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Autore: Twinflame    03/11/2012    2 recensioni
“Posso svelarti un segreto?” gli sussurrò Axel [...] “Non so spiegarmelo, ma a volte ti guardo e mi sembra… di ricordare…” la sua voce sfumò, tinta dello sforzo di agguantare un’istantanea della sua vita precedente che continuava inesorabilmente a sfuggirgli.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days
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Nel suo album immaginario dei ricordi c’erano ancora le foto slabbrate dei giorni che aveva vissuto nel suo mondo, della loro infanzia trascorsa a rincorrersi sui mattoni di pietra delle piazze traboccanti di aiuole fiorite. Non gli piaceva sfogliarlo. Quando le dita della sua mente lo toccavano e lo sfioravano, spinte da un illusorio senso di rammarico, le sue percezioni venivano travolte dai profumi e dai sapori che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare maggiormente in quegli anni, dal trillo degli schiamazzi che avevano allietato le loro giornate plumbee, e dal bruciore insistente alle ginocchia e ai gomiti che si era sbucciato per colpa dell’ennesima caduta durante una delle loro solite zuffe fuori casa. Preferiva tenerlo nascosto dietro le ante di un altrettanto immaginario armadio, e poi fingere che si fosse smarrito per sempre insieme al suo cuore.
A porre fine a quella sequenza di ricordi gioiosi appartenenti al suo passato era stato l’amichevole pugno che si erano scambiati vittoriosi quand’erano riusciti finalmente a intrufolarsi oltre l’ingresso del castello di Radiant Garden, realizzando il loro più grande proposito. A ben pensarci, Axel non ricordava neppure che cosa di quel posto avesse attizzato a tal punto la loro curiosità e il desiderio spericolato di avventure; ma anche così il prezzo da pagare in cambio era stato il nulla.
Per dieci lunghissimi, interminabili anni la sua esistenza non era stata che un guscio vuoto, contornata di ombre striscianti e di vicoli spettrali in una città indegna d’esistere, che tuttavia si era ritagliata a forza uno squarcio nello spazio. Una città costituita di palazzi svettanti e di luci intermittenti al neon; e delle mura di un castello che non sarebbe mai riuscito a chiamare veramente casa. Le sue giornate erano state un continuo ripetersi di azioni svolte meccanicamente, senza che riuscisse a riversare nei suoi gesti neppure l’ombra di un accenno di sentimento; e il suo migliore amico, da Isa, si era trasformato nella pelle sintetica del divanetto su cui si tuffava a poltrire a ogni occasione buona. Si annoiava a morte, e per sconfiggere l’inerzia e nascondere la totale assenza di stimoli aveva deciso d’impiegare le sue energie nell’attività di trasformarsi in un attore.
Giorno dopo giorno aveva occupato i suoi pomeriggi altrimenti sprecati in camera a rifinire la teatralità di ogni gesto, la cadenza di ogni passo durante le sue entrate in scena, l’inflessione di ogni singola espressione vocale e persino l’estensione con cui le sue sopracciglia sfoltite schizzavano verso la fronte nell’imitazione di un ironico quanto snervante finto stupore. Le agguerrite partite a poker che si consumavano tra i membri dell’Organizzazione nella Sala Grigia erano state il suo ideale campo di battaglia per mettersi alla prova; finché non era rimasto più nulla di spontaneo nelle sue occhiate, nelle sue risposte, né nei suoi sorrisi ferali, con i quali metteva in mostra intimidatorio una fila di denti dritti e bianchissimi. Con il tempo e la pratica e anche una buona dose di predisposizione naturale si era cucito addosso un personaggio ad hoc che era riuscito nella triste impresa di esaltare tutti i difetti che erano appartenuti a Lea, a discapito di quello che era stato il lato più buono e gentile del suo carattere. Sperava che quella recita sarebbe bastata a riempire quel vuoto incolmabile che era anche la fonte della sua noia d’esistere, ma la consapevolezza che il suo impegno fosse stato inutile era diventata una presenza più costante di quanto lo fosse stato Saïx nel corso di quegli ultimi tempi.
Dieci anni, sprecati a rincorrere senza risultati ciò che avevano smarrito per colpa della loro stupidità adolescenziale. Finché non era arrivato Roxas a stravolgere la routine e a dare un nuovo significato a tutto.

“Roxas, sei proprio sicuro di non avere un cuore?”

Il respiro di Xion era tranquillo, lieve come un alito di vento tra le foglie. Mostrava un’espressione talmente rilassata che sembrava che stesse semplicemente riposando, approfittando stranamente di una delle loro rare giornate libere. Invece Xion era in bilico sul filo dell’esistenza, come l’equilibrista di quel bizzarro circo che una volta avevano visto approdare nella città di Halloween, e Roxas, che le si era accoccolato vicino piegando le braccia sul bordo del materasso, non poteva fare a meno di angosciarsi all’idea di perdere la sua migliore amica.
In realtà sapeva bene che non avrebbe dovuto pensare affatto a quella parola: se quello che gli diceva Axel era vero, ‘angosciarsi’ non era un’azione fattibile per un Nessuno come lui. Ma in quale altro modo avrebbe potuto chiamare quella sensazione irrequieta che gli masticava fastidiosamente la bocca dello stomaco? Non se la stava immaginando: era reale tanto quanto le risate che condivideva di fronte a un gelato con i suoi due unici amici, sulla torre dell’orologio.
Le strinse forte la mano, piccola e soffice quanto un batuffolo di cotone, sperando che quel gesto, per quanto banale, sarebbe bastato a scuoterla dal suo coma; ma Xion non fece una piega neppure quando Roxas le attirò la mano accostandola alla propria guancia.
“Ti ho portato un’altra conchiglia di quelle che ti piacciono tanto,” le disse Roxas, accennando al regalo che le aveva sistemato accanto al cuscino.
Non era stato difficile trovarne una sulla stessa spiaggia dove Xion, a suo tempo, le aveva raccolte per lui. Gli era bastato sfilarsi le scarpe, rimboccarsi l’orlo dei pantaloni e avventurarsi di appena qualche passo su quella distesa di sabbia finissima. Mentre sceglieva la più bella rannicchiato all’ombra di una palma, lo sciabordio delle onde sul bagnasciuga gli aveva ricordato dei suoi tenui sorrisi e delle sue timide risate.
Gli mancava.
Chissà se Xion riusciva a sentirlo anche mentre dormiva quel sonno profondo.

