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Autore: nightswimming    05/11/2012    11 recensioni
John e Sherlock disquisiscono del film preferito della madre di John.
Warning: ridarella, comparsata di Ingrid Bergman e Anthony Perkins e, ah sì, John beve del whisky.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: all hail to Moffat and Gatiss e le loro splendide, graziose creature. Troverò un giorno il modo di far fruttare la mia ossessione per Sherlock, ma ahimè, quel giorno non è oggi, perciò tutto questo è stato compiuto aggratis. Scrivo perché mi piace violentare le trame dei film anni ’50  scrivere, semplicemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“John, ti piace Brahms?” chiese, con quella voce talmente profonda da dargli quasi le vertigini.

John  rise. Sherlock interruppe la volata che l’archetto stava per compiere sul violino e alzò interrogativamente un sopracciglio.

L’altro pensò che persino gli aborti dei suoi movimenti erano pieni di innata eleganza.

“Cosa c’è?” chiese svelto Sherlock.

“No, niente.” Il dottore scosse la testa, sistemando meglio la schiena sulla poltrona. “Era… Hai citato inconsapevolmente un film.” Fece un’altra risatina. “E il personaggio non ti si addiceva, diciamo.”

“Che film?” chiese distrattamente il detective. La serata era calma, morbida – crepitava soffusa intorno a loro come il fuoco acceso nel camino. John stava bevendo un bicchiere di whisky per conciliarsi il sonno dopo una stancante giornata in ambulatorio; Sherlock giocherellava inquieto col violino, pizzicandolo con le dita, sistemandoselo meglio sulla spalla, posandolo sulla poltrona, riprendendolo in mano con uno sbuffo.

“Il preferito di mia mamma” rispose John, facendo tintinnare il ghiaccio nel bicchiere con un pigro movimento del polso. “Con Ingrid Bergman e Anthony Perkins.” Sollevò lo sguardo sull’amico: sembrava non ascoltarlo, ma ormai lo conosceva abbastanza bene per capire che Sherlock lo ascoltava sempre, seppure a suo modo. “Un ragazzo di vent’anni si innamora di una donna di quaranta, ma lei è ancora legata al suo compagno, che ha la sua età. Lui comunque non si dà per vinto e continua a corteggiarla. In una scena, le chiede se le piace Brahms, per poi invitarla fuori a sentire un concerto.”

“Finora, suona di un sentimentalismo ributtante.”

“Proprio così.” John rise ancora. Sherlock contò le piccole rughe che gli si formarono attorno agli occhi: nove. Aumentavano di mese in mese. “Io la prendevo sempre in giro. É il classico film fatto per chi si strugge annusando l’acqua di colonia.”

Sherlock sorrise sovrappensiero. “E tu hai pensato a me.” Si lanciò in una trillante, vivace sequenza di acuti. “Bizzarra associazione mentale.”

John fece spallucce.

“Hai pronunciato l’esatta battuta di lui, tutto qui. Non c’è bisogno di esibire quel poco che sai di psicanalisi.”

“Ha parlato Jung.”

“Chi, il centravanti del Tottenham?”

Ridacchiarono. Fuori, la pioggia cominciò a picchiettare contro i vetri.

John chiuse gli occhi e si stiracchiò nella poltrona.

“Come finisce?”

Lo vide riaprire gli occhi di scatto, sorpreso, un po’ insonnolito.

“Eh?”

“Come finisce?” ripetè spazientito Sherlock, guardandolo con una serietà che il dottore giudicò eccessiva.

“Beh… Male, immagino.” John si strofinò gli occhi e sbadigliò. “Lei-” Altro sbadiglio. “Lei lo frequenta per un po’, ma poi lo lascia per sposare il compagno fedifrago.”

“Perché?”

“Per dar modo alle signore di annaffiare i propri fazzolettini di pizzo, immagino.”

Sherlock alzò gli occhi al cielo, ma con una smorfia di rassegnazione quasi affettuosa da tanto  era collaudata.

“Perché?” ripetè, il violino immobile sulla sua spalla come un disciplinatissimo pappagallo.

John rise di fronte a quell’immagine mentale e Sherlock emise una sorta di nitrito.

