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Autore: Nana Kudo    07/11/2012    10 recensioni
Un sogno. È cominciato tutto così: come un sogno.
Ma poi qualcosa è cambiata, gli ingranaggi di quel orologio chiamato destino hanno deciso di andare avanti a muoversi lo stesso senza prendere minimamente in considerazione l'idea di ritornare indietro all'ora esatta. No. Hanno deciso di non farlo.
Ed ora l'unica cosa che posso fare io invece, per far sì che quel filo rosso che mi lega ancora a tutto ciò che non voglio assolutamente perdere, Ran, e ciò che ancora voglio ottenere, non si spezzi, è cercare in tutti i modi un raggio di luce in questo buio che vuole sembrare perenne, cercare in tutti i modi i Corvi e riuscire finalmente a liberare il cielo dalle loro piume scure e tetre.
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OAV 9. The stranger of ten years afters.
Abbiamo creduto tutti che fosse solo un sogno. Ma in realtà ci sbagliavamo.
Perché? Per saperlo non vi rimane altro che leggere.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kogoro Mori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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                                               Capitolo dodici
                                                       Impressioni sotto la pioggia
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Un incubo ad occhi aperti… ora sa cosa significa. Non che già non lo sapessi, ma ora è diverso, le circostanze sono diverse, l’artefice di tutto ciò è …diverso.
E se so che non è un sogno, un brutto sogno, è perché in tal caso ora aprirei gli occhi di scatto, spalancandoli, ritrovandomi con la fronte tutta sudata e i capelli appiccicati ad essa; avvolto nelle soffici e calde coperte del mio futon posto ai piedi di un letto più grande e più comodo, mentre ansimi ed echi si dissolvono come ghiaccio al sole per tutta l’area della piccola camera.
Se fosse semplicemente un incubo, riderei, e abbandonerei successivamente il piccolo spazio creato dalle quattro mura della spoglia e povera stanza spettatrice di quest’ultimo, per poi sciacquarmi la faccia con dell’acqua fredda e facendo così scivolare via il ricordo della mia piccola giornata in un mondo parallelo e continuare quella appena cominciata con le labbra incurvate in un sorriso, come se nulla fosse successo.
Ma la verità, ovviamente, è diversa. La verità, non è così rosea come i nostri sogni molto spesso si prospettano e, di conseguenza, presentano; perché la verità non è un sogno.
Nella verità si vive e ci si sveglia proprio come nei propri sogni, ma al risveglio, sarà tutto come prima: niente di diverso, niente di cancellato o dimenticato, e niente di migliorato. Tutto uguale.
E questo è il mio caso. Perché sta volta, nonostante io abbia provato a chiudere e riaprire gli occhi, le parole sono rimaste, continuano ad appesantire l’aria, continuano a rimbombare nelle mie orecchie senza mai fermarsi, mentre il mio corpo è sempre rinchiuso in quella dolce e debole gabbia che le sue braccia, cinte al mio busto, creano.
“Shinichi… allora stai bene”
Strabuzzo gli occhi al solo ricordo di quelle quattro, semplici e normalissime parole che al momento, al sottoscritto, suonano tutto meno che tali. Parole che in sé non hanno niente di strano, d’insolito o di sospetto; ma bensì sono la persona a pronunciarle, quella a riceverle e la situazione ad esserlo.
Già, la persona a pronunciarle
Sposto lo sguardo su di lei, ancora dolcemente stretta a me, e nel farlo, posso notare lo sguardo freddo ma che sotto ne nasconde uno terrorizzato di Haibara. È ovvio; lei, l’artefice della tossina che mi ha fatto tornare bambino dieci anni fa, vede la ragazza dell’agenzia che in un modo o nell’altro mi sta spingendo ad infrangere quella regola che lei stessa mi riponeva sempre ogni qualvolta il pensiero di raccontarle tutta la verità mi sfiorava, e non può fare altro che questo, ormai, probabilmente: terrorizzarsi.
Elementare, Watson!
Esclamerebbe lui, Sherlock Holmes, in questo caso, se potesse sentire i miei pensieri, se fosse reale.
Quasi mi viene da ridere se penso ad Holmes e al suo creatore, Conan Doyle, da cui ho tratto il titolo per questa mia nuova vita costruita su menzogne, crimini e sofferenze. Il nome di colui che mi ha fatto amare gialli ed investigazioni tanto da indurmi a farne parte, risolvendoli, come investigatore privato. Ed il nome di colui che forse mi ha portato ad intraprendere questa vita, se così si può realmente chiamare.
Continuo a torturarmi con i miei stessi pensieri, quando, improvvisamente, sento un rumore provenire dall’esterno, e allo stesso tempo qualcosa battere sul vetro delle finestre. Alzo di poco il capo, e captare al volo la situazione non mi viene per nulla difficile: sta piovendo; le gocce che copiose si aggrappano ai lisci e trasparenti vetri della finestra alle spalle di Haibara, e che dopo pochi secondi iniziano a rigarlo rendendolo eterogeneo lo dimostrano, ne sono la prova. E, sempre quelle piccole lacrime che le nuvole si lasciano sfuggire, non possono far altro che riaffiorarmi alla mente un ricordo a cui forse non ho mai dato molta importanza, ma che ora può dare spiegazione a ciò che sta accadendo, divenendo anch’esso tale, divenendo anch’esso importante.
 
