto e il Leprotto guardavano delusi il nuovo ospite.
“Non sei divertente.”
“Non sa cos’è un Non Compleanno!”
“Dovrebbe andare dalla Regina di Cuori!”
Il poco colore rimasto sul viso di Booth svanì.
“La Regina di Cuori?”
Liddle gettò in aria la sua tazza di the, per fortuna vuota, che s’infranse sul lampadario, mentre lo Stregatto guardava l’amico con aria in parte compassionevole e in parte disinteressata.
“Tagliategli la testa! La testa, la testa, LA TESTA!”
August deglutì vistosamente e Rapunzel ebbe un’idea. Si rivolse a Jefferson e sorrise dolcemente.
“Si dice che la Regina di Cuori abbia una collezione di teste tagliate per ogni giorno dell’anno, vero Cappellaio?”
“Probabilmente di più, biondina.”
“Dev’essere veramente sanguinaria.”
“Non l’ho mai vista in faccia: quando l’ho incontrata era tutta vestita di rosso e il volto era coperto da un lungo velo di pizzo.”
“Magari si mette le teste che fa tagliare.”
Il Leprotto si strofinò le mani, agitato.
“Ha un labirinto con siepi altissime, piene di rose bianche.”
Lo Stregatto si guardò le unghie con aria annoiata.
“E che le rose le faccia tingere di rosso dai malcapitati che cattura, prima di tagliare loro la testa.”
“Con vernice?”
“Alcuni dicono con il sangue. Come memento, sai.”
Rapunzel vide che la pelle del suo prigioniero aveva assunto una tinta verdognola. Si alzò e uscì dalla stanza. Come aveva previsto, Jefferson la seguì.
“Dove vai?”
“Ho bisogno di un tuo cappello. Uno qualsiasi.”
“Non funzionano qua, i cappelli.”
“Posso convincere Pinocchio di sì, però.”
Il Cappellaio, sorrise, alzando le sopracciglia e sgranando gli occhi.
“Aveva davvero paura, vero?”
“Era terrorizzato.”
“Aspetta qui.”
Dopo cinque minuti, lui tornò con in mano un vecchio cilindro.
“Ecco qui. Spaventalo per bene.”
Tornarono dai loro amici e Jefferson si fece gioviale e quasi istrionico.
“Venite, amici, andiamo a fare altro the.”
I due non aspettarono altro, e Rapunzel venne lasciata sola con Booth. Lei si sedette sul divano di fronte a lui, stendendo le gambe e appoggiando la schiena. Fece in modo di tenere il cappello in bella mostra sulle sue ginocchia.
“Allora? Hai qualcosa da dirmi?”
“Avevo bisogno della magia. Sto morendo.”
“Morendo?”
“Va bene. Non sono stato un bravo ragazzo, in questo mondo, e adesso mi sto ritrasformando in burattino. Speravo che la magia potesse impedirlo.”
“Emma è la Salvatrice. Lo sai, vero?”
“Sì, ma è impossibile indurla a credere. Ci ho provato, le ho persino mostrato la gamba, ma lei vede solo quello che vuole vedere.”
“E come hai saputo di Baelfire? Lascia stare quello che ti aveva detto la Fata Turchina. C’è dell’altro, vero?”
“Slegami e te lo dirò.”
“Non sei nella posizione di trattare, Booth.”
“E va bene. Ero in orfanotrofio, qui nel Maine. Mio padre Geppetto aveva scongiurato Reul Ghorm di dire a Biancaneve che la teca magica che avrebbe trasportato Emma in questo mondo, salvandola dalla maledizione, poteva ospitare solo una persona. Non era vero, ma lui voleva salvare anche me. Sarei stato la guida della Salvatrice.”
“Ma tu non lo sei stato, immagino.”
“No. L’ho abbandonata nell’orfanotrofio e sono scappato. Ti risparmio la storia della mia vita, ma ad un certo punto ho conosciuto un ragazzo, Ben. Ho capito subito che veniva dalla Foresta Incantata: aveva un atteggiamento, un certo sguardo che è inconfondibile. Siamo andati a bere una birra insieme e lui si è ubriacato e mi ha raccontato la sua storia. Da quella sera non l’ho più visto. Non potevo pensare…”
“No, non hai pensato. In che città eri?”
“Boston.”
Boston, Boston.. si arrivava sempre in o da quella città, in un modo o nell’altro.
“Il cognome di Ben?”
“Non ricordo.”
“Tu provaci.”
“Davvero, non ricordo esattamente. Era Danvers, o Dermott. Mi ricordo però che lavorava come illustratore saltuario alla Sperling di Boston.”
“Sicuro?”
“Assolutamente.”
“Molto bene, ora veniamo alla seconda parte del mio compito.”
Mise il cappello per terra, davanti a lui.
“Il mio nome è Rapunzel. Dubito che tu abbia mai sentito parlare di me nel mondo delle fiabe.”
“Sei quella che aveva i capelli lunghissimi e magici?”
“In persona. Immagino che la mia storia in questo posto non sia quella che è accaduta veramente.”
“Dicono che tua madre ti teneva prigioniera per sfruttare la magia dei tuoi capelli, ma un giorno un principe ti ha sentito cantare e ti ha supplicato di mostrarti. Vi siete incontrati e innamorati, e…”
“Basta così, mi viene la nausea. Non c’era nessun principe. Ho fatto un patto per uscire da quella torre.”
Booth la guardò, incuriosito. Stava muovendo un po’ troppo le braccia legate, ma a quel punto lei aveva quasi finito.
“Io e Rumpelstiltskin ci siamo innamorai, lì come qui a Storybrooke. È stato il primo ad amarmi per quello che ero e tu l’hai spezzato come un vecchio bastone. Questo non posso perdonartelo, Booth.”
L’espressione dell’uomo era quasi inorridita.
“Tu e lui?”
“Sei a corto di domande, Pinocchio? Perché questo è un cliché persino per te. Sai cos’è questo cappello?”
“Immagino che ci siano poche probabilità che la risposta sia ‘un cappello’.”
“È un portale per altri mondi.”
“Non funziona qua. Me l’ha detto anche il Signore Oscuro che qui non c’è magia.”