Detestava prendere in considerazione quell’ipotesi, come se il semplice soppesarla potesse indurre il fato a trasformarla in una svolta certa degli eventi, ma cosa sarebbe successo se davvero Xion non avesse aperto mai più gli occhi? Sarebbe rimasta per sempre immobile in quel letto, con le guance rosee, nonostante tutto, e le folte ciglia nere a proiettare un intreccio d’ombre sulla sua pelle olivastra? O sarebbe svanita nell’aria, simile a uno sbuffo di vapore?
Roxas non ricordava molto della sua prima settimana in quel castello se non un groviglio consistente d’inquadrature pertinenti ad Axel. Axel che fin da subito si era fatto carico dell’impegno di diventare il perno della sua esistenza e si era preso cura di lui alla stregua dei suoi inesistenti genitori; che non solo gli aveva fornito le nozioni necessarie per imparare a orientarsi nei suoi nuovi dintorni, ma che la mattina lo veniva a svegliare, lo aiutava a prepararsi e poi faceva colazione insieme a lui, con due cornetti alla marmellata che aveva appena fatto sfornare appositamente dai Simili e una tazza fumante di latte caldo con il miele; Axel che contro ogni sua previsione si era trovato costretto a maneggiarlo come si sarebbe fatto con un neonato, perché Roxas non era assolutamente in grado di badare a sé stesso senza i ricordi del suo Altro; che gli spiegava, gli raccontava e inventava e gli insegnava sperando di risvegliare il suo interesse, quella scintilla d'umanità che giocava a nascondino dentro di lui. Axel che quando lo lavava la sera lo schizzava con la schiuma, mostrandosi scocciato, ma che poi concludeva la giornata rimboccandogli le coperte e scompigliandogli stancamente i capelli, prima di spegnere la luce e andare a coricarsi a sua volta.
Di tutto questo Roxas non era stato in grado di conservare che un vago ricordo e in parte il suono sgradevole degli scherni di Xigbar, che a quei tempi pareva si trastullasse un mondo a spiarli. Ma se c’era un episodio appartenente a quei giorni che gli era rimasto impresso nella memoria con una chiarezza impressionante, di sicuro era quella volta che si era tagliato con il coccio di vetro di un bicchiere di succo caduto in frantumi.
Ricordava il proprio stupore nel sentire per la prima volta in assoluto il dolore, quando l’estremità acuminata gli si era conficcata in profondità nel palmo della mano; ma soprattutto non aveva dimenticato la sostanza nera, densa, vischiosa e puzzolente che aveva fatto capolino tra i lembi della ferita non appena si era azzardato a rimuovere la scheggia. Si era agitata in puro fermento, almeno finché non si era sollevata in aria sotto forma di un’impalpabile scia fumosa.
Roxas aveva dei validi motivi per credere che la smorfia di terrorizzato disgusto che aveva esibito inconsciamente allora fosse stata anche la prima vera espressione che Axel ebbe il piacere di cogliergli in viso. Tra virgolette, perché in effetti il suo amico non si era dimostrato poi tanto meno allarmato di lui. Si era precipitato da Roxas armandosi di un elisir, mentre Roxas gemeva e si teneva alla larga dalla propria mano dimenandola come un isterico, per poi strofinarla energicamente sui vestiti nella speranza che quella roba sparisse. Axel gli aveva rimarginato il taglio in un batter d’occhio; e quando gli aveva afferrato forte il mento, costringendolo a fissarlo dritto negli occhi per rassicurarlo che il danno fosse guarito, Axel aveva trovato dentro di sé anche la fermezza di spirito per spiegargli che cosa lo avesse disgustato e sconvolto a tal punto da farlo tremare e sbiancare. Perché chiunque, tagliandosi, si sarebbe aspettato di veder gocciolare del sangue dalla ferita, e anche se Roxas non sapeva proprio che cosa fosse quel ‘sangue’, era piuttosto sicuro che non avesse niente a che spartire con quella roba schifosa. Ma quella roba schifosa era esattamente la sostanza di cui erano fatti i Nessuno, quelli come loro; e per giunta c’erano anche gli Heartless a fargli compagnia. Lo avrebbe scoperto solo pochi giorni più tardi, tramite Zexion.
Forse il motivo per cui si ricordava tanto bene di quell’incidente era perché oltre a traumatizzarlo, gli aveva aperto gli occhi sull’entità della sua vera natura. Se non fosse stato per quella rivelazione non avrebbe mai neppure immaginato di essere diverso da quei ragazzini che avevano incontrato per strada il giorno del suo arrivo. Per la prima volta gli era apparsa nuda e cruda la verità che Axel si era tanto impegnato a occultare dietro un foglio di carta di riso, giocando a mettere in scena per Roxas, tra le note stonate di una divisa, di un manipolo di strane creature contorsioniste e di un ambiente impersonale, la quotidianità di un bambino umano; e che era stato tanto reticente a spiegargli finché non si era reso inevitabile.
Era stato in quel momento che Roxas aveva incominciato a prendere parte all’opprimente routine condivisa da un’ampia fetta dell’Organizzazione. Col sorgere della mattina seguente Saïx aveva riferito l’ordine di Xemnas che aveva dato il via al suo addestramento, e Axel, pur restando stranamente protettivo e riguardevole nei suoi confronti, spinto da ragioni imperscrutabili, aveva riposto in soffitta metà di quelle che erano state le loro abitudini.
Tuttavia era stato solamente un mese più tardi che Roxas aveva dovuto confrontarsi per la prima volta con il concetto della morte, per come veniva intesa dai Nessuno.
Quando si pensò che Axel fosse stato eliminato insieme agli altri sei membri dell’Organizzazione (annientato, disintegrato, cancellato, come se lo avessero strappato da una fotografia di gruppo, perché erano questi i termini con cui ci si riferiva alla perdita di un Nessuno. ‘Morto’ era un’espressione strettamente umana. Perché fossi ucciso era indispensabile che prima fossi stato vivo, e a loro questo dono non era stato concesso. Esistevano, banalmente, come esistevano altre disgrazie dei mondi) durante quella missione che lo aveva rubato a Roxas inviandolo in trasferta al Castello dell’Oblio, Roxas si era sentito mancare la terra sotto i piedi. E intanto che Xigbar lo rendeva partecipe, beffardo, delle conseguenze che avrebbe comportato quel risultato imprevisto della spedizione, era stato come se gli Heartless gli avessero scavato una voragine tra le costole. Era stata una sensazione orribile, di sconfinata perdita, e se solo avesse saputo piangere l’avrebbe fatto sicuramente, lì di fronte a Xigbar, senza preoccuparsi di sembrargli infantile. Pur non sapendolo riconoscere lo aveva sentito quel nodo alla gola che preannunciava un fiume di lacrime amare accompagnate di pari passo dai singulti; solo che le sue lacrime non avrebbero mai potuto bagnare il cadavere del suo migliore amico.
I Nessuno non si lasciavano alle spalle una salma, quando abbandonavano questa rete di mondi; non lasciavano neppure un ricordo ingenuo come avrebbe potuto esserlo l’impronta passeggera della loro sagoma impressa sulle dune del deserto. Una volta eliminati non restava più niente di loro, ed era stato così che Roxas aveva ricomposto anche l’ultimo tassello mancante del puzzle, comprendendo la fine che attendeva ogni Nessuno. Si era sentito stupido per non averlo intuito prima, con tutti gli Heartless che aveva assistito perire sotto la lama del suo Keyblade a beneficio della causa portata avanti dall’Organizzazione. Non erano che oscurità e nell’oscurità infine si sarebbero dissolti. A quel punto gli era diventato chiaro il perché di quel fenomeno che si verificava ogni volta che si faceva male in battaglia.
Ma Xion? Anche lei si sarebbe volatilizzata come se non fosse mai esistita, anche se non era stata scalfita in alcun modo? Che cosa succedeva a un Nessuno quando periva nel sonno, la morte più indolore a cui potessero aspirare?
“Ehi,” Axel lo colpì con un buffetto in fronte non appena lo vide fermarsi in mezzo al corridoio oscuro. “Basta con quel muso lungo,” gli disse.
Roxas lo guardò con un’espressione talmente carica d’angoscia che riuscì a far vacillare il suo sorriso d’incoraggiamento. “Che cosa succederà a Xion?”
“Dimmi che non stai pensando ancora a quella storia,” gli disse Axel, sconvolto.
“Ma se Saïx avesse ragione?” continuò Roxas, e sbarrò gli occhi colmo d’orrore, colto all’improvviso da quel dubbio. “Se Xion fosse davvero guasta. Anche Demyx va in giro dicendo che è strano quello che le sta succedendo”.
Non si aspettava che Axel si piegasse a ridere sconcertato battendogli una mano sulla spalla; ma prima che Roxas potesse fraintendere i suoi motivi, Axel fu rapido a spiegarsi. “Da quando dai retta a quel che va blaterando Demyx? Mica credevi che fosse uno stupido fannullone?” gli disse. Di fronte a quella recriminazione Roxas non poté far altro che piegare il capo e fissare mogio mogio il fiume di colori che fluiva ipnotico sotto le suole delle loro scarpe, in un moto infinito. Axel si sfregò la nuca. “Dacci un taglio, ti stai tormentando per niente”.
“Ma Axel…!” tentò di protestare Roxas, sennonché il suo amico sovrastò la sua voce.
Senti, ti ho già spiegato che Saïx non lo pensava veramente quando ha definito Xion un fallimento. Sta meglio di me e te messi insieme, credimi. Ha soltanto bisogno di un po’ di riposo e si rimetterà in piedi. L’hai memorizzato?” gli domandò Axel, e gli tamburellò la fronte con l’indice finché Roxas non si convinse ad annuirgli, seppur riluttante. “Bene! E adesso voglio che ti concentri soltanto sulla missione. Se ce la sbrighiamo in fretta possiamo andare a prenderci un gelato anche prima del solito”.
Era evidente che stesse puntando a risollevargli l’umore, allettandolo con la prospettiva di un meritato spuntino di fronte allo spettacolo mozzafiato dei tramonti di Crepuscopoli, così Roxas decise di accontentarlo stiracchiando le labbra in un sorriso, benché fragile ed esitante. Axel ricambiò alla sua maniera, tutto sommato soddisfatto, regalandogli anche una mezza stretta e una carezza affezionata sulla nuca.
Mentre s’incamminavano con maggior convinzione verso l’uscita del passaggio, Axel scherzò distrattamente: “Certo che a volte mi fai proprio dubitare che tu non abbia un cuore”. Lì per lì Roxas avrebbe voluto renderlo partecipe dei suoi pensieri e fargli notare che anche lui si comportava in maniera insolita e sospetta secondo i canoni dei Nessuno, quantomeno in base all’atteggiamento di sufficienza, se non addirittura d’antipatia, che gli era stata dimostrata da gran parte dei loro compagni all’infuori di Luxord e Xion. Ma la voce gli morì inspiegabilmente in gola e gli venne a mancare la forza per ribattere al suo commento.