“Che cosa ti è successo, Ran?”
“Hanno cercato di eliminarmi tenendomi la testa sott’acqua. Ma sono così felice, Shinichi, sei venuto a salvarmi” *
 
Ora che ci penso, più volte è capitato che nel dormi-veglia Ran mi abbia scambiato per Shinichi, comportandosi esattamente come ora ha fatto, felicitandosi nell’avermi accanto a sé, non da qualche parte del Giappone a risolvere casi, come le faccio credere da anni.
Sorrido.
Già, deve essere così. È così. Lei mi ha semplicemente scambiato per via del sonno e dello stordimento, niente di più. Non ha capito veramente chi sono. È semplicemente ancora mezza addormentata.
Rifletto, continuando ad allungare il mio sorriso fino a che mi è concesso, fino a farlo penetrare come un piccolo raggio di sole in me.
Ricambio così l’abbraccio, con dolcezza, come un fratello farebbe con la propria sorella, per poi scostarla lentamente e nel modo più delicato possibile dal mio petto, sorridendole dolcemente, mentre lei mi guarda un po’ confusa.
“Ran-neechan” comincio, guardandola dritto negli occhi, utilizzando un tono calmo e dolce, per non ferirla. “Ti sei sbagliata, io non sono Shinichi-niichan, ma Conan. Mi hai scambiato per lui solo perché non indosso gli occhiali, vedi?” cerco di convincerla, indicandomi il viso libero dagli occhiali, dai grandi e fastidiosi occhiali che da dieci anni mi tocca portare, pur di non mettere nessuno in pericolo.
Gli occhi suoi fissi nei miei, le sue labbra dritte e prive di curvature, prive di emozioni; ed il suo volto colorato unicamente dalla confusione, confusione totale, che in pochi istanti lei stessa va a nascondere, abbassando il capo e lasciando che sia oscurato dalla frangia castana, facendola cadere su di essi, per far sì che i suoi occhi non incontrino quelli di nessun altro che possa facilmente leggerli, in modo che il sottoscritto non veda e capisca ciò che sta provando.
“Finiscila con questa farsa, Shinichi” sussurra, con flebile voce, che però arriva dritta alle mie orecchie come spine pungenti che con la forza riescono ad inoltrarsi in esse, lasciando che quella frase rimbombi come un eco nella mia testa. “Lo so benissimo che sei tu. Quindi finiscila, Shinichi” afferma, marcando il tono di voce nel pronunciare il mio nome.
Ecco, la sensazione di prima è tornata, mentre la pioggia al di fuori di questa stanza non accenna a scemare. Anzi, minuto per minuto diventa sempre più forte e le poche gocce che prima rigavano le finestre delle abitazioni, ora sono notevolmente aumentate di quantità e volume che a momenti quei vetri verrebbero nascosti da loro, mostrando a noi spettatori di questo scenario solo uno spesso quanto fragile velo d’acqua che con maestria ci impossibilita dal vedere ciò che dietro di essi sta accadendo, ciò che tra me e Ran sta succedendo, per esempio, a coloro che passeggiano normalmente nelle strade trafficate di Beika.
Provo a dire qualcosa ma non ci riesco. Dovrei mentirle, smentendo ciò che ha appena affermato, dovrei. Devo.
Ma non ci riesco.
Non ci riesco a mentirle se ho di fronte i suoi occhi azzurri, che guardandomi, non fanno altro che illuminarsi come delle piccole stelle nel cielo, accompagnando quella sua espressione convinta e decisa, decisa sulle parole appena dette.
Sta volta sono io ad abbassare il capo, pur di non trasmetterle il rammarico che, le parole che a momenti usciranno dalla mia bocca, mi spegneranno le iridi color oceano. Com’è difficile e doloroso doverle mentire sempre, sempre, senza poterci far niente, senza poterlo evitare. Ma in fondo mentirle è la cosa più giusta, in questo caso. E quindi non posso fare altro se non riempire i miei polmoni di ossigeno e cominciare a muovere le labbra, emettendo parole che per dieci anni ho ripetuto, che per dieci anni mi stavano sempre sulla punta della lingua, pronte ad essere pronunciate.
“Ran-neechan… vedi, io non…” provo a spiegarle, ma i miei tentativi vengono bloccati all’arrivo delle sue risate, risate che fanno cambiare espressione sia a me che alla scienziata dietro di lei.
“Dovresti vedere la tua faccia!” mi schernisce Ran, la mia amica d’infanzia, inducendomi a rivolgerle uno sguardo spaesato, confuso, segno che non ci capisco più un accidenti, e chiedendole spiegazioni tramite i miei occhi. “Stavo scherzando, baka! Non c’era bisogno di agitarsi tanto” risponde, continuando a ridere.
