A Beks ♥
Rescue me
Non era una questione personale o soggettiva. Era sicuro che se avesse chiesto
parere ad Elijah, anche il fratello l’avrebbe pensata come lui.
Perché a lui, a Klaus, quell’Alexander non piaceva per nulla.
Guardò da lontano sua sorella passeggiare insieme a quel tale e le mani
cominciarono a tremargli e prudergli.
Si domandò cos’avrebbe potuto significare ucciderlo, magari darlo in pasto ai
lupi o mangiarlo per divertimento. L’aveva appena detto al fratello e ne era
seriamente convinto. Quel tale non gli piaceva e non tollerava che mettesse le
sue indegne mani su Rebekah. In ogni senso che ciò
avrebbe potuto significare.
«Sii più discreto, Niklaus» la voce di Elijah lo
distolse dai suoi pensieri e lui si voltò a fronteggiare il fratello maggiore,
colto in fallo. Il ramo di legno che teneva in una mano si sgretolò all’interno
del suo palmo mentre le sue labbra si strinsero e gli occhi gli si
assottigliarono in due fessure. Apparivano spiritati, attraversati da una luce
ormai solita in lui. Era la luce della rabbia e della sete di sangue. Era sul
punto di esplodere e avrebbe potuto farlo da un momento all’altro, con un
risultato che non sarebbe piaciuto a nessuno.
«Sono discreto, fratello. Sono l’emblema della discrezione» sibilò mentre un
ringhio gli si formava nel petto. Avvertiva gli occhi bruciare a causa della
rabbia mentre lasciava andare il ramo sul terreno sterrato e il ringhio
continuava a smuoverlo. La sua voce era simile a un rantolo, animalesco «Non
trovi anche tu?»
Elijah si guardò in torno, sperando che nessuno notasse il sibilo per nulla
umano del fratello minore. Non aveva alcuna intenzione di accendere una lotta
in pubblico con lo spasimante della sorella. Quel cacciatore non gli piaceva,
sebbene i motivi fossero nettamente diversi da quelli del fratello. Era sempre
stato un uomo piuttosto taciturno, ma forse era questo suo essere silenzioso a
permettergli di osservare indisturbato ciò che lo circondava. E quel che aveva
capito osservando quell’Alexander, Rebekah e Niklaus.. non lo convinceva. Era certo di aver capito bene
poiché i suoi sensi non lo avevano mai tradito, ma sperava tanto di sbagliarsi.
«Trovo che tu ti stia facendo prendere da emozioni del tutto fuori luogo,
fratello» rispose con la sua solita aria composta, sistemando la cintura di cuoio
legata alla vita.
Klaus inarco un sopracciglio e fece scoccare la lingua contro il palato,
incrociando le braccia dietro la schiena, continuando a fissare con attenzione
la scena che aveva davanti. «E non sa neppure fare il baciamano» mugugnò
attirando un’occhiataccia dalla sorella che, vista la sua natura, non si era
persa neppure una parola della chiacchierata tra i due fratelli. Il biondo
ricambiò l’occhiata con una altrettanto sprezzante mentre il sospiro del
fratello maggiore lo invitò a continuare. «Questi sbarbatelli del nuovo secolo
non conoscono le buone maniere. Le labbra devono sfiorare appena la mano di una
donna, quello lì invece le ha stampato un bacio vero e proprio» storse il naso,
con un’espressione disgustata in volto, provando sempre più piacere nel trovare
un difetto dietro l’altro in quel tale eccessivamente muscoloso.
«Lo sbarbatello del nuovo secolo è stato invitato a pranzo nella nostra dimora»
a quelle parole, Klaus si voltò verso il fratello a occhi sgranati. Non lo
voleva in casa sua, non voleva proprio vederlo, men che meno vicino a Rebekah. Quel tale avrebbe fatto una brutta fine, ne era
sicuro. Presto o tardi, quell’Alexander avrebbe assaggiato la lama della sua
spada. O forse sarebbe stato lui ad assaggiare il suo sangue. Ed era sempre più
convinto che il suo corpo –sebbene fosse un vampiro, un Originale quindi uno
dei più antichi e potenti- l’avrebbe rigettato. «E non concepisco questo tuo
allontanare ogni spasimante di nostra sorella, Niklaus»
continuò Elijah, guardandolo con aperta sfida e un accenno di divertimento.
