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Autore: PerseoeAndromeda    19/05/2007    4 recensioni
I ricordi di una logorante battaglia, il desiderio di aiutare un amico disperato, di schiudere il suo cuore puro, nuovamente, alla speranza. Lo shonen-ai è molto sottile, potrebbe anche essere a libera interpretazione.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era di nuovo lì, in quella stanza buia, impregnata dai densi effluvi di incenso e candele, un ragazzino appena adolescente, ap

 

            C’E’ SEMPRE UNA NUOVA ALBA

 

 

 

Era di nuovo lì, in quella stanza buia, impregnata dei densi effluvi di incenso e candele, un ragazzino appena adolescente, appollaiato a terra nella posizione del loto, immobile, la figura snella  e flessuosa appena evidenziata dalle fioche fiammelle che danzavano come le anime eterne dei defunti.

Hyoga era giunto nella camera di Shun a colpo sicuro, non dubitava affatto di trovarlo lì e in quell’atteggiamento; nonostante questo non riuscì a trattenere un sospiro.

La meditazione era una fuga da tormenti e paure, da ricordi mutatisi in un fardello eccessivo per quelle esili membra che rivestivano un animo incorrotto e troppo sensibile per sopportare ossessive memorie ed un troppo incerto ed inquietante futuro.

Il santo del Cigno compì qualche passo guardingo, simile alle movenze felpate di un gatto indesideroso di attirare le attenzioni altrui; si portò accanto a Shun, convinto di non essere stato udito e dopo aver usato la massima cautela, per non incappare in qualche incidentale ostacolo celato nell’oscurità. Con altrettanta discrezione si sedette, contemplando il profilo delicatamente assorto, il naso piccolo e dolce, le palpebre chiuse, ombreggiate da quelle ciglia lunghe, lievemente disegnate, scosse da un tremito appena percettibile.

Appariva totalmente assorbito dal proprio personale e onirico universo, per questo Hyoga sussultò quando le labbra pervase da sensuale innocenza si schiusero, pronunciando una singola parola, con la voce limpida, un po' eterea:

“Ciao…”

“Non credevo che mi avessi sentito…”

Il viso lunare, tratteggiato dalla morbidezza dell’infanzia eppure intriso da un’aura di maturità quasi millenaria che non poteva sfuggire ad un esame poco più che superficiale, si voltò lentamente e Hyoga si trovò sommerso dall’incontaminato bagliore di due occhi stupefacenti, la cui essenza smeraldina non si lasciava sconfiggere dall’ambiente oscuro, due pozze liquide accese di stelle, arcani riflessi dell’universo sconfinato.

Nella penombra, Hyoga percepì il sorriso che lo accolse, il sorriso di quell’angelo che aveva smarrito la strada del cielo ed era quindi costretto a vagare nel mondo, ad affrontare un’esistenza terrena che di lui non aveva alcuna pietà; e il mondo avrebbe dovuto ringraziare il destino che gli concedeva un tale dono, una stella sperduta nelle tenebre della corruzione.

“Non sono affatto bravo in queste pratiche ascetiche” si schernì timidamente il ragazzo, con un’espressione talmente languida e tenera che Hyoga credette di liquefarsi poco a poco ai piedi di quella creatura capace di suscitargli emozioni così estranee al suo spirito.

Shun distolse lo sguardo e di nuovo Hyoga poté vedere di lui unicamente il profilo, illuminato da quel sorriso che trasmetteva solo modestia e semplicità, ignaro della propria, straordinaria bellezza.

“Dovrei avere imparato, ormai, a non farmi distrarre da ciò che avviene intorno a me, dovrei essere in grado di rendere tutto distante dal mio animo…”

Tali parole rattristarono Hyoga più di quanto avrebbe ritenuto possibile, per questo la domanda che gli salì, impetuosa, dal cuore, fu posta con voce incerta, colma di una paura alla quale non sapeva dare un nome:

“E’ questo che vorresti? Non accorgerti affatto della mia presenza?”