Inarco un sopracciglio, mentre le mie le mie labbra si storcano in una smorfia seccata. Uno scherzo? Ma le sembra uno scherzo da fare questo?!  Stavo sudando freddo per colpa di quella sua affermazione, e poi?
Stavo scherzando, baka!
Impreco contro di lei, nella mia mente, per poi fermarmi nel sentire le risate della donna che amo diminuire, e nel vedere una goccia cristallina che, lentamente, comincia a crearsi agli angoli dei suoi occhi, diventando improvvisamente triste e malinconica come sempre, ormai. “Tanto lo so che Shinichi mi ha piantato in asso di nuovo per andare a risolvere uno dei suoi stupidi casi.. lo so, ormai…” niente più risate, solo il rumore che la pioggia ed i nostri respiri creano. “Ormai lo so che tutto è più importante di me, per lui”
Una fitta.
Non di quelle che solitamente preannunciano e, di conseguenza, terminano una mia trasformazione, ma una che nasce dal mio cuore stesso, privandomi di alcuni battiti e di ossigeno, facendomi morire dall’interno.
Perché, quella che sento, è diversa: sento una fitta colpirmi il cuore, nel vedere i suoi occhi che –come le nuvole stanno tuttora facendo- si lasciano sfuggire una e più lacrime.
E ne sento un’altra, nel sentire quelle sue parole, così colme di odio, di risentimento, di dolore… e non posso che sentirmi uno schifo, ferito; perché per me nulla è più importante di lei, nulla ha la priorità su Ran.
Stringo una mano in pugno, stropicciando così il tessuto del mio pantalone, quando una calda e amara sua lacrima si frantuma sulla mia pelle, impregnandola di dolore, impregnandola di rancore… impregnandomi di disprezzo.
Perché? Perché deve andare sempre così? Perché per una volta quel maledetto antidoto non scade al termine del tempo stabilito? Perché non mi fa la grazia, per una volta, di farmi rimanere per sempre Shinichi e di restare accanto a Ran, non facendola più soffrire, non facendoci più soffrire? Perché?
Mi chiedo, tra una fitta e una lacrima.
Ma poi, è un attimo, è tutto finisce. È un attimo, e sento un braccio sfiorare il mio, per poi rialzare il capo e vederla intenta ad asciugarsi quelle numerose gocce dal viso con la manica che ricopre quest’ultimo. È un attimo, ed il peso che prima stava seduto accanto a me sul materasso, si dilegua, avvicinandosi alla porta della stanza, dietro di esso, dietro di me. Ed è sempre un attimo, che un filo di voce decide di fuoriuscire dalla sua cavità orale.
“Vado da Kazu-chan, sono sicura che sarà in pensiero per me” riferisce, aprendo la porta. “Ah, Ai-chan” si volta poi, richiamando l’attenzione dell’interpellata, che in silenzio, accanto alla finestra, ha assistito a tutta la scena. “Tra poco arriverà mio padre, sarà affamato, vuoi aiutarmi a preparare il pranzo?”
Volto il capo nella direzione di Haibara, che ricambia il suo sorriso con una smorfia, per poi annuire –scocciata- e lasciare insieme a lei la stanza, lasciandomi solo.
Solo con i miei soli pensieri. Come se già non lo fossi abbastanza. Come se già non mi basta doverli sopportare in compagnia di altri. Come se già non fosse troppo dovermi corrodere dall’interno alla nascita di ogni uno di quelli.
Sospiro. È meglio non calcolarli e continuare a sorridere, come ho sempre fatto, come si fa sempre quando ci si sveglia dopo un incubo. Perché tanto farlo non cambierebbe le cose lo stesso, quindi.
Rivolgo uno sguardo fuori dalla finestra: piove ancora. Preferivo lo sfondo di prima, ad essere sincero. Preferivo i petali color confetto piuttosto che questi trasparenti, e che guardandoli, mi danno come l’impressione che io abbia dimenticato qualcosa, qualcosa d’importante, come fosse un dejavù, che mi porterebbe alla verità.
Strofino il mento con le dita come faccio sempre quando penso, ma niente, non mi viene in mente niente.
Sospiro, e mi alzo di peso dal letto, in modo da raggiungere gli altri e lasciare questa stanza che ogni volta mi riveste di malinconia. Faccio pressione sulla maniglia e il presentimento di prima torna, per poi essere cacciato nuovamente. In fondo, che può mai centrare con la pioggia e con questo cielo grigio?
 