«Bene» soffiò il biondo tra i denti, non riuscendo a reggere la sconfitta,
«vorrà dire che avrò modo di conoscere meglio lo spasimante di nostra sorella»
marcò l’ultima parola e si incamminò verso la loro casa, lasciandosi alle
spalle il fratello e la sorella che, scuotendo la testa rassegnata, sorrise al
ragazzo che le teneva ancora la mano.
«Le tue nocche sono sbiancate, Niklaus. Cerca di
contenerti» gli sussurrò Elijah all’orecchio, allungandosi verso di lui mentre
il pranzo proseguiva nella più assoluta tensione. Rebekah,
seduta tra il fratello virtuoso e il suo spasimante, sorrideva serena, ma non
riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi irosi del fratello seduto a
capotavola. Si domandò cosa gli stesse accadendo, poiché non l’aveva mai visto
in quello stato. Le dava l’impressione di un leone in gabbia, pronto a saltare
alla gola di qualcuno non appena lo avessero liberato dalle catene. E quel
qualcuno, stando alle occhiate di fuoco che lui stava riversando di fronte a
sé, era proprio Alexander.
Klaus azzardò un falso sorriso rivolto al fratello e tornò a prestare
attenzione all’ospite d’onore che, tra l’altro, gli piaceva sempre meno. Un
cacciatore. Tra tutti gli uomini di cui Rebekah
avrebbe potuto infatuarsi, lei aveva proprio scelto un cacciatore. «Quindi,
Alexander, la tua missione è quella di eliminare le creature della notte, i
cosiddetti vampiri» disse quell’ultima parola trattenendo una risata. E,
pensandoci bene, quel pranzo avrebbe anche potuto considerarlo divertente. Il
cacciatore eccessivamente muscoloso era circondato da tre vampiri Originali che
avrebbero potuto farne la loro merenda. Eppure il tale sembrava esserne
all’oscuro. Appariva calmo e tranquillo mentre annuiva e spezzava tra le dita
un pezzo di pane.
Klaus posò i gomiti sull’estremità del tavolo e lasciò che fosse Elijah a
guidare la conversazione , aveva deciso di godersi il pranzo ascoltando ciò che
il tale aveva da raccontare. Tutto adesso appariva così rilassato da non
sembrare neppure reale. E infatti era tutta finzione, almeno dal suo canto. E
questo non sembrava piacere alla sua sorellina, vista l’occhiataccia assassina
che gli riservò una volta che i loro sguardi si incrociarono.
«Siamo curiosi di sapere di più sul tuo ordine. Sulla vostra crociata» disse
Elijah, causando nel fratello un mezzo sorriso. Sicuramente Niklaus
avrebbe posto la domanda con toni, parole e modi diversi. Magari avrebbe potuto
legarlo all’albero maestro di una nave o infilargli un cappio al collo nella
piazza del paese e torturarlo fino a quando non ne avrebbe avuto abbastanza. E
conoscendosi, lui non ne avrebbe avuto abbastanza neppure quando di Alexander
non sarebbe rimasto altro che cenere.
«Siamo solo cinque uomini, vincolati dal fuoco e l’ultimo respiro di una strega
morente, a portare avanti un’unica causa» perfino la sua voce gli provocava
fastidio. Era una vera tortura ascoltarlo parlare, ma ciò che non riusciva
proprio a tollerare, era lo sguardo adorante che sua sorella gli rivolgeva.