Non erano trascorse che poche giornate da quello scambio di battute che Saïx gli assegnò l’ennesima missione in coppia con Axel, stavolta nel mondo dove sorgeva la rupe su cui svettava il castello della bestia. Xion continuava a dormire imperturbabile, dolce come sempre nella quiete del suo sonno, e anche quella mattina Roxas fece un salto nella sua camera prima di partire, per salutarla e accertarsi delle sue condizioni di salute mentre Axel ultimava i preparativi. Quando ritornò senza correre nella Sala Grigia, Roxas lo trovò intento a chiudere la sacca dopo aver contrattato con il solito moguri truffatore il prezzo di una manciata di pozioni e di altri aggeggi che avrebbero potuto tornargli utili.
Roxas lanciò un’occhiata al piccolo commerciante. Il moguri stava svolazzando indisturbato a fare affari con un’altra anima sventurata dell’Organizzazione, pago dei nuovi guadagni che tintinnavano vivacemente nel suo borsellino. “Ho della nuova merce fantastica, kupò!” lo sentì dire a Demyx.
Lui emise un tragico verso. “E io sono al verde. In questo posto neppure ci pagano!” si lamentò Demyx, accompagnandosi con le note del Sitar.
“Ci sei?” lo richiamò all’attenzione Axel. Sembrava di buon umore.
Roxas annuì deciso. “Sì, possiamo andare”.
“Ti ho preso questo,” gli disse Axel, e gli sfilò un guanto per infilargli al dito un anello largo e piatto finemente decorato ai bordi. “L’ha forgiato uno degli amici con il pompon del nostro spilorcio laggiù. È roba forte,” gli assicurò Axel sorridendogli anche con gli occhi, mentre rimetteva a posto il guanto di Roxas. “Fanne buon uso”.
Roxas piegò incuriosito le dita, osservandosi la mano. Anche senza concentrarsi riusciva a percepire a pelle la magia di cui era intrisa l’anello. Axel aveva ragione, era molto potente. “Grazie,” gli disse, sciogliendosi in un’espressione grata che illuminò anche lo sguardo del suo amico.
“Ne avete ancora per molto con quelle baggianate?” li richiamò Saïx particolarmente burbero, e Roxas scosse freneticamente la testa in segno di diniego, ritornando al cipiglio serio di quand’era entrato nella stanza.
Axel si caricò in spalla la sacca, che svanì in una vampata fumosa d’oscurità grazie a uno di quei trucchetti che Roxas non era mai riuscito a padroneggiare del tutto, e insieme partirono alla volta del castello attraverso il portale che Axel aveva creato dal nulla.
Si aspettavano entrambi l’ennesima missione noiosa a caccia di Heartless, nella solita reggia apparentemente dismessa, talmente trascurata dai suoi abitanti che non avrebbe fatto alcuna fatica a vendersi per una dimora infestata dagli spiriti. E in un certo senso lo era per davvero. L’Organizzazione era giunta già da un po’ di tempo alla conclusione che il padrone del castello e la sua servitù fossero affetti da una stravagante maledizione che li aveva trasformati, almeno per quanto riguardava i domestici, in mobilia e argenteria parlante capace di muoversi secondo la propria volontà. Ma gli bastarono un solo passo nell’ingresso seguito da un’occhiata distratta, attraversando il passaggio oscuro da cui era sbucato per primo, per convincersi che in quel posto ci fosse qualcosa di fondamentalmente diverso dalla consuetudine.
Che fine avevano fatto la polvere e le ragnatele che normalmente vedeva appese agli angoli del soffitto? E l’atmosfera tetra da racconto dell’orrore? Qualcuno si era dato la pena di accendere una fiammella sull’estremità di ogni braccio degli immensi candelabri appesi ovunque, e aveva dato persino un’energica ripassata col battipanni ai lunghi tappeti ornati d’intricati ghirigori. Axel esternò il suo stupore con un lungo ma sommesso fischio d’ammirazione, mentre si portava al suo fianco spolverandosi dal cappotto i residui d’oscurità del tunnel.
“Questo sì che è un rinnovo coi fiocchi!”
“La senti anche tu?” gli domandò Roxas. Si armò del Keyblade, incurante che la sua luce avrebbe potuto richiamare come uno sciame di falene gli Heartless che erano giunti lì a eliminare.
Axel inarcò le sopracciglia. “Che?”
“La musica,” gli rispose Roxas. Qualcuno stava cantando?
Sospinto dalla sete insaziabile della sua innata curiosità, Roxas inseguì guardingo le note della melodia che aleggiava nell’atrio, superando i sontuosi drappeggi blu che non aveva mai visto affissi alle pareti. S’inoltrò fin sulla rampa di scale, dove i suoi passi vennero attutiti dal tappeto che ricopriva i gradini, aguzzò l’udito e si lasciò condurre attraverso i corridoi fino al massiccio portone che si affacciava alla sala da ballo, dentro la quale si era addentrato soltanto in rare occasioni. Finalmente riusciva a captare i versi della canzone che avevano continuato a sfuggirgli finché non aveva accostato l’orecchio alla porta. Riconobbe immediatamente la voce materna della graziosa teiera di porcellana. “Solo amici e poi, uno dice un ‘noi’…”. Roxas rabbrividì inspiegabilmente. Poi si affacciò allo spiraglio dell’entrata lasciata casualmente socchiusa, e i suoi occhi assistettero a uno spettacolo che non avrebbe mai creduto possibile.
