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Autore: Nausicaa Di Stelle    11/11/2012    4 recensioni
Una storia ambientata in un mondo immaginario in stile settecentesco, dove amore, morte, intrighi e segreti si intrecciano alle vite dei protagonisti, ognuno alla ricerca del proprio destino.
Avevo inserito questa storia in un'altra categoria, ma credo sia più gisto che stia in questa perché, anche se la vicenda e gli altri personaggi non hanno nulla a che fare con l'universo di Capitan Harlock (essendo completamente originali, eccetto Raflesia), il protagonista è il Capitano, pur con qualche piccolo cambiamento. Harlock è infatti un ufficiale dell'esercito regio, di ritorno dopo una sanguinosa guerra.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Harlock, Raflesia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII

La contessa di Lesath



Per molti giorni il tempo fu cattivo: la pioggia aveva iniziato a cadere, portando tra le sue liquide dita il fangoso autunno. Harlock aveva rinunciato alle sue cavalcate perché i sentieri erano divenuti un pantano impraticabile ed aveva ripreso a dipingere con maggior costanza, pur non potendo giovarsi di quel modello che gli sarebbe stato tanto utile per proseguire i suoi studi anatomici. Durante quelle noiose settimane Harlock era andato un paio di sere a teatro in compagnia della madre e del conte di Ayveron, e talvolta con loro c’erano stati anche degli ospiti di riguardo, invitati dalla contessa di Lorckshire. Qualche pomeriggio si era pure dedicato alla scherma, allenandosi in giardino se la pioggia concedeva una breve tregua oppure nella Galleria delle Armi.
Quel pomeriggio, invece, si trovava nella Sala delle Ninfe assieme alla madre e al conte di Ayveron a prendere un po’ di tè. Fuori il cielo era di un azzurro spento e a tratti alcune nubi impalpabili offuscavano quel po' di sole che, timidamente, osava ancora riscaldare la terra. Dopo aver discusso di arte e dei lavori che il colonnello stava portando avanti nel suo atelier la loro conversazione si era spostata sulla musica e così Eva aveva colto l’occasione per fare una proposta ai suoi due uomini.
- Che ne diresti, Anthony – esordì – di suonare un poco il violino per noi? E’ da tanto che non ti ascolto più e comincio a sentire nostalgia delle dolci note che sai trarre dal tuo strumento. Harlock potrebbe accompagnarti al pianoforte: di certo abbiamo in casa lo spartito di qualche sinfonia che potreste eseguire assieme.
- Io sono molto arrugginito… - protestò il colonnello – Non ho più rimesso le mani su di un pianoforte, da che sono tornato.
- Sono certa che sei ancora bravissimo e poi si tratta di suonare qui, in famiglia. Non devi esibirti davanti a nessuno.
- Non è questo. Temo che non riuscirei ad accompagnare come si deve il conte di Ayveron: finirei per farlo sbagliare. Preferisco ascoltarlo assieme a voi.
- Non vi preoccupate: se sbaglierò, riprenderemo daccapo, finché non vi sarete riappropriato di un’ottima tecnica. – rise Anthony e di nuovo Harlock non capì se si stava prendendo gioco di lui o se dicesse sul serio.
Stavano ancora parlando quando un rumore di ruote proveniente dal viale che costeggiava la casa attirò l’attenzione del colonnello, che si alzò e si diresse alla finestra.
- Che cosa c’è? – gli chiese sua madre.
- Una carrozza… - mormorò il colonnello, aspettando il momento in cui avrebbe potuto scorgere lo stemma sulla fiancata della vettura.
- Abbiamo visite. – commentò Eva, felice che qualcuno venisse a spezzare la monotonia di quella giornata autunnale. Si alzò a sua volta, dirigendosi verso suo figlio – Non sta bene spiare di nascosto dalla finestra: fra poco Mabel verrà a dirci chi è arrivato.
Ma Harlock rimase dove si trovava, la tenda completamente scostata dalla finestra. Anche Anthony gli si avvicinò, incuriosito e attese con lui di vedere chi sarebbe sceso dalla carrozza. La contessa di Lorckshire sospirò, ma non disse altro per convincerli a spostarsi.
- E’ mia zia… - mormorò Harlock, scorgendo una slanciata figura di donna scendere il gradino della vettura, aiutata da un servo. Dopo di lei smontò un’altra giovane donna, avvolta in un lungo mantello blu cobalto. – Ariel… che sia lei?
