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Autore: Il_Genio_del_Male    07/11/2012    4 recensioni
Versione (molto) riveduta e corretta dell'omonima fiaba.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In quel di Corea'
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RATING: Verde.

GENERE: Commedia, Romantico.

PAIRING: 2Min, JongKey.

AVVERTIMENTI: AU, Slash.

DISCLAIMER: Nessuno degli SHINee mi appartiene (anche se vorrei adottarli in massa, ma vabbè); fyccina scritta assolutamente non a scopo di lucro. Non guadagno nulla dalla mia attività di fangirlamento compulsivo.

NOTE: L’ispirazione mi ha colta lunedì mattina in autobus, mentre mi avviavo a lezione. Credo sia la OS più lunga che abbia mai scritto in (quasi) due anni di attività da autrice qui su EFP.

Buona lettura (si spera)!

 

 

 

 

 

C’era una volta, in un Paese lontanto lontano dove il sole sorge prima che nel resto del mondo, un Re. Anzi due. I loro nomi erano Kim Jonghyun e Kim Kibum; erano sposati da molti anni e avevano un figlio, Taemin, che un giorno avrebbe ereditato il trono.

Taemin era più bello e aggraziato di qualsiasi fanciulla del regno ed aveva un cuore gentile. Sin da bambino era stato educato dai migliori precettori e, in quanto Delfino, gli era stato insegnato ad andare a cavallo e a battersi in duello, a conversare amabilmente e a danzare.
I suoi padri lo amavano teneramente, di quell’amore incondizionato che ogni genitore dovrebbe nutrire per il proprio figlio. Il giovane principe, data l’indole pacifica e generosa, era molto benvoluto dal popolo e dal personale di palazzo. Vi erano, insomma, tutte le premesse affinché divenisse un sovrano giusto e clemente, il cui nome sarebbe stato tramandato nei secoli a venire.

C’era però un problema. Nonostante avesse ormai compiuto diciotto primavere, raggiungendo così l’età propizia al matrimonio, Taemin non desiderava minimamente sposarsi. Jonghyun e Kibum avevano organizzato fastosi balli di corte cui avevano partecipato principi e principesse provenienti dalle terre più remote ed esotiche, ma tutti i loro sforzi non avevano dato frutti: il cuore bambino di loro figlio, per quanto traboccante di buoni sentimenti, non era pronto ad amare senza riserve qualcun altro, uomo o donna che fosse.

Taemin trascorreva la maggior parte del suo tempo libero in compagnia del Gran Ciambellano, nonché suo fido confidente, Lee Jinki. I due erano cresciuti insieme, condividendo giochi e lezioni. Jinki era l’ultimo figlio di una facoltosa famiglia intima dei reali e all’età di nove anni, dovendo scegliere tra l’intraprendere la vita ecclesiastica e servire l’erede al trono, aveva preferito giurare fedeltà al bimbetto di quattro anni più giovane di lui che lo scrutava con occhi incantevoli ma penetranti.

“I miei genitori sono in pensiero per me. Vorrebbero che trovassi un compagno con cui vivere per sempre felice e contento, ma io non ne sento il bisogno. Sto bene da solo, sono troppo giovane per innamorarmi” ragionava il principe.

“Dici così perché non hai conosciuto il vero amore. Quando incontrerai la persona che, tra tutte, ti farà battere forte il cuore e tremare le vene dei polsi, non vorrai trascorrere più un solo giorno senza di lei” obiettava l’altro.

“Le tue parole suonano intriganti e al tempo stesso terribili alle mie orecchie, Jinki; tuttavia temo di non essere portato per amare con il trasporto che tu così abilmente descrivi. Forse il mio cuore non è sufficientemente forte”.

“Non abbatterti, amico mio. Sei solo inesperto, se mi perdoni l’ardire. Hai tutta la vita davanti, non devi avere fretta”.

