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Autore: Anonymous writer    12/11/2012    3 recensioni
[- Che ne sai tu dell’amore?- chiese lui. La ragazza non si aspettava quella domanda e non seppe che cosa rispondere. Forse aveva toccato una nota dolente.
- Come credevo. Voi ragazzini guardate qualche cartone della Disney e credete di sapere tutto sull’amore.- ]
Quando una donna cerca qualcosa è pericolosa. Quando cerca vendetta è letale.
E se quella donna è una giovane cacciatrice allevata dal celebre cacciatore Bobby Singer?
Nessuna creatura sarà più al sicuro, nemmeno a Mystic Falls dove Elena Gilbert si trova a dover scegliere tra l'amore puro e quello corrotto dal pericolo e dalla passione. Ma soprattutto deve scegliere se combattere al fianco dei Salvatore e quindi dalla parte dei vampiri o da quella degli umani e quindi di suo fratello Jeremy e del suo migliore amico Matt. Dean e Sam, Bonnie, Caroline, Klaus, Bekah, Kol, Klaus... nessuno manca. Nessuna creatura.
Genere: Dark, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
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Quando Emma si alzò era quasi l’alba.
Scese dal letto, già vestita e prese il cellulare, la borsa e il maglione che si mise sulle spalle. L’inverno era decisamente arrivato; in giardino la brina faceva luccicare il prato e l’aria fresca muoveva le poche foglie gialle rimaste sugli alberi del viale. Emma prese la bici, infilò il maglione e iniziò a pedalare. I boccoli le svolazzavano attorno al viso, le guance erano rosse per il freddo e gli occhi socchiusi, ostili al venticello.
La ragazza arrivò al cimitero pochi minuti dopo, lasciò la bici all’entrata est e iniziò ad arrampicarsi su per l’alto cancello.
- Hai intenzione di derubare i morti?- chiese una voce dietro di lei –Sei una persona davvero orribile.-
Emma, dall’alto del cancello guardò giù, intercettando lo sguardo glaciale di un ragazzo moro. Indossava una giacca di pelle nera, eppure non sembrava aver freddo. Stretta nella mano destra aveva una bottiglia di bourbon, eppure non sembrava granché ubriaco.  Evidentemente stava aspettando una sua risposta, perché alzò un sopracciglio.
- Senti mi sembra che tu abbia molto da fare- accennò al bourbon- quindi ci vediamo, ok?-
Emma scavalcò agilmente, scese un poco e saltò giù. Lui la guardò attentamente, non sapendo bene cosa rispondere. A dirla tutta non sapeva neanche perché stava perdendo il suo tempo con un’umana.
Si accorse che lei aveva un problema, perché stava mormorando imprecazioni. Non gli ci volle molto a capire che aveva dimenticato la borsa al di là del cancello.
- A quanto pare ti serve il mio aiuto.- sentenziò il ragazzo, facendo una smorfia soddisfatta. Lei espirò, stringendosi nelle spalle.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, però se mi potessi passare la borsa, cortesemente…- un’idea balenò nella mente della ragazza. E se quel ragazzo fosse un malintenzionato? Se le avesse rubato il portafoglio e il cellulare? Emma imprecò ancora una volta mentalmente. Il sorriso del ragazzo si allargò, lui posò la bottiglia e prese la borsa di Emma.
- Senti non ho soldi e non ho portato il cellulare, quindi non credere di trovarci qualcosa lì dentro.- mentì- Oltretutto non è una borsa di marca.-
Il ragazzo scoppiò a ridere, e i suoi occhi si assottigliarono. Il suo sguardo era felino. Fece un passo verso il cancello.
- Non ho mai visto una borsa più brutta,- commentò- non è proprio il mio genere. Oh, dai per chi mi hai preso? Sono un bravo ragazzo, io! E poi non c’è gusto a derubare una ragazzina.-
- Non sono una ragazzina.- Emma si avvicinò al cancello e allungò un braccio per afferrare la borsa, ma il ragazzo la scansò.
- Cosa ci fa una ragazzina in un cimitero all’alba?- la ignorò, sorridendo e appoggiandosi al cancello con una mano e avvicinando il viso a quello della ragazza. Emma si tirò indietro, indispettita.
- Almeno io non sono ubriaca.-
- Neanche io, se è per questo.- ora era serio.
