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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    04/11/2012    2 recensioni
"Piagnucola, Yachiru, stringendo la mano del Capitano e continuando a singhiozzare.
Lui socchiude gli occhi, stringe appena i denti ma non dice nulla, né fa nulla, per il semplice fatto che qualsiasi suo gesto sarebbe sbagliato o inappropriato, per una situazione come questa… per una situazione che lui vive ogni singola notte, portando dentro di sé una ferita che non può cicatrizzarsi come quelle esterne, ma solo rimanere impressa in un cuore che non batte più..."
(Un piccolo pezzetto di quotidianità inespressa di Zaraki e Yachiru, che tuttavia è accompagnata da una presenza alquanto insolita, quanto piacevole)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kusajishi Yachiru, Retsu Unohana, Zaraki Kenpachi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kenpachi's moments'
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Note Autrice:
Questa piccola One-Shot può essere considerata il "continuo" di un'altra che ho scritto da poco e che trovate qui:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1334581&i=1
(Non è necessario averla letta per comprendere questa)


I Was Here


Una luna alta in cielo, quel tanto che basta ad illuminare almeno un poco il distretto più illustre e prestigioso, riservato soltanto ai più nobili e valorosi Shinigami della Soul Society.
Lì, sopra un terrazzo alto di un enorme palazzo, due tazze fumanti si lasciano intravvedere, una posata su di un tavolino appena rialzato e l’altra tenuta premurosamente fra le mani candide di una donna.
«Non pensavo sapeste cucinare così bene, Capitano Zaraki… I miei complimenti.»
Un sorriso dolce compare su quel volto ancora perfetto e dai lineamenti delicati, mentre lo sguardo va a posarsi sulle prelibatezze poggiate sul tavolino: antipasti, almeno dall’aspetto, ma ognuno elaborato in modo particolare e personalizzato.
«Grazie, Capitano Unohana… In effetti non sono in molti a saperlo.»
Asserisce un uomo dal volto segnato dalle battaglie, facendo l’occhiolino alla donna mentre i campanellini posti sulle punte dei capelli scuri tintinnano appena.
Lui è in una posa non troppo formale, una gamba distesa ed una piegata col ginocchio verso l’alto, mentre la capitano della quarta divisione resta inginocchiata con fare formale.
«In tal caso, mi sento onorata!»
Risponde con fare divertito, portando la tazza alle labbra.
«Deve, Capitano Unohana, deve…»
Accenna con un dire meno ruvido del solito, anche se il sorriso resta quello sadico di sempre, mentre le iridi scure sono volte al cielo stellato.
Ma quell’affermazione, quel piccolo accenno di umanità viene colto dalla donna, la quale da sopra il bordo della tazzina da tè ha notato immediatamente quel cambiamento, sorridendo benevolmente.
Zaraki fa un respiro profondo, non ci ha quasi rimesso la faccia per nulla, nell’invitare la donna ad una cena improvvisata, ma il suo orgoglio gli impone di non potersi fermare lì, in quella via di mezzo che non si riesce a comprendere e per questo si volterebbe quasi di scatto verso Retsu, fissandola intensamente, quasi volesse dirle qualcosa quando un pianto di bambino attira la loro attenzione.
«Ueeeee… ueeee… Kennino, voglio la mammaaa…»
Un pianto quasi disperato, di aiuto, proviene dall’interno dell’abitazione e per questo Kenpachi si alza immediatamente, la katana ancora alla vita mentre volge solo un rapido sguardo alla donna ancora inginocchiata con fare distratto.
«Scusatemi un attimo.»
Le dice, per poi sparire rapidamente in una delle stanze dell’appartamento, lasciando il capitano Unohana dispiaciuta e perplessa.
Lui entra senza indugio, senza ripensamenti, e si ferma dinnanzi ad un grande letto rosa nel quale si dispera una bimba dai capelli color confetto: alza le braccine, il volto scoperto dalle lenzuola che lascia evidenti lacrime a formarvi dei solchi.
«Yachiru, tranquilla, ci sono qui io…»
Abbassa la voce, lui non è capace di essere dolce, gentile, premuroso…
Lui non è la mamma che la bimba vorrebbe, non è nemmeno il padre benevolo ed apprensivo di cui forse una creaturina come lei avrebbe bisogno.
Si inginocchia ai piedi del letto e porge la mano alla sua tenera Luogotenente, cosicchè questa possa stringerla con ambedue le proprie e sentirsi più protetta, più al sicuro, mentre quell’unico contatto, quell’unico affetto che ha possa tenerselo stretto, finchè può.
«Ci sono io qui con te… Non avere paura…»
Sussurra, cercando di essere meno grezzo del solito.
Una figura femminile resta sulla porta, la lunga treccia nera che le ricade sul petto ed un’espressione addolorata quanto comprensiva verso ciò che sta vedendo: una bambina piangere ed un uomo, precisamente lo Shinigami più sadico ed aggressivo, che mostra un lievissimo cenno di commozione, di premura.
Lo vede, quel volto solitamente ironico ora serioso, immobile, fermo, come se nulla fosse in grado di distogliere l’attenzione dalla bambina di cui ha cura da così tanti anni.
«Voglio la mamma…»
Piagnucola Yachiru, stringendo la mano del Capitano e continuando a singhiozzare.
Lui socchiude gli occhi, stringe appena i denti ma non dice nulla, né fa nulla, per il semplice fatto che qualsiasi suo gesto sarebbe sbagliato o inappropriato, per una situazione come questa… per una situazione che lui vive ogni singola notte, portando dentro di sé una ferita che non può cicatrizzarsi come quelle esterne, ma solo rimanere impressa in un cuore che non batte più.
«Permettete, Capitano Zaraki?»
Una voce fin troppo dolce richiama la sua attenzione, tanto che apre appena le iridi scure, quel tanto che basta a focalizzare la figura di Retsu a pochi passi da lui, le mani giunte in grembo ed un’espressione premurosa quasi irreale.
Non dice nulla, si alza semplicemente lasciando le mani di Yachiru e si allontana, esce dalla stanza a pugni stretti, senza dire né fare nulla, senza più nemmeno guardare la figura di Unohana che si avvicina al letto, che si siede su di esso e comincia ad accarezzare amorevolmente la testolina rosa della Luogotenente, sussurrando parole che lui non può udire.
Esce, si siede sul terrazzo ed appoggia la schiena alla parete, le gambe e le braccia abbandonate lungo il corpo mentre il volto resta lì, fisso verso il cielo, a contare le stelle per distrarsi, per non pensare, per non mostrare nulla al di fuori di ciò che chiunque conosce di lui.



