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Autore: Dk86    28/05/2007    5 recensioni
"Il Ragazzo-che-era-Ragazza si svegliò nel cuore della notte. Lo sconfinato Deserto non si raffreddava mai completamente, nemmeno quando il sole tramontava, ma nonostante questo egli tremò.
La Donna-che-era-Leopardo era in cima ad una duna.
E cantava.
Le note, così come le parole, erano sempre le stesse; ogni volta che udiva il canto, però, la Ragazza-che-era-Ragazzo sentiva il proprio viso rigarsi di lacrime.
La canzone parlava di una terra meravigliosa, dove c’era ancora il verde, e le piante ricoprivano ogni cosa come una dolce e tiepida coperta. Una terra dove l’acqua scorreva in abbondanza, dove non si respirava veleno, dove gli uomini potevano vivere in superficie e chiunque era il benvenuto.
Quando la Donna-che-era-Leopardo ebbe terminato il suo canto, per un attimo parve che la sabbia del Deserto intero vibrasse in accordo con le ultime note che sfumavano in lontananza.
Poi, scese il silenzio".
Ho sempre avuto il desiderio di scrivere una storia ambientata in un mondo post-atomico, e così eccola qua!
Questo racconto si è classificato terzo al quinto concorso del sito di fanfiction moderato "Out Of Time".
Genere: Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come ho detto nell'introduzione, questo racconto ha partecipato ad un concorso. Ci tengo a spiegare un po' meglio come si sono svolte le cose perché la consegna del concorso è connaturata alla natura del racconto e soprattutto dei due personaggi principali.
L'obiettivo del quinto contest di Out Of Time era scrivere una storia basandosi su dipinti che contenessero due o più figure, umane o meno. Io scelsi un quadro praticamente sconosciuto, ovvero "La carezza" di Fernand Khnopff, di cui potete trovare un'immagine qui:
http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Khnopff-caresses.JPG
Bene, ora è meglio che non vi stressi ulteriormente con cose che di sicuro non vi interessano! Spero che il mio racconto vi piaccia, comunque.






UNA PICCOLA STORIA D'AMORE



La guardia aveva un'aria stanca, grigia e polverosa, come se fosse stata per troppo tempo all'aperto e fosse ormai diventata parte del desertico e triste paesaggio che la circondava.
“Piantatela di insistere” disse in tono duro “Ai freak non è permesso entrare nei Rifugi. Come se non avessimo già sufficienti problemi per conto nostro...”
L'uomo sputò per terra, e la polvere del suolo si bevve il grumo di saliva con avidità, consumandolo in pochi secondi.
“Ma anche tu non sei completamente umano, se riesci a sopravvivere qui fuori” disse la Ragazza-che-era-Ragazzo, appoggiandosi meglio al suo bastone. Da quando, una quindicina di anni prima, si era fratturata il piede aveva preso a zoppicare, anche se non in modo vistoso; comunque, usare un appoggio la aiutava notevolmente.
“Lascia perdere”. Una voce vellutata si levò da dietro il Ragazzo-che-era-Ragazza; egli si voltò, e fissò negli occhi dorati la Donna-che-era-Leopardo. Lei si leccò una zampa con aria distratta, poi sembrò accorgersi che era necessario aggiungere altro. “Non ci faranno entrare, e lo sapevamo ancora prima di chiedere”.
“Ma io...” tentò di ribattere la Ragazza-che-era-Ragazzo.
La guardia scoppiò a ridere; sembrava più un accesso di tosse catarrosa, ma rendeva comunque l'idea. “Dai retta alla gatta e sparisci, razza di finocchio. E l'unico motivo per cui io sono qui fuori è perché fra sei mesi sarò morto comunque; tumore ai polmoni, non operabile”. Dal taschino del sudicio e consunto rimasuglio di una camicia spuntarono una scatola di fiammiferi vuota per metà e una sigaretta arrotolata a mano. L'uomo iniziò a tirare lunghe boccate pensose di fumo acre e denso.
“Mi dispiace...” disse il Ragazzo-che-era-Ragazza, abbassando gli occhi.
“E di che?” ribatté l'altro, alzando le spalle “Se è l'Inferno che mi aspetta, dall'altra parte, non sarà comunque molto peggiore del posto in cui sto adesso. E ora sparite dalla mia vista”.