Si squadrarono attentamente. Ora che erano vicini, anche se separati dal cancello, Emma poté studiarlo meglio. I capelli folti incorniciavano il volto pallido, gli occhi chiari luccicavano sotto le sopracciglia scure. La mascella quadrata era indurita e le labbra un poco carnose erano serrate. D’altro canto il ragazzo osservò con calma lei, seguendo la linea dei suoi  boccoli marroni e penetrando il suo sguardo nocciola.
- Suppongo che è la bottiglia serve solo per tenerti compagnia, allora…-
- Beh, fino ad un momento fa. Ora però cedo a te il privilegio di trascorrere del tempo in mia compagnia.-  sorrise, alzando le sopracciglia. Erano buffe quelle smorfie che faceva, Emma le aveva notate subito.
- Per quanto sia importante fare volontariato al giorno d’oggi, preferisco evitare di portarti a spasso. Ho altro da fare. Dammi la borsa …-
Lui gliela tese ed Emma l’afferrò saldamente, fin troppo perché quando lui l’attirò a sé lei venne sbattuta contro il cancello. Il tono del ragazzo divenne confidenziale e alla ragazza vennero i brividi.
- Hai di meglio da fare che stare con me? Difficile da credere…- Emma tirò con tutte le forze la borsa ma lui la teneva senza fare alcuno sforzo apparente. Poi d’un tratto lasciò la presa, raccolse da terra il bourbon e si scolò la bottiglia tutta d’un sorso.
- Non dovresti affogare le tue pene d’amore nell’alcool.- mormorò lei, senza pensarci. Aveva guardato il liquido scomparire dalla bottiglia e le era tornato alla mente un episodio del passato: suo padre sulla poltrona che beveva la seconda bottiglia di whisky della sera. Il ragazzo si voltò appena e lei alzò lo sguardo. Si rese conto di aver parlato ad alta voce e pensò di dover scappare a gambe levate. Prima regola dell’avere un dialogo con un alcolista: mai dirgli che cosa deve fare.
- Che ne sai tu dell’amore?- chiese lui. La ragazza non si aspettava quella domanda e non seppe che cosa rispondere. Forse aveva toccato una nota dolente.
- Come credevo. Voi ragazzini guardate qualche cartone della Disney e credete di sapere tutto sull’amore.- scaraventò la bottiglia lontano. Emma indietreggiò, impaurita. Era il momento di andare, non avrebbe mai dovuto fermarsi a parlare con uno sconosciuto. Si voltò e iniziò a camminare, infreddolita.
E forse era proprio il freddo a giocarle brutti scherzi, perché d’un tratto si ritrovò sbattere contro qualcosa. Aprì gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con il ragazzo. Come aveva fatto a scavalcare così in fretta il cancello? Come poteva non averlo sentito correre? Il battito del cuore della ragazza accelerò.
- Come ti chiami?- le chiese, la sua pupilla si era appena ingrandita di colpo?
- Emma.- la ragazza si chiese chi era stato a rispondere per lei. Era certa di non aver detto nulla eppure sapeva che era stata lei a parlare. Aggrottò la fronte confusa.
- Hai un bellissimo nome. Io sono Damon.- le sfiorò la guancia con una mano gelida e avvicinò il viso- Ora, Emma, voglio che dimentichi il nostro incontro e che non ti ricorderai del mio volto. Passa una buona giornata.-
La ragazza batté le ciglia, e lui era già scomparso.
Emma espirò, poi prese il cellulare dalla borsa e compose un numero in fretta.
- Bobby? Ho trovato i Salvatore. Mystic Falls, Virginia. Fai presto.-
Riagganciò e proseguì all’interno del cimitero.
 
 
Elena aprì gli occhi lentamente. Aveva dormito al massimo un’ora e tutto per far vedere a Jeremy che aveva conservato qualche abitudine umana. O forse lo doveva dimostrare anche a sé stessa; a quella parte di sé che non la accettava più e la respingeva, la combatteva.  Il suo corpo era freddo, la sua vista vigile, il sonno praticamente era svanito e poi c’era lei: la fame. Il problema più grande dell’essere un vampiro era il dover sopravvivere a discapito di una piccola donazione sanguigna altrui.
La ragazza scostò la coperta rossa e si sedette sul letto, mentre fuori ancora il sole era appena sorto. Il suo sguardo ricadde inconsciamente sull’anello che le aveva fatto Bonnie. Era buffo pensare che un semplice pezzo di argento potesse evitarle di arrostire viva. Elena scostò una ciocca di capelli lisci e neri dietro l’orecchio. Niente più la stupiva, a dire il vero.
