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Autore: micRobs    13/11/2012    6 recensioni
Sebastian/Thad (insomma) | Demenziale, Commedia, Demenziale.
Dal testo: "Il ragazzo-che-proprio-non-dovrebbe-essere-sul-suo-letto – così ha istantaneamente deciso di ribattezzarlo Thad – solleva lo sguardo da quello che ha tutta l’aria di essere uno dei libri di Thad e gli rivolge un sorriso tutto denti – bianchissimi, aggiunge la sua mente – e occhi luminosi.
«Bonjour, beau garçon.»"
Genere: Commedia, Demenziale, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Sebastian/Thad (ma neanche poi questo granchè.)
Genere: Generale, Commedia, Demenziale.
Avvertimenti: Alcuno, se non contiamo la quantità ignobile di idiozie che ho disseminato in questa storia e da cui, forse, dovrei mettervi in guardia.
Rating: Verde
Note d’Autore: Perché sono mesi che necessito di scrivere questa cosa, ma non ho mai trovato il tempo per farla venire come dicevo io. Neanche adesso, si intende, ma ormai è qui e ha poca importanza il fatto che sia la cosa più demente che io abbia mai scritto.
Note di betaggio: La scimmia che batte i piatti nel cervello della mia metà a cui vanno tutti i miei ringraziamenti. Lei sa per cosa.
 
 
 

Se la prima impressione è quella che conta...
…allora siamo fottuti.

 
 
 
 
