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Autore: KiaPianetaOreon    07/11/2012    0 recensioni
Dieci anni fa, Vanessa e la sua migliore amica Holly vedono arrivare davanti casa della prima un camion dei traslochi, e due nuovi bambini da conoscere. Loro sono Malcolm e Adam, due fratellini che dalla Scozia si trasferiscono a Houston, in Texas. Da quel momento diventano migliori amici, crescono insieme, passano un'infanzia stupenda, fatta di tanti ricordi e di nessun litigio. E ora che sono alle superiori, la loro amicizia è ancora solida. Ma le nuove opportunità arrivano e non resta che coglierle: l'occasione di formare una rock band arriva all'improvviso e Adam vuole a tutti i costi riuscire nella sua impresa, nonostante questo possa allontanarlo da tutto ciò a cui era legato finora. E soprattutto, da Vanessa. Per tutti ogni cosa diventa qualcosa da raggiungere e da riprendere, una conquista da fare. Perchè in questa storia, ognuno ha la sua Highway da seguire e qualcosa che gli appartiene da recuperare.
Genere: Commedia, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Mancavano tre punti. Tre punti maledetti per portarsi a casa quella coppa e quel titolo di campioni che tanto aspettavano. Non vincevano nulla da dieci anni e ora erano a un passo dal sogno. Che ci voleva, un canestro da tre punti e sarebbe bastato per diventare i ragazzi più felici dell’universo.
-       Vai Malcolm! – urlava Vanessa tra gli spalti.
Alla partita non mancava nessuno, neppure le ragazze volevano mancare. “Chissà perché” penserete voi, eppure non era solo per gli sportivi strafighi. Era un evento imperdibile per tutti. Come i Mondiali, solo un po’ più piccolo e concentrato nella cittadina di Houston.
-       Speriamo di vincere – dicevano Adam e Holly, che erano sugli spalti assieme a Vanessa.
Erano i suoi migliori amici da una vita e il fratello di uno di loro in quel momento era la star più acclamata. Sotto, seduto sulle panchine, c’era il coach, il papà di Vanessa, fiero della squadra, che incitava i ragazzi a rischiare quel tiro all’ultimo minuto.
Malcolm aveva la palla in mano: gli era arrivata quasi per caso e il destino era nelle sue mani. Aveva paura di sbagliare, tutta la colpa sarebbe finita su di lui e non aveva voglia di passare per la rovina della squadra. Gli sarebbe costato caro un errore, ma dopo essersi guardato intorno, fece il suo gioco e lanciò la palla: canestro da tre effettuato, missione compiuta! Erano i campioni! E Malcolm non aveva sensi di colpa.
Il pubblico esultava felice per la vittoria, le cheerleaders starnazzavano in giro per la palestra come delle oche. In fondo era quello che a loro riusciva meglio, almeno per quanto riguardava quella scuola.
-       Abbiamo vinto! – esclamò Adam – e tutto grazie a MIO fratello! -.
-       Tiratela di meno e scendi a complimentarti con lui, va – lo spense Holly, come ormai faceva con tutti.
Quella ragazza ci metteva poco a zittire la gente. Chi osava parlarle in maniera un po’ più forbita, non l’avrebbe mai passata liscia.
Il coach era commosso, sprizzava di felicità e si deduceva da delle lacrime cadute sul suo viso. Vanessa andò subito ad abbracciare il papà, soddisfatta del lavoro che aveva compiuto con la squadra.
-       E’ tutto merito tuo – ripeteva a Malcolm.
-       Coach, è merito dei suoi allenamenti e dei suoi sacrifici, grazie a lei -.
-       E’ vero papà, sei un ottimo allenatore – aggiunse Vanessa.
In quel mentre, anche Holly e Adam scesero per festeggiare la vittoria. Holly non sapeva dove guardare, intorno a lei c’erano solo ragazzi stupendi. Queste cose la facevano impazzire. Certo, lei era una bella presenza e il suo sogno di fidanzarsi con un campione non si era ancora realizzato. Buttarsi su qualcuno non avrebbe rovinato niente. Così prese il primo giocatore che le capitò a tiro, un certo Tyler, del quarto anno, e disse:
-       Ehi, siete stati bravi -.
Quel gigante era girato di schiena e si voltò verso di lei. Per osservarlo tutto ci si sarebbe impiegata un’ora. “Forse questo è troppo grosso”, pensò Holly, e poi scappò via. Forse puntare su qualcuno della sua stazza non sarebbe stata una cattiva idea. Così puntò Sam, un ragazzino del secondo anno come lei e molto conteso da tutte.