                                                                                             ***
 
“RAN-CHAAAAAANNNNNN!!!!!!!!! Come sono contenta di vederti! Stai bene, stai bene!”
“M-Masumi-c-chan… t-ti ho detto che non è successo nulla di-” continua a ripetergli Ran, nel tentativo di far calmare l’amica, Sera, ma inutilmente a quanto pare, perché le sta ancora addosso come una piovra, come se l’idea di staccarsi da lei non le avesse mai neanche sfiorato l’anticamera del cervello, ed impedendole anche solo di finire una frase prima di essere interrotta.
“Tu non puoi capire!” le urla contro, stringendola sempre di più a sé, tanto che a momenti potrebbe soffocarla. “Ero così preoccupata per voi, non sai quanto!”
La osservo e non posso far altro che pensare a quanto sia rimasta identica a dieci anni fa. Comportandosi ancora da bambina, sempre con quel suo carattere solare e le sue reazioni spropositate ad ogni cosa… Tsè, non è cambiata di una virgola.
Scosto un po’ la schiena dallo schienale del sofà su cui sono seduto, allungando il braccio, e prendo un giornale appoggiato sul tavolino di fronte a me, cominciando a sfogliarlo, sperando di riuscire in qualche modo a non far caso a tutto il baccano che quella donna, da più di mezz’ora, ormai, sta causando.
Sbuffo, seccato, mi piacerebbe sapere chi l’ha invitata a quella lì.
 
