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Autore: Tayr Seirei    13/11/2012    4 recensioni
"Agenzia dei Ritrovatori! Possiamo ritrovare qualunque cosa, dalle chiavi di casa smarrite al gatto fuggiasco, dai ricordi più flebili alle speranze perdute. Sette maghi specializzati troveranno, fra le tante porte, quella che fa per voi.
PS: il capo sa anche aggiustare i giocattoli!"

Benvenuti alla Galleria. Cosa avete smarrito? Dietro una delle porte, sicuramente, lo ritroverete. D'altronde, è il nostro lavoro.
Raccolta di storie, slegate o forse no, sugli strani soggetti che si aggirano per la Galleria, il loro viaggio attraverso lo specchio e quello che vi trov- no, momento, quella era un'altra storia. Ma gli specchi magici li abbiamo pure noi. E un sacco di altre cose. Prego, volete entrare a dare un'occhiata...? Il Capo vi accompagnerà volentieri, tenendovi a braccetto.
E' un posto strano, badate a non perdervi. Ma, sicuramente, ciò che vi ritroverete vale il rischio. E allora, si comincia?
Genere: Commedia, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Atemu, Mahad, Yuugi Mouto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prologo - Departures, Memory. Gate.


Il bambino si trascinò stancamente attraverso il parcogiochi deserto, ignorando i sinistri scricchiolii della ghiaia su cui passava. Uno dei più grandi dubbi della sua vita era se, in effetti, sotto la ghiaia ci fosse del terreno, oppure ci fosse il rischio di imbattersi in qualche punto instabile e venire inghiottito da quella moltitudine di sassolini. Le Ghiaie Mobili.
Tutto sommato, suonava bene. Ma non era arrivato a fatica fin lì per inventarsi nomi improbabili.
No. In realtà, era andato lì per nascondersi. La mattinata scolastica si era conclusa da un bel pezzo, e sarebbe già dovuto filare a casa; la madre e il nonno, di sicuro, cominciavano già a preoccuparsi e lanciare occhiate ansiose alla porta ogni tanto. Peccato che, però, lui non avesse alcuna intenzione di tornare a casa.
... Vabbé, "peccato". Ad essere onesti, non ne aveva proprio il coraggio. Era abbastanza sicuro che, una volta scoperto il pasticcio che aveva combinato, la madre e il nonno avrebbero studiato un sistema elaboratissimo per sopprimerlo in maniera alquanto dolorosa - o, quantomeno, gli avrebbero proibito l'accesso a tutti i suoi i giocattoli. (Perché ci sono cose peggiori della morte.* Per lui, quello sarebbe stato un supplizio eccessivo.)
Sospirò e sedette - lasciò cadere - stanco - consumato nel corpo e nello spirito - su un'altalena, aggrappandosi appena con le mani ancora esili alle catene.
Non era solo la paura di una sgridata di proporzioni epiche a trattenerlo dal tornare a casa. Né l'idea di potersi scordare la merenda per un paio di settimane. Era anche la tristezza, profonda, che gli si era insidiata dentro. O forse era... senso di colpa...?

Non sarebbe dovuto succedere.
Ah! Sospirò - di nuovo - e chinò il capo di lato. Era davvero una brutta giornata. E lui non aveva idea di come scampare alla - giusta - punizione che si sarebbe preso. Prese in considerazione l'idea di trasferirsi al parco-giochi; avrebbe potuto dormire sotto lo scivolo e nutrirsi d'erba. Di quando in quando, anche delle caramelle che cadevano agli altri bambini.

Mmh... Forse non era un'idea così geniale.
- Basta! - Saltò su d'un tratto, improvvisamente determinato come non mai - Ho deciso. Diventerò un'altalena! - Sì, decisissimo, per quanto le lacrime cominciassero ad appannargli la vista.
E proprio in quel momento, qualcuno si sedette di slancio sull'altalena accanto a lui, ridendo. - Ma che idea originale, ragazzino. E, dimmi, come mai vorresti diventare un'altalena?
Il bambino gli rivolse un'occhiata in tralice, diffidente. L'altro era un ragazzo che doveva avere solo pochi anni più di lui, a giudicare dalla scarsa altezza (e se lo diceva lui che era alto all'incirca quanto due bonsai messi uno sull'altro, significava che era
veramente basso...) e dal corpo sottile. La voce aveva ancora una nota infantile... ma camuffata alla perfezione dal tono sicuro in cui parlava.
E, nonostante sembrasse così "adulto", stava gustando in tutta tranquillità un lecca-lecca "arcobaleno". Rendendosi conto di ciò, il bambino decise automaticamente di fidarsi. Ci si può sempre fidare di chi va in giro sgranocchiando dolcetti. Specie se di ventisette colori.
- Ho combinato in guaio - esordì, piccoli singhiozzi che cominciavano a farsi sentire - La macchinina che mi aveva regalato mio padre prima di partire. Non la trovo più. Persa. - Strinse forte le catene che sorreggevano il sediletto - E mia madre mi ucciderà.
L'altro continuava a mangiare il suo dolce, in silenzio.
- ... No... - continuò il piccolo, staccando una mano dalla catena per asciugarsi le lacrime. - Non ho paura di mamma. E' che... mi dispiace tanto. Era l'ultimo regalo. Papà è partito da così tanto tempo, e... Cavolo.
Accanto a lui, il ragazzo si picchiettò distrattamente un labbro con il lecca-lecca, come se non avesse sentito l'ultima parte. - Ti ricordi dove hai visto la macchinina l'ultima volta? - Gli domandò, in tono pratico.
Il bambino, spiazzato dalla domanda, ci mise qualche secondo, prima di rispondere: - Beh, ho ricontrollato che fosse nella borsa quando siamo usciti da scuola. Dopo, mentre tornavo a casa, non l'ho più trovata. Sono tornato a controllare in cortile, ma non c'era...
- E porti a scuola un oggetto tanto prezioso, di solito? - Volle sapere l'altro, con un tono tendente al malizioso. O meglio, piuttosto, sembrava una domanda a trabocchetto.
- Sì - rispose il bambino, perplesso - E' un regalo di mio padre e... anche se è una macchinina da collezione, mi sembra stupido lasciarla a casa. Si riempie di polvere e basta. Che senso ha avere un giocattolo se non lo usi? Magari dopo si sente anche abbandonato, o...
Singhiozzò ancora. Forse la sua macchinina adesso si sentiva abbandonata e sola, ovunque fosse finita...?
E il ragazzo scese dall'altalena con un salto fluido, grazioso. Si volse verso il bambino e batté le mani. - Mi piacciono le persone che si prendono cura dei giocattoli. Per stavolta, credo proprio di poter fare un'eccezione... - Fletté le ginocchia, per portarsi alla sua stessa altezza. - Tra l'altro - sorrise - Mi sembri ben motivato. Ti aiuterò a ritrovare il prezioso regalo di tuo padre! - Si tirò su e diede un morsetto al lecca-lecca, dato che non vi si dedicava da qualche minuto. - Ci stai?
Il bambino sgranò gli occhi, incredulo di fronte alla piega che stavano prendendo gli eventi. - Ma come...
- Diciamo che
ritrovare le cose è una delle mie specialità. Devi solo seguirmi!
A due occhi viola così, non si può certo dir di no.

