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Autore: Lyoker    11/11/2012    1 recensioni
Creepy pasta one shot su un allenatore anonimo all'inizio del suo viaggio. O forse non solo il primo?
Genere: Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Il mio nome era contrassegnato su una tavoletta di legno da una piacevole scritta in corsivo antico ed elegante, di un nero brillante e per nulla sbavato. Inchiostro da stampa, a giudicare dal suo odore, che pur fosse distante da me di quasi due metri e mezzo, riusciva a penetrarmi nelle narici senza alcuna difficoltà.
Mi girai intorno, e osservai la stanza vuota che a sua volta mi fissava in silenzio: pareti bianche, in parte screpolate, in parte sporche di polvere e fuliggine. Sulle sue vesti s’incastravano gioielli d’arredamento scadente, quali vecchie croste sbiadite, manifesti strappati e una tenda ingiallita, che appena copriva una malandata finestra spifferante. Al centro della grande stanza decadente si erigeva una scrivania di legno incerto, stentatamente tra la betulla e il salice, mostrando la sua chiarezza quanto il velo logoro che indossava come dono del tempo passato. I suoi anni potevo avvertirli sfregando lentamente i miei polpastrelli sulla sua ruvida pelle, assaporando ogni anno di cui si era fatta carico, fino allo scontro di una liscezza nuova, da parte di fogli di un ordinario biancore, che tuttavia regalavano una ventata di dolce modernità e freschezza all’arcaico ambiente che mi chiudeva.
Peccato che quei fogli immacolati di candore puzzassero di foglie morte.
 
Mi rifiutai di chiedermi il motivo di un tale tanfo da parte di tanta bianchezza, che contrastava in maniera così statica l’abbraccio del passato che si respirava in ogni angolo della stanza, e allungai la mano verso la tavoletta di legno su cui era dipinto il mio nome. Il colore della targa si distaccava completamente da quello del tavolo, accentuando la sua sfumatura scura e legnosa. Accarezzandola potevo sentire ogni sua vena, quasi pulsasse ancora, tra la mia pelle e il mio respiro. Era bella, nella sua rozzezza, ed era per me.
Diedi ancora un ultimo sguardo alla stanza, prima di infilare il mio nuovo tesoro nella tasca interna della mia giacca, e ne fui mortificato quando notai dietro la tenda ingiallita alle mie spalle, una piccola ombra, che mi esaminava appena sotto la finestra con il suo sguardo senza occhi. Mi analizzava come un virtuoso medico davanti alle lastre del suo paziente più grave, e dietro la parete della mia mente riuscivo a scorgere i toni cremisi e contorti delle pupille che non aveva, in quella piccola massa di fumo e fuliggine incorporea.
Il suo odio era immenso quasi quanto l’oceano che sovrasta i confini di Hoenn.
 
Mi girai completamente verso di lei e la commiserai con viste cariche di pietà per la sua angusta, miserabile vita di piccola ombra dagli occhi nascosti, ma lei parve non apprezzare. Per quanto ricordi, la vidi distendere il suo corpo senza consistenza di due ali di media grandezza, che s’intrecciavano e si disperdevano senza freno sulla mezza parete sotto all’unica finestra che permetteva luce alla stanza. Questa prese a mutare la propria forma, intrecciandosi ancora senza freni, in un impasto di deboli tenebre che la componevano, fino a farle raggiungere i lati della fenditura dell’infisso e a librarsi come due vere ali senza alcun corpo che potesse unirle. Io osservai rammaricato le due nuove figure, immaginando come la miserevole creatura potesse in questo modo approcciarsi poi a me.
Non aspettai a lungo: essa si scompose e si ricompose ancora una volta, fino a prendere una vera e propria consistenza e uscì dalla sporca parete come fanghiglia. In un abbraccio le due forme nere si unirono ancora, e una specie di piccolo diavolo ne venne fuori, tra zampe leste e inginocchiate e minuscole membra ai lati di quelle che sembravano orecchie, fino a sottigliarsi e quasi dividersi. Riuscii finalmente a scorgere i suoi occhi brillanti come le dannate fiamme infernali, e impreziosite da due grosse gemme.
 