- Raflesia hai detto? – alle parole di Harlock il viso di Eva si era illuminato – Era da tanto che non mi faceva visita. Chissà se ti troverà cambiato? Non vi siete ancora rivisti dopo il tuo ritorno.
Poco dopo le due donne giunsero nella Sala delle Ninfe, accompagnate dalla governante Mabel. Eva si fece loro subito incontro, prendendo le mani della sorella e baciandola affettuosamente su entrambe le guance.
- Come stai, Raflesia? – le chiese.
- Sto bene, ti ringrazio. E tu? – rispose la contessa di Lesath.
Una di fronte all’altra, le due sorelle erano come il giorno e la notte quando s’incontrano sul limitare dell’aurora: bionda e dalla pelle splendente Eva, lunghissimi capelli corvini e un incarnato pallido e lunare Raflesia, e benché entrambe avessero gli occhi azzurri, quelli di Raflesia erano di un colore cangiante che a volte assumeva tonalità verde mare, altre volte quelle dell’acquamarina. Questa mutevolezza era unico segnale dell’insidiosa burrasca del suo cuore.
La contessa Eva si voltò poi sorridente verso la nipote, esclamando con sincero compiacimento:
- Oh, Ariel Urania: ogni volta che ti vedo sei sempre più bella!
- Grazie zia. – rispose questa.
Ariel Urania aveva diciassette anni, il volto ovale fresco come un fiore nel quale spiccavano due intensi occhi castani dalle linee ormai adulte, e sensuali labbra carnose, rosse come una melagrana. I capelli, di un castano chiaro dai riflessi ramati, erano acconciati con ricercatezza eppure nell’insieme davano un’impressione di grande naturalezza.
Era la prima volta che Anthony la incontrava e ne restò incantato.
Anche Harlock, nel rivederla dopo tanti anni, osservò con ammirazione il cambiamento avvenuto in lei: non era più la bambina che aveva lasciato partendo per la guerra.
Dopo aver salutato la sorella e scambiato con lei poche parole, Raflesia rivolse lo sguardo verso il fondo della stanza dove, fin dal suo ingresso, aveva scorto le figure dei due giovani che si stagliavano contro la luce proveniente dalla finestra.
Appena i suoi occhi si posarono su Harlock, il volto le si illuminò di gioia.
- Harlock… - mormorò muovendo qualche passo verso di lui, mentre anche il colonnello le andava incontro.
- Ti trovo cambiato… - disse la contessa di Lesath, scrutandolo con attenta dolcezza. – E anche dimagrito.
Harlock sorrise come chi si è sentito ripetere quelle parole tante volte.
- Voi invece siete sempre bella ogni giorno di più: sembra che il trascorrere del tempo su di voi non abbia effetto. - le disse.
Anche Raflesia sorrise, dello stesso sorriso che poco prima si era disegnato sulle labbra di Harlock.
- Non mi salutate, cugino? – la voce di Ariel, fresca come il vento di primavera, richiamò d’un tratto l’attenzione di Harlock tutta su di lei.
- La mia cuginetta… - mormorò questi, contemplandola da capo a piedi come se fosse di fronte ad un capolavoro dell’arte scultorea. – Sono trascorsi solo quattro anni ma sembrano molti di più: in questo tempo vi siete fatta una donna, non siete più la bambina con la quale giocavo.
- Mi siete mancato molto, Harlock. – l’intenso brillare degli occhi di Ariel Urania furono più eloquenti di qualsiasi altra parola.
- Ariel, mia cara, vorrei presentarvi anche un’altra persona. – disse Eva, mentre con un gesto della mano indicava Anthony. – Questi è il conte Anthony Michelangelo di Ayveron, un mio carissimo amico.
- Onorato di fare la vostra conoscenza. – Anthony s’inchinò con eleganza e le baciò la mano.
- Il piacere è mio. – replicò Ariel.
Pur non avendolo mai visto prima, Ariel era a conoscenza del tipo di rapporto esistente tra sua zia e il conte di Ayveron grazie ad una lunga conversazione avuta con la madre qualche tempo prima.
E’ davvero molto bello… e molto giovane.
- Stavamo prendendo un po’ di tè, volete unirvi a noi? – li invitò la contessa di Lorckshire andando verso il tavolino ancora imbandito.
La contessa Raflesia e la figlia si sedettero una accanto all’altra su uno dei divanetti, mentre Harlock prese posto sull’altro divano che si trovava di fronte al loro, separati dal tavolino di cristallo. Eva si sedette sulla poltrona accanto alla sorella ed Anthony sull’altra, di fronte ad Eva e accanto ad Ariel.