Sono passate tre ore dall’accaduto in camera di Ran. Dopo essere usciti tutti quanti di lì, abbiamo pranzato nel salotto di casa nostra, in compagnia di un Oji-san –ancora sotto effetto dell’alcool che, ieri sera, si è bevuto-, gli Hattori –che non hanno ancora fatto pace- e Haibara; per poi scendere giù in agenzia dove Sera, Sonoko, Eisuke, Detective Boys, Jodie e Okiya sono venuti a trovarci, me e Ran, per assicurarsi che c’eravamo ripresi dopo la perdita di sensi che abbiamo avuto in mezzo al corridoio durante il caso.
E in questo momento, ci troviamo tutti qui, nell’agenzia investigativa Mouri, ad occupare il piccolo salotto posto al centro di essa, ad assistere alla reazione spropositata di Sera e Amuro che di tanto in tanto viene a chiedere se qualcuno degli ospiti vuole da bere o da mangiare, o a volte a sedersi per qualche minuto anche lui sul sofà e ridere assieme ai ragazzi.
“Edogawa-kun” sento improvvisamente una voce da dietro che, accostandosi al mio orecchio, mi richiama, facendomi sussultare per lo spavento. Mi volto di scatto, e nel farlo posso notare lo sguardo seccato di Haibara. “Spaventato, Holmes?” mi beffeggia, portandomi a contrarre il mio viso nello stesso modo in cui si presenta solitamente il suo: scocciato.
“Io? Figuriamoci” rispondo, tornando a leggere l’articolo a cui ero rimasto, prima che la scienziata alle mie spalle mi disturbasse. Kaito Kid e il suo ennesimo furto ai Suzuki. E, ovviamente, ennesima gemma restituita, con successivo scoppio dello zio di quell’oca di Sonoko, e di conseguenza, ecco l’articolo. Heh, nemmeno questa era Pandora, a quanto pare. Ritenta, Kuroba, la prossima volta magari sarai più fortunato. Ironizzo mentalmente, voltando pagina, e cominciando a leggere un altro foglio pieno di lettere in inchiostro nero.
“Kudo… non mi fido” sussurra poi, al mio orecchio, la stessa ragazza che proprio un attimo fa mia aveva distolto dalla lettura.
“Perché?” mi limito a chiederle, mantenendo lo stesso tono di voce, per non farci sentire dagli altri che intorno a noi continuano a ridere e scherzare tranquillamente, come fanno sempre.
“Sento come se loro sono qui… Subaru-kun…” ammette, nascondendo il viso nel vedere il diretto interessato voltare lo sguardo verso di noi, guardandoci con curiosità, come se avesse capito che stiamo parlando di lui.
Sorrido. Era da un po’ che non reagiva in questo modo nel vedere quell’uomo. Ma quello a farmi sorridere non è questo, ma il fatto che quell’uomo, è quello di cui meno dobbiamo avere paura, e di chi più ci possiamo fidare. E questo concetto, in un modo o nell’altro, voglio che sia trasmesso anche ad Haibara, così da poter trarre vantaggio da questa relazione, così da poter formare una squadra, insieme.
Mi volto verso di lei, guardandola, e sorridendole per tranquillizzarla, nonostante la paura e la finta scocciatura che mi rivolge, per poi ripeterle quella stessa e identica frase che le ripeto sempre ogni qualvolta mi si pone l’argomento: “Sta tranquilla, è un fan di Holmes, non potrà mai farci niente”
Affermo, sempre sorridente, andando a neutralizzare –anche se solo esteticamente- quell’inquietudine che negli ultimi minuti albergava sul suo viso.
Tutto normale, diciamo, fino a quando non sentiamo qualcuno battere le mani e fischiare, tanto da comprarsi, totalmente, l’attenzione di tutti coloro presenti in questa sala.
“Ma bravo, bravo moccioso!” eccola, Sonoko. Chi altro poteva essere, altrimenti? “Alla fine la ragazza te la sei trovata, eh? E bravo!” ripete, tra le risate ed i fischi, senza mai smettere di battere le mani. Vorrei ucciderla in momenti come questi, mettendo così da parte la mia razionalità e quel buon senso che mi ha sempre caratterizzato; ma, come sempre, mi limito a sbuffare scocciato e voltare il capo dal lato opposto a quell’oca, in modo da ignorarla.
Voltato il capo, quello che vedo è la figura di Ran, che cerca qualcosa nell’armadio posto a lato della scrivania del padre. Provo a dedurre l’oggetto che cerca, ma purtroppo non mi viene nient’altro se non un documento o qualcosa di simile; così mi alzo e mi avvicino a lei, postandomi dietro le sue spalle, con l’intento di aiutarla nella ricerca di quest’oggetto a me ignoto.
“Vuoi una mano?” le chiedo sorridendo, facendola spaventare e di conseguenza sussultare, per poi voltarsi di scatto con un pugno alzato, che si scioglie subito alla vista del mio volto terrorizzato.
“Ah, Conan-kun…” sospira, una volta calma. “Non serve, tanto ho finito” mi risponde, con tono incolore, distaccato, per poi richiudere l’anta e tornare ad occupare un posto sul sofà, rimanendo sempre taciturna, sorridendo soltanto a qualche battuta, ma niente di più. Solo ora me ne rendo davvero conto: quella donna si comporta in modo strano; è sempre silenziosa, distaccata… non so, è strana.
Sposto l’attenzione sull’oggetto dei miei pensieri, ma stranamente la vedo ridere, normalmente, e comportarsi, normalmente; tutto l’opposto di com’era prima con il sottoscritto. Sembra come se stesse cercando di evitarmi…
La riguardo, mentre allarga le sue labbra in un sorriso, uno splendido sorriso, il più bel sorriso che io abbia mai visto, il suo, per poi rivolgerlo anche a me, facendomi dimenticare l’idea che fino ad un secondo fa albergava nella mia testa. Forse mi faccio troppi pensieri su cose da niente.
Ricambio il sorriso, e faccio per avvicinarmi al divano, se non fosse per la persona appena alzatasi da quest’ultimo, e che con un sorriso comincia a salutare.
“Vai già via?” gli chiede Ran, vedendolo prendere la giacca dall’appendiabiti.
“Sì, ho delle pratiche da sbrigare a casa, devono essere pronte per domani, perciò non posso rimanere di più” le risponde, sorridendo e salutando tutti gli altri con un gesto della mano, che ricambiano, per poi avvicinarsi alla porta dell’agenzia e uscirne.
 
