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Autore: Narcis    05/11/2012    7 recensioni
[ Joker - Harley Quinn ]
Si avvicina ancora, e ancora, e ancora, ed io non posso fare niente se non tremare e tenere la testa bassa, implorando con lo sguardo il pavimento affinché mi risucchi e mi inghiottisca a partire dai piedi, fino a farmi sprofondare giù, in un baratro buio che di sicuro sarebbe più piacevole di questa tortura.
Ma cosa farei senza il mio amato Puddin’?
« La cagna cattiva… deve essere punita! »
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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« Harleen Quinzel, ci sei? »
 
 
 
 
 
 
Stavolta desidero davvero che si allontani da me.
Ed è buffo come, invece, lo vedo avvicinarsi, quasi prendendosi gioco della mia stessa occulta volontà, stringendo in una mano il coltello già macchiato di sangue fresco e scarlatto, che di certo non appartiene a lui. Come tutte le volte.
 
 
Ti prego, vattene via…
Lasciami sola.
Potrei scappare, scivolare velocemente via dalla parete, aprire la porta e correre lontano, ma non lo faccio.
Dove potrei andare? Cosa potrei fare?
Ma non è solo questo.
 
La verità, la tremenda e scomoda verità che mi fa rimanere qui con la schiena inchiodata al muro è che io lo amo da impazzire, e non potrei mai fuggire da lui.
Mai.
Mai.
MAI.
 
 
 
 
 
 
« Ho detto “ci sei?”. Sei sorda oltre che stupida, adesso? »
 
 
 
 
 
 
Lui ghigna; non sarebbe una novità se non fosse per quella punta velata di rabbia nel suo sorriso, pronta ad esplodere da un momento all’altro.
Non è facile capire cosa gli passa per la testa, perfino io che sto con lui da tempo non sono capace a comprenderlo.
Ciò a cui ho fatto l’abitudine, in compenso, sono le botte, i lividi e i tagli che mi procura quasi tutti i giorni.
 
Si avvicina ancora, e ancora, e ancora, ed io non posso fare niente se non tremare e tenere la testa bassa, implorando con lo sguardo il pavimento affinché mi risucchi e mi inghiottisca a partire dai piedi, fino a farmi sprofondare giù, in un baratro buio che di sicuro sarebbe più piacevole di questa tortura.
 
 
Ma cosa farei senza il mio amato Puddin’?
 
 
 
 
 
 
 
« Stupida, stupida, stupida! »
 
 
 
 
 
 
Il suo tono di voce si fa sempre più forte e gravoso mentre con la mano libera mi afferra una coda bionda scoperta prima dal copricapo da lui stesso. Tira, abbastanza violentemente da costringermi a piegarmi di lato. Mi addento a sangue il labbro inferiore e strizzo gli occhi, ingoiando quelle urla disperate che mi uscirebbero indiscretamente fuori dalla bocca assordando le orecchie di Mr. J con implorazioni e suppliche assolutamente fuori luogo ed incontrollate.
Mi strattona il ciuffo di capelli nello stesso modo in cui un bambino tira a sé un giocattolo trattenuto da qualcuno, o un ospite impaziente prende ed agita la cordicina d’una campanella in attesa che il proprietario di casa gli apra la porta.
 
Non faccio resistenza, non faccio nulla.
Serro maggiormente le palpebre, tentando in tutti i vani modi di trattenere le lacrime, nonostante un paio scivolino via dal mio controllo.
 
 
 
 
 
 
« Non si fa… hai capito?
Potresti essere meno stupida… di quello che sei? »
 
 
 
 
 
 
Lo sento borbottare, mi pare che gli scappi anche una mezza risata, come se lui stesso si fosse reso conto dell’assurdità appena detta.
 

Forse… forse ha ragione.
Sono stupida.
E’ sempre colpa mia di tutto…?
 
 
 
 
 
 
 
« La cagna cattiva… deve essere punita! »
 
 
 
 
 
 
Il suo tono adesso è più serio, il mio cuore perde un battito.
Non voglio guardarlo negli occhi, non ne ho il coraggio; ma lui mi lascia i capelli e con uno spintone mi obbliga a raddrizzarmi, nuovamente con le spalle al muro, incapace di qualsiasi mossa se non quella di accettare di buon grado ogni accusa, ogni pena, ogni condanna da quel capo; quel capo padrone di me, del mio corpo, della mia mente e del mio cuore.
Mi afferra in malo modo il mento, costringendomi ad alzare il viso e ad incrociare, sebbene solo per qualche istante, i miei occhi lucidi, imploranti, con i suoi, vitrei, trasudanti di fascino e malvagità, frutto di una persona non in grado di esprimere quello che ha dentro; di un bambino maltrattato da un padre pazzo e sadico, che io ho conosciuto grazie a lui, ed è forse questa celata ed acerba sensibilità che mi ha fatto perdere la testa per lui.
 
 
Perché io so che tu hai dei sentimenti.
Io so che sei fragile, sotto sotto.
E lo sai anche tu, vero Puddin’?
Vero?
 
 
Ed è a causa di questi pensieri e non tanto più per il dolore se adesso altre lacrime rotolano giù dai miei occhi come tante biglie di vetro, frantumandosi a terra subito dopo.
 
Mi obbliga a girare la testa di lato, sempre tenendomi parte del viso con la mano. Sento la parete gelida e malridotta a contatto con la mia guancia, accaldata dal pianto e dall’ansia del momento.
 