Sembrava pendere dalle labbra di quel tizio e questo non faceva altro che
provocare una fastidiosa fitta allo stomaco al biondo che cercava in ogni modo
di restare attento, di non distrarsi. Il tale prese il bicchiere ricolmo di
vino e lo alzò a mezz’aria, come a voler brindare a una causa già persa in
partenza. Perché, per i tre Originals, la causa dei
cinque uomini in questione non era altro che una farsa facilmente annientabile.
«La distruzione di tutti i vampiri» finì Alexander, con un sorriso storto,
mentre Klaus tornò a guardare la sorella.
«E come sperate di raggiungere questo scopo?» domandò il biondo, per nulla
intimorito dalle parole del giovane. Se non fosse stato un cacciatore e non
avesse messo gli occhi su Rebekah, probabilmente gli
sarebbe anche risultato simpatico. O forse no. Sicuramente no, lo avrebbe
odiato in ogni caso.
«Abbiamo l’arma definitiva» Il tipo adesso, mentre si allungava di più verso il
tavolo, sembrava troppo sicuro di sé, «a cui nessun vampiro può sopravvivere»
«Sono impressionato, Alexander» Klaus congiunse le mani sotto il mento,
sfiorandosi le labbra con una nocca, nascondendole onde evitare che il ragazzo
potesse scorgere il suo sorriso. E chiamarlo per nome, stranamente gli piaceva.
Quel nome, Alexander, aveva un significato importante, ma mai quanto il suo. Il
protettore dei propri uomini contro il vincitore tra il popolo, non c’era
proprio paragone. «La tua causa ti fa onore» e deridere gli altri, seppur
velatamente, era sempre stato uno dei suoi passatempi preferiti anche se questa
suo divertimento non doveva piacere molto alla sorella, visto il modo in cui lo
guardava. Era certo che, se non ci fosse stato il loro ospite, Rebekah gli sarebbe saltata al collo per fargliela pagare.
Qualcosa lo aveva appena colpito. Sentiva il petto bruciare, ferito da
una lama che gli aveva appena perforato il cuore. Assonnato, riaprì gli occhi e
si ritrovò nel suo letto, con un pugnale conficcato nel petto. In camera sua,
poco lontano dal baldacchino, un uomo lo guardava a occhi sgranati mentre indietreggiava.
«Chi sei tu?» gli domandò questi balbettando e fermandosi quando il suo
indietreggiare venne bloccato dalla parete. Klaus impugnò il manico del pugnale
e lo estrasse con una smorfia, facendolo cadere sul pavimento con un tintinnio.
Si alzò dal letto e camminò a passo cadenzato verso l’uomo, infuriato poiché il
suo sonno era stato disturbato. «Sono colui che ti ucciderà» mormorò muovendosi
con quella velocità donata dalla sua natura e lo afferrò per il collo alzandolo
da terra. L’uomo provò a divincolarsi dalla presa, posando entrambe le mani su
quella del vampiro che stringeva sempre di più ed estraeva dalla sua custodia
la spada simile a quella dei suoi quattro “fratelli”. «Lasciami» l’uomo parlava
ormai con difficoltà e i suoi occhi di sgranarono nell’esatto momento in cui la
lama della sua stessa spada gli attraversò il cuore.
Klaus lasciò l’uomo ormai morto nella sua camera e corse nelle camere dei
fratelli, trovandoli tutti addormentati a causa dei pugnali che estrasse prima
a Kol e poi ad Elijah, lasciando invece dormiente
l’ultimo fratello, il maggiore di tutti, Finn. Lo
guardò per un momento e poi uscì dalla stanza, entrando in quella della sorella
e trovandola vuota. Lei non c’era, non era nella sua stanza perché sicuramente
doveva essere da quel tale. Quello stesso farabutto che aveva approfittato
delle ore notturne per sferrare un attacco a sorpresa, certo che se avesse
provato a ucciderli da svegli, non ci sarebbe riuscito. Corse quindi verso la
casa del cacciatore e spalancò la porta, non curandosi delle buone maniere
perché in quel momento non gli interessava nulla. Il suo unico pensiero era
trovare Rebekah e riportarla a casa.