La sala da ballo risplendeva dorata, ancor più carina del solito, e sotto lo sguardo gentile degli angeli cherubini ritratti nell’enorme affresco al centro del soffitto, Belle e il padrone del castello si muovevano con indescrivibile grazia tenendosi le mani e disegnando ampi cerchi e spirali intorno al salone. I loro sguardi non si lasciavano mai neppure per una frazione di secondo, carichi di un sentimento pieno e luminoso a cui Roxas non avrebbe saputo dare un nome; e mentre la coppia si ritrovava alla fine dell’ennesimo volteggio, splendida coi loro sorrisi raggianti, agghindata in quegli abiti che risaltavano alla luce incandescente dei candelabri, stretta vicina, così vicina, che avrebbero potuto respirare l’uno dall’altra, lui si ritrovò a spalancare la bocca sconcertato imitando una perfetta ‘o’. Il Keyblade era scomparso dal suo pugno senza che se ne rendesse conto, e la sua mano si era chiusa inconsapevolmente intorno alla maniglia del portone. Una parte di lui era talmente affascinata dalle loro movenze, dalla complicità che traspariva anche dalla fiducia con cui si lasciavano guidare a vicenda nei passi, che Roxas non prestò la benché minima attenzione alla piccola orchestra improvvisata da chi aveva avuto la sventura di trasformarsi in uno strumento musicale, così come ignorò gli altri tre o quattro presenti radunati sotto la balconata. E non si curò neppure di Axel quando gli circondò le spalle e si sporse oltre la sua chioma arruffata per sbirciare a sua volta quell’insolito spettacolo.
“Siamo fortunati,” gli disse bisbigliandogli con una voce carezzevole che Roxas aveva avuto il piacere di ascoltare ben poche volte. Gli ricordava con un impeto di nostalgia le storie che Axel gli aveva raccontato per distrarlo le primissime volte che Roxas si era fatto male in missione, quando le fitte d’ansia e di dolore lo avevano tenuto sveglio a forza; o la gentilezza con cui gli frizionava i capelli umidi attraverso l’asciugamano quando avevano finito di lavarsi. Gli parlava con quell’intonazione soltanto quand’era sicuro che fossero da soli, nell’intimità della stanza di Roxas. “Oggi possiamo girare nel castello indisturbati. Scommetto che qui ne avranno ancora per molto”.
Roxas finì per rivolgersi al suo mento spigoloso, la nuca premuta contro lo sterno di Axel, quando alzò gli occhi per porgergli una domanda impellente. “Che stanno facendo?”
Mentre scrutava pensieroso lo sguardo di Roxas, Axel socchiuse le palpebre, dandogli la stessa impressione d’affetto che Roxas aveva percepito anche nella sua voce. “Ballano,” gli spiegò infine, inclinando di lato la testa. “È un’usanza comune tra la gente vera. C’è chi balla per divertirsi, e chi ne fa una scusa per stare vicino a chi gli piace”.
“Come loro due?” gli domandò Roxas, e tornò a sbirciare nella sala da ballo, un po’ invidioso, o almeno credeva.
“Direi di sì,” gli disse Axel, stringendolo divertito.
Ora gli sembrava di riuscire a comprendere un po’ meglio il forte sentimento che riluceva negli sguardi radiosi della coppia. Belle e la bestia si volevano molto bene, certo. Anzi, ripensandoci, Xaldin aveva addirittura accennato a qualcosa di più trasudando biasimo e disprezzo. Roxas se ne ricordava piuttosto bene perché subito dopo era corso da Axel a chiedergli ulteriori spiegazioni. Era stato solo poco tempo fa, durante un’altra spedizione in quel mondo.
Secondo il parere di Xaldin fondato sulle conversazioni che avevano origliato qui e là, Belle e la bestia erano perdutamente innamorati; e studiandoli di nuovo Roxas si convinse che doveva trattarsi proprio di quel fantomatico sentimento che si chiamava ‘amore’. Intanto la canzone continuava a ripetersi e a riavvolgersi e mentre Axel l’ascoltava, Roxas ebbe l’impressione che il suo abbraccio diventasse più insistente.
Si dondolò sui piedi; d’un tratto si sentiva sulle spine.
Se solo avesse potuto sperimentarla personalmente, allora avrebbe sicuramente capito fino in fondo la portata e il significato di quell’emozione.
All’improvviso tutto, da Belle alla bestia, ai servitori, alla musica e allo splendore rinato della reggia, parve scomparire dietro un fitto banco di nebbia quando Axel si chinò vicino al suo orecchio e gli offrì l’opportunità che Roxas non avrebbe mai avuto l’audacia di chiedergli. “Vuoi provare a ballare anche tu?” gli bisbigliò ilare.
Roxas rise nervosamente, colto con le mani nella marmellata. “Sarei ridicolo!” gli disse, spintonandolo con una gomitata sotto la spalla.
Doveva trattarsi proprio di una debole scusa perché Axel non si lasciò prendere in giro, anzi: approfittò dell’occasione per mettere in mostra un sorriso impeccabile. “Che ne sai se non c'hai mai provato? Dài!”
“E la missione?” gli disse Roxas, suonando poco convincente persino alle proprie orecchie, incapace di camuffare quella sorta d’imbarazzo che gli scaldò le guance quando Axel gli afferrò i polsi e in men’ che non si dica lo trascino sul pianerottolo, dove avrebbero avuto abbastanza spazio per muoversi.
“Ti sembra di vedere qualche mostriciattolo in giro? Io no,” gli assicurò Axel, scoccandogli un’altra occhiata furba e divertita. “Direi che possono aspettarci per un altro po’. Vieni,” gli disse, e l’attirò a sé così all’improvviso che Roxas non inciampò per miracolo nella punta delle sue scarpe, suscitandogli un’altra risata. “Ti faccio vedere come si fa”.
“Sai ballare?” gli domandò Roxas, stranito da quell’ipotesi.
“All’incirca,” gli disse Axel. Suonava tanto come un ‘per niente’.
Roxas si lasciò guidare ubbidiente mentre Axel gli acciuffava la mano e intrecciava le dita con le sue, chiudendole a pugno; la sua presa era salda. Poi gli afferrò l’altra e se l’appoggiò al bacino. “Tieni la schiena dritta,” lo istruì divertito mostrandogli la postura esatta, quindi si appoggiò disinvolto alla spalla di Roxas, ignaro che il suo maestro si stesse calando nei panni della donzella della situazione.
“E adesso?” gli domandò Roxas. Si sentì a dir poco sciocco.
“Adesso segui i miei passi”.
Axel iniziò a muoversi lateralmente con una strana andatura rigida che avrebbe dovuto imitare alla bel’ e meglio le movenze della coppia all’interno del salone; ma fin dalle prime mosse fu evidente a entrambi che non erano assolutamente portati come ballerini.