All'incirca un quarto d'ora dopo, il bambino arrancava dietro al ragazzo che si inerpicava per una vecchia scala antincendio in un vicolo. E, per la verità, pensava "... forse è il caso di cominciare ad avere paura". L'altro non aveva più spiccicato parola da quando si erano avviati, limitandosi ad aspettarlo quando cominciava a crearsi distanza fra loro - forse non parlava perché era troppo concentrato sul lecca-lecca, in effetti. Ma, per quanto stesse seguendo un oscuro individuo che si comportava e muoveva come un adulto con le maniche della camicia rimboccate sei, sette volte... non si sentiva a disagio, affatto. Non era un silenzio inquieto, solo quel silenzio di quando non c'è nulla da dire e, tuttavia, va bene così.
- Bene, eccoci arrivati! - Fece lo strano ragazzo, fermandosi su un pianerottolo arrugginito che scricchiolò in maniera poco raccomandabile quando vi si fermò sopra. Il bambino seguì il suo sguardo, avvicinandosi con cautela: stava fissando un muro. Intonacato. E, a prescindere dalle macchie di muffa, pareva bello solido.
... Effettivamente,
forse era davvero il caso di preoccuparsi.
- Allor, le chiavi! Ehm... - L'altro si guardò le mani, indeciso, poi afferrò il lecca-lecca con i denti per avere libertà di movimento e prese a frugarsi nelle tasche. Si interruppe solo sentendo un leggero tintinnio. - Oh, eccioe! - Bofonchiò, tirando fuori un mazzo di chiavi metalliche (le quali sembravano quasi trasparenti. Ed erano tante.) - Volevo dire - tossicchiò, - Eccole! - E non appena avvicinò le chiavi al muro, quella che aveva tutta l'aria di essere una porta cominciò ad affiorare, spuntando per intero nel giro di pochi istanti.
Sì, okay, era decisamente una porta. Anche se fino ad un attimo prima non ve n'era traccia. Il bambino si aggrappò all'elegante panciotto del ragazzo; non per paura, non per sfiducia.
Anzi. La macchinina perduta e la catastrofe in corso si allontanarono per un momento dai suoi pensieri, sostituiti da un'allettante constatazione: quella era magia.
- Vedi - sorrise il ragazzo, convinto, facendo roteare il mazzo di chiavi sull'indice - E' una porta magica. Appare soltanto quando gli avvicini la sua chiave.
Il bimbo annuì soltanto, rapito.
- E adesso... - La mano interruppe bruscamente il movimento rotatorio, le dita che si richiudevano su una chiave ben precisa; come se fosse una cosa fatta un milione di volte, poi, infilò a colpo sicuro nella serratura la piccola chiave, dando subito dopo due leggeri scatti in senso antiorario. Il tutto in una concatenazione di gesti fluidi, senza esitazioni.
Ben conscio del fatto che, in generale, è statisticamente impossibile beccare la chiave giusta al primo colpo - specie se in un simile mazzo - il bambino rimase più sbalordito da questo che non dalla porta sbucata fuori dal nulla.
- Ma... - chiese curioso, ammirato - Sono gesti magici? Se non fai così la porta non si apre?
Il ragazzo si irrigidì un momento, mentre posava la mano sulla maniglia. Si voltò e alzò il dito indice. - No, piccolo. Ma è una cosa ugualmente importante. Si chiama
Scenografia. Crescendo, imparerai a non sottovalutarla.
E, non seppe bene perché, il bambino all'udire quelle parole ebbe la netta impressione che, se le avesse sentite qualche anno dopo, si sarebbe tirato una sonora manata in fronte.
Ma per il momento aveva nove anni, quindi prese la spiegazione per buona.
Senza emettere alcun rumore ("Odio le porte che cigolano, dunque provvedo a non farle cigolare. Tutte." Aveva spiegato il ragazzo, con aria tetra) la porta magica si spalancò sul pianerottolo, lasciando vedere...
... Un corridoio.
Stretto.
E arancione.
- ... Me l'aspettavo bianco. - Fece il bambino, osservando quell'interno con vaga perplessità. - E più strano. - Proseguì, seguendo il ragazzo all'interno. Il battente si richiuse dietro di loro da solo.
In effetti, quello era un corridoio. Con tanti specchi sulla parete destra. E tanto arancio.
- Bianco? La spazio principale della Galleria è bianco. Pavimenti di marmo, mura candide, tutto il pacchetto... - L'altro alzò lo sguardo al soffitto e sorrise fra sé. - La cosa migliore, però, è quando il sole cade sulle finestre. Sono di vetro colorato. E allora sì che diventa bella... Comunque - Proseguì, con una mezza risata - Quella è la porta sul retro. Ci credo che non è molto spettacolare!

