Le parole sono plastiche, come il ferro nel fornace di un fabbro, così gli spiegava. Possono diventare lame affilate e sottili, che non lasciano vie di scampo, la luce purpurea che illumin a giorno il viso del condannato.
E anche soffici, quasi immateriali, delicate come la pelle di un neonato. Ti possono sviare, far credere in cose impossibili, farti amare. Ma soprattutto fanno rivivere. Eventi capitati decenni prima oppure mai avvenuti, imprese gloriose compiute millenni orsono o nella nostra mente.
Tutto. E niente. Tutto può essere creato. Niente può essere distrutto. Hodor ci credeva.
Mia personale versione sull'origine di questo personaggio secondario e spero che il risultato vi piaccia. Personalmente credo che sia una delle mie più belle storie, ma lascio ai lettori l'ardua sentenza.
Buona lettura a tutti!