“Ma questo viene dalla collezione privata della regina. Il Cappellaio se l’è ripreso, avendolo creato lui. E indovina dove posso mandarti?”
“Dimmelo tu.”
“Nel Paese delle Meraviglie. Lì l’erba è più alta d’un uomo, potrai mangiare cose che ti fanno diventare più grande o bere qualcosa che ti farà rimpicciolire, fumare un narghilè con un Brucaliffo tutto blu, ma soprattutto fare una partita a croquet con la Regina di Cuori. Certo, se vincerai ti taglierà la testa, e se perderai lo farà ugualmente, ma non sarà una gran perdita per te, vero?”
“Stai bluffando.”
“E sai quel è la cosa più bella? Non potrai più tornare a casa. Nessuno verrà a salvarti, perché se una persona entra nel cappello, una ne esce. Questa è la regola del cappello.”
“Non lo faresti.”
Rapunzel avvicinò il suo viso e sorrise.
“Dimentichi che ti ho steso con una padella e che la regina ha preso il mio cuore. Ho imparato a lasciarmi indietro certi scrupoli.”
Booth sembrava troppo shockato per parlare. Gocce di sudore freddo gli scendevano dalle tempie, le labbra erano più chiare del viso pallido, le pupille dilatate e il corpo era scosso da un tremore impercettibile, ma innegabile.
“No, non puoi farlo. Diventeresti malvagia come Regina.”
“Liberarsi di un parassita impostore non vuol dire essere malvagi.”
Lo afferrò per il bavero e lo fece inginocchiare per terra, davanti al cappello.
“Comunque, una volta tagliata la testa non è detto che tu muoia. Ti sei chiesto perché Jefferson porti sempre quel foulard intorno al collo?”
Iniziò a ruotare il cappello, senza mai lasciarlo con le mani.
“Tagliategli la testa!”
Lo lasciò di colpo e Booth chiuse gli occhi. Quando Rapunzel vide che continuava a non voler guardare, si posizionò dietro di lui e iniziò a slegargli le mani.
“Paura, vero Pinocchio?”
Lui aprì gli occhi e mosse piano la testa, come se non riuscisse a credere a quello che vedeva.
“Come… non era vero?”
“Oh, quello che ti ho raccontato sì, a parte la questione della magia del cappello. Non mi piace far del male alla gente, ma uno spavento era la punizione minima che potessi pensare di infliggerti.”
Jefferson entrò, aprendo le braccia e ridendo incontrollato.
“Il tuo Rumpelstiltskin sarebbe fiero di te, biondina. Certa sottigliezza ce l’hanno solo lui e le donne.”
Batté una mano sulla spalla di Booth, aiutandolo ad alzarsi e porgendogli una tazza di the.
“Tieni, amico, adesso hai imparato a non toccare mai le persone care di una ragazza che è la metà di te ma con una mente deliziosamente vendicativa.”
“Non so chi tra voi due sia più matto.”
Rapunzel lo spinse in avanti.
“Forza, Pinocchio, dobbiamo andare. Se Rumpelstiltskin non mi trova a casa, saranno guai anche per me. E se scopre quello che ho fatto, se la prenderà con te perché a causa tua mi sono messa in pericolo.”
“Direi che ero io quello in pericolo.”
“Credi che a lui importi?”
“….No. Non proprio.”
Fuori stava ancora piovendo. Lei lo fece accomodare, poi partì.
“Dove ti lascio?”
“Da Granny può andare.”
A metà strada, lui s’irrigidì.
“Che succede?”
“La trasformazione… si sta espandendo. Se Emma non assolverà in breve il suo compito, io tornerò un burattino.”
Rapunzel lo guardò con la coda dell’occhio.
“Dovresti parlare con Marco… scusa, Geppetto.”
“E cosa gli dico? Ciao papà, sono tuo figlio, quello che hai creato da un tronco d’albero; ero stato un bambino vero per un po’, ma poi non mi sono comportato bene e ora sto tornando di legno. Non preoccuparti, non ti ricordi niente perché la regina cattiva ci ha scagliato una maledizione, ma Emma è la figlia di Biancaneve e Charming e ci salverà tutti.”
“Tu hai la fortuna di avere un padre che ti voleva bene al punto da anteporre il tuo benessere a quello del mondo delle fiabe.”
“E tu hai un Vero Amore per cui hai minacciato di farmi tagliare la testa.”
“Non ho mai avuto un genitore che si prendesse cura di me. Ho passato diciannove anni chiusa in una maledettissima torre!”
Lui esitò.
“Ascolta, Rapunzel. Forse non saranno affari miei, ma mi dispiace davvero per quello che ho fatto a Rumpelstiltskin. A mia difesa posso dire solo che non credevo che qualcuno che si chiama Signore Oscuro potesse provare buoni sentimenti. La Fata Turchina mi ha insegnato a rimediare. La tua fiaba, quella conosciuta qui nella Terra…”
“Non è che un mucchio di fandonie.”
“Forse non del tutto. Dice che Gothel ti rapì quando eri in fasce dalla tua vera casa. Non si dice chi fossero i tuoi genitori, solo che erano un re e una regina.”
“Certo. Sono una Principessa Perduta. Come ho fatto a non pensarci prima?”
“Riflettici. Una madre non ti avrebbe mai usata come ha fatto Gothel.”
“Se parliamo di madre cattive, direi di sì.”
Lei non disse più niente per tutto il viaggio. Arrivati davanti al diner, tenne lo sguardo fisso sul volante.
“Vai. Scendi.”
“Ripensa a quello che ti ho detto.”
Arrivò a casa di lì a pochi minuti. Non c’era nessuno. Si stese sul divano, massaggiandosi le tempie. Non si era mai sentita così stanca, era come se qualcuno le avesse soffiato via ogni energia. Prese il cellulare e mandò un messaggio a Scar, dicendogli che non lo aveva trovato e che era sana e salva a casa. Fuori, l’ambulanza stava passando ad alta velocità, ma lei non ne sentì la sirena perché si era addormentata sul divano, raggomitolata su se stessa.
 