“Sei irritante stasera, John. Piantala di bere.” disse petulante.

Il dottore gli rivolse uno sguardo furbo.

“Sta’ calmo. Se ti agiti così ti scucirai la vestaglia.”

John.

“Lei lo lascia perché si crede troppo vecchia per lui. Perché pensa che non sarà mai in grado di offrirgli niente.” Alzò teatralmente le braccia sopra la testa. “Contento?”

Sherlock, dopo una breve pausa, riprese a suonare.

“Perché mai dovrei esserlo? È tutto così stupido.”

“Mia madre lo trovava tragico.”

“E per quale motivo?”

“Perché era convintissima che loro due si amassero davvero. Che si fossero creati da soli degli ostacoli per non restare insieme, perché la storia sarebbe stata complicata, inusuale, e le persone li avrebbe guardati con diffidenza, e loro erano già abbastanza anticonformisti da soli.” Finì il bicchiere di whisky con un’ultima energica sorsata. “Perché l’unico, reale problema era che avevano paura.”

“Una. Vera. Tragedia.” sillabò sarcastico il detective, accennando qualcosa di Paganini che John non seppe riconoscere esattamente.

John fece una smorfia con le labbra. Gli era venuto un sapore amaro in bocca. Si disse che era colpa del whisky bevuto troppo in fretta; doveva essergli andato di traverso.

“Se ti canticchio la melodia principale del film, me la sai rifare?” chiese senza quasi rendersene conto.

Sherlock si interruppe bruscamente e irrigidì le spalle.

“Non sono una scimmia ammaestrata.” ribattè sinceramente indignato.

“Sta’ zitto e ascolta, che già sono stonato e non te la renderò facile.” rispose John con un ghigno.

“Fa così, se non ricordo male: tananaaaaa, na na na. Tananaaaaa, na na na.” Si interruppe con un sorriso entusiasta sulle labbra non appena Sherlock indovinò il motivo e prese a suonare coprendo la sua voce. “Esatto, questo qui! Bravo!”

“Grazie a Dio ho indovinato al primo tentativo. Canti con il timbro e la verve di un gabbiano in agonia.” Ma gli stava sorridendo in risposta.

Smisero di parlare per un paio di minuti, durante i quali Sherlock suonò per John e il dottore pensò a sua madre, al vecchio televisore del suo salotto, ai vinili della Motown che comprava ogni settimana spendendo tutti i soldi della paghetta. A Harry.

Alla paura che provava da mesi, e che non aveva niente a che fare con il bisogno di adrenalina. Quella paura che era capace soltanto di paralizzarlo, di impedirgli di parlare, di… dire cose, non sapeva neanche bene esattamente quali cose. Quella paura che si limitava a costringerlo ad ascoltare Sherlock, senza lasciargli esprimere quanto quelle attenzioni e quell’affetto impliciti stessero cominciando a non bastargli più.

“Quindi,” disse infine Sherlock, “il ragazzo le chiede se le piace Brahms.”

John fece un sorriso più debole di quanto avesse voluto.

“Esatto.”

“E lei dice di sì.”

“Sì. Le piaceva già quando era adolescente.”

“E dunque lui la porta a sentire Brahms.”

“Proprio così.”

“E-”

“-e riesce a convincerla a dargli una possibilità.”

 “Anche se sono così… Difficilmente compatibili, per forza di cose.”

“Già.”

Sherlock fece una breve pausa.

“La deve amare davvero molto.” tentò, lievemente incerto. I tormenti e le contraddizioni dell’amore non erano certo il suo campo.

John lo guardò fisso negli occhi.

“La adora.” disse, calmo, ma fermissimo. “Pensa di non essere mai stato innamorato sul serio, prima di averla conosciuta.”

Sherlock abbassò in fretta lo sguardo sull’archetto, facendo mostra di esaminarlo con estrema attenzione alla luce del fuoco.

“Ma alla fine lei lo lascia, anche se lui la ama, pur amandolo lei stessa. Perché crede che siano condannati.”

“Sì.” John esibì un’espressione fintamente ammirata. “Caspita, Sherlock. Per uno che dice di non capire nulla di sentimenti, sei piuttosto ferrato su queste logiche malate.”