Anno 2388, Laboratorio sotterraneo H-19 adibito a ricerche sulla longevità

“Allora? Hai terminato la ricodifica del DNA di tutti gli embrioni?”
“Sì, giusto mezz’ora fa. Ora sono pronti per l’impianto”.
“Perfetto. Speriamo che stavolta l’esperimento abbia successo... Hai idea di quanto sarebbe disposto a pagare uno di quei multimiliardari là in superficie per un corpo che non invecchia?”
“E perché allora non fanno uso di quei corpi cibernetici che vendono adesso? Voglio dire, se possedessi abbastanza soldi per permettermene uno, lo comprerei io stesso”.
“Quanto sei ingenuo! Gli uomini sono tutti dei porci... beh, quasi tutti, escluso te e un altro paio, e i miliardari più degli altri, dato che con tutto il denaro che hanno possono coprire tutte le schifezze che combinano. Come potrebbero divertirsi a fare i loro perversi giochetti se il loro più caro amico è fatto d’acciaio e d’alluminio? Forza, procedi con il trapianto embrionale, non abbiamo tempo da perdere”.
“Sì, dottoressa”.



Nove mesi dopo.

“Hai già completato le scansioni preliminari sui nascituri? C’è qualcosa che dovrei vedere?”
“Ehm... direi di sì, dottoressa. Credo che i risultati ottenuti analizzando il numero sedici possano interessarle, guardi...”
“Ma...”
“Prima che me lo chieda, no. Ho fatto il test sette volte, e non c’è possibilità di errore. Sono andato a controllarlo di persona, ed è effettivamente così”.
“E’ impossibile! Vorresti dire che abbiamo creato un essere umano in grado di scegliere se possedere cromosomi maschili o femminili e modificare di conseguenza il proprio corpo?”
“Secondo i dati, sì. In pratica è... un ermafrodita perfetto, per quanto assurdo sembri. Che cosa faccio? Devo praticare la procedura standard per l’eutanasia?”
“Certo che no, idiota! Inseriscilo nel programma di sviluppo rapido. Potremo venderlo ad uno di quei maniaci pervertiti e farci un mucchio di soldi! Quel neonato è un vero e proprio miracolo!”
“O un mostro”.

O un perfetto giocattolo sessuale, perlomeno dal punto di vista del miliardario che lo acquistò una volta che l’incredibile essere ebbe raggiunto la maturità.