“Dovremmo incontrarla”
“Chi?” mi chiede, confusa, ma senza darlo molto a notare.
“Vermouth” rispondo come se niente fosse, tornando ad accarezzare il viso di Ran, la mia Ran,che a quanto pare non mi ha visto trasformare. Beh, meglio così. Semmai dovesse scoprire la verità voglio che lo faccia in modo diverso,voglio essere io stesso a dirglielo, e non delle fitte.
“MA SEI IMPAZZITO?!”
“No, perché?”
“Ti sembra una cosa normale volersi incontrare con una criminale? E poi come pensi di trovarla?!” sbotta, cercando di nascondere la paura che il solo nome di quel liquore italiano le infonde.
“Non lo so”
 
Non lo so..
Non lo so…
Non lo so!
Sento come un fulmine colpirmi, illuminandomi, facendomi ricordare una cosa d’importante e fondamentale che forse potrebbe esserci d’aiuto per incontrare quella donna.
Corro così incontro a questo raggio di luce nell’oscurità, Akai, e prendo il mio cappotto, l’indosso in malo modo per via della fretta e prima di aprire la porta ed andarmene avviso che sto per uscire.
“Ran-neechan, vado con Subaru-kun che devo prendere una cosa a casa di Shinichi-niichan. Non aspettarmi per la cena”le urlo, prima di chiudermi la porta alle spalle, senza neanche aspettare la sua risposta.
Scendo velocemente le scale che portano in strada, tanto velocemente che potrei inciampare e rompermi l’osso del collo, ma non ci faccio caso e aumento sempre di più il ritmo, anche dopo aver raggiunto l’esterno del condominio, nonostante la pioggia che continua a cadermi addosso, fino a raggiungere l’uomo che forse potrà aiutarci in questa faccenda.
“Conan-kun, che sta succedendo?” mi chiede, notandomi tutto bagnato e ansate di fronte a sé. Esausto e affannato per via della corsa appena fatta, non rispondo, mi limito ad appoggiare le mani sulle ginocchia, in modo da poter riappropriare di ossigeno i miei polmoni.
“C’è una cosa di cui devo parlarti…” gli confesso, provando ad asciugarmi la fronte, per quanto possa essere possibile, e poi riuscire finalmente a guardarlo in faccia, e chiamandolo con il suo vero nome, sorridendo spavaldo. “..Akai
Mi guarda spaesato, sorpreso, per poi allungare l’ombrello e proteggere anche il sottoscritto dalla pioggia.
“Questo non è il posto adatto…” risponde, sorridendo e aprendo gli occhi, mostrandosi a me con il suo vero aspetto, e ricambiano il mio sorriso con lo stesso atteggiamento. “Conosco un posto più sicuro… Kudo
 