... E c'era bisogno di fare tutte quelle scene per entrare dalla porta sul retro...?
Fu l'esatto pensiero del bambino, pregno di uno strano sentimento.
Col tempo, avrebbe imparato ad identificarlo come esasperazione.
- Anche tutte le Stanze della Galleria hanno una porta sul retro. E tutte danno su questo corridoio. - Lungo, molto lungo, e proprio in lontananza si intravvedeva una piega a gomito. - E' sempre meglio avere più possibilità di entrata ed uscita. - Il ragazzo gli porse la sinistra (con la destra sorreggeva il lecca-lecca, anche se probabilmente quel disco zuccherato avrebbe avuto ancora vita breve). E il bambino, senza farsi domande di alcun tipo, la afferrò.
- Allora... Ti faccio un riassunto veloce. - Per quanto il suo tono fosse diventato professionale e spicciolo, camminava piano, permettendo al piccolo di seguirlo senza problemi. - Ogni specchio che vedi è una porta. Ogni porta è relativa ad un'unica Stanza. Le Stanze hanno diverse funzioni... a noi servirà solo la Porta del Salto. Secondo le regole della Galleria, è vietato prestare servigi ai bambini. - La presa sulla sua mano si fece più stretta, ma sempre gentile. - Non per altro, ma questo è un posto "particolare". Occorre essere molto determinati per poter entrare... ed anche per poterne uscire interi. I bambini sono troppo capricciosi, mutevoli. Tante storie per ritrovare qualcosa e magari il giorno dopo stesso la chiuderanno in un cassetto! Ma tu - gli tirò un'occhiata soddisfatta - Sei deciso. E mi sembri un tipo affidabile. Quindi oggi, solo per te, la Galleria potrà fare una piccola eccezione...
Il bambino praticamente pendeva dalle sue labbra. Sentiva di poter credere ad ogni singola parola di quello strano ragazzo. Però, mancava ancora qualcosa. A quel punto, era necessaria una domanda.
- Ma tu... chi sei?
Il ragazzo si fermò di botto, tanto all'improvviso che, prima di accorgersene, il bimbo lo superò di qualche passo.
- Sono il capo della Galleria. - Rispose, risoluto, e in quel momento sembrò quasi...
regale. - E sono un Ritrovatore. Benvenuto nella dimora della nostra Agenzia, piccolo!
E per qualche motivo, il bambino comprese che, come capo, aveva davvero il suo perché.
In un lampo il ragazzo tornò alla sua espressione rilassata e, un paio di metri più avanti, si fermò nuovamente davanti ad uno degli specchi. - Eccola qua! - Fece, indicandola con la stecca dell'ormai defunto lecca-lecca - La Porta del Salto. Oh... - Aggrottò la fronte, notando la stecca perfettamente ripulita. - Ho finito il lecca-lecca. E non ho nemmeno cioccolatini con me.
Accidenti.... - Sciolse le spalle, pensieroso, e dopo aver troncato la stecchetta in due la infilò in una tasca del panciotto, ricavandone in cambio il mazzo di chiavi di prima. - Va bene, non importa. Posso resistere fino all'ora di cena. Ma sì... E poi abbiamo un lavoretto da sbrigare, giusto? - Sorrise e avvicinò una delle chiavi cristalline allo specchio, inserendola poi in un buco perfettamente mimetizzato.
Il bambino, che era molto preso dal suo sclero dolciario, ci mise qualche istante a rendersi conto che la serratura non era solo poco visibile, ma che fino a poco prima non c'era proprio...!
- L'hai notato, eh? - L'altro fece sparire il mazzo di chiavi in un'altra tasca - Naturalmente, anche queste porte sono magiche. Il meccanismo è molto simile alla porta esterna; la serratura appare solo se gli avvicini la chiave. La prudenza non è mai troppa, d'altronde. E ora... - Di botto, il ragazzo parve cambiare atteggiamento. Raddrizzò completamente la schiena (non che prima camminasse curvo, anzi; soltanto, se fino al secondo precedente era calmo e pacifico, in quel momento poteva definirsi solo "sul chi va là"), tirò su una volta di più le maniche già rimboccate della camicia, il suo respiro divenne praticamente inudibile. - Allora, si comincia. Dovremo essere veloci: dato che stiamo passando "dal retro", non occorre subire i "controlli". Ma Isis non ci metterà molto ad accorgersi che ci sono estranei nel suo negozio, e questa storia deve rimanere fra me e te.
A voler parlare in tutta onestà, il bambino cominciava a perdere un momento il filo del discorso; troppe informazioni tutte insieme, troppe cose nuove e spiegazioni tirate.
Notando la sua espressione spaesata, il ragazzo mise un attimo il freno e gli fece una carezzina sulla testa: - Sì, lo so, probabilmente non hai capito quasi nulla. Ma non ti preoccupare, non è importante che ricordi nomi o regole. L'unica cosa che devi fare è seguirmi. E fidarti di me...
Senza attendere una risposta, con la mano destra spalancò la porta-specchio (da cui nel frattempo era emersa anche una maniglia cristallina).
La porta dava sul... vuoto.
O meglio, era sospesa a chissà quanti metri d'altezza: una porta che si apriva nel cielo. Sotto, lontane ma non così tanto da rendere difficoltoso vederle e distinguerle, strade, piazze, case.
La nostra città dall'alto!
Ancora con la destra sulla maniglia, il ragazzo gli porse la mano libera, i ciuffi biondi che gli ricadevano sul viso mossi dal vento. - Quindi, ragazzino? Ti fidi di me?
Né ora, né in futuro, avrebbe saputo darsi una spiegazione "razionale" su quanto stava succedendo. Non tanto per la magia, a quella aveva sempre creduto. Quanto... perché quell'incontro, perché la Galleria. Perché gli specchi magici solo per lui...
Ma le spiegazioni razionali sono, per la maggior parte dei casi, perfettamente inutili; il cuore fornisce motivazioni sempre più convincenti.
E al bambino andava bene così. Davvero. Il
suo, di cuore, gli stava suggerendo cosa fare.
La risposta, perciò, venne spontanea e immediata.
- Sì. - Afferrò quella mano.
Un sorriso. - E allora salta!*
E mentre cadevano, sentì a stento l'altro affermare, divertito: - E menomale che la porta si chiude da sola. Altrimenti sarebbe stato un bel problema...!
Lui, invece, era decisamente convinto di aver già sentito quello scambio di battute, altrove. Per il momento, però, preferiva pensare al rischio di un imminente spiaccicamento.
Anche se, in realtà, era altrettanto sicuro che il ragazzo non l'avrebbe mai permesso.
Come se gli avesse letto nel pensiero, l'altro lo attirò a sé sfruttando la presa che aveva ancora sulla mano - così salda, seppure senza far male - e lo abbracciò, straordinariamente sicuro per essere uno che precipita da chissà quale altezza.
Il bambino affondò il viso nel suo petto, strizzando le palpebre, senza pensare ad altro che il vento che gli frustava i vestiti e le orecchie che fischiavano.
Cadevano, e cadevano... e cominciarono a rallentare.
Le braccia intorno a lui si fecero appena più strette.
Infine, si fermarono completamente.
Un saltello, leggero, come quando era sceso dall'altalena.
Il bambino si azzardò a riaprire un occhio: pareva che avessero toccato terra. Aprì anche l'altro occhio e si guardò intorno. Ma sì, conosceva pure quel posto! Era la via dietro la scuola, quella in cui passava per tornare a casa.
L'altro lo lasciò scendere e si mise le mani sui fianchi: - Orbene, cominciamo! Dato che l'hai vista l'ultima volta all'uscita da scuola e fra voi pargoli a quell'ora si scatena sempre una ressa brutale - quindi l'hai quasi sicuramente persa di lì a breve -, la Stanza ci ha riportato direttamente a pochi minuti prima che suonasse la campanella. Direi allora di piazzarci in un punto isolato e stare un po' a vedere cosa succede. Ah, attento a non farti vedere: molti... non prendono bene l'avere due persone uguali davanti. Fidati. Specialmente se sei tu che ti imbatti in te stesso... - Sospirò a metà fra il divertito e il rassegnato e si avviò, facendo strada.
Poco dopo, entrambi si erano sistemati all'ombra di un portico proprio davanti alla scuola, da cui avevano una perfetta visuale senza attirare troppo l'attenzione - certo era che, comunque, due ragazzini fuori da una scuola all'ora d'uscita non avrebbero insospettito nessuno, ma meglio andare sul sicuro... E, semplicemente, attesero.
Si sentiva stranamente inquieto, il piccolo. Sapeva che, in qualunque modo fosse andata, non sarebbe stato tutto semplice e facile. E cominciò a capire anche come mai il ragazzo prendesse la faccenda tanto sul serio.
- Oh oh - Sfuggì all'altro, che aspettava poggiato al muro del portico con le braccia conserte. Lo disse quasi in tono... intrigato. - Eccoti, in mezzo al marasma. Non perderti di vista, nemmeno un istante.
Parlare a quel modo di se stessi era strambo, sicuro. E per l'altro sembrava quotidiana routine.
Comunque fosse, il bambino individuò il suo alter-ego di qualche ora prima e lo inchiodò con lo sguardo, seguendone ogni movimento. Eccolo, in cima alle scale, in un angolino più appartato, che piegava il capo di lato, apriva appena la cartella e annuiva soddisfatto. "L'altro se stesso" richiuse la cartella con cura e trotterellò giù per le scale, senza alcuna preoccupazione al mondo.
- Visto? - Cominciò il bimbo del presente, quasi deluso (cioè, era contento di non essere stato tanto imbranato da smarrirla così, ma sarebbe stato anche molto più facile recuperarla!) - L'ho controllata e rimessa a posto. Non è caduta lì, altrimenti l'avremmo vist-
Il ragazzo alzò d'improvviso la mano, un imperioso gesto che significava solo una cosa: zitto un momento, giovanotto. A pochi metri di distanza da loro, c'era un nuovo sviluppo dei fatti. L'alter-ego del piccolo, infatti, era stato appena spinto a terra da un bambino grosso almeno il doppio di lui (e con buone probabilità era più alto anche del suo baldo accompagnatore...) e... cadendo a terra di schiena, la macchinina scivolò fuori dalla borsa, lontana, confusa fra le gambe dei passanti. Il bulletto, adocchiandola, si dileguò in fretta per recuperarla, nascondendosi abilmente fra la folla in continua uscita. Il bambino, nella manovra, non riuscì nemmeno a vedere chi l'avesse spinto.
- Ecco - Dichiarò il ragazzo, uno sguardo compiaciuto negli occhi violetti - Come pensavo. Non l'hai smarrita, te l'hanno rubata.
- Ma... ma... la borsa era ancora chiusa, pensavo non fosse uscito niente! - Balbettò il bambino, incredulo.
- E invece... Oh, be', stare a cavillare sulle meccaniche è quantomeno superfluo. Piuttosto, andiamo a recuperare la macchinina!
-
No.
Quel "No" era stato proferito dal bambino in tono talmente cupo e secco da indurre il ragazzo a voltarsi del tutto nella sua direzione, sorpreso.
- No?
- Prima con tutta la gente in mezzo non l'ho riconosciuto, ma ora l'ho visto benissimo. - Spiegò il bambino, scosso da un vistoso tremito. - E' Ushio, uno dei peggiori bulli della nostra scuola. Se ti avvicini troppo... sei morto.
L'altro inarcò un sopracciglio, perplesso. - E vuoi farmi credere che quell'armadio frequenta le elementari...?
- Dicono che sia stato bocciato... molte volte. - Replicò il bimbo, vago - Per me mangia solo troppe bistecche.
- Perdiana - scosse le spalle l'altro, l'aria minimamente toccata dalle sue parole - E lasceremo il tuo giocattolo nelle mani di quel... coso, forse? Direi proprio di no! Andiamo, dai.
Era terrorizzato. E stava cominciando a pensare che... suvvia, viva lo spirito di condivisione, ma la macchinina poteva anche lasciargliela ad Ushio purché non gli rompesse un braccio! E non aveva la minima intenzione di andare a meno di dieci metri dal bulletto. Era diviso fra tanti sentimenti, quel bambino.
Eppure...
Di fronte alla mano tesa dell'altro, non riusciva a far altro che afferrarla.