Sherlock strinse le labbra in una piega dura.

“Si tratta di finzione. Ho soltanto ipotizzato lo scenario più lacrimevole e maggiormente adatto a far cadere in deliquio il pubblico femminile. È semplice studio sociol-”

John si alzò improvvisamente in piedi, sorprendendo entrambi.

“Perché fai così?” sibilò, duro, irritato, terribilmente stufo di quell’atteggiamento. Sociopatico ad alta funzionalità? Freddo? Insensibile? Mostro? Basta, aveva chiuso con queste stronzate. “Perché fai finta di non capire? Tu capisci benissimo.”

“Io deduco-”

“Queste cose non si deducono, Sherlock. Si sentono. Si conoscono istintivamente.” Si leccò le labbra. “Si sanno.”

Sherlock deglutì, alzando il mento per sostenere il suo sguardo.

“Mai con assoluta certezza.” replicò, lento.

John stette a fissarlo senza parlare, i pugni chiusi lungo i fianchi.

“Lui ci prova fino alla fine, sai? Nel film. Non si arrende mai. Lei lo deve cacciare di casa, per convincerlo a lasciarla.”

Gli occhi di entrambi corsero automaticamente alla porta.

Sherlock non battè neanche le ciglia per i successivi dieci secondi, immobile, fisso come una statua. John riprese fiato e continuò.

“Sai cosa mi faceva andare in bestia di quel film, Sherlock? Sai perché lo detestavo? Perché era profondamente ingiusto. Perchè lei decideva per entrambi. Era lei che era convinta che non sarebbe durata, che la minima difficoltà avrebbe distrutto tutto. Lui non ha mai fatto altro che dimostrarle il contrario, e quell’idiota-

“Non è un’idiota, John, è una persona razionale. Si rende conto che lui avrebbe presto sentito il bisogno di cose che lei non poteva dargli… Certezze, una vita equilibrata, fra pari, magari anche dei figli, maledizione. Evita una sofferenza gratuita a entrambi.”

“Come fai a saperlo?” sbottò John, puntandogli un dito contro.  Stava urlando senza nemmeno accorgersene. “Non l’hai neanche visto, il film! Perché dici questo? Da dove diavolo viene fuori?”

Sherlock persistette a rimanere immobile: ora sembrava completamente sbigottito.

Deglutì di nuovo. John si obbligò a calmarsi, a prendere dei lunghi respiri, ma si rese conto che era quasi impossibile. Ormai tutto sembrava diventato inarrestabile.

“Io…” Si interruppe. Per una volta nella vita, non sapeva cosa dire.

“Tu cosa? Non sei fuori tempo massimo, Sherlock. Non… Non abbiamo mai nemmeno iniziato.” Gli si avvicinò, posandogli le mani sulle guance, tenendolo fermo nella sua stretta. Aveva la costante paura che un giorno sarebbe scomparso, sarebbe scappato via – era un terrore che lo teneva sveglio la notte.

Sherlock divenne improvvisamente rigido per l’inatteso contatto fisico, e gli occhi gli si fecero lucidi, incapaci di sostenere il suo sguardo, distanti.

“Ti stancheresti, John.” sussurrò piano, senza la solita forza che le sue affermazioni portavano con sé. John strinse le labbra e scosse ostinatamente la testa. “Ti stancheresti, perché non hai idea di quello che ti chiederei.”

“No. Tu te ne stai convincendo da solo, perché hai paura. Ma io non ne ho. Non più.” Fece una scivolare una mano lungo il collo, sulla nuca, attirandolo ancora più vicino a sé. “So quello che voglio.”

“Lo sai ora.”

“Sono una persona dalle poche ma incrollabili certezze. Credevo che ormai l’avessi capito.”

Tentò di baciarlo, ma Sherlock voltò la testa.

“Non vuoi comprendere.” sussurrò, la voce tesa, amara. “Non sono vecchio, ma-”

“Se è per questo, non sei nemmeno Ingrid Bergman.”

Sherlock non rise.

“-ma sono comunque merce avariata, per quanto riguarda le relazioni.”