Il Ragazzo-che-era-Ragazza si svegliò nel cuore della notte. Lo sconfinato Deserto non si raffreddava mai completamente, nemmeno quando il sole tramontava, ma nonostante questo egli tremò.
La Donna-che-era-Leopardo era in cima ad una duna.
E cantava.
Le note, così come le parole, erano sempre le stesse; ogni volta che udiva il canto, però, la Ragazza-che-era-Ragazzo sentiva il proprio viso rigarsi di lacrime.
La canzone parlava di una terra meravigliosa, dove c’era ancora il verde, e le piante ricoprivano ogni cosa come una dolce e tiepida coperta. Una terra dove l’acqua scorreva in abbondanza, dove non si respirava veleno, dove gli uomini potevano vivere in superficie e chiunque era il benvenuto.
Quando la Donna-che-era-Leopardo ebbe terminato il suo canto, per un attimo parve che la sabbia del Deserto intero vibrasse in accordo con le ultime note che sfumavano in lontananza.
Poi scese il silenzio.
Il Ragazzo-che-era-Ragazza si asciugò il viso con il dorso della mano e si avvicinò con passi incerti alla compagna di viaggio. “Sei stata bravissima” fu tutto quello che riuscì a dire.
La Donna-che-era-Leopardo sorrise, mettendo in mostra i canini affilati. Ma era un sorriso amaro. “Me l’hai detto così tante volte che ormai ci credo quasi anch’io”.
Seguì un altro silenzio, rotto solo occasionalmente dal lieve battere d’ali di uno dei pipistrelli delle sabbie, che nonostante l’aspetto mostruoso non erano pericolosi, dato che si limitavano a cacciare ciò che viveva proprio sotto la superficie della sabbia, e che là sotto scivolava, sfruttando le dune come onde. La Ragazza-che-era-Ragazzo staccò il palmo della mano dal terreno, come se fosse diventato improvvisamente incandescente.
Là sotto vivevano cose. Cose bizzarre e, in alcuni casi, cattive. Crudeli. Bestiali.
Magari un tempo esse erano state umane, ma ormai potevano tuttalpiù somigliare agli incubi di un bambino dall’immaginazione troppo fervida.
Il Ragazzo-che-era-Ragazza pensò di nuovo all’Uomo-che-era-Martedì, e sentì gli occhi farglisi di nuovo lucidi. Loro l’avevano avvertito di non avvicinarsi a quell’oasi, perché la Donna-che-era-Leopardo sapeva che là dentro viveva l’Orco-dai-Denti-Ricurvi, che si nascondeva sott’acqua aspettando le sue prede. Ma l’Uomo-che-era-Martedì era in uno dei suoi momenti brutti, quando non dava retta a nessuno e cominciava a gesticolare e ogni tanto anche ad urlare. La Ragazza-che-era-Ragazzo aveva provato a trattenerlo, ma lui aveva cercato di colpirla con quel pezzo di lamiera che portava appeso alla cintola e che era sagomato come una sorta di rozzo coltello, e lei si era fatta indietro.
E così l’Orco-dai-Denti-Ricurvi era uscito fuori e l’aveva trascinato via con sé. Il rumore del collo dell’Uomo-che-era-Martedì che si spezzava era riecheggiato come un colpo di fucile sparato in aria.
Pochi minuti dopo, mentre il Ragazzo-che-era-Ragazza piangeva accasciato a terra e la Donna-che-era-Leopardo fissava l’acqua con le labbra contratte e i denti appuntiti ben in vista, all’orizzonte apparve una mesta e grigia processione di donne e bambini, che trascinavano ogni tipo di contenitore possibile.
La zona in cui si trovava l’oasi dell’Orco-dai-Denti-Ricurvi non era più una delle Zone Calde, e anche gli esseri umani potevano uscire in superficie, anche se ovviamente non si sarebbero mai fidati a vivere all’aria aperta come facevano una volta. Quando l’Orco riusciva a catturare una vittima, si rintanava nella parte più profonda della polla d’acqua per divorarla lentamente grazie all’azione dei suoi succhi gastrici; il processo era molto lento, e per uno o due giorni gli abitanti dei Rifugi vicini potevano attingere acqua senza la paura di essere attaccati.
Nessuno li aveva avvertiti del pericolo e, se non fosse stato per la Donna-che-era-Leopardo, probabilmente anche la Ragazza-che-era-Ragazzo si sarebbe avvicinata senza alcun sospetto all’invitante oasi.
Era una delle leggi che vigeva nel Deserto: sacrificare uno per salvarne molti; i due compagni di viaggio non biasimavano gli abitanti del Rifugio, perché anche loro erano abitanti del Deserto e sapevano che era giusto così.
Però al Ragazzo-che-era-Ragazza l’Uomo-che-era-Martedì mancava. Certo, non ci stava del tutto con la testa, e nei suoi momenti brutti non era il caso di stargli troppo vicino. Ma quando era a posto era molto divertente, e riusciva a trovare il lato buffo di ogni cosa.
E lui ancora non aveva scoperto che diavolo fosse un Martedì.



Anno 2433, casa del miliardario Aristides Papadopolos, da poco deceduto.