 

 

Accadde che, un pomeriggio mite e soleggiato, Taemin si recasse nei pressi di uno stagno nei giardini del palazzo seguito da un gruppetto di giovani nobili. Portava con sé una palla d’oro zecchino, mirabilmente intarsiata, regalatagli dai genitori per il suo ultimo compleanno. La compagnia giocò lietamente per un po’, fino a quando un lancio maldestro del principe fece sparire la palla nelle acque melmose dello stagno. Le dame diedero in esclamazioni di disappunto, e lo stesso Taemin fissò sconsolato il punto in cui il suo balocco era sprofondato.

“Altezza”, si offrì uno degli uomini, “permettetemi di recuperare la palla”.

“Apprezzo la vostra premura, visconte, ma non voglio che qualcun altro paghi per i miei errori. Me ne occuperò io personalmente”. Così detto si affacciò sulla sponda dello stagno, pronto a calare una mano in acqua.

Tuttavia non ce ne fu bisogno, poiché si verificò un fatto assai singolare. Un ranocchio, saltato sulla foglia di una ninfea, rivolse la parola al giovane. “Principe, fermati: la manica della tua bella veste si inzacchererà irrimediabilmente, sarebbe un peccato” lo avvisò con voce umana.

Taemin rimase congelato sul posto, i suoi compagni si scambiarono sguardi sgomenti. Che razza di stregoneria era mai quella? E se si fosse trattato di una trappola per attentare alla vita dell’erede al trono? Il giovane, comunque, parve riprendersi in fretta dalla sorpresa.

“La sorte dei miei abiti non mi sta a cuore quanto quella della mia palla, gentile ranocchio” rispose con calma all’animale.

“Ti riferisci forse a quella sfera dorata che è caduta qui dentro poc’anzi, spaventando i pesci?”

“Esatto. Mi dispiace di aver disturbato te ed i tuoi amici, non era affatto mia intenzione. La palla mi è scivolata di mano” si scusò.

“E adesso vorresti riaverla indietro, non è così?”

“Ci tengo molto”.

“Posso chiederti perché?”

“E’ un regalo dei miei genitori”.

“E con ciò?” incalzò il ranocchio, curioso.

“Sono le uniche persone che io ami davvero. Quella palla mi ricorda tutti i bei momenti passati insieme, l’affetto che loro mi portano”.

“Capisco, giovane principe, e voglio aiutarti. Ho un’idea”.

“Ti ascolto”.

“Io posso restituirti la palla. In cambio però dovrai portarmi con te a palazzo, presentarmi ai tuoi genitori e spiegare loro il motivo della mia presenza”.

“Mi sembra una richiesta alquanto bizzarra, ma accettabile”.

A Taemin, diversamente dalla maggior parte della gente, non facevano ribrezzo gli anfibi. Il ranocchio, poi, di un verde acceso e con occhi enormi dall’aria intelligente, gli ispirava simpatia.

“Affare fatto, allora! Attendi qualche istante, sarò di ritorno in un baleno” promise questi con una certa baldanza e si tuffò.

Trascorsa una manciata di secondi, riemerse stringendo tra le zampe il prezioso carico e con un saltello atterrò a riva, sull’erba.

“Ecco a te, giovane principe. Ho mantenuto la mia parte dell’accordo: adesso è il tuo turno”.

 

 

Il colloquio con i sovrani fu vagamente surreale.

“Ti siamo infinitamente grati, cortese ranocchio” si chinò a parlargli Jonghyun. “Potremo mai sdebitarci?”

L’animale, che stava nel palmo della mano di Taemin, parve riflettere sulla proposta.

“Un modo ci sarebbe, Sire” disse.

“Chiedi e ti sarà dato” lo esortò l’altro Re, Kibum.

“Dovete sapere, Altezze Reali, che io non nacqui con l’aspetto con cui mi vedete voi ora. Venni allevato come un principe affinché succedessi a mio padre alla guida del regno dopo la sua morte. Quand’ero ragazzo una bellissima e potente strega si innamorò di me, ma io non potei ricambiarla poiché il mio cuore era arido, gelido come ghiaccio: non sapevo cosa volesse dire amare”.

Taemin ebbe un sussulto nell’udire quelle parole.