Ushio non era andato molto lontano, per la verità; lo ritrovarono in una piazzetta solitaria a poche vie di distanza, insieme ad altri due bimbetti tarchiati (vittime costrette o compagni di bullate...?).
Si fermarono dietro una panchina, pronti all'azione. Più o meno. Finché il ragazzo non si puntellò con i gomiti sullo schienale della panchina, intrecciò le dita e vi posò il mento sopra, sornione. - Bene, piccolo, buona fortuna. E' tutto tuo!
... Le braccia del bambino caddero, rotolarono, e arrivarono lontano.
L'avrebbe scioccato di meno se si fosse spogliato e messo a cantare canzoni italo-svedesi in mezzo alla strada. - C-come sarebbe, è tutto mio? No, no, grazie, io non lo voglio proprio! - Agghiacciato, il bambino arretrò di qualche passo - Se mi avvicino, mi tronca! Userà tipo mossa di judo e... - Sotto lo sguardo implacabile dell'altro, capì che era inutile argomentare. - Non potresti andare tu a riprenderla?
- Ma anche no. - Ridacchiò il ragazzo, staccandosi dalla panca e mettendo le mani in tasca. - Non è così che funziona. Io ti do i mezzi, ti aiuto ad arrivare. Ma... ehi, il lavoro duro, il succo della questione, è tutto tuo! Per questo dicevo che per affrontare la Galleria bisogna essere determinati. Ci vuole forza per strappare all'oblio qualcosa che si è perso...
A parte il filosofeggiare, la pragmatica conclusione che ne trasse il bimbo fu... "Bella fregatura.".
L'altro alzò gli occhi al cielo, un momento soltanto, dopodiché si inginocchiò per avere gli occhi alla stessa altezza di quelli del bambino. L'espressione si fece più gentile. - Sai, c'è una cosa che ho imparato, negli anni alla Galleria. - Esordì - Non importa in che situazione ti trovi o con chi hai a che fare, la cosa importante è una: essere se stessi. - Sollevò un dito e gli sfiorò appena il petto, più o meno dove... dove si trova il cuore. - Questo sarà abbastanza, sempre.
La frase colpì il bambino. Tanto che non aggiunse altro e si allontanò piano, passo dopo passo, in direzione del gruppetto che si stava divertendo con la
sua macchinina.
Anche se era ancora abbastanza sicuro che sarebbe morto qui e ora, almeno l'avrebbe fatto con decenza.
Un passo dopo l'altro e un macigno nel petto. Anche se aveva le gambe corte, il tempo che ci mise a raggiungerli sembrò spaventosamente breve.
- Buonasera... -
... A ben pensarci, avrebbe potuto scegliere una battuta d'attacco migliore.
Troppo tardi, comunque. Il gruppetto, che finora non si era minimamente accorto della sua presenza, si volse come una sola persona verso di lui - anche se i volti dei tre componenti manifestavano diversi sentimenti: Ushio, gioia sadica; uno dei compagnetti, cattiveria gratuita; l'altro compagno, qualcosa di vagamente simile a "Povero piccolo, ha avuto una vita così breve..." o una cosa del genere.
- Yuugi Mutou. Buonasera, certo. Noi ci stiamo divertendo - Ushio lanciò un'occhiata derisoria alla macchinina al centro del loro cerchio - E tu, come mai qui?
Era difficile, ma doveva togliersi dalla testa il pensiero che Ushio avrebbe cercato di ucciderlo spaccandogli la testa su una panchina. Deglutì per non far tremare la voce e disse, con scarsa convinzione (ma era il meglio che potesse fare...): - Devo... devo chiederti una cosa.
L'armadio (per il bimbo lo era) inarcò le cespugliose sopracciglia, fingendo una perplessità che non aveva. - Una domanda, Mutou? Cosa vuoi?
Come se non lo sapesse.
Il bambino strinse i pugni e, facendosi forza non sapeva nemmeno lui come, rispose, anche se era sicuro che gli sarebbe costato i denti: - La macchinina. Volevo chiederti di ridarmela.
Evidentemente neanche Ushio si aspettava che avesse il coraggio di chiederglielo apertamente, tanto che la sua espressione per un momento divenne di reale perplessità. Cosa che superò in pochissimo tempo, tuttavia. Scoppiò in una fragorosa risata - a cui gli altri due trovarono opportuno fare eco con risatine non-così-partecipi.
- Questa, dici? - Volle sapere il bullo, tirando alla macchinina in questione un nocchino distratto - Ma pensa tu. L'ho trovata proprio oggi, nel cortile della scuola. Perché dovrei ridartela...?
E sul suo viso si era dipinto un sorriso malefico, che valeva a dire "Dammi la risposta sbagliata e vedrai che succede".
Perché avrebbe dovuto restituirgliela?
Piuttosto, il bambino si chiedeva cosa ci facesse lì. E perché non potesse ridargliela e basta, senza fare tante storie. O perché cose del genere gli capitassero spesso, e perché ogni volta lui si sentisse così... inadeguato. Ma anche perché non aveva lasciato quella benedetta macchinina a casa, come la madre cercava sempre di fargli fare.
Tante domande... e ce n'era pure un'altra:
perché quel ragazzo non mi aiuta...?
Ma quando formulò QUEL pensiero, capì. Il ragazzo non lo aiutava perché... l'aveva
già aiutato. Lo aveva portato in quel posto segreto e magico, gli aveva perfino donato un viaggio nel tempo; tutto per una persona che nemmeno conosceva, pur di permettergli di recuperare il regalo di suo padre. Gli aveva dato un'altra possibilità, e sarebbe stato così infinitamente stupido sprecarla.
"Ti fidi di me?" Gli aveva chiesto il ragazzo ma, in effetti, il bambino non aveva capito subito che... anche il ragazzo si fidava di lui.
La paura scivolò via, sostituita da una sicurezza che non avrebbe mai nemmeno sospettato di possedere. Tese la mano, stavolta senza alcun tremito. - Perché me la dovresti ridare...?
Perché è mia. Mi sembra un buon motivo. L'hai rubata, e adesso la rivoglio. E' semplice...
- E se non volessi, Mutou? Andrai a dirlo al tuo nonnino?
Lo sguardo del bambino si fece duro come un sasso. - In realtà, no. Non voglio minacciarti, non voglio correre a chiedere aiuto. Né al nonno, né alla mamma o alle maestre. Rivoglio solo la mia macchinina. - Prese un respiro profondo e proseguì, sempre con quella strana sicurezza che gli era tanto estranea, ma gli riscaldava ogni fibra del corpo. La mano tesa era ancora così, aperta, in attesa. - Ma se non me la darai tornerò a chiedertela indietro ogni giorno. Ogni volta che ti vedrò. Anche se mi picchierai, anche se mi tratterai come tratti tutti gli altri bambini... tornerò ogni volta, credimi.
Forse fu lo stupore di vedere un "Mutou" così diverso dal solito, forse fu la sensazione che il bambino fosse davvero pronto a mettere in atto quanto avesse detto, o chissà che altro; fatto sta che, dinnanzi a quella determinazione, il gruppetto si allargò appena, e il bambino fu molto svelto a recuperare la sua preziosa macchinina.
- Ma sì, Mutou, riprenditela - Borbottò Ushio, di palese malumore - Tanto tutti sanno che i giocattoli più rari o costosi sono tuoi. Mi avrebbe portato solo guai, quel trabiccolo... E di sicuro non voglio avere un tappo rompiscatole come te sempre appresso.
Il bambino cominciò ad allontanarsi. Non vedeva che bisogno ci fosse di replicare.
Una cosa ancora poteva dirla, però, riferita più che altro ai compagni tracagnotti: - Basta chiedere. Basta chiedere, e io divido volentieri i miei giocattoli con tutti. Non c'è bisogno di fare cose tanto stupide...
E i due compagnetti dell'armadio dovettero tenere Ushio per le braccia per evitare che, in un repentino cambio di idee, andasse a spaccare la faccia a Mutou. Ma, tutto sommato, probabilmente in quel momento non ci sarebbe riuscito.
Il bambino tornò felicissimo dal ragazzo che aveva osservato con estrema attenzione ogni singolo movimento, senza perdersi alcunché. Ad ogni buon conto, era sicuramente pronto ad intervenire, se ve ne fosse stato il bisogno. Ma, per qualche motivo, aveva deciso di fidarsi del bimbo, e la fiducia si era dimostrata... ben riposta.
Quasi come se fossero fratelli, il ragazzo si caricò tranquillamente in spalla il bambino, per festeggiare l'avvenuto successo. Be', anche lui era un ragazzino, alla fine. Dalle sue labbra, uscirono solo poche parole: una frase che fece sentire il bambino ancora più soddisfatto - "Visto, ragazzino? Non dubitavo che potessi far tutto da solo..." - e una parola che non sentì bene. Forse, e diceva forse, si trattava di un "... Mi-tsu-ke-ta*" detto a fior di labbra. Ma non gli chiese nulla, ormai abituato ai suoi "segreti", e il ragazzo non la ripeté.