“Forza, muoviti! Dobbiamo controllare il suo studio privato prima che quel branco di belve cali qui con la bava alla bocca reclamando l’eredità!”
“Giurami di nuovo che tu non hai niente a che fare con la morte di tuo padre”.
“Per l’ennesima volta, no! E’ semplicemente morto d’infarto. Ma sai benissimo quante volte io mi sia augurato che quel vecchio tirasse le cuoia. D’altronde, in quanto primogenito, mi spetta la fetta maggiore dell’eredità. Ce l’hai tu, la chiave elettronica?”
“Quella che teneva sotto il cuscino? Sì, eccola qua”.
“Forza, dai un’occhiata ovunque, negli armadi, dietro i libri... Sono sicuro che quel bastardo teneva qui i suoi pezzi migliori”.
“Ehi! E questo chi diavolo è?”
“Fai vedere... E tu chi sei, e che cazzo ci fai qui dentro?”
“Io... io non posso uscire se il padrone non vuole...”
“Il padrone, hai detto? Beh, senti la novità del giorno: da oggi il padrone sono io, perciò fai pure quel cazzo che ti pare, basta che te sparisci dalla mia vista e non ti fai più vedere, intesi?”
“Ma...”
“Ti ho detto di sparire!”
“Incredibile... Dev’essere uno di quei droidi di ultimo modello indistinguibili dagli umani...”
“Già. Mi stupisco che sapesse parlare, di solito la bocca la usano per fare altro. A quanto ho sentito dire, ovviamente...”
“Comunque non capisco perché l’hai mandato via. Potevamo rivenderlo!”
“Lascia stare. Non voglio neanche immaginare per cosa lo utilizzasse quel vecchio bavoso...”



Così il Ragazzo-che-era-Ragazza fuggì, solo ed impaurito.
Se i ricercatori dell’H-19 fossero stati ancora vivi e l’avessero visto correre per le vie della metropoli, probabilmente avrebbero maledetto il destino, perché il loro esperimento che per trent’anni avevano ritenuto un completo fallimento aveva in realtà avuto successo almeno una volta.
La Ragazza-che-era-Ragazzo fuggiva. Nuda, terrorizzata, ed immortale.




Oltre all’Uomo-che-era-Martedì c’erano stati altri compagni di viaggio. La maggior parte di loro era semplicemente composta da uomini o donne che erano stati esposti alle radiazioni e che quindi ne erano stati corrotti nel fisico o nella mente, oppure in entrambi.
Ma erano comunque compagni di viaggio, e anche in un mondo tanto orribile, anche se piagati interiormente ed esteriormente... essi desideravano continuare a vivere.
La Bambina-che-vedeva-solo-il-Buio era stata la prima ad abbandonare il gruppo, perché era stata accolta in uno dei Rifugi; la Signora-pallida-come-Sabbia, che continuava a ripetere che la Luna le parlava e che presto l’avrebbe portata via con sé in cielo, una notte se ne era andata e non aveva più fatto ritorno.
Poi c’era stato quel vecchietto che non diceva mai una parola e che non aveva un nome, ma che sorrideva sempre. Aveva un’espressione contenta sul viso anche quando furono costretti a seppellirlo; il Ragazzo-che-era-Ragazza si era impegnato molto per scavare, perché la sabbia era infida e scivolava fra le dita come un liquido arido invece che umido, e non si lasciava domare molto facilmente. Alla fine però lui e l’Uomo-che-era-Martedì erano riusciti a completare l’opera; l’Uomo aveva anche insistito per piantare un pezzo di legno secco messo di sghimbescio sul quale aveva inciso con il suo rozzo coltello dei segnacci incomprensibili tranne che a lui solo. “E’ per ricordarlo” aveva detto, con semplicità.
E, alla fine, erano rimasti soltanto in due.
La Ragazza-che-era-Ragazzo sentiva la mancanza degli altri, ma sotto sotto le piaceva viaggiare sola con la Donna-che-era-Leopardo. Lei la aiutava a procurarsi il cibo, le faceva da guida, era un’ottima ascoltatrice, e soprattutto cantava.
Era come una sorta di rituale: la Donna cantava, e il Ragazzo ascoltava. Lui non le aveva mai domandato di cantare; aveva paura che se lei avesse acconsentito poi lui avrebbe continuato a chiederglielo ancora e ancora, perché per lui quella musica era una droga.
Così lasciava che fosse lei a decidere quando cantare, e quando la melodia sgorgava da quelle labbra sottili era sempre il momento giusto.
La Ragazza-che-era-Ragazzo non sapeva dove e come la Donna-che-era-Leopardo fosse nata; lei non l’aveva mai detto a nessuno e nessuno glielo aveva mai domandato, perché ciò che si era stati prima del Deserto non era importante.