Lo trovò insieme a tre uomini che provarono subito ad attaccarlo, finendo
uccisi nello stesso modo di quello che lo aveva pugnalato nel suo letto. Uccisi
dalle loro stesse spade, una fine più che meritata.
«Sei solo un povero stolto, Alexander» si avvicinò a passi lenti, sorridendo
serafico nel sentire l’odore del sangue dei cacciatori scorrergli lungo il
collo e macchiare i suoi abiti. Era ricoperto di sangue, la sete avrebbe dovuto
essere lancinante, eppure in quel momento riusciva a pensare solo a quel
cacciatore che presto sarebbe morto per mano sua. Lo aveva lasciato per ultimo
proprio perché voleva godersi appieno la sua morte. Voleva ucciderlo e sentire
il suo ultimo respiro riempirgli le orecchie. «Ti professi cacciatore, eppure
della mia natura non conosci nulla» Si fermò non appena il moro sguainò la
spada e scosse il capo, lasciandosi andare a una mezza risata. «Sul serio? Vuoi
uccidermi con questa?» diede un leggero schiaffo alla punta della spada,
facendola oscillare tra le mani dell’uomo mentre la sua risata non accennava ad
arrestarsi.
«Com’è possibile?» domandò Alexander, arretrando ancora con la spada tesa
contro il nemico, quel biondo che adesso gli incuteva timore come mai altro
vampiro era riuscito. «Dovresti essere addormentato come tutti gli altri. Cosa
sei tu?» Il ragazzone, impaurito come poche volte in vita sua e anche parecchio
ridicolo vista la sua stazza, guardava il vampiro come se fosse un fantasma.
Teneva l’impugnatura della spada stretta tra le mani mentre il respiro gli si
era mozzato in gola. Dietro il vampiro, Rebekah
giaceva con ancora il pugnale nel petto e il colorito grigiastro della sua
pelle era illuminato dal fuoco delle torce. Klaus si voltò per un attimo a
guardare la sorella, tornando ancora più infuriato di prima al cacciatore.
«Sono un vampiro Originale come il resto della mia famiglia» aveva tempo da
perdere lui, o forse voleva solo divertirsi un po’ prima di far fare al tizio
la stessa fine dei suoi amici. Si avvicinò di un altro passo, fermandosi non
appena la punta della spada gli sfiorò il torace. Abbassò lo sguardo sul
metallo freddo, sfiorandolo con un polpastrello, per nulla impressionato. «Ma
ciò che non sai, riguarda quella parte di me che nessuno conosce. Nessuno,
fatta eccezione della mia famiglia» rialzò lo sguardo in quello del giovane e,
con un veloce scatto, riuscì a togliergli la spada di mano e a impugnarla. La
roteò in aria con fare esperto e sferrò un colpo che andò a conficcarsi contro
la parete, proprio a pochi centimetri dalla testa del ragazzo che chiuse gli
occhi, presagendo una morte lenta e dolorosa. «Il latente gene del lupo che mi
rende insensibile al potere del pugnale che i tuoi amici hanno usato sui miei
fratelli e che TU» l’ultima parola urlata con rabbia e disprezzo mentre tirava
indietro la spada per puntargliela al collo, «hai usato sulla mia Rebekah» Il suo sguardo era pregno di odio e risentimento
sempre crescente. Quel tale, tremante e con la spada puntata contro, lo
ripugnava. Non c’era bisogno di altre parole, lo sguardo atterrito del tale
parlava da solo. Sguardo che diventò glaciale non appena la spada gli spaccò il
cuore in due, la lingua gli venne strappata via e quell’essere riprovevole
esalò il suo l’ultimo respiro. Con l’impugnatura della spada ancora
stretta tra le mani, Klaus sgranò gli occhi e fece un passo indietro,
restando a fissare per un attimo il sangue fuoriuscire dalla bocca e dal torace