Rieccoli nel parcogiochi dove tutto era cominciato. Rieccoli davanti a quelle altalene.
- Allora grazie. - Sorrise radioso il bambino - Grazie tante, davvero!
- Ma figurati, piccolo. E' pure il mio lavoro... Oh! - Il ragazzo sgranò gli occhi, come se si fosse appena ricordato una cosa importante - Quasi mi passava di mente. - La mano destra volò ad una delle tasche del gilet (ma quanta roba teneva, là dentro...?) e ne pescò un bigliettino che allungò al bimbo.
"
Agenzia dei Ritrovatori! Possiamo ritrovare qualunque cosa, dalle chiavi di casa smarrite al gatto fuggiasco, dai ricordi più flebili alle speranze perdute. Sette maghi specializzati troveranno, fra le tante porte, quella che fa per voi.
PS: il capo sa anche aggiustare i giocattoli!"
- Il capo, quindi tu... - lasciò in sospeso la frase il bimbo, facendo intendere il seguito.
- Mh-mh - Annuì l'altro - Te l'ho detto che ho un debole per i giocattoli. E i giochi in genere. Comunque, conserva il biglietto da visita, potrebbe servirti in un futuro...! E adesso, credo sia l'ora per tutti di tornare a casa. Non ti preoccupare, tutta l'avventura è avvenuta indietro nel tempo. Tecnicamente, da quando ci siamo incontrati non è passata più di mezz'ora...
I saluti finali sono sempre la parte più complicata di un primo incontro, specie se tanto bizzarro. Da una parte, vorresti saltare addosso a chi stai salutando e stringerlo in un abbraccio soffocante; dall'altra, sai di non avere abbastanza confidenza e la paura che, una volta finita l'avventura, il vostro cameratismo si sia semplicemente dissolto ti terrà lì, fermo sul posto, indeciso sul da farsi, e l'occasione scivolerà via.
In quel caso, la soluzione migliore è sempre un saluto con la mano. Un gesto semplice, quasi infantile nella sua genuinità, ma sicuramente sincero. Un gesto che vorrebbe esprimere più di quanto dovrebbe, e ci riesce se si guarda con attenzione. Anche loro due, quel giorno, si salutarono così. Un semplice cenno, che in realtà significava di più.
"Grazie non solo per il lavoro, ma anche per la fiducia e per il coraggio che ho trovato. Per non parlare degli specchi magici!" o "E' stato divertente, rifacciamolo. Io non ti scorderò, puoi fidarti...!". E senza bisogno di dilungarsi tanto, entrambe le parti capirono.
Erano alla fine, ma avevano ancora un paio di battute da scambiarsi.
- Signore... -
- Signore!? - Inorridì l'altro, già distante un paio di metri, voltandosi di scatto - Suvvia, ho solo quattordici anni! Anche se da come parlo e dai vestiti non si direbbe...
- Solo una domanda. - Sorrise il bimbo, soddisfatto di avergli strappato un altro segreto - Posso chiamarti
nii-san?
- ...
Oh. - La replica dell'altro tardò ad arrivare. Era... imbarazzato? Sì, lo era. Appena appena. Subito dopo, però, gli regalò anche lui un sorriso adorabile: - Nii-san. Be'... sì, certo. E' la prima volta che me lo rivolge qualcuno e... ah, è piacevole. Ma sicuro, chiamami pure così! Quando ci rivedremo...!