-       Ehi Sam, siete stati grandi – disse, toccandogli la spalla.
Sam riconobbe la sua voce. Nelle ore di chimica era sempre la prima ad esclamare “Non ho capito” e Sam conosceva a memoria i suoi “tempi di urlo”.
-       Holly, grazie! E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta! – rispose, sorridendo.
-       Lo vedo, sei sudatissimo… complimenti ancora -.
E Holly se ne andò per paura di esser troppo pesante. Esagerava facilmente e spesso.
Al centro della palestra i campioni erano fieri e facevano la foto di gruppo con le cheerleaders per l’annuario.
-       Tuo fratello lo conoscono tutti, pensa se fosse lo stesso anche per te – disse Vanessa ad Adam, mentre osservava il fotografo scattare una foto di gruppo alla squadra.
-       Uno, mi conoscono già tutti, dato che sono suo fratello e dato che sono la stupidità carnificata in questa scuola. E a me non interessa il basket, guardami. Non mi ci vedo con una divisa addosso. Direi che la mia chitarra mi possa bastare -.
Adam amava la musica, era il suo sogno da quando aveva otto anni e sperava con tutto il cuore di poter sfondare un giorno. Per ora, si accontentava dei sogni e dei poster che teneva appesi in camera.
Improvvisamente il coach prese il suo megafono e annunciò:
-       Festa a casa mia alle otto per festeggiare, non mancate! Baskerville Road, per chi non lo sapesse -.
Il papà di Vanessa era George Miller, uno dei più famosi giocatori di basket nella storia di quella scuola, la Leppard. Da tutti era sempre stato considerato un asso in quello sport, tanto che aveva provato varie volte di farsi accettare in qualche squadra famosa degli Stati Uniti. Gli Houston Rockets erano al momento il sogno più accessibile, ma si sa, a volte i sogni non diventano realtà e restano semplicemente ciò che sono sempre stati. George, dopo pochi allenamenti, era stato cacciato via per il suo fisico un po’ mingherlino e fragile, incapace di resistere agli sforzi enormi della squadra. E così ci si ritrova soli, senza scelte, se non strade troppo pericolose. Miller sapeva solo giocare a pallacanestro, e aveva una vita davanti a sé. L’unica cosa che poteva fare per seguire il suo sogno, era tornare dov’era partito, dov’era stato amato tanto, e continuare il suo sogno lì, alla palestra della Leppard. Parlò col preside, lo stesso di quando era stato acclamato campione, e gli concesse il posto di coach e di assistente finchè il vecchio allenatore non se ne sarebbe andato. I suoi sogni erano puntati sulla squadra, e da quando il vecchio coach andò in pensione, ancora di più. L’esaltazione di dover finalmente far tutto da soli può dare alla testa a volte, eppure non soddisfa mai e non fa mai sentire all’altezza. Questo: George cercava ormai da quindici anni di portare la squadra alla vittoria del torneo e più non riusciva, più si deprimeva. Ma la sua tenacia lo fece arrivare, dopo tutto quel tempo, a vincere quell’ambito trofeo. E lui ne era fiero, proprio come quando era stato dentro quella divisa rossa, nera e bianca.
 
Arrivate le otto, il cortile della casa numero 321 di Baskerville Road era zeppo di persone, tutti studenti della Leppard High. Jane, ovvero la signora Miller, restò stupefatta della quantità di gente che in quel momento si stava aggirando attorno casa sua. Come solito, George non le aveva detto niente delle sue idee strampalate e i suoi nervi ne risentirono almeno un po’. L’unica cosa che le restava da fare era prendere tutto il cibo disponibile in casa e sfamare quei campioni morti di fame. George prese da uno degli scaffali del salotto uno dei suoi CD di musica anni Ottanta e lo inserì nello stereo dell’auto per far sì di creare casino e bastò poco per generare una festa di dimensioni enormi.
Vanessa osservava tutto dal balcone della sua cameretta, attenta ma allo stesso tempo distratta. Non aveva la minima voglia di partecipare a quella festa sotto casa sua, godersela dietro al vetro di una finestra aveva un altro sapore, che a suo parere era molto più buono.
Improvvisamente bussarono alla porta della sua stanza.