Il santo del Cigno non poté impedirsi di sentirsi profondamente colpevole nel vederlo sussultare, nel vedere quel sorriso infrangersi in un smorfia di autentica angoscia. Il volto di Shun si mosse con uno scatto violento, incontrando nuovamente il suo, gli occhi sgranati affondarono, causando involontario dolore, nel cuore di Hyoga, già sensibilmente provato.

“Come puoi pensarlo?” esclamò Shun, con una foga tale che Hyoga non comprese al volo se quella voce dalle sfumature innocenti e sensuali volesse esprimere rabbia o disperazione, o tutte e due insieme, in maniera del tutto inconsapevole, nell’inflessione vibrante che aveva assunto, come sempre nei momenti più intensi.

Quale differenza poteva mai fare comunque? I sentimenti del ragazzino erano probabilmente fusi, perché Shun era pressoché incapace di provare pura rabbia; quelle rare volte in cui l’impulso all’ira era in lui presente esso si accompagnava, senza alcun dubbio, ad una sofferenza atroce.

Hyoga lottava contro sé stesso per vincere la vergogna e per dare un senso ad un conflitto che non sapeva neanche spiegarsi quale origine avesse e a quali conseguenze avrebbe portato. Si chiedeva per quale motivo gli fossero sfuggite, poco prima, parole simili a quelle di un bimbo che si sente ingiustamente trascurato e perché solo Shun risvegliasse una parte di lui che non credeva assolutamente di possedere.

Ciò che maggiormente gli procurava angoscia era che il proprio atteggiamento aveva messo in crisi anche Shun e fu per rimediare che il santo del Cigno tentò di giustificarsi, di allontanare ogni possibile fraintendimento dalla propria equivoca frase… anche se doveva ammetterlo: non sapeva ben spiegarsi cosa, in realtà, potesse essere frainteso. Le sue mani si agitavano nervosamente in grembo e lui le fissò, concentrandosi sulle proprie dita irrequiete prima di parlare, come se quelle appendici incapaci di restare ferme costituissero un appiglio qualunque, un aiuto che lo aiutasse a riafferrare le redini di una conversazione sviluppatasi, fin dall’esordio, lungo uno strano percorso.

Infine riuscì a tirare fuori la voce, in una cadenza bassa e avvolgente, come la carezza con la quale avrebbe voluto recare conforto al suo fratellino troppo buono:

“Quello che intendevo chiederti, Shun, è se davvero vorresti imparare a rimuovere dal tuo animo ogni contatto con il calore umano… se aspiri davvero a diventare come uno di quei santoni così orgogliosi di aver ottenuto la completa libertà da passioni e turbamenti…” abbassò ancor più la voce, riducendola quasi a un appena udibile susseguirsi di sospiri “da tutte quelle cose, insomma, che rendono la vita degna di essere vissuta…”

La sua mente formulò una postilla involontaria a quel ragionamento, una puntualizzazione che non osò rendere nota a colui che lo ascoltava: da tutto ciò che rende te, mio Shun, così straordinario… in questo modo ci priveresti di te, del nostro piccolo cuore gentile dalla sconfinata forza emotiva, il cuore prezioso e fragile come un cristallo, ma resistente come una quercia, in grado di mantenersi salda di fronte ad ogni intemperia…

No… Shun non avrebbe fatto loro un simile torto, non era assolutamente concepibile.

La risposta di Andromeda tardò ad arrivare, ma fu quello che Hyoga desiderava sentirsi dire; il russo lo aveva già capito perché, risollevando il viso, incontrando nuovamente quello del fratellino, lo sguardo che vide fu già una soddisfacente risposta, un’espressione che valeva molto più di infinite parole. Quando Shun cominciò a parlare, stavano già sorridendo entrambi:

“Non sarei mai in grado di farlo, sai Hyoga? E neanche lo vorrei penso…”

Si strinse nelle spalle, osservando distrattamente la fiammella quasi estinta di una candela posta a pochi passi davanti a lui. Anche la sua voce si stava spegnendo, riducendosi ad un sussurro:

“Vorrei solo che la meditazione riuscisse per lo meno a rilassarmi, che cacciasse via i miei incubi, che sciogliesse la mia tensione… e allontanasse almeno un po’ le mie paure… un pochino soltanto… pretendo troppo?”