La presa di John sui suoi zigomi aumentò e Sherlock ebbe per un attimo paura. Non gli aveva mai visto quell’espressione, quella luce negli occhi, quella tensione nel collo. Quell’abnegazione assoluta che affondava le sue radici nel coraggio di combattere per quello in cui credeva.

“Non dirlo,” sussurrò John sulla sua bocca, ed era di nuovo il soldato, il capitano, l’uomo militare: quello era un ordine. “Non dirlo mai.”

Le sue labbra erano caldissime, ruvide, decise; e così dolci. Sherlock era stato raramente trattato con dolcezza, nella sua vita, ma fu certo di riconoscerla in quel bacio. Si sentì meritevole di quell’adorazione, di quella reverenza, di quel desiderio, e gli parve che quelle cose gli fossero state destinate da sempre, ma che avesse dovuto aspettarle a lungo. E quella sensazione era il più grande regalo che John potessi fargli.

Aveva il diritto di essere felice. Gliene era stata data la possibilità, e il vero sopruso sarebbe stato non coglierla.

John stava ridacchiando, raggiante, euforico, posandogli piccoli baci sul collo.

“Ascoltami bene,” gli sussurrò sulla pelle sensibile poco sotto il suo pomo d’Adamo, “basto già io con le mie paranoie sull’essere banale e ordinario, paragonato a te. Non mettertici anche tu.” Lo tirò a sé, lo abbracciò, se lo tenne stretto. “Prenditi quello che vuoi e non tirare in ballo inutili scrupoli morali. Non te li sei mai fatti, devi cominciare proprio ora?”

Sherlock chiuse gli occhi e affondò le dita nelle sue spalle, appoggiando una guancia alla sua camicia.

“Se essermeli fatti mi sta davvero portando ad averti, e a continuare ad averti, giuro che comincerò persino a rispondere agli auguri di Natale.”

John rise, e Sherlock riuscì a sentire ogni sobbalzo, ogni veloce inspirazione, ogni più piccolo suono; a quella distanza praticamente nulla, gli riverberavano addosso. Era straordinario.

“Non è possibile, io Brahms lo detesto” mormorò il detective, spiazzato, stordito, incredulo, e più a sé stesso che all’altro - ma di nuovo, erano vicini, così vicini, e John avvertiva tutto di lui come era vero il contrario , e-

“Quanto era stupido quel film, di tutti i modi in cui avrei voluto affrontare il discorso, Dio, io proprio non so-”

Ridevano abbracciati, ridevano senza riuscire a fermarsi, e Sherlock era terrorizzato da quel delirio sconosciuto, e John tremava, ma era come essere fatti unicamente di cellule vive e immortali, era una sensazione quasi magica di invincibilità, era ciò che esisteva di quanto più rischioso per entrambi, e, Dio, non avevano mai sentito così tanto.

Resistervi era praticamente impossibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice: io vorrei scrivere soltanto “non chiedete, vi prego” ma sarebbe una via di fuga troppo semplice, perciò… Non chiedete, vi prego. XDDD

Non so cosa dire, tranne che ho rivisto da poco il film in questione (che si chiama, per l’appunto, “Le piace Brahms?”) e i livelli di angst delle problematiche che tenevano separati i due protagonisti mi sembravano molto simili a quelli del Johnlock, per cui Sherlock si tramuta magicamente in Ingrid Bergman mi sono lasciata andare alla follia e questo è il risultato. È tutto ciò che io cerco di non essere nelle Johnlock – OOC, sdolcinata, OOC, melensa, OOC, OOC, OOC… – ma per quanto ci abbia provato non sono riuscita a cambiare una riga.

Io ve la offro come un esperimento bislacco, che comunque mi sono divertita molto a scrivere.

(Perché seriously, Ingridbergman!Sherlock?)

(Anthonyperkins!John?)

(I ship it like Fedex.)

(E anche mamma Watson.)

P.S. L’unica cosa che si salva di queta storia è probabilmente la colonna sonora del film, che potete trovare qui: http://www.youtube.com/watch?v=TMFn8UYjTa0&list=FL6IUu8QUj0nlbWrb9DpxL_A&index=2&feature=plpp_video

   
 
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