-       Avanti – disse, e appena si aprì, vide spuntare da dietro il viso di Adam.
-       Non sei giù con tuo fratello? – gli chiese.
-       Sai, non mi piacciono molto le feste sul basket, così ne ho approfittato e son salito a trovarti -.
-       Lì sotto non è un posto adatto a te, vero? -.
-       Sono tutti amici di mio fratello, non miei, perciò è lui che deve divertirsi, non io -.
-       Ma ci sono le cheerleader, son fighe! -.
-       Non fanno per me e lo sai benissimo -.
-       Strano… vuoi goderti anche tu la festa da quassù? -.
-       Con piacere -.
Si affacciarono alla finestra sedendosi sui cuscini del davanzale e la loro mente iniziò a viaggiare, la loro bocca a discutere di ogni cosa possibile. Criticavano scherzosamente (e non) tutte le persone che notavano nella massa, su ognuna c’era qualcosa da dire. Chi li avrebbe sentiti in fondo, è questo il bello di osservare le cose da fuori: nessuno ti può sentire.
Gli occhi marroni di Vanessa si fermarono per un secondo su Holly, che stava tentando di attirare la sua attenzione su Sam, con il quale sembrava aver buone intenzioni. Già da un po’ ci stava pensando, e quella sera era stata LA SERA.
-       Secondo te riuscirà a farsi invitare al ballo da lui? – chiese Adam, curioso della risposta.
-       Non ne ho idea, sarà il decimo ragazzo con cui ci prova, spero che una chance gliela possa dare almeno lui -.
Adam aveva sempre pensato che Holly fosse un po’ una gallina, nonostante fosse una delle sue migliori amiche. Era ossessionata dal fatto di avere un ragazzo e ogni volta che veniva rifiutata da uno, ne cercava un altro. Era una continua caccia al tesoro, e ora la sua tappa era Sam. Era un bravo ragazzo, e Adam sperava con tutto il cuore che fosse il suo traguardo definitivo. Anche se già immaginava come sarebbe finita.
Poco dopo, gli occhi verdi di Adam riconobbero nel buio quella casetta di legno costruita sui rami dell’albero più alto di casa Miller. Era esattamente uguale agli anni addietro, ancora intatta e soltanto ricoperta di rampicanti qui e lì. I ricordi affioravano velocemente nella testa di Adam, tanto da lasciarlo incantato con lo sguardo fisso alla finestra.
-       Adam, che hai visto? Hai gli occhi da bambola di porcellana – gli disse Vanessa.
Improvvisamente riatterrò sul pianeta Realtà.
-       Oh, nulla, nulla. Stavo solo osservando la casetta sull’albero -.
Vanessa si voltò. La casetta era esattamente dietro di lei e la magia dei suoi ricordi fece l’effetto anche su di lei.
-       Te la ricordi? – chiese, pur conoscendone la risposta e i rispettivi allegati.
-       Sì, ed era bello stare lì – rispose lui, con un sorriso timido.
-       Eravamo piccoli, eppure lì ci sentivamo i padroni del mondo. Almeno del nostro -.
-       Già. E la password era… -.
-       CONIGLIO BAFFUTO – dissero insieme, sorridendo.
Gli anni erano passati velocemente, ma i ricordi erano nitidi. Erano passati ormai dieci anni da quando Adam si era trasferito dalla campagna scozzese alla metropoli di Houston. Vanessa ricordava ancora quel giorno: era in cortile a giocare a palla con Holly quando aveva visto il camion dei traslochi parcheggiato alla vecchia casa dei Ferley. Il cartello con su scritto “in vendita” era fuori da un po’ di mesi e il fatto di veder arrivare qualcuno lì davanti l’aveva eccitata un sacco. Sperava che i nuovi vicini fossero simpatici, e non come i vecchi Ferley, noiosi e suscettibili. Sperava di conoscere nuovi amici, e quando aveva visto scendere da quell’auto blu due bambini della sua età, aveva capito che il suo desiderio si sarebbe realizzato.
Seguì col tempo la conoscenza delle due famiglie e dei due bambini arrivati, Adam e Malcolm Jordan. Le gite bifamiliari in compagnia, i giochi in cortile, le elementari, i compiti e le scuole medie, tutto aveva contribuito a rendere inseparabili Vanessa e i due fratellini di casa Jordan, in particolare il più piccolo. Vanessa e Adam erano diventati davvero migliori amici.
  
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