Misi al sicuro la targa legnosa all’interno della mia borsa, lasciandola cadere tra le mie pokèball ancora vuote all’interno della sacca. Scattai all’indietro e ne presi una di traverso, l’unica contenente una forma di vita, lanciandola sul terreno. La sfera si aprì e in un vortice di luce rossa apparve il mio nuovo compagno, consegnatomi un paio di giorni prima dal mio professore. Un torchic. Le sue piume guizzarono d’irradiante bellezza e le sue zampe si conficcarono a forza sul pavimento. Fiero della sua giovane età, fissò testardamente l’ombra davanti a noi, da che ormai aveva preso consistenza, rivelando tuttavia una piccola trasparenza.
Impartii gli unici due ordini al mio nuovo compagno, ma nessuno di loro aveva molto effetto. Il nostro nemico era un abile figlio delle tenebre, e ogni suo gesto sembrava farsi burla delle nostre forze, schivando velocemente ogni tentativo di offensiva.
Spiccò un salto lungo sulla tenda della finestra davanti a me, e con irriverente sguardo mi fissò con i suoi occhi splendenti e senza iridi.
 
Riconobbi quello che sembrava Ombra notturna.
 
In un fascio di luce, le tenebre mi avvolsero e il volto dell’ombra irriverente si allargò lungo tutta la parete, inghiottendomi in un mondo senza sole, e lì, diviso dal mio compagno fiammante, caddi sulle mie ginocchia. Un vento congelante mi passò tra i capelli e sbuffi ardenti mi morsero il collo. Ero impietrito. Ero indifeso. Ero carne al macello.
Riaprii a stento gli occhi e al mio cospetto ritrovai ancora una volta quel volto beffardo.
I suoi diamanti sembravano vuoti, il suo sorriso quasi finto, come se avesse raggiunto un eccessivo livello di pace e tranquillità.
Mi mostrai confuso e disorientato, perchè non avevo idea di cosa stesse succedendo.
L’ombra poggiò pesantemente la manina sulla mia spalla, guardandomi fin dentro l’anima.
Un'altra folata di vento freddo mi colpì, facendo scrocchiare un manto di erbe secche.
Strano, credevo di essere entrato nello studio del professore.
La creatura nera si leccò velocemente le labbra, secche come l'erba alta intorno a noi.

"... Credevo saresti tornato da me. Da solo.”

 
Rimasi interdetto. La creatura nera mi aveva parlato.
Non credevo che le creature parlassero. Trattenni il fiato.

“Io non so chi tu sia…” risposi molto francamente, con un velo di paura tra le mie sillabe
“Non sei forse … Un pokémon selvatico?”
 
La bestia mi guardò freddamente mentre il suo sorriso si capovolse lentamente.
 
“… Bugiardo.”

Ad un tratto alle sue spalle, il vento si stagliò dividendosi sul suo corpo, facendo aizzare la sua stessa ombra come un mantello nella mia direzione.
Abbassò il viso, incupendolo di ombra.
Il cielo, apparso improvvisamente su di me, dapprima caldamente dipinto di un terso arancione tramontino e sfumato da leggerissime frastagliature di nuvole candide, che a poco a poco si coloravano del bagliore intorno, ora si presentava ingoiato dal vortice di vento, che trascinava con sé un tetro velo nero. Strano, davvero strano. Credevo che su di noi ci fosse solo un soffitto in calcestruzzo.

Non potei fare a meno di indietreggiare, lasciando che il vento mi si gettasse contro. Arrivai allo stesso posto in cui mi ero ritrovato all’inizio, e lì rimasi, contando i suoi passi tra l’erba alta e secca che ormai, vittima dei venti, si screpolava sotto la vigorosa violenza.

Le stelle impazzirono e, emergendo dalla luce arancione che tingeva l’ambiente, cominciarono a cadere una dopo l’altra, prima disperdendosi nell’atmosfera, poi, a poco a poco, aumentando la consistenza con piccoli frammenti che si conficcavano nel terreno e le erbe secche, sempre più veloci.
Una pioggia quasi apocalittica di frammenti di stelle scendeva rapidamente sulla terra, come piccole frecce. Il loro impeto, il vento, l’erba secca fecero il resto.

Le piccole scaglie, sfrecciando tra il secco, arsero sempre di più, cominciando ad appiccare il fuoco nelle alte erbe tutte intorno, creando dei piccoli roghi intorno a noi.
Strinsi i denti. Mi chiesi dove fosse il mio piccolo compagno, e per quale ragione da una stanza mi ritrovai in quel posto apocalittico. Possibile che un semplice attacco di Ombra Notturna potesse farmi vacillare in quel mondo delirante?
Lui non era reale. Tutto ciò che lo circondava non lo era. 
Tutto doveva essere frutto del mio inconscio che, lucido nel mio stesso sogno, mi rifiutavo di ricordare e di accettare.