Anno 2502, laboratorio sotterraneo H-34 adibito a ricerche sulla manipolazione genetica

“Quante volte te l’ho ripetuto? Quello che vuoi fare è contro natura, è disgustoso!”
“Oh, vedi di darci un taglio con queste tue fisime moralistiche! Abbiamo raggiunto un livello tecnologico tale da poter manipolare i componenti primari che costituiscono la vita, e sarebbe da stupidi non sfruttarli!”
“Ma ti stai ascoltando? Parli ancora come una divinità mancata! Quello che vuoi fare tu è creare dei mostri e nient'altro!”
“Mostri? Stiamo parlando di evoluzione dell'umanità secondo linee fino a ieri impensabili!”
“D'accordo, allora! Tieniti pure le tue “linee d'evoluzione”! Ma lavoraci senza di me, io ho chiuso con questa roba!”
“Brava, vattene, vattene pure! Come se avessi bisogno di te! Posso cavarmela benissimo anche da solo!”



Annotazioni dal diario di Alexander Tylson, in data 3 Luglio 2503

Finalmente ci sono riuscito! La ricombinazione dei geni di due diverse specie animali alla fine è stata un successo!
Nessuno era convinto che avrei potuto riuscirci, ma adesso si dovranno ricredere! Oh, se si dovranno ricredere!
E' talmente bella... Voglio che tutti la vedano. Chiunque la guardasse e non si innamorasse a prima vista di lei e della sua perfezione di sicuro non sarebbe degno di essere definito un essere umano!
E quando tutti la vedranno dovranno riconoscere che avevo ragione, che quello che sognavo non era affatto la creazione di un mostro, ma di una forma di vita superiore!
Ma... e se me la portassero via? Se volessero analizzarla, sezionarla, come una volgare cavia da laboratorio?
No.
Non posso permetterglielo.
Ho deciso, nessuno l'avrà mai.
Lei è mia.



Una settimana dopo, il mondo finiva.