 
 
 
 
 
« Ahh…
Facciamo che oggi sono buono, va bene dolcezza? »
 
 
 
 
 
 
La sua pare una domanda, ma io non so se rispondere. Rantolo, provo ad annuire ma i miei movimenti sono impediti, perfino quelli col capo.
Mi tiene fermo il viso con una mano, lo sento muoversi con l’altra.
Intravedo di sbieco la lama del coltello impregnata del mio sangue e rabbrividisco tutta. La ferita sul braccio destro che mi ha già procurato la sento bruciare più di prima, alimentata dal ricordo di quegli attimi di puro dolore passati.
 
La punta gelida della lama preme sulla mia guancia e già prevengo un grido, che si intensifica non appena il coltello affonda sul mio viso, sotto l’occhio, ed a quel punto urlo, urlo, urlo forte, disperatamente. L’utensile fermo e freddo solca la mia pelle, taglia la mia carne, lascia sgorgare il sangue caldo che sento scorrere sulla mia gota, insieme alla lama che prosegue lentamente, dolorosamente, facendosi strada sul mio volto.
 
Ed è come se anche il mio cuore venisse affettato, come ogni volta, come ogni giorno, come sempre.
Come ogni istante che passo con lui.
 
 
Sento le mie stesse viscere contorcersi per il dolore al posto mio, visto che io sono immobilizzata dal terrore e dalla consapevolezza che, se provassi a muovermi, farei un torto all’amore della mia vita, cosa che non mi sognerei mai di fare nemmeno se potesse salvarmi l’esistenza.
 
 
Le lacrime continuano a sgorgare, la lama continua a solcare, a tagliare, a farsi strada tra sangue, pelle, carne, sentimenti, e chi più ne ha più ne metta. Il rumore sciacquettante del liquido scarlatto che scivola via dal mio viso per cadere in abbondanza al suolo funge da melodia accompagnatrice nell’ennesimo atto punitivo del mio padrone, di cui non voglio minimamente constatare l’espressione stampata sulla faccia, compiaciuta o rigida che sia.
 
 
Voglio che finisca tutto questo.
Perché io? Perché a me? Perché deve sempre essere così?
 
 
 
 
 
 
 
« …Ecco fatto. »
 
 
 
 
 
 
La lama viene tirata fuori violentemente dalla mia carne, ed io lancio l’ennesimo grido di dolore.
Mr. J si allontana di due passi da me ed io scivolo lungo la parete, premendo con entrambe le mani la ferita profonda ed ampia sulla guancia tentando di alleviare il dolore mentre finisco a terra, quasi in mezzo alla piccola pozza di sangue creatasi fino ad adesso.
Non riesco ad alzare lo sguardo su di lui, non ce la faccio.
Fa troppo male.
Fa troppo male tutto.
 
 
 
 
 
 
« Adesso sei sempre stupida, ma almeno sei più bella.
Hai visto quanto ci tengo a te? »
 
 
 
 
 
 
Le sue parole vengono seguite dal rumore metallico del coltello lasciato cadere a terra.
Continuo a piangere, ora più silenziosamente, cercando di soffocare la sofferenza mentre lui, con tutta la tranquillità del mondo, si allontana da me. Sento aprire una porta, poi la sento sbattere.
 
Rimango rannicchiata su me stessa, gemendo a bassa voce, vergognandomi perfino di me stessa.
Adocchio il coltello. E’ sporco parzialmente di sangue, ci sono strisce meno scarlatte su di esso, segno che Mr. J l’ha leccato più e più volte, catturando ed assaporando il mio sangue come se fosse nettare vitale.
 
Non so per quale motivo io lo faccia, ma adesso stacco lentamente le mani tremanti dalla mia guancia, mugolando ancora per il dolore. E’ come se un incendio stesse divampando sul mio viso, in particolare sulla parte di volto attentata.
Allungo lentamente un braccio in avanti, afferro il manico del coltello e me lo porto vicino, in modo da potermi riflettere il volto sulla lama, in particolare laddove grava il dolore.
Nel metallo opaco e sporco dell’utensile intravedo la mia guancia violata, ricoperta quasi interamente di sangue. In mezzo ad essa troneggia indelebile il profondo taglio infieritomi da Joker, dalla familiare forma di un cuore stilizzato, di quelli disegnati dai bambini, che sgorga ancora sangue, che va a macchiare ulteriormente i miei vestiti.
 
 
Io lo sapevo.
Oh sì che lo sapevo.
 
 
Lo sapevo che mi amava.
 
 
Vedete? Vedete come è dolce?
Non solo mi fa vedere i miei sbagli, ma mi dimostra anche quanto lui tenga a me.
Ieri mi ha punito perché sono passata prima di lui da una porta, oggi mi punisce perché ho sbuffato mentre mi dava ordini, domani mi punirà perché sarò inciampata nel bel mezzo di una rapina.
Sono tutti errori che non dovrei fare ma che invece faccio, e che lui giustamente mi fa notare.
 
 
Sorrido.
Sorrido perché sono felice.
Rido, addirittura.
Sono felice che lui mi ami, che ci tenga così tanto a me, che mi faccia vedere i miei errori.
Anche se le lacrime non si fermano per qualche strano motivo, io continuo a ridere e sorridere, alzando gli occhi adombrati e macchiati dal trucco sciolto al soffitto, immaginandomi di guardare oltre, verso il cielo, che ringrazio innumerevoli volte per avermi fatto incontrare un uomo fantastico come lui.
 
 
La ferita a forma di cuore sulla guancia brucia terribilmente, ma non me la pulirò, né me la disinfetterò.
E’ il prezzo giusto da pagare per essermi innamorata di un uomo troppo meraviglioso per me.
  
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