Una luce quasi accecante batte sul lato Sud dell’edificio bianco, la parete sembra quasi illuminata tanto che solo dopo qualche minuto oltre l’alba le sue iridi scure tornano a vedere, prendendo coscienza di sé.
Scuote il capo con fare irritato, come ogni mattina, i campanellini che tintinnano involontariamente mentre si porta una mano alla testa…
Perché non è nella stanza con Yachiru, accanto al suo letto, come tutte le mattine?
Perché non ha le solite occhiaie per le notti insonni?
Si alza bruscamente, temendo di aver scordato qualcosa di importante, di aver trascurato la bambina anche solo per un istante e si fionda nella stanza, lasciando che solo una tiepida luce penetri dalle finestre e dalle relative tendine, esclusivamente rosate.
Uno stupore che dura pochi attimi, almeno sino a quando non si vede costretto ad appoggiarsi allo stipite della porta, mentre il solito sorriso ironico si tramuta in uno quasi normale, da creatura che non sa solo combattere: lì, davanti ai suoi occhi impassibili, c’è la figura di Yachiru amorevolmente protetta dalle braccia di una donna, di un mantello bianco da Capitano e da un calore materno che, probabilmente, nemmeno lui ricordava esistesse.
Le osserva, la Luogotenente tra le braccia di Unohana, anch’ella piacevolmente addormentata: sorridono, semplicemente sorridono.

Ma si lascia intenerire solo per qualche attimo, il tempo di imprimere nella mente –ma soprattutto nel cuore- qualcosa che probabilmente non vedrà mai più.
Si avvicina rapidamente al letto e prende la bambina per un piede, tenendola a testa in giù in alto ed osservandola col solito sorriso sadico ed ironico, mentre l’altra mano è tenuta orgogliosamente su un fianco.
«Allora, Yachiru, hai dormito abbastanza!»
Le dice in tono divertito, tanto che persino la donna prima addormentata si sveglia di soprassalto, sbattendo più volte le palpebre per cercare di comprendere cosa sia accaduto.
«Ma… Capitano Zaraki, le sembra questo il modo di- »
«Oggi vinco io Kenninoooooo!»
E con grande sorpresa della capitano, la bimba non sembra spaventata, anzi!
Darebbe un morso al braccio dell’uomo, così da liberarsi e si fionderebbe in un’altra stanza, probabilmente la cucina, con un sorrisone a trentasei denti e le lacrime della sera prima scomparse in un attimo.
Sì, questa è la loro quotidianità.
«Capitano Zaraki…»
Cerca di domandare il capitano della quarta, ancora un poco sconvolta.
«Mi scusi, Capitano Unohana, ma se non mi sbrigo quella si mangia tutti i miei biscotti! E io non ho sempre tempo di cucinarne.»
Asserisce lui con un sorriso ampio e sadico, divertito, ironico, mentre le volta le spalle e si avvicina alla medesima porta prima aperta dalla rosa.
Qualche attimo prima di scomparire, tuttavia, si ferma sullo stipite, lanciando un’occhiata con la coda dell’occhio dietro di sé.
«Retsu…»
Le iridi di un blu intenso della donna si posano su di lui, mentre lentamente scende dall’ampio letto.
«Grazie.»
E detto questo scompare dietro la porta, ma non prima di essersi beato anche solo per un istante di quel sorriso generoso e premuroso di chi, oltre alla dolcezza, non sa donare altro che l’affetto.


 
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