- ... Ma qualche tempo dopo, poco, mi trasferii qui a Domino, e non rividi mai più quello strano ragazzo.
Il bambino di allora è cresciuto; ora ha sedici anni, abita a Domino, frequenta la prima liceo da alcuni mesi e si è già fatto qualche amico. Forse il suo look non rispecchia molto quello di un tempo - ama indossare abiti punk di quelli neri e lucidi e qualunque accessorio gli capiti a tiro che sia coperto di borchie, per quanto con la sua personalità gentile facciano beatamente a pugni... - ma gli occhi sono ancora quelli grandi e innocenti dell'epoca. Occhi nei quali, al momento, si riflette un grande cancello di ferro argentato, alto almeno un paio di metri, i cui battenti sono tanto robusti da avere l'aria di poter resistere all'assalto di un carrarmato. Pur rimanendo di pregiata lavorazione.
Chissà come mai, la vista di quell'enorme cancello - Devono averlo piazzato da poco, fino a due settimane fa qui c'era... un ferramenta? Mah... - ha fatto in modo che gli tornasse alla memoria quel ricordo in particolare. La cosa strana è che, a ben pensarci, è quasi sicuro di essersi dimenticato di quella faccenda per anni, come se si fosse smarrita nei meandri della sua memoria nel momento stesso in cui aveva messo piede nella nuova città. E adesso è riemersa, in tutta la sua bizzarria.
Ma... è un ricordo strano e contorto, certo. Un ricordo a cui nessuno crederebbe, imputandolo a qualche sogno distorto o che altro.
Il bambino che ora è un ragazzo, invece, è sicuro di poterlo catalogare come "Reale al cento per cento". Perché, per quanto lui l'abbia dimenticato, gli effetti di quell'avventura gli sono rimasti dentro. La sicurezza guadagnata in quell'occasione non l'ha mai abbandonato - sebbene sia sempre permeata di cortesia e gentilezza, altre caratteristiche tipiche del suo essere, e non è mai sfociata nell'arroganza. Non si definirebbe nemmeno orgoglioso, in verità. Semplicemente... non ha paura di affrontare il mondo. Non ci si sente fuori posto. E, adesso lo ricorda, buona parte del merito va a quel ragazzo.
Quell'assurdo, irriducibile ragazzo. L'ha preso, trascinato e sbatacchiato, facendogli davvero un bel regalo. Ragazzo! Pensa lui fra sé e sé, sorridendo nostalgico. Ormai sarà più che ventenne. Quel che è sicuro, però, è che se lo rivedesse, lo chiamerebbe davvero Nii-san.
Ancora preso dai suoi ricordi, il giovane riprende la sua strada, dedicando un ultimo pensiero a quel ragazzo conosciuto anni prima. - Alla fine, neanche ci presentammo. Non so come si chiami. Però... - Sorride di nuovo, sicuro di quanto sta per affermare: - Visto quanto amava i giocattoli, il mio nome gli sarebbe piaciuto. Yuugi.
Qualche passo dopo, Yuugi volta l'angolo, e torna al suo presente.
Quello che non sa, è che il curioso cancello lo vedrà di nuovo.
Non subito, ma presto. Non c'è alcuna fretta. Ci sono varie altre storie prima.