“Guarda! Delle rovine!” esclamò il Ragazzo-che-era-Ragazza, indicando la pianura davanti a sé. Dalla sabbia spuntavano i resti contorti ed anneriti di giganteschi palazzi, che si estendevano fin quasi all'orizzonte.
“Che facciamo? Proseguiamo dritti o le aggiriamo?” domandò poi la Ragazza, fissando la sua compagna di viaggio. La Donna-che-era-Leopardo si stava mordicchiando le labbra con aria nervosa; la Ragazza si trattenne a stento dal pregarla di smetterla, perché altrimenti avrebbe finito con il ferirsi e sanguinare. Ma se la Donna era preoccupata voleva dire che c'era un buon motivo per farlo.
“Le rovine sono pericolose...” mormorò la Donna, senza smettere di tormentarsi le labbra “Ma è anche vero che chi le abita di solito esce allo scoperto solo quando cala il sole. Se non faremo troppe soste potremo attraversarle tranquillamente prima che arrivi la sera”. La creatura alzò gli occhi dorati incontrando lo sguardo del Ragazzo. “Te la senti?”
Egli strinse forte il bastone, piantandolo con fermezza nella sabbia ai suoi piedi. “Sì” rispose “Meglio non perdere tempo, giusto?”
La Ragazza-che-era-Ragazzo non aveva mai attraversato una città dopo che era arrivato il Deserto; in effetti le rovine avevano qualcosa di inquietante, con quel loro tendersi spasmodico verso il cielo come delle mani metalliche e scheletriche. Però erano anche stranamente attraenti e in qualche modo familiari.
“Sai? Mi sembra di essere già passato di qui” si lasciò scappare di bocca il Ragazzo, guardandosi intorno, e cercando di ricostruire i vecchi edifici partendo da quei miseri resti.
“Può essere” fu la secca risposta dell'altra, che invece pareva unicamente concentrata sul modo più veloce per uscire dalla città distrutta.
“No, aspetta, ne sono sicurissima” replicò la Ragazza, voltandosi a sinistra e fissando quella che una volta era una delle arterie principali della città. Era come se qualcosa la stesse chiamando. “Devo controllare una cosa, tu se vuoi rimani qui” disse poi, incamminandosi in quella direzione.
“Sai che non possiamo permetterci di sprecare tempo, vero?” la Donna-che-era-Leopardo le trotterellò a fianco, un miscuglio di emozioni che le rigavano il bel viso. Più di ogni altra cosa, sembrava preoccupata. Preoccupata, ed estremamente consapevole di qualcosa.
“Non preoccuparti, farò il fretta” assicurò il Ragazzo, svoltando in quella che un tempo era una strada secondaria “Sono quasi sicuro che fosse da queste parti...”.
“Lascia stare” rispose l'altra, gli occhi stretti e il volto contratto dall'amarezza “Ho già trovato ciò che stavi cercando.”
La Ragazza-che-era-Ragazzo guardò nella direzione indicata dalla Donna, e vide un palazzo che non era del tutto distrutto, ma anzi presentava ancora un paio di piani integri o quasi. Appena sopra il portone d'ingresso campeggiava una placca, deformata dal calore ma ancora leggibile.
“LABORATORI SOTTERRANEI, GRUPPO H: RICERCHE GENETICHE”.



Quando le bombe avevano iniziato a cadere, la Donna-che-era-Leopardo si trovava ancora là dentro.
La sua parte umana era poco più sviluppata di quella di una qualsiasi bambina, ma il suo corpo da felino era già adulto, scattante e pericoloso.
Il cadavere dello scienziato che l'aveva creata ed accudita giaceva nella stessa stanza in cui lei viveva, o meglio era tenuta prigioniera. L'uomo aveva scoperto che non riusciva a staccarsi per lungo tempo dalla sua meravigliosa creazione.
Alla fine si dimenticò persino di dover mangiare e dormire.
Mentre gli ordigni nucleari cadevano sulla città, annientando in pochissimi secondi il novantasei percento della sua popolazione, la Donna-che-era-Leopardo aveva appena smesso di frignare perché non le era stato portato ancora del cibo, e stava cercando un modo per uscire da lì.
L'unica porta sembrava sigillata, ma le bastò darle una piccola spinta con una zampa per farla cedere, dato che il gruppo elettrogeno che alimentava i sistemi di sicurezza del laboratorio era stato distrutto durante una delle prime esplosioni. Anche il sistema di illuminazione stava tirando il suo ultimo respiro, e le luci sfarfallavano con sempre maggiore frequenza, oramai prossime a spegnersi.
Una volta che la Donna-che-era-Leopardo fu uscita dalla sua stanza, sentì immediatamente l’odore di morte e distruzione che proveniva dall’esterno, perciò rizzò i peli della schiena, estrasse gli artigli ed iniziò a ringhiare, ma era inutile, perché quel tanfo era tutto intorno a lei e la sovrastava.
Quand’ebbe compreso che mostrarsi minacciosa sarebbe stato inutile in ogni caso, la Donna andò a rintanarsi in un angolo a piagnucolare finché non si addormentò.
Destatasi quasi ventiquattr’ore dopo, la creatura si guardò intorno senza riuscire a vedere niente, perché l’elettricità era completamente andata in tutto lo Stato. Dato che l’odore della distruzione (ma non quello della morte) sembrava essersi attenuato, la Donna si mise a seguirne le tracce nell’oscurità.
Salì decine di rampe di scale fino ad incontrare una porta chiusa; facendosi coraggio spinse anche quella e...




