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Autore: PapySanzo89    06/11/2012    6 recensioni
«Ti ho detto più volte come la penso e lo sai quanto io detesti ripetermi, ma: non capisco come tu possa pensare di essere una persona… sostituibile; quando nessun altro al mondo ha avuto la pazienza di starmi ad ascoltare per più di cinque minuti se non era strettamente necessario. Tu invece mi ascolti, tenti di avere dei dialoghi e, diciamocelo, chi sparerebbe per difendere qualcuno conosciuto neanche ventiquattr'ore prima? Sei una buona persona John, la migliore che conosco, in effetti. E non ti…» si fermò facendo vorticare la mano in aria spostando lo sguardo da un’altra parte «…sì insomma, quella cosa lì…» Sherlock e i sentimenti: due mondi opposti...
Genere: Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi non miei, non lucro, tranquille. XD
Ringraziamenti: Grazie a Mari per avermi betato la fic *__* Ringraziamenti corti… meglio così *_*
 
 
 
 
John era rincasato alle due e mezza di mattina –perché era rincasato così tardi? Non se lo ricordava-, entrando a passo sostenuto nel soggiorno. Aveva voglia di vedere Sherlock.
Il detective però sembrava non essere in casa. Dov’era a quell’ora? Salì le scale per andare in camera a vedere se si fosse magari appisolato lì. Vuota anche quella.
Tornò in soggiorno già in pigiama, non si ricordava nemmeno come si era messo quello. Doveva essere decisamente brillo.
Entrò in camera del consulente investigativo senza troppe cerimonie e, alzando le coperte, si buttò sul materasso, coprendosi subito. Faceva freddo.
Strinse quello che una volta era il cuscino di Sherlock –da quando dormivano insieme quella stanza era praticamente abbandonata-, respirando il fievole odore del compagno che c’era rimasto sopra.
Non si accorse quando Sherlock entrò in camera, ma lo sentì mentre alzava le coperte e gli si avvicinava, abbracciandolo da dietro.
«Che ci fai qui?» gli chiese strofinando il naso alla base del collo.
«Non eri in casa…» fece una piccola pausa, «E mi mancavi.»
Non poteva vederlo ma sapeva che Sherlock stava sorridendo.
«Questo non risponde alla mia domanda, comunque. Cosa ci fai qui?»
John finalmente decise di voltarsi e guardare il detective negli occhi.
«Ho pensato di starmene un po’ in camera tua. Siccome non c’eri, e avevo voglia di vederti, sono venuto a…» si fermò di nuovo «No, decisamente non ti dirò a far cosa.»
Ma Sherlock Holmes era Sherlock Holmes, e stavolta John lo vide sorridere. «Saresti dovuto andare in camera nostra per una cosa del genere. Qui ormai vengo solo a prendere i vestiti.»
Il medico si ritrovò a scrollare le spalle e a sorridere (ancora e ancora e ogni volta che capitava che il detective si riferisse a qualsiasi cosa come a qualcosa di “loro”) all’aggettivo nostra.
Doveva ammettere che più volte aveva pensato di essere una persona sostituibile per Sherlock, si sentiva inadeguato in molte cose e carente in altre, in fin dei conti, se in passato Sherlock era andato avanti senza di lui, avrebbe potuto farlo anche adesso.
 Una volta, mentre stavano litigando, glielo aveva urlato contro e l’altro era semplicemente rimasto a fissarlo sconcertato.
Poi, Sherlock, aveva preso un bel respiro profondo e gli aveva risposto.
«Vorrei farti notare che, tra i due, quello più sostituibile sarei io, dal momento che ho –secondo uno stranissimo luogo comune- più difetti che pregi e che anche tu hai avuto una vita prima, cosa oltretutto ovvia, non credi?» John era rimasto a fissarlo per un attimo, e quando stava per aprir bocca il detective lo fermò, continuando a parlare. «Ti ho detto più volte come la penso e lo sai quanto io detesti ripetermi, ma: non capisco come tu possa pensare di essere una persona… sostituibile; quando nessun altro al mondo ha avuto la pazienza di starmi ad ascoltare per più di cinque minuti se non era strettamente necessario. Tu invece mi ascolti, tenti di avere dei dialoghi e, diciamocelo, chi sparerebbe per difendere qualcuno conosciuto neanche ventiquattr'ore prima? Sei una buona persona John, la migliore che conosco, in effetti. E non ti…» si fermò facendo vorticare la mano in aria spostando lo sguardo da un’altra parte «…sì insomma, quella cosa lì…» Sherlock e i sentimenti: due mondi opposti, «... solo perché mi stai ad ascoltare o mi sopporti. Ma per il tuo essere semplicemente te.»
Dopo la conclusione rimasero qualche secondo in silenzio a guardarsi e John lo abbracciò dimenticando il perché della litigata precedente. Sicuramente qualcosa di inutile.
«Alle volte dici delle cose proprio belle.»
Il detective sbuffò.
«Non confonderti John: io non dico cose belle, dico solo le cose come stanno, lo sai. Sono due cose molto diverse.»
Si erano sorrisi e John aveva preparato del the.
 