- Faccio portare anche una fetta di torta o qualche biscotto. – disse Eva, suonando il campanello per la servitù.
- Grazie, zia: i dolci della vostra cuoca sono davvero squisiti.
Poco dopo, Mabel e un’altra cameriera vennero a servirli, portando ognuna un vassoio ricolmo di ogni prelibatezza. Mabel usava sempre servire con grande abbondanza gli ospiti più importanti.
- E ditemi, cara sorella, come mai questa visita improvvisa? – chiese Eva mentre la contessa di Lesath sorseggiava il tè.
- Semplicemente una visita di piacere. Inoltre avevo sentito dire che Harlock era tornato, così sono venuta per salutarlo. - sempre sorridendo, Raflesia lanciò un’occhiata tagliente al nipote che suonava come un rimprovero, ma non aggiunse altro.
- Sarei dovuto venire io, mi dispiace. – si scusò il colonnello. Raflesia annuì impercettibilmente.
- E’ vero, siete stato molto sgarbato a trascurarci così! – lo rimproverò Ariel, ma il suo volto sorridente diceva esattamente l’opposto.
- Hai ragione, Ariel. Invece è sempre fuori a cavalcare. – continuò Eva, lanciando a sua volta un’occhiata di disapprovazione a suo figlio, che non cercò di giustificarsi sapendo che sua madre diceva la verità.
- Non gliene faccio una colpa. – intervenne Raflesia – Era appena tornato dalla guerra e aveva il diritto di prendersi tutto il tempo che voleva per riposare e stare un po’ tranquillo: sarebbe stato ingiusto e scortese pretendere che si recasse ogni giorno a trovare tutti i parenti, gli amici e i conoscenti che non vedeva da tempo. Anche se forse avrebbe potuto trovare un pomeriggio per le sue uniche parenti strette.
- Infatti. - Eva sorseggiò il suo tè con tutta calma, mentre Harlock, alzando gli occhi al soffitto, si lasciava sfuggire un sospiro - E sarei contenta se ogni tanto frequentasse la buona società, invece che starsene sempre da solo, a dipingere o a cavalcare.
- Allora dovreste venire con noi a corte. – esclamò Ariel Urania, sporgendosi verso il cugino e fissandolo con occhi suadenti, le labbra un bocciolo di rosa.
Harlock la fissò senza rispondere e i suoi occhi si velarono di tristezza, divenendo scuri e penetranti.
Vi siete fatta una sirena ammaliatrice, in tutto questo tempo.
Quello sguardo invitante, quei modi seducenti erano sconosciuti alla ragazzina che ricordava, quella che andava in barca con lui nei lunghi pomeriggi d’estate e raccoglieva fiori lungo la riva, sotto il suo sguardo pieno d’affetto.
- Andate a palazzo? – chiese Anthony, sporgendosi a sua volta verso Ariel, che era seduta poco lontano da lui, alla sua destra.
- Sì, partiamo domani: i bagagli sono già preparati. – i denti bianchi di Ariel brillarono nel nuovo sorriso che rivolse al conte di Ayveron.
- Immagino vi fermerete a lungo. – disse Eva rivolta alla sorella.
- Sì, penso che trascorreremo là quasi tutto l’inverno. – rispose questa, posando sul tavolo la sua tazza da tè.
- E’ sempre stata vostra abitudine frequentare per tempi molto prolungati l’ambiente di corte. – commentò Eva e nelle sue parole c’era un tono di disapprovazione che Raflesia colse immediatamente. Le due sorelle si fissarono negli occhi, scambiandosi mutamente vecchie parole, pronunciate tante volte da non necessitare più di essere profferite.
Ariel dal canto suo stava insistendo con il cugino per ottenere finalmente una risposta positiva.
- Allora, verrete con noi Harlock?
- Non si muoverà mai di qui! – intervenne Anthony - Vostro cugino è un misantropo.
Anthony lanciò ad Harlock uno dei suoi ironici sorrisi, prima di voltarsi di nuovo verso Ariel Urania.
- E voi, conte, cosa pensate di fare? Verrete a corte? – gli chiese questa, senza smettere di sorridergli. Era come se tutta la luce del sole fosse racchiusa fra quelle labbra carminie.
Anthony sentì che gli si mozzava il fiato e la sua risposta non fu pronta come al solito.