Il pesante cancello che ha tanto incuriosito Yuugi si apre, con la lentezza che impone un cancello di simile massa, ma comunque in maniera implacabile.
Tanto preso dal cancello, Yuugi non ha fatto caso a cosa si intravvedeva dietro: un lungo corridoio, marmo bianco sui pavimenti e pareti candide. A vederlo così, sembra tanto l'ingresso di una galleria.
In effetti, lo è.
Un ragazzo attraversa il cancello appena aperto: anche lui è cresciuto, ma meno rispetto a Yuugi. Prima aveva quattordici anni, ora ne dimostra diciassette, suppergiù. Non ha più bisogno di rimboccare le maniche della camicia. Un lecca-lecca, però, non può certo mancare. Anche se adesso ha sviluppato una certa preferenza verso gli snack al cioccolato: nelle sue tasche sempre ricolme, ce ne stanno tanti.
Guarda la strada deserta e si prepara mentalmente ad accogliere i futuri clienti. Ancora non c'è nessuno, ma sa che presto ne arriveranno tanti. La Galleria ha appena riaperto nella sua nuova sede e, sì, questo significa tanto lavoro. Quando si trasferiscono in una nuova città, i primissimi mesi c'è sempre il pienone.
- Atem! - Lo chiama una voce maschile, fonda e pacata, dall'interno della Galleria. - E' tutto pronto anche all'interno. Ogni negozio è stato ricontrollato nel dettaglio, le porte sul retro delle Stanze sono ben chiuse. Mentre, ho verificato, la porta sul retro generale dà sull'interno di una casa abbandonata. Non c'è alcun rischio.
- Sicuro e pittoresco, oserei dire - Atem rivolge un'occhiata grata all'uomo che ha parlato. Mahad, sempre così attento, quasi puntiglioso. Ma non può fare a meno di amare tutta questa premura. - Va tutto bene, quindi. E allora... One, two, three, de hajimaru yo*!
La Galleria riapre.