“Andiamocene” disse in tono secco la Donna-che-era-Leopardo. Teneva il volto ostinatamente fisso verso la porta del laboratorio, perché non voleva far capire al proprio compagno di viaggio che stava piangendo.
“D’accordo” rispose il Ragazzo-che-era-Ragazza, chinandosi e carezzandola sul dorso “Mi dispiace, non credevo che questo posto ti suscitasse brutti ricordi... Io so di essere stato qui un tempo, ma non perché, o quando...”.
Certo, tu sei nato qui, pensò la Donna. Entrambi siamo nati qui.
“Sai?” aggiunse poi a voce alta “Quando vivevo ancora nel laboratorio, c’era un uomo, un uomo soltanto. Era... era fuori di testa, credo, continuava a ripetere che io ero la sua creazione e altre cose che non capivo o che non ricordo. Però... però è stato lui ad insegnarmi quella canzone. La canzone che ti piace tanto, intendo dire”. La Donna sorrise fra le lacrime “Lui era così stonato, e diceva che era ovvio che io fossi più brava di lui... perché io ero la sua creazione, ed ero perfetta...”
“Scusa” disse l’altra, rialzandosi “Scusa se ho insistito per venire qui e ti ho fatto soffrire. Forza, andiamocene in fret...”
Un rumore improvviso alle loro spalle immobilizzò istintivamente la ragazza: un rantolo aspro e spezzato, unito ad un trascinare di piedi nella polvere.
La Ragazza-che-era-Ragazzo abbassò lo sguardo sulla Donna; i suoi muscoli erano tesissimi, a fior di pelle, pronti a scattare. Ad uccidere, se si fosse reso necessario.
Fu proprio quello il momento che la Creatura-Bianca scelse per attaccare, balzando con incredibile ferocia sulla Donna.
Era disgustosa, e solo vagamente ricordava un essere umano: pelle lattea e completamente glabra, lunghe appendici scimmiesche corredate di artigli ricurvi con i quali stava cercando di recidere la carotide della sua vittima, la quale si stava difendendo come meglio poteva, cercando a sua volta di ferirla al petto e ai fianchi.
Il Ragazzo-che-era-Ragazza osservava la scena impietrito, con la paura che gli bloccava tutto il corpo in una morsa uniforme. Il bastone che lo accompagnava sempre gli stava scivolando dalla mano intrisa di sudore, mentre le sue narici raccoglievano loro malgrado il tanfo di degradazione e di fogna che si alzava dal mostro. Cosa posso fare?, era tutto quello che riusciva a pensare, Cosa posso fare? Cosa posso fare?
“COSA POSSO FAREEE?” gridò infine, ricolmo di rabbia per la propria impotenza di fronte al pericolo. Il suo braccio si mosse da solo, levando il bastone ed abbattendolo con tutta la forza della disperazione sulla schiena della Creatura-Bianca, che emise un verso a metà fra un gemito ed un rutto e si accasciò a terra in maniera scomposta.
La Donna-che-era-Leopardo si rimise in piedi. Sanguinava, ma non sembrava ferita in modo grave. “Grazie...” bisbigliò, ancora sconvolta dallo scontro.
La Ragazza-che-era-Ragazzo fissava la propria arma improvvisata, rotta a metà ed ormai inutilizzabile come supporto. “Mi dispiace... Avrei dovuto intervenire prima” mormorò di rimando, gettando il pezzo di legno nella polvere.
La Donna passò la lingua rosata sul dorso della mano del Ragazzo. “Non preoccuparti. Alla fine, tutto è andato bene. Ora andiamo via, prima che un’altra di queste cose tenti di attaccarci...”.
“Ma, le tue ferite...”
“Non sono niente di grave, solo dei graffi. Forza, dobbiamo uscire dal perimetro della città prima che cali il buio, non te lo scordare”.
Il Ragazzo-che-era-Ragazza si incamminò dietro la compagna di viaggio, zoppicando leggermente a causa della vecchia frattura al piede. Avrebbe dovuto trovare presto un nuovo bastone, pensò, anche se non era affatto facile riuscire a reperirne uno che fosse abbastanza lungo e sufficientemente resistente da reggere il suo peso.
Anche se il breve combattimento l’aveva spossata, si sentiva felice: insieme alla Donna-che-era-Leopardo, poteva riprendere il suo viaggio.