“Mica sapevi ballare?” lo prese in giro Roxas.
“All’incirca,” gli ricordò Axel, e scoppiarono a ridere sottovoce.
Continuavano a pestarsi i piedi e a inciampare, disegnando una bizzarra traiettoria a zig-zag che ricordava piuttosto quella di due ubriachi a mezzanotte. Non avevano niente dell’eleganza di Belle e del padrone del castello, ma proprio per questo non riuscivano a impedirsi di continuare a ridere, tappandosi a vicenda la bocca per timore di farsi sentire da qualcuno. E intanto che lottavano per reggersi in piedi a ogni passo di quella disastrosa danza, un velo lucido calò come un manto sui loro occhi.
A Roxas facevano male sia le guance che la pancia: da quant’era che non si divertiva così tanto? L’ultima volta gli sembrava che fosse stata ben prima che Xion si addormentasse inspiegabilmente.
E poi, inaspettatamente, con la pratica cominciarono a prenderci un po’ la mano. Sentì Axel rilassarsi man mano che continuava a dettargli il ritmo sulla scia della musica che giungeva da lontano, e Roxas quasi di riflesso smise di fissarsi ossessivamente i piedi nella vana illusione che gli avrebbe impedito di commettere altri guai. Aveva l’impressione di non essersi mai sbagliato di più nella sua breve esistenza che contava appena sei mesi. Incrociò lo sguardo con quello del suo migliore amico, che aveva gli occhi più espressivi che avesse mai visto a chiunque, e per un attimo ebbe l’impressione di annegare. Axel aveva gli occhi color acquamarina come l’oceano che bagnava le Isole del Destino, e le sue mani erano calde anche attraverso gli spessi guanti neri che Roxas gli avrebbe sfilato per assecondare un subitaneo capriccio. Il suo amico lo scrutava adorante, e mentre Roxas abbassava lo sguardo sul suo sorriso qualcosa d’impercettibile nell’aria cambiò. Sembrava che qualcuno avesse premuto un interruttore invisibile nella stanza.
Poco a poco Roxas si ritrovò a fare i conti con un’insolita sensazione di fermento nelle viscere che era piuttosto sicuro di non aver mai sperimentato in altre occasioni. Sentì tutto il calore sulle guance espandersi fino a raggiungergli il collo.
“Posso svelarti un segreto?” gli sussurrò Axel. E mentre Roxas si sforzava di camuffare il tremolio nelle gambe che gliele aveva rese molli come due gelatine, Axel mosse un passo che riuscì ad avvicinarli ancora di più. Roxas avrebbe potuto appoggiare la guancia contro il suo torace. Axel gli accarezzò la testa. “A volte ho l’impressione di averti conosciuto in un’altra vita”.
“Intendi dire…?” esitò Roxas, e Axel annuì.
“Prima che diventassi un Nessuno”. Roxas non riuscì a trattenere la sorpresa nel sentirlo riferirsi al suo passato senza mezzi termini e senza nascondersi dietro a strane allusioni. “Non so spiegarmelo, ma a volte ti guardo e mi sembra… di ricordare…” la sua voce sfumò imitata dai passi di danza, tinta nello sforzo di agguantare una vecchia istantanea della sua vita che continuava a sfuggirgli inesorabile.
Roxas deglutì esitante, la bocca più arida di un deserto, mentre qualcosa di sconosciuto nel suo petto premeva impazzita sull’acceleratore. Sentiva le pulsazioni rimbombargli martellanti nella testa via via che un’insolita visione si affacciava al suo subconscio, sempre più nitida, sempre più vera, come gli era già capitato con quei sogni ad occhi aperti che riguardavano il ragazzino vestito di rosso, quello che tormentava anche le sue notti. Ma stavolta non c’era di mezzo lui. Roxas vedeva una piazza, di fronte a sé, e un Keyblade di legno scalfito dagli allenamenti; e su di lui gravava un pressante senso di… “Sconforto,” parve suggerirgli una voce trepidante in fondo alla sua mente. Si sentiva abbandonato come se la sua unica famiglia, Axel e Xion, se lo fossero lasciati alle spalle.
Avrebbe indagato oltre, ma Axel glielo impedì. Se l’attimo prima lo aveva spinto ad appoggiarsi a lui mentre Roxas si smarriva in sé stesso, l’attimo dopo lo aveva inglobato tra le sue braccia, e Roxas si ritrovò sospeso nel suo abbraccio in punta di piedi.
Axel era il suo migliore amico e per un certo periodo gli aveva fatto anche da balia; per di più combattevano quasi ogni giorno spalla a spalla, aiutandosi a vicenda. Il contatto fisico per loro non era di certo una novità. Eppure stavolta sembrava diversa da tutte le altre, e Axel gli stringeva la spalla come se avesse paura che Roxas si divincolasse da lui. Sentiva il suo respiro vicino all’orecchio.
“Axel…?” farfugliò disorientato, senza sapere come avrebbe dovuto reagire in una situazione tanto ignota come quella; ma anziché indurlo ad allontanarsi, chiamare il suo nome servì soltanto a fargli immergere il naso tra i suoi capelli. Roxas si sentì cullare da una bizzarra sensazione di tepore al petto mentre Axel strofinava la punta del naso sulla sua cute, apparentemente assorto in un labirinto di pensieri.
“Hai un buon profumo,” gli disse a bassa voce.
Roxas si aggrappò debolmente ai suoi fianchi, emettendo un respiro tremolante. “È quello dello shampoo”.
Ci volle un altro po’ di tempo perché Axel si convincesse a lasciarlo andare. Ora che poteva guardarlo di nuovo in faccia, gli sembrò turbato. Si grattò la nuca in un segno di nervosismo, mentre Roxas lo fissava timidamente dal basso della sua scarsa statura. Dalla sala da ballo giungevano le voci della servitù, impegnate in una conversazione concitata sul loro padrone.
“Be’, sarà meglio andare,” disse Axel per togliersi d’impaccio, avvantaggiandosi del miglior tono disinvolto del suo repertorio. Poi fece comparire i Chakram da un guizzo di fiamme arancioni.