dell’uomo. Si voltò quando ebbe la certezza che il tale fosse morto e si fiondò
verso il letto, sfilando il pugnale dal cuore di Rebekah
e sedendosi accanto a lei, aspettando che le evidenti vene sul suo angelico
volto si sgonfiassero. Le sfiorò una guancia con i polpastrelli, cercando alla
ben e meglio di richiuderle la scollatura dell’abito bianco che indossava,
senza evidenti risultati. Adesso non doveva fare altro che aspettare e pensare
in silenzio a ciò che era appena accaduto. Chiuse gli occhi quando la verità
gli arrivò addosso come una tinozza di acqua gelida. Quel tale l’aveva
avvicinata con il solo scopo di uccidere tutta la loro famiglia. Aveva
approfittato della sua vulnerabilità di giovane donna, l’aveva illusa
promettendole chissà cosa. E lei si era fidata, ci era cascata come una comune
fanciulla. Aveva preferito un altro a lui. E, se quell’Alexander non avesse
fatto la fine che meritava, con ogni probabilità Klaus avrebbe perso per sempre
quella sorella che non aveva mai considerato tale. La gelosia, talvolta
affiancata dalla possessività, era da sempre il suo punto debole poiché era
rivolta al suo vero punto debole. Era tutto collegato, inevitabilmente
collegato a lei. Era sempre stato così, fin da quando erano entrambi umani.
Tutto il suo mondo era sempre girato intorno a Rebekah,
ai guai che lei combinava e alle punizioni che lui riceveva a causa di questi.
Lei era da sempre la sua costante, il suo punto fermo. E adesso, mentre la
guardava ancora stesa e dormiente, pensò di non essersi mai sentito tanto
deluso e arrabbiato. Lei lo avrebbe abbandonato, lo avrebbe lasciato da solo a
causa di quel tale. Lei avrebbe scelto Alexander e lui l’avrebbe persa. E di
quella loro promessa non sarebbe rimasto più nulla. Si rialzò e si mise di
fronte al letto, aspettando di vederla nuovamente viva e abbassò lo sguardo non
appena lei tornò alla vita con un grosso respiro.
«Cos’è successo?» gli domandò lei una volta seduta mentre lui continuava a
tenere lo sguardo su ogni angolo della stanza disastrata meno che sulla sua
figura.
«Chiedilo a lui» si scostò per darle modo di vedere il corpo del suo tizio a un
metro da terra, appeso al muro per mezzo della sua stessa spada. «Solo che non
potrà risponderti perché gli ho strappato la lingua come ho fatto con gli
altri» indicò Alexander con un gesto della mano, parlando lentamente e con tono
stanco.
«Nik, non ne avevo idea» Rebekah,
spaventata, saltava con lo sguardo da un uomo all’altro.
«Ma avresti dovuto» Klaus scosse la testa, disgustato dalla puzza del sangue
ormai ristagnato sulle pareti, sulla sua pelle e sui suoi abiti, «La tua unica
famiglia per poco non viene spazzata via a causa della tua stupidità!» soffiò
tra i denti, guardandola mentre lo sguardo della ragazza era puntato al pavimento,
sembrava assente, come se non volesse credere a ciò che era appena accaduto.
«Cosa ti aveva promesso?» Quella domanda frullava in testa al biondo da quando
l’aveva vista stesa su quel letto. Voleva sapere tutto, aveva bisogno di sapere
cos’avesse quel tizio che lui non avesse. Voleva sapere cosa quell’Alexander
poteva darle a differenza sua. Voleva sapere perché lei avesse scelto quel tale
e non lui.
«Niente» Rispose lei, eppure lui non riusciva a crederle. Perché non era
possibile che una ragazza come Rebekah si facesse
abbindolare in quel modo senza una promessa dietro. Lui conosceva la sua Rebekah e sapeva quindi quanto sveglia fosse. Lei non era
come tutte le altre donne.