“La strega si vendicò maledicendomi” proseguì il racconto. “Mi tramutò in un ranocchio, sgradevole a vedersi, perché così non potessi più ispirare amore o desiderio in alcun essere umano. Aggiunse che solo un bacio datomi dall’unica persona in grado di vedere al di là delle mie fattezze respingenti e di apprezzarmi per quel che sono avrebbe potuto spezzare l’incantesimo”.

“Che storia triste” mormorò Kibum con simpatia.

“Un momento! Se quanto affermi è vero, perché non ci riveli il tuo nome?” intervenne Jonghyun. “Potremmo mandare un messaggero nel regno da cui provieni, rendere la tua famiglia edotta della tua condizione”.

“Purtroppo la maledizione mi impedisce di fornire alcuna informazione riguardo alla mia vera identità, Altezza”.

“Come possiamo aiutarti, allora?”

“Vostro figlio è stato il primo, dopo anni, a non prendermi a sassate o a fuggire disgustato dalla mia vista, anzi; mi si è rivolto con garbo, si è fidato di un ranocchio parlante e ha mantenuto la promessa di portarmi via dallo stagno. Io… ho motivo di credere che sia lui, il mio salvatore. Il solo che possa restituirmi la mia forma umana”.

“Cosa?” sbottò Taemin. “Che scherzo di cattivo gusto è mai questo?”

L’animaletto si fece piccolo piccolo nella mano del giovane, impaurito da quel violento scatto d’ira.

“Figliolo, di grazia, modera i termini e ricomponiti” lo redarguì Jonghyun. “Il tuo amico non ha esitato ad aiutarti nel momento del bisogno, non sta bene che ti rivolga a lui con siffatta scortesia”.

“Credevo di aver già ricambiato il favore” sibilò. “Se avessi saputo quali conseguenze avrebbe comportato la mia onestà non avrei mai dato retta ad un anfibio” sottolineò con disprezzo.

“Taemin, smettila. Non ti abbiamo insegnato a comportarti in modo tanto indegno” aggiunse Kibum. “Ti ordino di far dormire il nostro ospite su un cuscino acanto al tuo letto e di nutrirlo personalmente”.

“Padre, non puoi essere serio!”

“Obbediscimi”.

Discorso chiuso. Il figlio capì che la resa era l’opzione più consigliabile.

“E sia” chinò il capo in segno di rispetto.

Quando giunse l’ora di prepararsi per la notte, però, fu molto duro con il povero ranocchio.

“Mi hai ingannato, creatura infida. Non illuderti: non ti perdonerò così facilmente” e si stese sul materasso, dandogli la schiena.

“Mi dispiace, principe. Ti prego di credermi”.

Non ottenne risposta.

 

 

Nei giorni seguenti Taemin si ostinò a non rivolgere la parola all’intruso e incaricò il fedele Jinki di nutrirlo al posto suo.

“Non giudicarlo male” il Gran Ciambellano prese le difese dell’amico, porgendo all’animale una larva di zanzara essiccata. “Dagli il tempo di ritornare in sé. In realtà ha un cuore d’oro, sai”.

“Non ne dubito. Il solo fatto che abbia accettato di insudiciarsi la mano toccando un essere immondo come me la dice lunga  sulla sua magnanimità” replicò tristemente lui.

“Suvvia, non esagerare! Non sei affatto immondo”.

“Tu dici? E’ così che mi hanno chiamato i teppistelli che cercavano di catturarmi e le persone a cui ho chiesto aiuto inutilmente; non l’avrebbero fatto se non fosse stato vero”.

“Ti sbagli, invece. Sei stato vittima dell’ignoranza e della crudeltà altrui, questa è la verità. Nessuno qui a corte prova ribrezzo per te. Sei un ranocchio, non un mostro spaventoso. Sii meno severo con te stesso”.

“Perché dovrei? Ho tradito la fiducia di Sua Altezza, pur non intenzionalmente. Avrei dovuto raccontargli della maledizione appena recuperata la palla, ma temevo che non mi avrebbe creduto o peggio, che mi avrebbe lasciato al mio destino…”

“Vedrai che si ravvedrà. Non è di indole rancorosa e tu hai sbagliato in buona fede. Andrà tutto bene, me lo sento” lo incoraggiò Jinki.