Era così triste adesso, chino su se stesso, raggomitolato, quasi abbandonato alla deriva in un mare di angoscia che non aveva argine, né tregua. Sembrò improvvisamente, più che mai, un bambino, talmente piccolo ed indifeso che persino al più insensibile e cinico dei cuori sarebbe venuto spontaneo afferrarlo e stringerselo al petto, per cullarlo e proteggerlo da tutto ciò che lo terrorizzava; proprio questo Hyoga avrebbe voluto fare.

Il giovane biondo sollevò una mano, per posarla sulla curvatura armoniosa della spalla di Shun, percependone così i tremiti che quel corpo cercava di trattenere, resistette a stento alla tentazione di abbracciarlo, di attirarlo contro di sé; non sapeva perché, ma temeva, lasciandosi andare ad un simile gesto, di perdere definitivamente il controllo, neanche lui sapeva con quali conseguenze.

“Siamo tutti salvi, Shun, questa é la cosa importante… abbiamo passato momenti terribili, abbiamo creduto di perdere coloro che amavamo, di perderci tutti, ma siamo tornati… i Gold Saints sono nei loro templi, noi siamo qui, a Tokyo… siamo insieme…”

“Lo so, ma…” Shun dovette fermarsi prima di proseguire, perché un singhiozzo imprevisto soffocò le sue parole; chinò ancor di più il busto e si portò le mani al volto, quindi la voce risultò ovattata quando riprese: “A volte ho come la sensazione che tutto quello che è accaduto sia principalmente colpa mia!”

Una tale confusione e visione distorta delle cose lasciò Hyoga allibito e spiazzato; era la prima volta che Shun ammetteva, in maniera così palese, quale peso gravasse sul suo spirito, un nuovo, immenso fardello accumulato su tutti gli altri, non certo leggeri… un nuovo irrazionale turbamento causato da una psiche già troppo duramente messa alla prova.

“Per quale motivo dovresti pensare una cosa del genere?”

Shun scosse freneticamente il capo, ma non riuscì a formulare una risposta coerente; probabilmente nessun nesso logico vi era a tal proposito nella sua mente. La mano di Hyoga scivolò lungo la schiena del fratello e raggiunse l’altra spalla; il russo si stava sempre più arrendendo allo spontaneo desiderio di dare, a quel fanciullo infelice e per lui tanto prezioso, tutto il sostegno morale che gli fosse possibile. Nel frattempo chinò il capo, fino a portarlo all’altezza di quello di Shun e soffiò lievi parole nell’orecchio delicato del dolce, tristissimo Andromeda:

“Ti rendi minimamente conto di ciò che hai fatto per svolgere fino in fondo il tuo dovere di sacro guerriero?”

Hyoga era ben consapevole di come Shun non potesse non comprendere ciò cui egli si riferiva: offrirsi spontaneamente al Dio che lo aveva scelto, donargli il suo corpo per permettere ai compagni di sconfiggerlo…

“Non è servito a nulla!” esplose il santo di Andromeda, ormai incapace di trattenere i singhiozzi che vibravano lungo il suo corpo ferocemente scosso.

“Io invece penso che il tuo ruolo sia stato decisivo” insisté pacatamente il Cigno “Hai spiazzato Hades, lo hai colto di sorpresa… lo hai indebolito, anche nelle sue convinzioni… e in un certo senso tu sei stato il primo a segnare la sua sconfitta…”

Il viso di Shun si sollevò di scatto e nuovamente quegli occhi provocarono, al giovane russo, una fitta al cuore:

“Se fossi stato meno incapace, i gold saints non avrebbero dovuto andare in quel modo incontro alla morte, Seiya non avrebbe subito quella ferita per la quale soffre ancora adesso!”