Vampiri, licantropi, streghe, ibridi, umani.
Pochi anni prima se qualcuno le avesse detto che le sue due migliori amiche sarebbero diventate una strega e un vampiro, si sarebbe messa a ridere di gusto. Un po’ rimpiangeva quei tempi, quando sua zia Jenna s’affaccendava dietro ai fornelli, e quando l’unica preoccupazione di Jeremy era quella di non cacciarsi nei guai. Ma probabilmente i guai erano una maledizione della famiglia Gilbert.
Improvvisamente Elena scoppiò a piangere, come una bambina piccola, con tanto di singhiozzi.
Si maledisse per aver pensato ai suoi genitori. Il fatto è che non si era ancora abituata ad essere così sensibile a una qualsiasi emozione. Corse in bagno, si calmò e si fissò allo specchio. Alzò il labbro superiore e scoprì i canini, studiandoli attentamente. Erano affilati come coltelli. Li ritrasse, si legò i capelli in una coda alta e si sciacquò il viso, lasciando che l’acqua fredda lavasse via ogni pensiero.
- Elena, Elena, Elena…- mormorò asciugandosi il viso e tornando in camera. Andò ad aprire l’armadio, prese una maglia ed un jeans e con velocità si vestì, scese al piano di sotto, prese la borsa ed uscì.
All’inizio non le venne in mente dove andare, ma aveva bisogno di aria e doveva uscire da quella casa che era diventato un nido di pensieri da cui doveva prendere una pausa.
Rimase ferma in giardino senza sapere che fare, la borsa leggera stretta in mano. Sospirò e iniziò a camminare. Poco dopo raggiunse la villa dei Salvatore, ancora indecisa sul da farsi. Aveva una fame tremenda ma da quando aveva quasi ammazzato Matt era fuori discussione che accettasse ancora sangue da lui. E ora che il tentativo di Damon si era dimostrato un buco nell’acqua, Elena pensò che l’unica soluzione era chiedere aiuto a Stefan. Ma di fatto era preoccupata di averlo deluso, seguendo Damon e i suoi consigli. Suonò il campanello, sentendo diversi sentimenti controversi crescerle dentro. Tutto ciò era davvero estenuante, fortunatamente Stefan venne subito ad aprire.
Elena lo guardò, cercando perdono. Ma lo sguardo di lui la fece rabbrividire. La guardò solo un istante, poi le saltò addosso, gettandola a terra e bloccandole la gola con l’avambraccio.
- Katherine.- soffiò, con i canini scoperti.
- No, Stefan, sono io. Elena!- lui scoppiò a ridere, stava per dire qualcosa quando anche un’altra Elena scoppiò a ridere dietro di loro. Quell’altra Elena non poteva essere che Katherine.
Stefan mollò la presa su Elena e guardò Katherine, stupito e orripilato.
- Oh, dai, Stefan, pensavi davvero che lei era me? E che io ero lei? Voglio dire…non ci vuole poi molto ad imitare lei. Basta immaginarsi una santarellina e chiedersi sempre: “Cosa farebbe o direbbe ora una santarellina?”. Però per imitare me ce ne vuole…-
Appena i due si furono rialzati, Katherine tornò dentro. Stefan si voltò verso Elena.
- Tutto ok? Mi dispiace tantissimo, non mi ero proprio accorto che era lei. Ti ho fatto male?- la preoccupazione nel suo tono era palpabile. Elena sorrise, ancora agitata.
- Ce ne vuole per farmi del male, ora.- entrambi capirono a cosa si riferisse. Ora però Elena era arrabbiata, frustata e preoccupata. Tutto ciò scaturito dall’aver visto anche per soli cinque minuti Katherine. Perché era tornata? Magari aveva qualche notizia…forse aveva deciso di suicidarsi. Elena si ricompose, non era da lei odiare tanto una persona. Non era da lei odiare in generale. Ma aveva sempre detestato Katherine e non si era mai fidata di lei. Entrarono a fronteggiare Katherine e tutti i guai che stava portando in città. Perché l’unica sicurezza che si aveva con lei era che portava solo problemi. Elena chiuse la porta con forza. Con un po’ troppa forza. 
  
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