 

 

Ogni notte, al momento di coricarsi, il ranocchio ripeteva la stessa frase al giovane, che gli dava ostentatamente la schiena.

“Mi dispiace, principe. Ti prego di credermi”.

Non aggiungeva altro.

 

 

Trascorse che furono due settimane, Taemin si vide costretto ad ammettere che si stava comportando in modo a dir poco puerile. Continuare ad ignorare l’ospite non avrebbe portato a nulla. I suoi genitori erano stati molto chiari al riguardo: finché il ranocchio non si fosse liberato della maledizione avrebbe alloggiato nei suoi appartamenti. Sicché, visto che a quanto pareva avrebbe dovuto passare ancora parecchio tempo insieme, tanto valeva provare a conoscerlo meglio. Decise quindi di dispensare Jinki dal compito di dar da mangiare al ranocchio.

“Principe, cosa-” lo accolse quegli, gli occhi già grandi sgranati per la sorpresa.

“D’ora in poi sarò io a provvedere ai tuoi pasti. Sempre che a te non dia fastidio”.

“Oh- no, no. Null’affatto. Credevo che non mi avreste più parlato, ecco tutto”.

“Da quando mi dai del voi?” si accigliò il ragazzo.

“Siete un principe, avrei dovuto farlo sin dall’inizio”.

“Anche tu sei un principe, se non ricordo male” tagliò corto. “E poi per quel che ne so potresti addirittura essere più grande di me”.

“Non posso darvi ragione né torto, Altezza: ho da tempo dimenticato la mia età”.

“Comunque sia, nel dubbio ti ordino di darmi del tu e di lasciar perdere i titoli onorifici. Chiamami Taemin, semplicemente”.

“Come Sua Altezza- come desideri”.

 

 

Una volta stabilita la tregua, i due scoprirono di andare sorprendentemente d’accordo. Discutevano delle loro letture preferite, delle ingiustizie che più li facevano indignare, di tecniche di combattimento e di cavalli; ridevano per gli stessi scherzi, si emozionavano di fronte alle stesse meraviglie della natura. Taemin portava con sé il ranocchio ovunque, invitandolo addirittura a saltellare sul desco reale. Nessuno, a palazzo, l’aveva mai visto così raggiante e di buonumore. Jinki approvava silenziosamente, i sovrani dal canto loro si scambiavano sguardi d’intesa e speranzosi.

“Secondo me è quello giusto”.

“Auguriamoci che anche nostro figlio lo capisca”.

 

 

“Ti intendi di poesia?” domandò un giorno Taemin.

“Abbastanza” annuì interessato il ranocchio. “Da umano mi dilettavo a declamare davanti alla corte poemetti di mia invenzione”.

“Non l’avrei mai detto” si stupì l’altro. “Ne ricordi qualcuno?”

“Solo frammenti scommessi” si schermì. “Però…”

“Però?”

“Potrei recitare alcuni versi che ho composto di recente, se ti fa piacere”.

“Oh sì, ti prego” batté le mani entusiasta. “Sono proprio curioso”.

Il ranocchio si schiarì la voce, lievemente a disagio.

Ricamerò violette sul tuo cuore bambino

che non sa dare un nome all’amore

e lillà, bagliori dorati,

segreti dispersi nel vento.

Traccerò le tue labbra

nel miele ibleo,

affinché le tue parole siano

golose e speziate.

Invocherò la luna

perché ti vesta d’argento;

amante gelida e ritrosa,

bacerà l’ombra di pizzo delle tue ciglia

sulle guance

in vece mia”.

Taemin arrossì.

“E’…”

“Non sono all’altezza dei miei antichi scritti. In questi anni la mia vena poetica si è molto arrugginita, ahimè” bofonchiò l’animale.

“A me piacciono. Davvero”.

Entrambi distolsero lo sguardo, imbarazzati senza saperne il motivo.

 

 

“Non mi sono ancora scusato per come ti trattai mesi fa”.

“Né io l’ho mai preteso. Eri sconvolto, ti sentivi in trappola; non ti biasimo”.