Hyoga non sapeva più cosa fare e non riusciva neanche a comprendere fino in fondo quel senso di colpa assolutamente ingiustificato dal suo punto di vista; probabilmente, l’accumulo di traumi rimasti latenti nella psiche di Shun, culminati nella folle esperienza della possessione, avevano in qualche modo minato il suo equilibrio interiore.

“E’ ingiusto ciò che dici di te stesso, sai, Shun?” sospirò Hyoga, staccandosi mestamente da lui, trattenendo a stento la propria commozione. La successiva osservazione del compagno lo colpì nuovamente come una pugnalata:

“Mi sento così male nel vederti tanto triste per me… non lo merito… tutti voi soffrite, tutti voi portate nell’anima ricordi insostenibili… mi sento così egoista…”

Incapace di sopportare oltre, Hyoga gli balzò addosso e gli strinse le spalle con una tale forza da farlo gemere di dolorosa sorpresa:

“Perché ti colpevolizzi per ogni cosa? Cosa ti spinge a detestarti tanto, a ritenere che ogni accadimento negativo debba essere, a tutti i costi, colpa tua?!”

Due paia di occhi si specchiavano gli uni negli altri, folli di rabbia e frustrazione quelli di Hyoga, disperati, sgomenti e confusi quelli di Shun che, infine, furono i primi ad abbassarsi, sfuggendo a quella terrorizzante sospensione in cui ogni singolo istante era scandito dall’essenza stessa di sentimenti portati all’estremo. Solo a quel punto, come strappandosi violentemente ad una sorta di insano incantesimo, Hyoga allentò la presa, ma non abbassò le proprie mani, né distolse lo sguardo; la tensione delle sue membra era palesata da un tremito costante… attendeva… che cosa esattamente non sapeva spiegarselo.

“Dalla mia nascita, lui mi ha scelto… e dalla mia nascita sono corrotto…”

Tale sentenza di autocondanna fu pronunciata dalle labbra delicate nel totale silenzio, parole orribili, imbevute di quel male implacabile che da sempre, ora Hyoga lo sapeva, divorava, istante dopo istante, quella figurina profondamente triste, in fuga fin da quando era in fasce, per salvarsi da qualcosa che da lui stesso nasceva… fuga impossibile quindi, dannazione eterna, predestinata per un bimbo che, innocente e puro, aveva recato in sé un senso di colpa recondito al quale solo recentemente era riuscito a conferire un nome ed un senso.

“Ma questo… non è giusto…” mormorò semplicemente Hyoga, la voce incrinata, impossibilitato, ormai, a mantenerla ferma “Come avresti potuto, tu, impedire…”

Non riuscì a terminare la frase; Shun si era rannicchiato ancora di più, il viso ora completamente celato dalla nuvola serica dei capelli, cui le fiammelle conferivano arcani riflessi ambrati nelle tenebre. Erano così belli quei ricci appena accennati che Hyoga avrebbe voluto prendere una ciocca tra le proprie dita e giocare con essa, dimenticando ogni problema.

Ma di dimenticare non poteva permettersi, perché Shun aveva bisogno che lui ricordasse ogni cosa che avrebbe potuto aiutarlo ad alleviare quell’enorme peso che gli gravava sul cuore. Il santo del Cigno cominciava a comprendere quali atroci castelli mentali Shun avesse eretto, da solo, senza che nessuno si fosse reso conto di nulla, probabilmente neanche Ikki, la persona che, dopo il ritorno dall’Ade, non si era più staccata dal fianco del fratello.