Una volta la Donna-che-era-Leopardo aveva domandato all’Uomo-che-era-Martedì se sapeva perché le bombe fossero cadute dal cielo e il mondo fosse diventato il Deserto. Lui aveva scosso la testa, borbottando qualcosa riguardo al fatto che non era importante, ma lei aveva insistito, e alla fine lui aveva capitolato.
C’era una volta un ricco paese chiamato Stati-Uniti-Damerica. Quel paese era uno degli ultimi ad essere nato, ma era riuscito a diventare più ricco di tutti gli altri; così ricco che alla fine era riuscito ad ottenere il controllo su tutto il resto del mondo, e ne sfruttava a proprio piacimento le risorse, senza condividerle con nessun altro.
Alla fine, però, gli altri Paesi, che correvano il rischio di morire a causa del potere e della forza sempre crescenti di Stati-Uniti-Damerica, avevano deciso di costruire in segreto tantissime bombe che potessero annientarlo una volta per tutte. Quelle bombe erano in grado di distruggere non solo le città, ma la loro esplosione emetteva delle cose (l’Uomo le aveva chiamate Radiazioni) che uccidevano gli esseri umani che riuscivano a toccare, oppure li facevano marcire dentro, o fuori, o tutti e due.
Così alla fine gli unici abitanti di Stati-Uniti-Damerica che erano rimasti erano coloro che non erano umani per niente o del tutto, come la Donna-che-era-Leopardo o il Ragazzo-che-era-Ragazza.
Era la legge del Deserto, aveva detto l’Uomo-che-era-Martedì: sacrificare uno per salvarne molti.
Era giusto, aveva convenuto la Donna-che-era-Leopardo.




Era ormai il tramonto quando la Ragazza-che-era-Ragazzo e la Donna-che-era-Leopardo si lasciarono alle spalle le rovine metalliche della città.
Il Ragazzo tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi ricadere sulla sabbia calda. “La prossima volta che incontriamo una città, facciamo il giro, d’accordo?”
La Donna sorrise. “Sì, d’accordo. Ora però rialzati, dobbiamo allontanarci ancora un po’”.
Mentre riprendevano a camminare, la Ragazza alzò gli occhi verso il sole che stava come ogni giorno morendo dietro l’orizzonte. Dovette strizzare gli occhi, per riuscire a guardarlo. “Il posto di cui parla la canzone” chiese all’improvviso “Il luogo dove tutto è verde e bellissimo, e dove non ci sono mostri e non c’è il veleno... Esiste davvero? E’ lì che stiamo andando?”
La Donna-che-era-Leopardo levò lo sguardo verso di lei. Era uno sguardo triste, e profondo e saggio. “Tu sei viva da molto più tempo di me. Ricordi per caso che un posto del genere esistesse, anche prima dell’arrivo del Deserto?”
Il Ragazzo ripensò per un attimo alla propria lunga vita, poi scosse la testa. “No” rispose, deluso “Credo... credo di no”.
Però, gli diceva una piccola parte della sua mente, forse non è necessario che un posto del genere esista veramente, no? Forse... forse basta poterselo immaginare. Forse basta questo.
“Posso... posso chiederti un favore?” domandò il Ragazzo, smettendo di colpo di camminare.
La Donna mosse la coda maculata con aria incuriosita. “Certo”.
La Ragazza esitò per un attimo, poi si fece forza. “Canteresti... canteresti ancora per me?"
  
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