«Non avrebbe mai agito se non avesse saputo che eri vulnerabile» Perché lei, Rebekah, lo era. Era vulnerabile quanto lui era geloso. E
lui mangiava pane e gelosia ogni giorno. Ed era proprio questo che non
concepiva. Non era arrabbiato perché quel tale avrebbe potuto ucciderli uno per
uno. Era arrabbiato perché lei, dopo un secolo di vita trascorsa fianco a
fianco, aveva scelto un altro al posto suo. Klaus era diventato in poco tempo
la sua seconda scelta, era diventato un normalissimo fratello, al pari di
Elijah, Kol o Finn. «Ti sei
fidata di lui e non di me!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola mentre le
lacrime premevano per uscire, accompagnate da quelle della ragazza che invece
piangeva disperata davanti a lui. E vederla in quello stato gli provocava
sempre una lacerazione al cuore. Non voleva vederla piangere, aveva sempre odiato
vederla in quello stato perché sapeva bene che lei meritava solo la felicità.
Ma era anche tanto egoista da ritenere che la felicità, Rebekah
avrebbe dovuto averla solo con lui. «Cosa ti ha promesso?» domandò nuovamente.
«Niente Nik, te lo giuro» la ragazza parlava tra le
lacrime, mentre la voce di lui si faceva sempre più grossa. Voleva sapere,
aveva bisogno di sapere. Sentiva la forte necessità di capire cos’avesse
quell’altro che invece lui non aveva. Cosa gli mancava per essere un uomo degno
di Rebekah? Perché non lo guardava nello stesso modo
in cui invece guardava quel capellone appeso al muro? La afferrò per le spalle
e la scosse mentre lei continuava a piangere senza proferire alcuna risposta.
La tirò in piedi, continuando a scuoterla, guardandola con rabbia, non
sentendosi neppure se stesso perché lui non l’avrebbe mai presa con la forza,
non l’avrebbe mai trattata come stava facendo in quel momento. Ma la gelosia lo
accecava, faceva prevalere l’animale che c’era in lui, il mostro. «Dimmelo, Rebekah!» urlò ancora, fermandosi dallo scuoterla quando
ormai la ragazza non riusciva più a respirare sopraffatta dalle troppe lacrime.
La guardò, ancora affogata dalle lacrime e il suo cervello si scollegò dal
resto del corpo. Riusciva a vedere solo la sua donna, quella che lui aveva
sempre voluto, piangere per un altro. Per qualcuno che non era lui. E la
possessività lo spinse a un gesto per il quale si sarebbe pentito subito dopo.
Furono la gelosia e la possessività a guidarlo, a fargli posare le labbra su
quelle dolci e bagnate di Rebekah. Riuscì a sentire
il respiro della ragazza mozzarsi a contatto con le sue labbra, bloccato forse
dalla sorpresa o dal disgusto. Stava baciando sua sorella, le loro labbra erano
incollate e immobili, bagnate dalle lacrime di entrambi che continuavano a
scendere lungo le loro guance. I pugni di Rebekah si
aprirono, ancora bloccati dalla stretta di Klaus e si posarono sulla camicia
sporca di sangue di lui. La ragazza chiuse gli occhi così come fece lui,
tenendo ancora le labbra strette e ferme. Riusciva a sentire il suo aroma, il
suo sapore e la barba pungerle la pelle liscia. Rebekah
era scossa non più dalla morte di Alexander –forse solo un po’- ma da quelle
labbra che si muovevano lente e leggere sulle sue. Aveva sempre immaginato -fin
da quando era una ragazzina- quale sapore avrebbero potuto avere, quale avrebbe
potuto essere la loro morbidezza e con quanta gentilezza si sarebbero posate
sulle proprie. Nelle sue fantasie di adolescente, il loro primo bacio avrebbe
avuto luogo in riva al fiume, tra sorrisi e sguardi fugaci. E invece era
accaduto in una stanza piena di cadaveri e sangue, con il suo fidanzato appeso
al muro e la rabbia a sostituire la tenerezza. Eppure la dolcezza di quel bacio
era proprio la stessa che aveva immaginato da ragazzina. Gli circondò il collo
con le braccia quando lui la liberò dalla sua stretta e sorrise nel sentire le
braccia di lui circondarle la vita. La ragazza si disse che avrebbe dovuto
continuare a piangere il fidanzato appena morto, ucciso dallo stesso uomo che
adesso la stava stringendo a sé e la stava baciando con quell’intensa passione
che lei non aveva mai provato. Rebekah era così.