- Non mi dispiacerebbe… può darsi che Eva abbia intenzione di andarci, la potrei accompagnare. – disse, cercando di mascherare il suo imbarazzo dietro una risposta che suonasse il più possibile sciolta.
- Volete dire che verrete a corte solo se viene mia zia? – insistette Ariel.
- La accompagna ovunque vada, molto fedelmente. – fu la volta di Harlock di lanciare una battuta sarcastica.
- Non vedo il motivo per cui dovrei lasciarla qui a casa da sola. Certo, se fosse per voi e per tutta la compagnia che le fate sarebbe già morta di solitudine.
- Questo non significa che dobbiate seguirla come la sua ombra, non credete?
- Forse voi non riuscite neppure ad immaginare cosa vuol dire che due persone stanno assieme.
- Non litigate, vi prego… - Ariel si frappose fra i due, allungando le mani in avanti, una verso Anthony e una in direzione del cugino - Perché non chiedete a mia zia che cosa intende fare? Potremmo ritrovarci tutti assieme a palazzo: è tanto tempo che non succede.
Ariel si era rivolta di nuovo solo ad Anthony ed Harlock rimase, scuro in volto, ad attendere che Anthony facesse la prossima mossa.
- Glielo chiederò. - rispose semplicemente il conte di Ayveron.
- Fareste molto presto: è qui poco distante. – riprese Harlock con voce tagliente, fissando Anthony dritto negli occhi.
- Non voglio disturbarla, sta parlando con vostra zia. – replicò Anthony.
Quando iniziano a rimbeccarsi non la smettono più! Penso che non vadano per niente d’accordo e immagino di sapere il motivo: non credo che Harlock abbia accettato l’unione tra mia zia e il conte di Ayveron. Del resto... Anthony è persino più giovane di Harlock: Eva potrebbe essere sua madre.
Ariel si rese conto che, a causa del suo lungo silenzio, gli occhi di entrambi i suoi interlocutori erano ora fissi su di lei. Così sorrise come se nulla fosse, sospirò e disse:
- Allora glielo chiederò io. Scusatemi, zia…
Si voltò verso Eva, parlando a voce più alta.
- Dimmi pure, cara. - le sorrise questa.
- Stavo dicendo ad Harlock e al conte di Ayveron che mi farebbe molto piacere se veniste tutti e tre a corte, per il tempo in cui vi soggiorneremo io e mia madre. Credete sia possibile?
- Perché no? E’ un po’ di tempo che non mi fermo a lungo a palazzo e sarebbe un’ottima occasione per indurre Harlock a fare una più intensa vita di società. – Eva sorrise, sbirciando con la coda dell’occhio la reazione del figlio, che non si fece attendere.
- Intensa… vita di società? – esclamò Harlock, uscendosene poi con una lieve, calda risata. – Riuscirete facilmente a costringermi ad andare a corte, anzi, per far felice Ariel ci vado volentieri, ma mai e poi mai riuscirete ad obbligarmi a frequentare assiduamente tutte le occasioni mondane che si presenteranno.
- Avete sentito, Raflesia? Mio figlio è davvero un giovane ombroso! – un’ironica espressione di sofferenza comparve sul viso di Eva ad accompagnare le sue parole.
- Allora è deciso: verrete tutti e tre a corte, nei prossimi giorni. – concluse Ariel esultante, abbracciando con lo sguardo i due giovani.
- Con molto piacere… - le disse in un soffio il conte di Ayveron. I suoi occhi brillarono intensamente nell’incrociare quelli di Ariel che, confusa, distolse subito lo sguardo.
- Sono molto felice che sia ritornato a casa. – Raflesia posò per un attimo i suoi occhi chiari sul colonnello prima di proseguire, sempre a bassa voce – Ho temuto così tanto per la sua vita che quasi non riesco a credere che sia di nuovo qui, sano e salvo. Durante le ultime battaglie lungo i confini del Nord, nella piana di Moor e sul fiume Oreb gli scontri sono stati così violenti e numerosi soldati ed ufficiali hanno perso la vita. La vittoria è stata pagata a caro prezzo e anche la vita di Harlock avrebbe potuto...
- Ma così non è stato. – Eva la interruppe bruscamente – Harlock è un bravissimo ufficiale e non è un uomo che muore tanto facilmente, proprio come suo padre.
La contessa pronunciò queste ultime parole con grande convincimento, come a ribadire per l’ennesima volta una verità che non doveva mai essere dimenticata. Ralfesia non disse niente, come se non avesse sentito e dopo un breve silenzio riprese:
- Quando pensate di raggiungerci a corte?