“Dovresti, invece. Sono stato così meschino e crudele. Non lo meritavi”.

“Mettiamoci una pietra sopra, vuoi?”

“No. Non ci riesco. Prima voglio sapere se ci sono speranze che tu un giorno possa perdonarmi”.

“Principe, preferirei buttarmi quell’infelice periodo alle spalle. Fingiamo che non sia mai successo. Per favore”.

 

 

“Non capisco” confessò Taemin nel bel mezzo di una partita a scacchi.

“Cosa non capisci, esattamente?”

Il giovane principe gli riferì l’ultima, tesa conversazione avuta con il ranocchio.

“Un’improvvisa mestizia mi ha assalito –ancora adesso mi viene un groppo in gola a ripensarci. Sono triste, ma non ne comprendo il motivo”.

Il Gran Ciambellano rifletté sulle sue parole.

“C’è dell’altro, non è forse così?” domandò cautamente, a bassa voce.

“In effetti sì” si imbarazzò l’altro. “Alcuni giorni fa, su mia insistenza, ha declamato una poesia che ho motivo di credere abbia dedicato a me”.

“Molto cortese da parte sua”.

Le pedine vennero abbandonate sulla scacchiera, la partita ormai dimenticata.

“Non lo so” sbottò Taemin. “Non so più che pensare. E’ un ranocchio, ma indubbiamente conversa e ragiona come un principe. Quando lo vedo dormire tutto solo sul suo cuscino mi si stringe il cuore. Per anni ha vissuto in quello stagno in compagnia di pesci muti ed indifferenti, subendo angherie da parte degli esseri umani. Vorrei liberarlo dal maleficio e restituirgli la libertà, ma al tempo stesso ho paura che una volta riacquisite le sue sembianze originarie se ne vada via e non metta mai più piede nel regno. Che mi dimentichi”.

Jinki gli prese la mani tra le sue, invitandolo a continuare con un sorriso dolce.

“Spesso mi ritrovo a chiedermi quale possa essere il suo vero aspetto, sai. Me lo figuro alto, bruno, elegante senza sforzo: un corpo che rispecchi a pieno la bellezza del suo animo. Al solo pensiero mi sudano i palmi delle mani, lo stomaco mi si riempie di farfalle; arrossisco e mi vergogno del mio fantasticare, ma non riesco ad impedirmi di fantasticare” si interruppe, rosso in volto.

“E cosa mi dici del tuo cuore?”

“Oh, sapessi. Quando batte preme contro lo sterno, quasi volesse uscire fuori dal petto. Lo sento pesante, gonfio, come se non riuscisse a contenere ciò che provo”.

“Gli dei siano lodati!” esclamò Jinki, abbracciandolo. “Li ho pregati perché questo giorno arrivasse e finalmente mi hanno dato ascolto. Sei innamorato, Taemin, non ho dubbi”.

“Già” rise amaramente il ragazzo, le spalle basse e contratte. “Sono innamorato e preferirei di gran lunga non esserlo”.

“Perché?”

“Odio sentirmi così vulnerabile. E se avessi travisato tutto, se lui non ricambiasse? Se non mi avesse mai realmente perdonato per il modo spregevole in cui l’ho trattato in principio?”

“Amico mio, l’unico consiglio che mi sento di darti è di fidarti del tuo istinto. Azzarda, rischia, dona tutto te stesso. L’amore è un salto nel vuoto; potresti atterrare su un prato fiorito o sulla melma di un acquitrino, ferirti, spezzarti il cuore. Non so cosa troverai ad attenderti alla fine del baratro, ma ne sarà comunque valsa la pena. Devi vivere, Taemin, non avere nulla da rimpiangere. E’ meglio un cuore gonfio di uno raggrinzito... Coraggio, corri dal tuo principe”.

 

 

“Ti ho trovato, finalmente” sospirò Taemin senza fiato e si sedette sull’erba umida di fronte allo stagno.

“Mi cercavi?” il ranocchio gli saltellò accanto. “Sembri affaticato”.

“Lo sono! Ti ho cercato per tutto il palazzo, credevo ti stessi sgranchendo le zampe. Non sai che spavento mi sono preso quando mi è stato riferito che nessuno ti aveva visto in giro” lo rimproverò.