Il dolce Andromeda, con un processo probabilmente quasi del tutto inconscio, aveva dato vita, nella propria psiche, ad alcuni sillogismi che non avevano nessun reale fondamento; si trattava del contorto ragionamento di un ragazzino troppo giovane ed emotivo per affrontare, in completa solitudine, simili tormenti, non importava quanto immenso fosse il suo animo… rischiava di giungere ad un limite di sopportazione che avrebbe potuto distruggerlo moralmente.

Hyoga ripercorse, con la propria memoria, quella che era stata la loro esistenza; la rinascita di Athena e dei sacri guerrieri era avvenuta in funzione di una minaccia ben precisa e la strada che li aveva condotti fino a quella battaglia finale, dalla guerra civile del Grande Tempio, passando per Asgard e per il regno dei mari, altro non erano se non lotte preparatorie, in funzione della ferocissima avventura negli Inferi… ogni cosa era avvenuta, quindi, in funzione di Hades… nella mentalità perversa del Dio, Shun di Hades doveva essere lo strumento… e per questo Shun, considerando gli eventi nella loro totalità, si sentiva responsabile di ogni tragedia verificatasi dalla sua nascita in poi.

Giungendo a questa conclusione, Hyoga sussultò… un senso di colpa universale… il peso di ogni dolore del mondo su quelle esili spalle, su quel cuore tanto buono, su quella mente che, davvero, pensava troppo e rischiava di autodistruggersi.

“Ti rendi conto, Shun, dell’immane assurdità che ti sei messo in testa?!”

Calmo, pacato, tentava di assumere il ruolo del fratello maggiore, per ricondurre l’irragionevole labirinto di turbamenti e pensieri sulla retta via della logica.

Gli rispose un risolino amaro; il capo di Shun si scosse in un gesto di diniego, o forse rinnegazione di se stesso, mentre ancora il viso restava completamente nascosto dietro i capelli, cresciuti moltissimo negli ultimi mesi e i quali, nonostante l’incuria che veniva loro riservata dal proprietario, non perdevano la loro magnificenza.

“Sono ridicolo… non è vero, Hyoga?”

Il cinguettio di un rassegnato uccellino nelle grinfie del rapace da cui era stato ghermito… un uccellino che altro non poteva fare se non emettere un’ultima, flebile supplica, pur nella consapevolezza che nessuno più avrebbe potuto ascoltarla.

Ma qualcuno ad ascoltarlo c’era quel giorno, qualcuno che si rendeva conto di aver lasciato solo troppo a lungo quell’uccellino e che ora desiderava mutarsi in un nido sicuro, come mai lo era stato per nessuno.

Non si stupì più di se stesso quando la propria mano, spontanea, si allungò verso quella di Shun, stretta a pugno sulla stoffa dei propri pantaloni bianchi, così convulsamente che le dita di Hyoga faticarono non poco a scioglierne la rigidità, anche perché quel gesto colpì Shun tanto intensamente da spingerlo ad accentuare, per un attimo, la tensione irradiata dalle sue membra.

Sollevò il viso, con un brusco movimento che gli gettò indietro i capelli, rendendo perfettamente visibili i lineamenti perfetti e gli occhi grandi e lucenti, colmi di domande inespresse. Hyoga fissò quegli occhi, sforzandosi di sorridere, perché quel sorriso potesse essere la prima risposta concessa, con tutta la rassicurazione che Cygnus tentò di infondere nel proprio sguardo. Intanto, durante quell’intenso scambio di occhiate, si concentrò sulle parole che desiderava pronunciare, perché assumessero l’esatta forma che il suo cervello aveva loro conferito; ma era così difficile concretizzare in meri suoni fisici l’essenza di un discorso troppo complesso, atto ad esprimere un concetto mentale troppo contorto, forse, per poter essere reso esplicito.