- Faremo i preparativi in questi giorni, quindi penso che fra quindici giorni al massimo saremo a palazzo… Dovrò di certo farmi fare qualche vestito nuovo. E soprattutto dovrò farne fare qualcuno ad Harlock! Pensa che qualche tempo fa si è recato a teatro… - s’interruppe un istante, ripensando al nome di colui che aveva invitato suo figlio a quella serata – Sì, a teatro… indossando la divisa di gala, che non aveva mai messo, solo perché, mentre sceglieva i vestiti, si è accorto che non aveva nulla di decoroso da indossare. Capisco che ha passato quattro anni in guerra, che tutto quello che ha nell’armadio è vecchio e molti dei suoi indumenti sono andati rovinati o perduti proprio in guerra, ma almeno, una volta tornato, poteva subito chiamare un sarto e rifarsi il guardaroba.
- Avresti dovuto pensarci tu: lo sai com’è Harlock, detesta ogni tipo di mondanità e non si è mai curato delle mode e talvolta, mi dispiace ammetterlo, nemmeno del decoro. – replicò Raflesia.
- Di certo in questo non ha preso da me! – si difese Eva. – Io non esco mai se non sono perfettamente in ordine.
- E’ il suo carattere. – rispose Raflesia. – E’ testardo, orgoglioso e fiero e piuttosto che piegarsi a qualcosa o qualcuno preferisce morire.
- Questo suo temperamento gli ha procurato sempre tanti guai anche all’Accademia militare e persino con i superiori.
- Ma gli ha sempre tenuto lontano molti individui dappoco. – Raflesia sorrise, ricordando un episodio del passato in cui Harlock aveva manifestato tutto il suo disappunto perché l’uomo che aveva sfidato a duello si era rifiutato di accettare e gli aveva inviato un biglietto di scuse in cui finiva per proclamarsi suo amico ed “umile servo”. – Aveva soltanto diciassette anni…
- Stai ripensando di nuovo alla vicenda del conte di Kuning? – chiese Eva, sorridendo a sua volta. – Quanto si arrabbiò! Lo definì un codardo senza spina dorsale e stracciò la lettera che gli aveva inviato. Per molti anni, tutte le volte che Harlock lo incontrava, distoglieva lo sguardo da lui che gli abbozzava un mellifluo sorriso, come Dante dagli ignavi dell’Inferno.
La contessa di Lesath annuì, senza smettere di guardare in direzione di suo nipote, che intanto conversava, come al solito animatamente, con Anthony e la cugina.
- Adesso sembra finalmente essersi calmato. – commentò Eva, nonostante la scena che aveva davanti non fosse la più adatta a confermare le sue supposizioni.
- Dopo quattro anni di guerra quasi ininterrotta è normale che sia stanco di litigare e di fare duelli. Anche se non mi sembra che gli sia passata l’abitudine di dire sempre quello che pensa: pare che lui e il tuo giovane amico non vadano molto d’accordo.
- A volte bisticciano un po’, ma tutto sommato sono buoni amici. – rispose la contessa Eva con un sorriso.
- Ne sei sicura? – Raflesia le lanciò uno sguardo indagatore, tanto simile a quelli di Harlock.
- Certo! – Eva parve stizzita – E lo vedrai tu stessa quando staranno tutto il giorno sotto i tuoi occhi, a corte.
Le due sorelle si fissarono come se si lanciassero una sfida silenziosa ed una luce fiera e caparbia brillò nei loro occhi. Poi, improvvisamente, Raflesia si voltò verso la figlia e il suo viso si fece più sereno, senza perdere la consueta espressione altera.
- Ariel, è ora di andare.
- Di già, madre? - Ariel osservò la pendola che ticchettava in fondo alla stanza – Non siamo state molto... spero almeno che ci rivedremo presto a corte, così avremo modo di conversare quanto vogliamo.
La contessina di Lesath sorrise ammaliatrice ad Harlock ed Anthony prima di alzarsi.
- Me lo auguro anch’io. - Anthony si chinò, baciandole delicatamente la mano e congedandosi da lei.
Harlock lo squadrò e i suoi occhi si strinsero, penetranti.
- Arrivederci Harlock. – Ariel gli tese la mano – Venite presto: abbiamo da recuperare tanto tempo perduto.
- Verrò presto… - le promise questi, stringendole dolcemente la mano.