                                                                                        ***
 
Rivolgo uno sguardo al cielo. È grigio. Piove ancora.
Guardo le piccole ma numerose lacrime che si lascia sfuggire e che, scontrandosi contro il sottoscritto, mi bagnano i vestiti facendoli aderire al mio corpo, facendo intravedere –anche se di poco- la mia corporatura sotto questi ultimi.
Ho freddo, a dir la verità.
L’essere bagnato e il vento che si scaglia continuamente su di me mi fanno tremare, infreddolito, nonostante la stagione che in teoria dovrebbe essere calda, o almeno tiepida.
Dovevo proprio dimenticare l’ombrello a casa?!
Mi maledico mentalmente, per poi sospirare rassegnato.
Provo a non pensarci, poiché farlo non cambierà lo stesso nulla, e alzo la manica della felpa verde e gocciolante per controllare l’ora sull’orologio.
Sbuffo. Dovrebbe essere qui già da un pezzo.
Lancio l’ennesima occhiata verso l’inizio di questo vicolo, verso quella piccola ed unica apertura che permette alla scarsa luce di oggi di penetrare in questo stretto e lugubre spazio dove di chiaro e allegro non c’è più niente, se non il riflesso che le lenti dei miei occhiali producono.
Alzo il cappuccio della mia felpa, sperando che in questo modo la pioggia non arrivi alla mia testa e, nell’atto, improvvisamente sento una moto avvicinarsi ed entrare nel vicolo, per poi bloccarsi di colpo.
Sorrido, nel sentire la voce della proprietaria della vettura. Il nostro piano ha funzionato.
“Che ci fai qui… Silver Bullet?”

 




* Episodio 39 "La giovane ereditiera" (40 nella numerazione italiana)

Nana's Corner:
Minna konnichiwa! :D
Ce l'ho fatta, finalmente xD Nonostante però il chap non mi piaccia nemmeno un po' -.- 
Cmq, quello di Ran era solo uno scherzo, a quanto pare, ma si comporta in modo strano. E il nostro Shinichi ha come l'impressione di aver dimenticato qualcosa.. idee?
Poi si incontra con Akai, e in fine... capito con chi s'incontra, si? ;)
Ah, trovate Sera OOC??? Sonoko?? Akai??? 
Sappiate che abbiamo appena finito un' "arc", dal prossimo entriamo in quello di "Anokata", finalmente ;)
Va beh, spero il chap non sia confusionale e che almeno un po' vi sia piaciuto :')
Ah, quasi dimenticavo. Prima di passare al metantei corner e i ringraziamenti, volevo dirvi che fino al 25 novembre o i primi di dicembre non aggiornerò, per via di studio e perchè il prossimo sarà un chap un po' complicato e delicato, quindi devo avere più tempo del solito per organizzarlo e scriverlo, gommen >.<

Ok, passiamo al metantei corner ora:
1- Di cosa hanno parlato Akai e Shinichi? Qual'è il loro piano?
2- Come faceva Shinichi a sapere che il personaggio che incontra nel finale, sarebbe andato lì quel giorno?
3- Che succederà ora?

Ed ora i ringraziamenti:
Grazie 10000000000000000000000000000 ad Hoshi Kudo, aoko_90, Kaori_, Pan17, KeynBlack, Love_Ade (che ha recensito tutti i chap in tre giorni, grazie :D), Lucy Mouri, shinichi e ran amore e _Vevi. MINNA ARIGATOU!!! <3<3<3
Grazie anche ad EnglandLove98 e Love_Ade per aver inserito la storia tra le preferite; e ciachan, Love_Ade e LunaRebirth per averla inserita tra le seguite. MINNA ARIGATOU anche a voi!! <3<3
Ed infine grazie anche a chi legge solamente. Arigatou! :)
Grazie di cuore a tutti quanti! Spero perdonerete l'attesa che ci sarà prima del prossimo chap :')
Ci vediamo al prossimo allora, spero tanto questo vi sia piaciuto almeno un pochino, a differenza della sottoscritta ^^"
Grazie ancora per aver letto!!

XXX,
Nana Kudo
   
 
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