Il dottore fu riportato al presente da una mano di Sherlock: era stranamente fredda.
«Dovresti tornare a dormire di sopra John, stare qui è inutile. Non si risolve niente.»
Nuovo scrollamento di spalle, ormai erano lì, tanto valeva restarci, poi il letto era finalmente diventato caldo.
«Domani Sherlock. Ora non ne ho voglia.» si sistemò per bene e chiuse gli occhi.
Tentennamento. «John?»
Il medico sorrise sospirando e riaprì gli occhi per guardare l’altro.
«Dimmi…»
Sorriso triste. «Ti amo. Tanto.»
E John lì capiva che non era vero. Che era tutto fasullo. Perché in tanti mesi di relazione, quelle parole che avrebbe tanto voluto sentire, Sherlock non gliele aveva mai dette.
Si svegliò come al solito: con una fitta al cuore, gli occhi spalancati verso il nulla di una camera buia, stringendo forte un cuscino. Si risvegliava sempre nello stesso momento, sembrava quasi che lo Sherlock che sognava volesse farlo svegliare e dirgli qualcosa.
Iniziò a respirare velocemente, tossendo per la gola secca e sbattendo un pugno contro il materasso soffice.
Si trovava in camera di Sherlock.
La stanza, silenziosa come ogni notte, era avvolta dall’oscurità, nessuna tapparella alzata, niente che facesse entrare il minimo bagliore: era rimasta come quando lui l’aveva lasciata.
Tornò con il viso sul cuscino nel tentativo di calmarsi e darsi pace. L’odore: gli serviva un po’ di quel profumo per farlo calmare.
Tutto d’un tratto, come un fulmine a ciel sereno, la loro camera era tornata ad essere la sua camera, e niente, a parte i ricordi, faceva intuire che di lì fosse passato Sherlock. Così John aveva iniziato a dormire in camera del detective, stando tra le sue cose, toccandole, alle volte indossandole (anche se poteva permettersi solo la sciarpa). John voleva attaccarsi per tutto il resto della sua vita a quell’odore che lo faceva sentire a casa, che lo riempiva, che lo faceva stare bene. Ma il suo odore stava inesorabilmente svanendo,lentamente sostituito da quello del medico. La polvere si stava attaccando a tutto, lasciando un pietoso velo di nulla.
Aprì inconsapevolmente la luce, voleva guardare le cose di Sherlock, tutto quello che il consulente aveva lasciato indietro: lui compreso. Gli uscirono delle lacrime senza che riuscisse a fermarle e tornò a stringere forte il cuscino del detective -del suo detective- premendo forte il naso contro il tessuto, assaporando quel che rimaneva del suo compagno. Poche notti ancora, e John avrebbe perso anche quello, restando solo in mezzo a tanti oggetti che non sapevano più di lui.
 
Erano passati sei mesi dalla morte di Sherlock Holmes, avvenuta all'ospedale S. Bart’s e una parte di John Watson era definitivamente morta con lui, in quella caduta, in quel volo che separava un tetto, da una striscia d'asfalto.
 
 
NOTE: Inizio col dire che quando ci ho pensato, la fic iniziava semplicemente come qualcosa di dolce (praticamente non era un sogno dai!). Da dove sia venuto fuori ‘sto finale, solo Dio lo sa. XD
Ho messo tra gli avvertimenti “Triste” spero si possa considerare giusto, non ne ho idea °___°
Grazie se siete arrivati fin qui e avete apprezzato, se lasciate un commento vi ringrazierò ancora di più, se non lo lasciate, spero solo che la storia non vi abbia fatto troppo schifo. X’D
   
 
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