Ben presto l’osservazione di Axel si rivelò esatta. A differenza di tutte le altre sue esperienze di missioni e ricognizioni svolte all’interno di quel castello, stavolta Roxas poté concedersi il privilegio di aggirarsi tra i corridoi senza la preoccupazione di venir scoperto. Non si vedeva anima viva, presi com’erano dalle faccende che riguardavano Belle e la bestia, e se solo Roxas non fosse stato troppo sovrappensiero per chiacchierare, avrebbe potuto tranquillamente scherzare con Axel ad alta voce. Persino combattere era più semplice se non doveva misurare ogni passo e ogni affondo per timore di farsi sentire.
“Sei stanco?” gli domandò a un certo punto Axel, mentre Roxas si asciugava la fronte grondante di sudore.
Roxas osservò con una smorfia sofferente e il respiro affannato il cuore rosa sfaccettato che si librò scintillante dai resti fumosi di un Heartless disintegrato. Lo seguì con gli occhi mentre s’innalzava verso il soffitto in una spirale, finché non svanì oltre il muro, pronto a ricongiungersi in Kingdom Hearts con dozzine di altri suoi simili. Roxas faticava a credere che un giorno sarebbero stati loro. Fece cozzare la punta metallica del Keyblade contro la pietra delle segrete umide e fredde del castello.
“No, ce la faccio ancora,” disse ad Axel borbottando a mezza voce.
Axel scosse brevemente la testa, quasi dispiaciuto, come se avesse qualcosa da ridire in merito alla sua risposta; ma poi indietreggiò piegandosi sulle ginocchia, i Chakram che oscillavano ai suoi fianchi pronti a colpire scattanti l’avversario. “Occhio, ne arrivano altri”.
Gli Heartless apparvero innumerevoli di fronte ai loro occhi, uno dietro l’altro, e Roxas si sentì scuotere da un brivido d’inquietudine mentre racimolava le forze per scagliarsi contro quella nuova carica di nemici. Avrebbe voluto concentrarsi al massimo su quello che stava facendo, ma per quanto si sforzasse non riusciva a distogliere il pensiero dalla piccola confessione di Axel.
Dacché era al mondo Roxas faceva i conti con il fardello di un passato inesistente, e anche se Axel e Luxord ne parlavano come se la sua amnesia fosse una grazia divina, Roxas non li capiva. Per quanto insistessero, lui continuava a guardarsi alle spalle ponendosi un sacco di domande sul suo Altro. Ma se le parole di Axel erano vere, allora proprio il suo migliore amico avrebbe potuto rivelarsi la chiave per accedere ai suoi ricordi. Forse si trovava a un solo passo dal riconquistare il proprio passato, e questa semplice idea lo frastornava a dir poco. O forse era la possibilità che lui e Axel avessero in comune più di quanto immaginassero a fargli perdere un battito a ogni affondo del Keyblade, Heartless dopo Heartless.
Roxas non sapeva niente della vita precedente di Axel; ignorava quale fosse il suo vero nome prima che Xemnas lo ribattezzasse, e persino quando fosse rinato nelle sue sembianze attuali. Ma forse avevano condiviso un’esistenza simile alla quotidianità del trio di ragazzini che incrociavano spesso nelle vie di Crepuscopoli, e questa era l’unica cosa che Roxas desiderava ardentemente. Che importava che avessero fatto quella fine? Almeno per un po’, Roxas non sperava nient’altro che fossero stati felici, lui, Axel e Xion, nella stessa città, tutti insieme.
Roxas inchiodò un altro Heartless al pavimento, sollevò il Keyblade con entrambi i pugni e lo infilzò per liberare l’ennesimo cuore, strizzando di riflesso le palpebre per non assistere fino in fondo a quello spettacolo raccapricciante.
Si stupì quando la schiena di Axel cozzò contro la sua, mentre il suo amico recuperava al volo le armi e un’altra schiera di Heartless si stringeva a cerchio intorno a loro. “Qui si mette male,” lo sentì dire tra i denti.
Ne arrivavano troppi. Erano più di quanti ne avessero mai affrontati in una sola volta, più irrequieti, smaniosi e affamati del solito, e Roxas riusciva a leggere la sua stessa ansia nel respiro trafelato di Axel, nel sudore che gli appiccicava la tenuta dell’Organizzazione alla pelle. Per la prima volta la sfida non esaltava nessuno dei due. Roxas se lo sentiva fin dentro le ossa: non ce l’avrebbero fatta, non in queste condizioni; non con la sua mente che viaggiava da altre parti. Axel avrebbe potuto dare ferro e fuoco alle segrete, ma stavolta non sarebbe servito neppure a fargli guadagnare più tempo.
“Ritiriamoci,” gli disse Axel indietreggiando, e Roxas si sentì ghiacciare le vene.
“Cosa? No!” esclamò, ma era il suo senso del dovere a parlare. Le orecchie gli fischiavano e un fastidiosissimo senso di pesantezza gli dava l’impressione di camminare sott’acqua, come un sub a spasso sui fondali. Piegò un braccio all’indietro per trattenere Axel, e in quel momento gli Heartless si mossero. La muraglia che avevano costruito intorno ad Axel e Roxas crollò e una valanga di nemici si affrettò nella loro direzione.
“Merda!”. Axel lo strattonò bruscamente all’indietro.
“Axel!”. Roxas barcollò.
“Sta’ indietro!”. Balzò in avanti e s’improvvisò suo scudo: conficcò un Chakram nel fianco di uno degli opponenti più massicci mentre con l’altro colpiva alla gola un Neo Shadow, e l’istante subito dopo Roxas li vide esplodere entrambi in un furore di fiamme che innescò due colonne di fuoco; schizzarono fino al soffitto e coinvolsero altri Heartless.
“È inutile!” gli gridò Roxas nel tentativo di sovrastare i gemiti atroci degli Heartless che bruciavano avvolti nelle fiamme. Impugnò il Keyblade e si sforzò di rallentare l’avanzata dei nemici anche sull’altro fronte; ma fu anche peggio di quanto avesse immaginato quando gli stessi Heartless eliminati da Axel riaffiorarono ben presto proprio alle sue spalle. Li stavano costringendo a dividersi.
Roxas eliminò con un potente fendente laterale inflitto dal basso il Cagnaccio che aveva continuato ad abbagliargli contro mentre faceva del suo meglio per placcarlo, quindi si scrollò di dosso gli Indaspettro che tentarono di agguantarlo al collo e si lanciò in avanti in una sfrenata corsa a testa bassa, aprendosi un varco con la Chiave. Il calore delle fiamme di Axel gli lambì insopportabile la pelle scoperta, mentre i Chakram roteavano infuocati e altri roghi crepitavano distanti da Roxas. Si tuffò in picchiata su un Heartless impreparato all’attacco, scansando altri colpi, altri calci, altre grinfie che volevano ferirlo; e mentre affondava il Keyblade ancora, ancora e ancora con la paura che gli divampava negli occhi e la stanchezza che s’insinuava nei suoi muscoli, accadde l’imprevisto.