Avrebbe anche potuto avere mille uomini a farle la corte, ma lei ne avrebbe
sempre scelto uno e uno soltanto. Per Alexander provava amore, ma non riusciva
a nutrire fiducia. Lei voleva quella cura. Voleva tornare ad essere umana,
voleva vivere quella vita che suo padre –costringendola a trasformarsi- le
aveva tolto. Magari, una volta tornata umana, avrebbe vissuto con Alexander, lo
avrebbe sposato in quella chiesetta in Brienno come avevano deciso insieme. Pur
di avere quella cura, avrebbe anche lasciato la sua famiglia, ma sapeva anche
che sarebbe tornata un giorno. Non avrebbe potuto vivere senza i suoi fratelli.
O meglio, non avrebbe potuto vivere senza quel fratello che non riusciva a
vedere come tale, vista la situazione che in quel momento li vedeva
protagonisti. C’era un amore più forte di quello che la legava ad Alexander, ed
era quello che nutriva per il suo Nik. Le loro labbra
si muovevano con lentezza quasi estenuante. Si cercavano e si trovavano,
lasciando che le loro lingue impartissero quel gioco che solo loro due
conoscevano. Un bacio dolce che a tratti si faceva intenso, spinto da quel
sentimento tenuto sopito troppo a lungo. Erano entrambi lì, insieme e il resto
sembrava non avere importanza. Anche se Rebekah aveva
un dubbio che doveva essere tolto e solo lui avrebbe potuto aiutarla a fare
chiarezza.
Pose fine al bacio a malincuore e riaprì gli occhi, incontrando lo sguardo
chiaro e magnetico dell’uomo che la teneva ancora stretta e che non aveva
alcuna intenzione di lasciarla andare.
«Perché?» gli domandò quasi senza fiato, sfiorandogli la guancia ispida di
barba con una mano. Non riuscivano a smettere di guardarsi, tanto forte era il
desiderio di restare insieme «Perché ora, Nik? Perché
farlo dopo tutto questo?» fece scorrere lo sguardo lungo la superficie della
stanza illuminata dalle torce, sui corpi ormai senza vita degli amici di
Alexander e proprio su di lui per poi tornare infine a guardare gli occhi
dell’uomo che sin da bambina le aveva catturato il cuore. Le sue mani
continuarono ad accarezzargli il volto, trovando piacevole lo sfregare della
barba contro la sua pelle. Era per certi versi rilassante, una sensazione che
le donava sicurezza poiché stare vicina a Nik era
l’unico modo per sentirsi al sicuro e protetta. Anche quella notte, tra tutti i
suoi fratelli, quello che era corso a salvarla era stato lui. Lo vide abbassare
lo sguardo e schiudere le labbra senza che alcun suono ne uscisse. Sembrava in
difficoltà, imbarazzato, con quell’espressione da bambino che non faceva altro
che intenerirla. Era un uomo lui, un mostro per il resto delle genti, ma per
lei sarebbe rimasto sempre il suo Nik.
«Sono geloso» lo vide rialzare lo sguardo su di lei e annuire, come se stesse
svelando una verità scomoda che nessuno aveva mai udito «lo sono sempre stato»
Klaus aprì una mano sulla schiena della ragazza e l’accarezzò con lentezza,
notando solo in quel momento quanto fossero vicini e l’effetto che gli faceva
vederla in quello stato. Era bellissima, un vero angelo, ma aveva la parte
superiore del vestito completamente slacciata. Ed era anche per questo che la
teneva stretta a sé, per non far cadere l’occhio dove non avrebbe dovuto. «Ti
ho sempre voluta, ti so sempre.. amata» si bloccò, sgranando gli occhi e
sorridendo perché si, una volta tanto poteva anche ammetterlo ad alta voce.