 
Fu svegliata da una gentile scossa alle spalle. Rumpelstiltskin era vicino a lei, seduto sull’orlo del sofà. Rapunzel gli gettò d’istinto le braccia al collo, ricordandosi che era tutto quello che aveva.
“Rumpelstiltskin, che giornata orribile.”
“Temo di doverti dare una brutta notizia, dearie.”
“Cos’è successo?”
“So quello che hai fatto oggi a Booth.”
“L’ho fatto per te.”
“Questo gesto ti ha reso malvagia, dearie. Sei diventata come Regina.”
“Non ho fatto niente, l’ho solo spaventato un me. Non avevo intenzione…”
“L’intento è ininfluente, dearie. Sono i risultati che contano. Tu non sei più la Rapunzel che amavo. Mi dispiace.”
“Ti prego…”
“Sei diventata un pericolo, come la regina. Mi dispiace.”
Le dita di Rumpelstiltskin si strinsero attorno alla sua gola, e lei non poteva muoversi, né parlare.
 
 
Rapunzel si svegliò di soprassalto e cadde dal divano, sbattendo la spalla sullo spigolo del tavolino. Se la massaggiò, grata tuttavia che il dolore la stesse svegliando e distogliendo da quell’incubo orribile. Era piena di brividi e le veniva da vomitare. Si alzò e corse al bagno più vicino, rigettando quel poco che aveva mangiato a pranzo. Si pulì la bocca con una salvietta e si sciacquò il viso con acqua gelida. Sarebbe rimasta lì a respirare profondamente per ore, se non fosse squillato il cellulare.
“Pronto?”
“Tesoro, stai bene? Ti sento male.”
“Rumpelstiltskin, torna a casa, ti prego.”
“Sono sulla via del ritorno. Cos’hai?”
“Niente. Ho fatto un brutto sogno. Ti devo dire una cosa importante.”
“L’hai saputo?”
“Cosa?”
“Di Henry.”
Lei si sentì vacillare e si resse al divano per non cadere.
“No. Cosa gli è successo?”
“Regina aveva preparato per Emma un dolce di mele, l’ultima mela avvelenata che le era rimasta. Solo che non l’ha mangiata lo sceriffo.”
“Oddio, allora l’ambulanza di poco fa…”
“Henry è in coma. Nessuno sa se ce la farà. Il prezzo della magia l’ha pagato la persona sbagliata.”
 
 
 
Angolo dell’autrice: Scusate, scusatemi tutti per il ritardo! Spero che questo capitolo ricompensi l’attesa e le aspettative. Ormai ne rimane uno solo, ma… contrariamente a tutte le mie previsioni e a quello che pensavo di fare, ci sarà un sequel ambientato durante la seconda stagione! Ringrazio tutti quelli che leggono la mia storia e alla prossima!
  
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