La mano di Shun, inerte nella sua, era tesa e tremante, così Hyoga, quasi a volerla sostenere più saldamente, la racchiuse tra entrambe le sue, sollevandola poi, fino a portarla tra i loro visi, vicini, pericolosamente vicini, pensò istintivamente il santo del cigno suo malgrado, mentre le sue labbra cominciarono a muoversi, per esprimere concetti meno terreni:

“Consideri te stesso lo strumento principale di tutto ciò che è accaduto… d’accordo… non è in mio potere convincerti che stai sbagliando, non sono abbastanza bravo con le parole per poterti fornire spiegazioni convincenti…”

Si fermò un istante, mentre Shun deglutiva e un brivido più forte degli altri scuoteva il suo corpo, congestionato da un’oppressione troppo più immensa delle sue forme così delicate e gentili. Hyoga sospirò profondamente prima di proseguire e chiuse gli occhi per staccare, almeno per un istante, da quegli abissi di smeraldo che lo conducevano ad uno smarrimento senza ritorno:

“Ti chiedo solo di provare a pensarci un attimo, Shun… ascolta la mia conclusione e tenta di avere anche solo un minimo di fiducia in me…”

Mosse un po’ le labbra il ragazzino, come per dire qualcosa, ma Hyoga non gli permise di ribattere nulla, precedendolo con le seguenti parole, prevenendo ogni interruzione:

“Noi da sempre conviviamo con il concetto di fato, noi sappiamo di avere una via tracciata dalle stelle… proprio per questo non siamo, in qualche modo, tutti strumenti?”

Hyoga percepì chiaramente la scossa che attraversò il corpo di Shun, il respiro trattenuto, forse un singhiozzo che, essendogli stato impedito di esplodere, rimase soffocato nel petto. Il russo continuò imperterrito, ormai conscio di non poter tornare indietro:

“La strumentalizzazione che il fato mi ha imposto mi ha reso assassino dei miei maestri, del mio amico del cuore… di mia madre in un certo senso, la quale è morta per salvarmi…”

La voce si era abbassata; stava diventando troppo difficile dominare le emozioni. Per quanto ancora sarebbe riuscito a sostenere simili argomenti, si domandava Hyoga febbrilmente? Shun ora tremava fin quasi a dare l’impressione di essere prossimo a spezzarsi, soprattutto quando le ultime parole si fecero udire, ridotte ad un soffio:

“Tu stesso sei stato sul punto di sacrificarti per me, ricordi?”

Questa volta il singhiozzo esplose e Shun fu costretto a portarsi la mano libera alla bocca.

“Capisci quello che intendo?” insisté il Cigno, con rinnovata convinzione, ben conscio, tuttavia, che le parole non sarebbero riuscite ad esprimere con  completa efficacia il proprio pensiero:

“Siamo strumenti del fato, è vero, ma non è tutto! Abbiamo sempre avuto in noi la forza, la volontà di convertire in positivo ciò che gli astri avevano deciso per noi! Essi ci hanno concesso la possibilità di scegliere tra differenti vie e abbiamo scelto la Giustizia, per lei abbiamo lottato, rifiutando di sottoporci passivamente al destino; non ci siamo lasciati trascinare e travolgere dalla marea degli eventi, ma l’abbiamo domata, perché la nostra scelta ha ben significato qualcosa! La volontà, comprendi, Shun? La volontà che ci rende degni delle nostre scelte, che ci porta ad accettare, con dignità, il risultato di tali scelte, qualunque esso sia… un risultato che spesso non è possibile prevedere, eppure noi abbiamo dalla nostra parte la certezza di avere lottato al servizio della vita e della luce, facendo del nostro meglio per non darla vinta alle tenebre… mai abbiamo lottato per il trionfo della morte!”