Le fiamme divamparono alte e ardenti, mentre il cielo si incupiva maggiormente, sotto la pioggia di ardenti stelle.

La creatura mugolò qualcosa, per poi allungare la scura manina verso di me, alzando il suo viso. Gli occhi di diamante senza iride, il suo viso delicato, puro come quello di una bambola di una porcellana, scuro come le tenebre dell’Oltretomba.

E sulle sue guance rigava sangue.

Intorno a noi si era ormai creato un ambiente catastrofico, mentre la pioggia di stelle bruciava ogni cosa e il vento espandeva le fiamme alte lungo l’erba secca, spezzando quel delicato equilibrio autunnale che si era venuto a creare.

”… Bugiardo…”

 Le sue parole si spezzarono, ma il suo viso rimaneva immobile, come se fosse davvero di porcellana. Le labbra socchiuse, lo sguardo vuoto, e la manina ancora tesa, lontana, verso di me.

 
“Avevi promesso che saresti tornato. Avevi promesso che avresti combattuto per me.
Ma non lo hai fatto. Hai scelto di ricominciare daccapo. E io sono rimasto solo, nel buio, ad aspettarti.”

Silenzio.
Intorno a lui, tra le sterpaglie secche che avevano preso fuoco secondo la scia tracciata dalle comete furibonde, era calato improvvisamente il silenzio. Un silenzio che nemmeno lui era riuscito a capacitarsene.
Lo guardai in preda al terrore, inginocchiandomi davanti a lui.

“Io non ho idea di chi tu sia!” gli urlai
“Ti prego, risparmiami! Ridammi il mio compagno!
… Non ho fatto alcun torto contro di te, Sableye demoniaco che non sei altro!”

I miei occhi quasi baciavano l’erba secca, ormai prostrato davanti a quella creatura padrona del mio incubo.
 
“Non ho fatto niente di male!
Solo due giorni fa il professore della mia città mi ha consegnato un torchic, e oggi sono venuto a ritirare la mia licenza di allenatore!
Non ho ancora cominciato il mio viaggio, come invece hanno fatto gli altri miei compagni!
Ti prego, Sableye, non ho idea di chi tu sia! Ridammi il mio compagno e lasciami andare!”

Ancora silenzio, ma non ebbi il coraggio di alzare gli occhi.
Ancora una volta, il vento gonfiò delicato contro la creatura nera, che mi guardava di nuovo con i suoi occhi grandi e diamantini  senza iridi, come una bambola difettosa.
Intorno a lui le fiamme si estinsero, risucchiate dalle sterpaglie secche, che invece di bruciare, assorbirono l'incendio come acqua cristallina, rinvigorendo e tornando alla vita.
Tutto intorno a loro prese nuovo vigorìo come mai era stato prima, prima di tutto, prima di ogni cosa. Rimase fermo, a guardarmi, immobile, prima di voltarsi e trascinare via con sé tutto il mondo che lui stesso aveva creato.
 
Alzai lo sguardo e mi ritrovai nella fredda stanza bianca dove tutto era cominciato. Davanti a me, torchic mi guardava impensierito. Avvertivo una grande paura nei suoi occhi, ma della creatura non c’era più traccia.
Mi chiesi di quale buio stesse parlando, ma quell’esperienza mi segnò. Guardai sotto la finestra della stanza, dietro le tende dov’era apparsa in principio la bestia nera: una pozza di sangue e due diamanti sporchi al centro.
Mi inginocchiai e ne raccolsi uno. La mia mano si sporcò di quel sangue, quando all’improvviso tutto intorno a me cominciò a sgretolarsi in tanti piccoli quadratini: il soffitto, la parete, torchic. Anche il pavimento, facendomi volare in un mondo senza aria e senza forme, solo completamente bianco. Non riuscii ad atterrare, ma rimasi fermo, sospeso a mezz’aria, con il diamante stretto nella mano. Chiusi gli occhi, tutto nero. Silenzio.
Poi un suono: una musica, e un campanello. Strinsi i denti con tutte le mie forze, con il diamante tra le dita sporche di sangue.
Addio torchic. Addio Sableye.
 
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