“Dopotutto adesso siamo amici. Memorizzalo!”

L’aria vibrò intensamente intorno a Roxas, simile a un elastico pizzicato; la vista gli si sdoppiò e i suoni si amplificarono nelle sue orecchie in una cacofonia insopportabile. Una folata d’oscurità lo investì in pieno mentre la lama del suo Keyblade trafiggeva un Soldato, affondando nell’armatura come se fosse stata di burro, e le sue gambe traballarono; sbandò pericolosamente e finì a sbattere con le spalle al muro.
Roxas udì un grido d’avvertimento, là in mezzo agli Heartless, ma…

“Sei solo invidioso!”

…c’era un ragazzino che rideva allegro, spaparanzato per terra lì davanti ai suoi occhi. Ogni fibra di Roxas tremò in preda a uno spasmo mentre scivolava verso il basso. Poi il ragazzino lasciò il posto al solito protagonista dei suoi miraggi, che richiamò prepotentemente l’attenzione di Roxas. Lo vide lanciarsi in una folle corsa sulla spiaggia, in una gara di velocità combattuta contro il suo amico del cuore. Ma Roxas doveva tornare alla realtà. Doveva…
“Concentrati!” gli disse di nuovo quella voce.
Roxas allargò gli occhi, appena in tempo per accorgersi del pericolo. Parò tempestivamente l’assalto di un Heartless dalle sembianze simili a un gigantesco cubo di ghiaccio, e anche se l’impatto lo aveva fatto sbattere al muro Roxas si rialzò in piedi aggrappandosi alla parete, e ignorando stoicamente la sensazione di freddo glaciale che gli intorpidiva le gambe, e la fatica, eliminò l’Heartless con due malfermi colpi incrociati.
C’era oscurità fumosa dappertutto e l’odore era intenso, acre, nauseante, ma non poteva permettersi di esporsi ad altri attacchi per tapparsi il naso con la manica della divisa; ci passò letteralmente in mezzo, scagliandosi tremante verso gli altri opponenti.

“Come ti chiami?”
“Ve…”