Proprio davanti a lei. «e invece quel tale ha avuto la fortuna più grande che
potrebbe mai capitare a un uomo e ti ha pugnalata. E lui è sul serio.. quella
lingua ha toccato la tua e dovevo strapparla» strinse i denti, strizzando gli
occhi quando si rese conto di ciò che aveva appena ammesso. E lui a tutto
quello, ai sentimenti, non ci era proprio abituato. Riaprì gli occhi solo
quando la mano di Rebekah lo guidò ad alzare la testa
e si accorse che lei stava sorridendo, anche se la tristezza nei suoi occhi era
ben visibile. «Avrei dovuto tagliarli anche le mani, vero?»
Sul viso della si disegnò un sorriso radioso, forse a causa del borbottio da
bambino del suo Nik o forse perché si era appena
risvegliata dal sonno di pseudo-morte e aveva trovato lui ad attenderla. Ed era
ancora stretta tra le sue braccia, il posto che più di tutti considerava casa.
«Va bene così» mormorò lei avvicinandosi nuovamente alle labbra del suo Nik, catturandole con un sorriso senza dargli modo di
continuare a parlare, affondando le mani tra quei riccioli che su di lei
avevano sempre avuto un certo ascendente. Amava toccare quei capelli, avrebbe
passato ogni momento della giornata a districarli e a lasciarseli scorrere tra
le dita. Amava quelle labbra morbide, sicure e dolci al tempo stesso. Amava il
modo in cui incatenavano alla perfezione alle sue e il loro sapore. Amava
quelle braccia forti che continuavano a stringerla e quelle mani che
continuavano ad accarezzarle la schiena. E amava lui, sebbene quel sentimento
fosse sbagliato in quanto il legame di parentela esisteva e non si poteva far
finta di nulla. Aveva amato il Nik umano, quello
buono e gentile con tutti, quello che lei seguiva sempre in giro per il
villaggio e dal quale non si separava mai. E aveva imparato ad amare Klaus, il
vampiro che molte volte agiva senza alcuno scrupolo. Aveva cercato amore in chi
sapeva avrebbe potuto donarglielo, poiché quello che aveva sempre voluto le era
precluso. Lei voleva lui, anche se ciò non era permesso, anche se lui aveva
appena ucciso il suo spasimante. Lei lo voleva, così come lui voleva lei.
«Adesso è tutto perfetto» tornò a posare le labbra su quelle di Klaus, sentendo
con quanta forza lui la stesse stringendo. Forza che non la feriva ma che,
anzi, non faceva altro che farle capire quanto il suo sentimento fosse
ricambiato. E, sebbene fossero circondati da cadaveri e sangue, quel momento
per loro due era davvero perfetto. Simboleggiava l’inizio di qualcosa che
avrebbero vissuto insieme, solo loro due. Qualcosa di grande e epico che nessun
altro, a parte loro, avrebbe mai potuto comprendere.
Questa one-shot è nata alle due di notte grazie alla
mia musa ispiratrice. Se non ci fosse lei non riuscirei mai a scrivere nulla ed
è anche per questo che l’adoro.
Spero che l’incest non vi abbia dato il voltastomaco,
perché in quella scena, quei due non sembravano per nulla due fratelli e Klaus
era davvero tanto geloso. Non capisco ancora come gli autori li tengano come
fratelli. Quei due si amano in un modo davvero difficile da comprendere (anche
per il caratteraccio di Klaus) ma alla fine è palese.
Aspetto i vostri pareri su questa breve storia, con la speranza che vi sia
piaciuto leggerla almeno la metà di quanto sia piaciuto a me scriverla.
Baci, Klabeks_KS