“Chiedo scusa, contavo di fare ritorno al castello in tempo. Ti credevo impegnato in una partita con Jinki”.

“E’ terminata prima del previsto”.

“Lo vedo. Ma dimmi, per quale motivo mi cercavi?”

“Perché sei tornato qui? Pensavo odiassi lo stagno” cambiò argomento il giovane.

“Sarò sempre legato a questo posto. E’ stata la mia casa per molto tempo, nel bene e nel male” lo assecondò l’altro.

“Casa? Una prigione, semmai” si incupì.

“Perché mi cercavi?” chiese una seconda volta, girandosi a guardarlo.

Senza lasciargli alcuna possibilità di replica il principe lo raccolse in una mano, sollevandola all’altezza degli occhi.

“Taemin, cosa-?”

“E’ arrivato il momento di spezzare l’incantesimo, ranocchio” e lo baciò.

Ci fu un’esplosione di scintille multicolori, sibilanti come fuochi d’artificio; dell’animale nessuna traccia. Al suo posto si materializzò la figura slanciata ed atletica di un uomo -alto e bruno, realizzò emozionato Taemin- dagli occhi grandi e colmi di stupore. Il giovane era riccamente abbigliato: casacca ricamata con fili d’oro e argentati, braghe di velluto, stivali in morbido cuoio. Tutto in lui -i capelli lunghi fin quasi alle spalle, il portamento fiero, le spalle larghe- era indice di nobiltà e sangue blu. Il sorriso dipinto in volto, però, era quello incredulo di un bambino.

“Tu”, mormorò con voce spezzata, “ci sei riuscito. Mi hai liberato”.

“Ai ringraziamenti ci dedicheremo in seguito” si schermì l’altro, avvicinatoglisi di un passo. “Dimmi con quale nome debbo chiamarti, piuttosto. ‘Ranocchio’ non mi sembra granché adatto”.

“Choi Minho, per servirti” si inchinò regalmente.

Quel Choi Minho?” si sbalordì Taemin. “Conosco di fama i tuoi genitori, sono i sovrani del regno confinante con il nostro. Ti davano per morto! Ero ancora un ragazzino imberbe quando venne annunciata la tua scomparsa, circa cinque anni fa se non vado errato. Avevi due anni più di me, quindi adesso dovresti averne compiuti venti. Il mio sesto senso non si sbagliava: sei davvero più vecchio” ridacchiò.

“Taemin”.

“I miei padri non crederanno ai loro occhi, vedendoti. Sei talmente bello e affascinante! Capisco perché quella strega abbia perso la testa per te” sussurrò poi, intristitosi improvvisamente.

“Taemin, io-”

“Avviseremo al più presto i tuoi genitori, dopo tanto soffrire meritano di riabbracciare il loro figlio perduto” proseguì. “Vedrai quante principesse faranno a gara per ottenere la tua mano-”

Fu il suo turno di venire interrotto. Minho aveva colmato la distanza che li separava e lo stava fissando con occhi ardenti, due dita premute sulla sua bocca per metterlo a tacere.

“Taemin, per favore: sta’ zitto e baciami”.

 

 

La notizia  raggiunse anche le zone più remote del Paese lontanto lontano, riempiendo di letizia i cuori dei sudditi e dei sovrani di ogni regno. Maggiore entusiasmo suscitò l’annuncio delle nozze tra i principi Taemin e Minho e l’unificazione dei rispettivi reami che ne derivò. Menestrelli e poeti declamarono la struggente -e quanto mai singolare- storia d’amore dei due giovani, finché la vicenda del Principe Ranocchio divenne leggenda.

E vissero per sempre felici e contenti.

 

 

 

 

Questa è la fiaba originale dei fratelli Grimm (http://www.letturegiovani.it/Grimm/Il_principe_ranocchio.htm), che ho liberamente interpretato. Molto liberamente. Spero di non avervi eccessivamente traumatizzati!

Come al solito vi lascio il link della mia pagina Facebook per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Alla prossima!

   
 
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