Gli occhi di Shun si erano sgranati in tutta la loro straordinaria forza espressiva e le stelle che in essi avevano fonte vitale pulsavano pari a scintille di incontaminato splendore, pronte a mutarsi in lacrime, plasmate nella purezza senza macchia alcuna. Hyoga ancora non aveva concluso e la veemenza che infondeva nel discorso si accentuava ad ogni singola sillaba, mentre anche la stretta sulla mano di Shun si faceva via via più energica, infrangibile:

“Le stelle fonti di vita e il Dio che della morte è signore si sono contesi la tua esistenza… non la tua corruzione bramavano, ma quella purezza alla quale non potevano e non volevano rinunciare… quando ti è stato imposto di scegliere, tu hai scelto… hai scelto di donare la tua vita perché la vita dell’intero universo potesse trionfare sulle tenebre della morte eterna…”

Si esaurì così quella dissertazione che non serviva solo a rasserenare Shun, ma doveva costituire anche una sorta di autoconvincimento per colui che le aveva formulate, la certezza, sempre così effimera, che ogni loro azione era stata compiuta in nome di Giustizia.

Gli occhi di Shun fuggirono ancora, forse lui stesso avrebbe voluto scappare, ma Hyoga non glielo avrebbe permesso; il russo si alzò, ma non lasciò quella mano con la quale si era stabilita una fusione quasi inscindibile. Lo trascinò con sé e Shun, passivo e docile, lo seguì fino alla finestra serrata. Con un gesto deciso, Hyoga spinse le persiane che, con un tonfo secco, andarono a sbattere contro il muro di pietra della stanza. Intanto non perdeva di vista il volto di Shun: gli occhi del ragazzino, colpiti dall’illuminazione improvvisa, si strinsero, per sgranarsi un attimo dopo, colmi di una lucentezza nuova che da troppo tempo Hyoga non scorgeva in essi… ma quella stessa lucentezza, prima della discesa agli Inferi, ad essi era sempre appartenuta: una fiamma di gioia e di estremo stupore, la speranza che in quelle iridi magiche tornava a splendere, arricchendone l’incanto primordiale.

L’alba inoltrata bagnò con i suoi colori le fisionomie dei due ragazzi in piedi accanto alla finestra, mentre gli uccelli salutavano cantando il nuovo giorno e le fronde innalzavano i rami, come un urlo di gioia rivolto al miracolo della vita che in eterno si rinnovava.

“Vedi, Shun, a cosa hanno portato le nostre scelte? Anche se per questo noi e tanti altri abbiamo sofferto…”

“Anche Hades… e l’ho fatto soffrire io…” mormorò Shun e Hyoga comprese come la tristezza mai avrebbe abbandonato definitivamente quell’animo che assorbiva in sé il dolore universale. Hyoga non avrebbe preteso questo, ma desiderava che Andromeda tornasse per lo meno quello di un tempo, che la speranza tornasse a convivere con la suprema tristezza, perché tale armonia di contrastanti emozioni era ciò che rendeva tanto speciale il suo Shun. Annuì:

“Sì, anche Hades… e se tu avessi potuto avresti preservato chiunque dalla sofferenza… capisci, Shun? Capisci perché sei straordinario e perché questo mondo ha bisogno della tua presenza, del tuo amore per la vita? Capisci perché non puoi permetterti di privarlo di te?”

Le guance di Shun erano intrise di lacrime silenziose ma, al tempo stesso, sorrideva; l’alchimia del suo cuore perfetto era tornata, Hyoga ne era certo ormai e lui stesso sorrise, sentendosi in parte orgoglioso di averlo in qualche modo aiutato: la volontà di compiere  qualcosa di buono ancora una volta si era rivelata la retta decisione.

Al suo fianco, Shun si sciolse in un sospiro malinconico, ma liberatorio; le loro mani erano ancora intrecciate e i loro organismi invitavano entrambi ad una comunione perfetta di corpo, anima e cuore.

Mormorando un tenero “grazie”, Shun posò languidamente il capo sulla spalla del compagno, mentre il santo del Cigno levò un sussurro indirizzato al sole nascente che, libero dalle tenebre, eternava il ciclo miracoloso della vita:

“C’è sempre una nuova alba… e oggi, astro sovrano, stai sorgendo anche per noi due…”

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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