Prologo - Departures, Memory. Gate.

~
Fine.



*Come dice Melissa... "Ci sono cose peggiori della morte. Potreste, ad esempio, chiudervi le dita nella porta. E, diamine, quello sì che fa un male cane."
*Citazione da Aladdin (il film Disney, sì, ma tanto lo so che l'avevate riconosciuta. XD)
*"Mi-tsu-ke-ta": Tro-va-ta. (Dalle canzoni Bad End Night e Crazy Night)
*"One, two, three, de hajimaru yo!": Un due tre, si comincia! (Questa è solo di Crazy Night. ù.ù)


Yoh!
T. S. Eyes (?) è di ritorno. (Ma voi chiamatemi Tayr.) Sono un paio di giorni che lavoro a quest'affarino e suddetto prologo l'ho finito ieri. Alle tre di notte. Sono INVINCIBILE! Muahahahahahahahah! *Ci teneva a dirlo, cercate di capirla...*
Idiozie a parte! *O* Dunque, mi sono svegliata da circa un'ora quindi potrei dire qualche boiata. Siete avvisati. Cercherò comunque di fornirvi le informazioni base necessarie.
Con mio sommo sconcerto, l'altro giorno ho adocchiato una galleria vuota e, click! mi è venuta in mentre un'altra fanfic. Sommo sconcerto perché non pensavo ne avrei incominciato un'altra così presto ma... oh, be'. Sono sicura che ci divertiremo. <3
Ma ma ma fermi tutti, questa fanfic ha una peculiarità! Come avranno notato i/le fanciulli/e che hanno letto per bene la descrizione prima (LO SO che siete pochi... X°) questa non è una long, bensì una raccolta di oneshot. Eggià. Visto che c'ero e l'idea si prestava ottimamente allo scopo, ho deciso di sperimentare una nuova tipologia di storia! Saranno tutte oneshot ambientate in questo stesso universo e linea temporale (cioè, a prescindere dai viaggi nel tempo, Yuugi e combriccola avranno sempre sui sedici anni...), apparentemente slegate, delle persone che si sono imbattute in questa Galleria. Dunque ogni oneshot si presenterà come una storia a sé (e vi avviso, quindi, che tutti i capitoli saranno lunghi come questo o anche di più...). Slegate, finché non capiteranno Casi in cui le storie si intrecceranno. E allora... E visto che ero proprio in vena di novità, ho deciso che questa fanfic sarà narrata al presente. - Trovo che la narrazione al presente sia una delle più complicate, inoltre non la uso mai salvo qualche breve oneshot o flash, quindi darà un'ottima palestra. e.e - L'unico pezzo al passato remoto è il prologo qui presente, poiché si tratta di un ricordo. Poi... tra questo capitolo e gli altri, ci sarà una discreta variazione di stile; questo è stato molto tanto molto fluff, gli altri saranno più briosi e tendenti alla commedia (con situazioni tese di quando in quando). E' che Yami e Yuugi da bambini sono tanto pucci. OAO Pooooi, vediamo un po'... Ah, sì, altra novità: in questa fanfic chiamerò Atemu "Atem" e Mahado "Mahad" (ricordo che le versioni corrette sono AtemU con la U finale e Mahad SENZA O finale; io ci metto la O per una questione di... affetto XD), semplicemente perché tutti i maghetti della Galleria sono di origine araba, quindi preferivo una variante più precisa. Ma continuo a dire che quello corretto è Atemu. U.U Vi posso anticipare che il settimo mago della Galleria sarà un... personaggio innovativo, diciamo... è la gijinka del Red Eyes. X° (Ovvero, il Red Eyes in forma umana). Che per la verità apparirà pure nel Tango, ma fra un bel po'! Nelle note del prossimo capitolo metterò anche il link ad una sua immagine.
Bene, non mi pare di avere altre note da fare su questa fanfic nello specifico. Ah, sì, giusto una cosa: come si sarà intuito, ho volontariamente chiamato Yami e Yuugi "il ragazzo" e "il bambino" per tutto il prologo. ù.ù
Ora, le altre cosine che ho da dire...! Dato il numero... uhm... considerevole di aggiornamenti che dovrei sfornare, ho deciso di farmi una bella serrata con la scrittura. Ovvero, per circa una settimana o giù di lì, scriverò e basta. Non so cosa e quanto, ma mi metterò d'impegno. Gli aggiornamenti arriveranno solo quando finirò la "serrata". Per questo, nei prossimi giorni al 99% non mi vedrete in giro con recensioni o altro. Mi riservo, però, di rispondere ad alcuni commenti che ho in arretrato.
E... bene, per oggi è tutto! ^o^
Bye!









  
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