Roxas continuò a menare colpi, esausto, la gola stretta in un nodo ingombrante e le dita che stringevano disperatamente l’elsa del Keyblade, mentre le suole delle sue scarpe slittavano sulla pozza oscura che si stava allargando ai suoi piedi, più insidiosa delle sabbie mobili. L’illusione continuava a sovrapporsi a scatti alla realtà della battaglia, come un livello trasparente: il ragazzino vestito di rosso che si arrampicava e si lanciava come una scimmia sulla carrucola, per guadagnare vantaggio nella corsa, mentre il suo amico ribatteva avanzando ancor più veloce. Roxas strinse i denti, straziato; e poi un Heartless lo colse di sorpresa tentando un assalto alle sue spalle.
“Roxas!” si allarmò Axel, e lui si voltò di soprassalto.
Riuscì a contrastare per miracolo il calcio del Sergente che aveva mirato alla sua nuca, ma la notevole forza con cui gli si era accanito contro fu comunque in grado di sbilanciarlo, e l’Heartless non si lasciò sfuggire l’occasione. Caricò un altro calcio e lo scaraventò con le gambe all’aria senza dare il tempo a Roxas di difendersi, strappandogli un urlo.
“ROXAS!” gridò di nuovo Axel, da qualche parte in mezzo alla mischia.
La caduta gli aveva mozzato il fiato, ma Roxas impugnava ancora il Keyblade. Si fece forza e con un gemito affaticato rotolò sul fianco, piantando l’arma a terra per rialzarsi in piedi e contrattaccare; ma lo stesso Sergente di prima gli fu di nuovo addosso e scagliò la Chiave verso l’altra estremità della stanza, dove atterrò roteando ed emettendo un clangore vibrante. “Il mio Keyblade!”
Roxas si protese immediatamente nella sua direzione allungando le dita, con l’ovvia intenzione di richiamarlo magicamente a sé; ma la fortuna non girava dalla sua parte. Un altro Heartless emerse dall’oscurità e lo strattonò brutalmente dai capelli, spedendolo a sbattere di nuovo sulla dura pietra.
Roxas gemé sgomento e dolorante mentre una pioggia di stelle gli annebbiava la vista.
Axel era ancora là, che faceva del suo meglio per togliersi di torno gli Heartless e venire ad aiutarlo; e combatteva, imprecando e bestemmiando con una rabbia che non gli aveva mai sentito nella voce. Ma non arrivava. E mentre lui lottava, Roxas si ritrovò a fronteggiare l’Heartless che tentava di strangolarlo con un’inesplicabile furia.
“L-Lasciami…!” si ribellò artigliandogli le dita, tirando e strattonando, per farsi liberare prima che il Sergente riuscisse nel suo intento di lasciarlo senza neppure un accenno di fiato nei polmoni. Continuò a dimenarsi gemendo e ringhiando finché ne ebbe le forze, ma il suo opponente era robusto e ostinato e lo si leggeva anche nei suoi occhietti tondi, gialli, feroci. “Awgh…!”. Non capiva! Che cosa voleva da lui se non la luce emanata dal suo Keyblade?!
Mentre Roxas tentava di ferirlo al volto, altri Heartless emersero dall’oscurità in ebollizione che minacciava d'inghiottirlo. Lo afferrarono e tirarono, e ad ogni strappo lo assalirono nuove fitte pungenti di dolore. Non riusciva a respirare. Tentò un ultimo disperato approccio, ma come azzardò a muoversi altre zanne lo morsero a fondo. Avrebbe urlato, ma ormai non aveva più fiato, né voce, e la sofferenza stessa era diventata sorda. Dunque era la fine?
Fissò con gli occhi appannati lo sguardo famelico del Sergente piegato su di lui, che ormai lo teneva inchiodato a terra senza sforzo. Roxas avrebbe voluto soltanto capire perché… E nel momento in cui socchiuse gli occhi sul punto di rovesciarsi all’indietro, Axel giunse finalmente alla riscossa. Roxas sentì a malapena un sussulto prima dell’ennesima esplosione di fiamme, e nel divampare ovunque del fuoco l’ostacolo che gli impediva di respirare svanì. Fu come se il sollievo lo avesse colpito in faccia con uno schiaffo tale da fargli roteare la testa a trecentosessanta gradi. Roxas si ritrovò piegato a tossire e a boccheggiare mentre un misto di ossigeno, fumo, e oscurità irrompeva nella sua gola. Dietro di lui gli Heartless che lo avevano tenuto incatenato a terra perivano in un massacro, chi tra le fiamme, chi sotto i colpi efferati di Axel, ma Roxas non vi badava: riusciva di nuovo a respirare. Si toccò tremando il collo, e lacrime di sollievo affiorarono ai suoi occhi. Esisteva ancora.
Quando Axel ebbe esaurito i nemici su cui scaricare la sua furia omicida, gettò a terra i Chakram e si scagliò su di lui con altrettanta collera.
“IMBECILLE!” sbraitò a Roxas, sporco di fuliggine dalla testa ai piedi. Roxas lo guardò con gli occhi sbarrati, troppo sconvolto per distogliere lo sguardo e accorgersi che anche Axel era ricoperto di tagli. “Dove hai lasciato la testa?! C’è mancato un soffio che ti lasciassi distruggere!” gli disse, e la veemenza con cui glielo gridò in faccia non solo riuscì a far sbiancare del tutto Roxas, che si sciolse in un fiume di lacrime, ma gli fece anche piovere addosso alcune gocce di saliva. Forse se ne sarebbe lamentato, se a quel punto Axel non lo avesse strattonato bruscamente in piedi afferrandolo dalla collottola.
Il grido di dolore che gli proruppe dalla gola riuscì a sconquassare persino lui.
“Cosa…” disse smarrito, e lo sostenne di peso mentre Roxas gli franava letteralmente addosso.
“La gamba!” gli disse Roxas guaendo e piangendo più forte, e si afferrò la coscia. “La gamba!
Roxas si sentì trascinare rapidamente tra i residui di oscurità e di fiamme in estinzione fino a un angolo riparato delle segrete, dove Axel si lasciò cadere sui gradini e gli allontanò a forza le mani. Come se le scie di fumo non fossero state sufficientemente eloquenti circa il numero e la gravità dei danni di Roxas, Axel gli slacciò il cappotto malconcio e discostò la stoffa lacerata dei suoi pantaloni, esponendo allo sguardo la ferita più brutta di tutte; e mentre Roxas continuava a piangere come un cane bastonato e si stringeva spasmodicamente al suo braccio e alla sua spalla, dallo squarcio aperto nella gamba di Roxas rivoli densi di oscurità si aggrapparono ai polpastrelli di Axel e da lì si arrampicarono sulle sue falangi, per poi sciogliersi in vapore.
“Cristo. Te l’hanno infilzata”. La voce di Axel tremò, strozzata; e nonostante il dolore fosse totalizzante ora che lo sentiva di nuovo, Roxas riuscì comunque ad annusare alla stregua di un animale il panico crescente di Axel mentre faceva un rapido sunto dei tagli e dei morsi profondi che Roxas aveva sparsi ovunque. Sentì un tonfo e un fruscio. “Bevi,” gli disse Axel, imperativo, e gli portò alle labbra la boccetta che aveva recuperato rapidamente dalla sacca.
Roxas si sforzò d’inghiottire almeno un paio di sorsi della pozione, ma a parte un sollievo alla gola non avvertì nessun altro miracoloso effetto immediato. Rise amaramente tra i singhiozzi, afferrando una manica di Axel.
“Hai paura,” lo accusò specchiandosi attraverso la superficie lucida dei suoi occhi, dove vedeva riflesse anche le proprie lacrime.
“Non essere sciocco,” gli disse Axel, ma Roxas girò la testa a destra e a sinistra.
“Hai paura!” gli disse di nuovo, e questa volta fu davvero sul punto di crollare. “Perché non vuoi ammetterlo? Anch’io ho avuto paura quando Xion è stata male”. Così tanta paura che il suo cuore si era paralizzato.
“Siamo Nessuno, Roxas!” gli gridò Axel, senza neppure accorgersi con quale strazio glielo stesse rinfacciando, forse nella speranza di ammutolire i suoi stessi dubbi.
Roxas tornò a ridere a colpi di singhiozzi, diviso tra rassegnazione e disgusto, troppo stanco per insistere, e Axel riprese in mano la situazione. Gli riallacciò la zip del cappotto. “Dobbiamo andarcene via da qui subito, prima che ritornino”.
Roxas gli scoccò un’occhiata supplicante, ferito nel suo orgoglio di brava recluta ancor più che nel fisico. “Saïx non ce lo perdonerà mai se abbandoniamo la missione!”
“Vorresti continuare a combattere in queste condizioni? Non ti reggi neanche in piedi, scemo! Aggrappati al mio collo, ora,” gli disse minaccioso.
Axel gli offrì la schiena e malgrado la sua reticenza, Roxas fece comunque del suo meglio per obbedirgli. Mentre si assicurava alle sue spalle e si appoggiava con la guancia ancora striata d’umido alla base del suo collo, Roxas ebbe un altro flash fugace del ragazzino vestito di rosso: si guardava intorno sovrastato dalla notte, indeciso su quale ramo fosse meglio imboccare del bivio che aveva arrestato la sua corsa.
Roxas si rifugiò dalla visione nascondendosi tra le sue braccia, e Axel gli tirò su il cappuccio come ulteriore precauzione, per timore di ciò che sarebbe potuto succedergli attraversando il passagio oscuro. Poi fece presa su un punto buono della sua gamba, e lo sostenne mentre si alzava in piedi e Roxas gli strizzava dolorante un lembo del cappotto.
“Non cercavano il Keyblade,” gli disse Roxas con la voce incrinata dal pianto, ma l’unica risposta che ricevette in cambio fu un greve silenzio.
Il corridoio oscuro non gli sembrò mai così accogliente come quella volta, anche se le sue profondità parvero portarsi via minuscoli frammenti del suo corpo come i resti inceneriti di un foglio affidati al soffio del vento. Axel cercò di muoversi in fretta nonostante il suo peso morto, ma prima che riuscisse a raggiungere l’altra estremità del passaggio Roxas scivolò stremato tra le spire di un dormiveglia irrequieto. Gli sembrò di sentire un richiamo in lontananza.

“Io sono Lea, l’hai memorizzato?
“Tu come ti chiami?”
L’altro quindicenne ricambiò la sua stretta di mano, offrendogli uno sguardo limpido e un sorriso amichevole.
“Ventus”.

Giorno 183:

Axel mi sta evitando.

Roxas lasciò scivolare la penna sul tavolo, traboccante di sconforto.

  
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