Poco dopo, quando la contessa di Lesath e la figlia se ne erano ormai andate, Anthony e Harlock rimasero soli nella stanza. Il colonnello tornò a sedersi su di una poltrona, l’aria assorta, mentre Anthony sceglieva un libro da una pila ordinatamente disposta su di un tavolo.
- Sembra che Ariel Urania vi abbia molto colpito. – Harlock incrociò le gambe, posando la guancia sul palmo della mano, in un atteggiamento solo apparentemente rilassato.
- Mi sembra una persona interessante. - replicò Anthony con voce incolore, ancora intento a leggere i titoli stampati sulla costa dei libri.
- E il vostro interesse traspariva chiaramente dal modo in cui l’avete guardata.
- Siete geloso di vostra cugina? – replicò il conte di Ayveron, chiudendo con uno schiocco il romanzo che aveva appena iniziato a sfogliare.
- Non sono geloso di lei: la mia è una constatazione oggettiva.
- Non l’ho guardata in nessun modo particolare. Sono stato soltanto cortese. – ribatté Anthony.
- Siete gentile a quel modo con tutte le donne che conoscete? – gli occhi di Harlock sfavillarono.
- A differenza vostra, io sono sempre cortese con le donne e non credo di dovermi giustificare per questo. Se provate della gelosia per la contessina di Lesath è un problema vostro.
- Voi non avete guardato Ariel come un uomo che cerca di essere cordiale! – ribatté il colonnello.
- Se è per questo, nemmeno voi l’avete guardata come un cugino. – Anthony lo fissò con la sicurezza di aver colpito nel segno.
- Ci conosciamo da quando eravamo bambini: lei per me è come una sorella. Abbiamo trascorso intere giornate assieme, ci siamo confidati di tutto… Non avete il diritto d’insinuare queste cose sul nostro conto! - il colonnello era in piedi e fissava Anthony dritto negli occhi, lo sguardo duro che ormai tante volte il conte gli aveva visto tenere nei suoi confronti.
Anthony tacque: per quanto dal volto di Harlock trasparissero chiaramente risentimento e persino dolore per quelle ultime parole, egli non riusciva a provare alcun rimorso per quanto aveva appena detto. Nemmeno la consapevolezza che le circostanze e la convenienza lo obbligassero ad un atteggiamento più conciliante nei confronti di colui che era pur sempre il padrone a casa Lorckshire riuscirono a indurlo a cambiare di un millimetro la sua linea di condotta.
- Siete entrato in questa casa, nella mia famiglia: sta bene. - proseguì il colonnello - Ma con che diritto venite a sputare sentenze sui rapporti che esistevano qui, tra i suoi componenti, molto tempo prima che voi arrivaste? Non l’avete voi una sorella a cui voler bene, una madre di cui preoccuparvi, un’amica? Non sapete che genere di sentimenti suscitano questi affetti? Se lo sapeste, allora non fareste certe basse insinuazioni. Io non sono “geloso” di mia cugina né di mia madre: io non voglio che il primo giovinastro farabutto che le si avvicina possa umiliarla, ferirla ed ingannarla. Se siete davvero interessato a lei, se l’amate sinceramente, non guardate altre donne e soprattutto non guardatele a quel modo!
Anthony si morse le labbra, in silenzio. Strinse i pugni, senza smettere di guardare Harlock dritto negli occhi, le iridi sfavillanti come ghiaccio che riluce sotto la sferza del sole.
Che ne sai tu, dall’alto della tua posizione, tu, nominato colonnello a meno di venticinque anni, di quale sia stata la mia vita fin qui? E più di tutto, che ne sai tu di me, dei miei sentimenti, dei miei affetti?
- Harlock… andate all’Inferno! – esclamò, lanciando il libro sul divano dove prima era stato seduto il colonnello.
Anthony uscì, sbattendo la porta, lasciando Harlock, solo e immobile, al centro della stanza.
- Questa volta abbiamo litigato di brutto. - mormorò il colonnello, tuffando una mano fra le ciocche di capelli che gli ricoprivano la fronte - Però non posso far finta di non aver visto con che occhi guardava Ariel e tanto meno posso restare indifferente mentre lui si prende gioco di mia madre. Possibile che non si sia accorta di nulla, possibile che lei, così bella, così orgogliosa e sicura di sé, sia tanto ingenua da lasciarsi prendere in giro in questo modo da un ragazzo che ha la metà dei suoi anni? E che possa accettare di restare accanto ad una persona che si sta prendendo gioco di lei?
   
 
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