Il primo giorno di scuola è sempre un’esperienza mistica ed esaltante.
Aspettativa, paura, ansia e – perché no – tanta, troppa confusione che si intrecciano e confondono tra i corridoi affollati ed esplodono sui visi degli studenti che si incontrano dopo l’estate.
Poetico, oserebbe addirittura dire qualcuno, aggiungendo una sfumatura surreale a quella che – a detta della maggior parte degli adolescenti – altro non è che una gran rottura di scatole, oltre che la fine di un periodo spensierato all’insegna della più completa nullafacenza.
«No, mamma, puoi solo… portarmi le cose che ho dimenticato e smetterla di dirmi che sono un idiota?»
E poi c’è Thad, attaccato al telefono e sull’orlo di una crisi di nervi e, improvvisamente, la magia del primo giorno di scuola evapora in una nuvola di sbuffi ed imprecazioni a mezza voce.
Regge il cellulare tra la spalla e l’orecchio, attento a non stropicciare le divise che ha in mano – «Sì, mamma, sono appena andato a riprenderle» – e traffica con un mazzo di chiavi alla ricerca di quella giusta che, forse l’estate è davvero troppo lunga, non ricorda più quale sia.
«No» ammonisce la sua petulante genitrice, «è successo un mezzo casino: Blaine ha cambiato scuola e Jeff è finito con Nick» miracolosamente, individua la chiave giusta e la infila nella toppa, il telefono che minaccia di scivolargli e gli involucri di tessuto e plastica trasparente a limitargli i movimenti. «E, boh, ti farò sapere stasera. Ciao, mam-» e apre la porta.
E forse ha sbagliato camera, perché la borsa che troneggia ai piedi di quello che dovrebbe essere il suo letto non è decisamente la sua e lui non è certo di conoscerne la provenienza. Così come non ha idea della provenienza del ragazzo sdraiato sulla restante parte di quello che, sempre in teoria, dovrebbe essere il suo letto.
«Cosa diavolo…?»
Il ragazzo-che-proprio-non-dovrebbe-essere-sul-suo-letto – così ha istantaneamente deciso di ribattezzarlo Thad – solleva lo sguardo da quello che ha tutta l’aria di essere uno dei libri di Thad e gli rivolge un sorriso tutto denti – bianchissimi, aggiunge la sua mente – e occhi luminosi.
«Bonjour, beau garçon.»
Thad sente distintamente il peso di quello che si preannunciava essere un anno tranquillo e rilassato crollargli sulle spalle e schiacciarlo al suolo. Non poteva star succedendo a lui.
Sgrana gli occhi ed emette un lamento flebile, posando le divise pulite sulla sedia accanto alla porta. «Oh, grandioso» mormora con sarcasmo, ignorando le proteste di sua madre che inizia a sentirsi ignorata all’altro capo del telefono.
«Cos- sì, mamma, tutto okay» la rassicura, senza staccare lo sguardo dalla figura che continua a fissarlo incuriosito. «Adesso, purtroppo, ti devo lasciare» e attacca, senza lasciarle modo o tempo di rispondere.
«Bene, ehmm» si passa una mano tra i capelli, guardandosi intorno alla ricerca di un modo con cui comunicare con il ragazzo molto francese che, adesso ancor più di prima, non dovrebbe proprio essere sul suo letto. Nella sua stanza, in quell’ala dei dormitori che, assolutamente, non è quella riservata agli studenti in scambio culturale.
«Tu» lo indica, un po’ a disagio mentre il sorriso sul volto del ragazzo si allarga in maniera che Thad non riesce a non definire inquietante. «Parli» e si sente tanto, troppo, scemo a muovere la mano come una bocca ma, guarda caso, la natura lo ha fatto americano e con una scarsa predisposizione all’apprendimento delle lingue straniere: o si rende ridicolo adesso, oppure si rassegna alla prospettiva di trascorrere l’intero anno con un coinquilino di cui non capisce neanche mezza parola. Ed è chiaro quale tra i due sia il male minore. «La mia» si indica, «lingua?» Conclude, cacciando la lingua fuori e sperando di essere riuscito a rendere chiaro il concetto senza compromettere troppo la sua dignità.
Il ragazzo molto francese inarca un sopracciglio e, finalmente, chiude il libro e si alza dal letto. «La fortune sourit aux audacieux» ridacchia, avvicinandosi a Thad. «J’ai un camarade vraiment intrigant» e poi lo fa. Gli passa due dita sulla guancia con quel suo sorrisino da ragazzo snob e francese a cui Thad risponde facendo istintivamente un passo indietro e defilandosi dal suo campo visivo.
«Ascolta, ehmm» tentare di comunicare con il suo compagno di stanza molto francese – ed incredibilmente sexy, aggiunge la sua mente – non era decisamente uno dei punti sulla sua lista di cose da fare. «Questo» si avvicina al proprio letto con cautela e batte un paio di volte la mano sul materasso. «È il mio letto» si indica di nuovo con un miagolio frustrato. «Dio, ma cosa ho fatto di male?»
L’altro ridacchia e inarca un sopracciglio. «C’est mon lit?»
E sembra quasi starsi divertendo davvero tanto mentre Thad vorrebbe solo sbattere ripetutamente la testa contro il muro e magari procurarsi un trauma cranico che lo salvi da quel supplizio.
«Non ho idea di cosa tu abbia detto» piagnucola, promettendo mentalmente favori di qualsiasi tipo ed eterna riconoscenza a chiunque giunga a porre fine a quello strazio. «Ma quello» indica l’altro letto, «è tuo» sposta il dito nella sua direzione e sospira avvertendo un principio di emicrania scoppiargli nelle tempie.
Il ragazzo molto francese e divertito fa una smorfia e annuisce, e Thad pensa che forse non è stato così tremendo come interprete, ma si abbatte praticamente subito nel rendersi conto che ci ha messo quasi tre quarti d’ora per fargli capire quale letto fosse di chi.
«Bien» biascica il ragazzo, avvicinandosi e allungandogli una mano. «Cependant, je suis Sebastian Smythe. Et vous?»
E Thad si illumina e sorride perché, in qualsiasi lingua, una mano tesa in quel modo rappresenta una sola cosa.
«Oh! Ti chiami Sebastian Smythe, questo l’ho capito!» Ripete, sforzandosi di non piangere di gioia. «Io» si indica con una mano e con l’altra afferra la sua. «Mi chiamo Thad, Thad Harwood.»
Il ragazzo molto francese – ma che adesso ha anche un nome molto americano – si piega appena in avanti, sorprendendo Thad con un inchino da galantuomo ed un veloce baciamano che nessuno più fa da almeno duecentocinquanta anni e che gli sembra tanto, molto, troppo fuori luogo.
«C’est un grand plaisir de vous rencontrer» sorride, adulatore, Sebastian Smythe – il franco-americano-incredibilmente-sexy che proprio non dovrebbe essere nella mia camera, aggiunge la mente di Thad.
Tira via la mano e lo guarda con un sopracciglio inarcato. «Emm, sì, okay… quindi» balbetta, sentendo la frustrazione crescere dentro di lui nel realizzare che le uniche parole che conosce in francese sono “Tour Eiffel” e “Louvre”. «Oddio, voglio piangere» miagola.
L’altro sembra quasi gioire della sua difficoltà, tant’è che fa schioccare la lingua e procede con quel suo tono tranquillo da “sono francese e mi divertirò a dirti tante cose che tu non capirai”, quasi provasse un perverso piacere nel leggere la disperazione sul viso di Thad. «Pouvez vous me dire quel est le programme de la classe?» Ecco, appunto.
Thad schiude la bocca, sconfortato. «Che?» Piagnucola. «Okay, così non va bene» decide, dirigendosi verso la porta. «Vado a chiamare Nick.»
Nick, che invece parla francese fluentemente e mangia omelette a colazione. No, Thad – aggiunge, ancora, la sua mente – Nick è nato a Detroit e parla francese almeno quanto tu parli il vietnamita.
Sebastian-sono francese ma ho un nome americano-Smythe inizia a ridere compostamente, portandosi una mano davanti alle labbra ed infilando l’altra in tasca.
«Tu es vraiment drôle» cinguetta, serafico.
E no, per Thad è decisamente troppo. Si volta a guardarlo e inarca un sopracciglio. «Mi hai appena dato dell’idiota?» Domanda sospettoso, prima di sbuffare esasperato. «Okay, senti» inizia, camminando per la stanza e agitando le mani freneticamente per evitare di chiuderle intorno al collo del suo coinquilino-mangia-baguette. «Per nostra sfortuna, io non parlo la tua lingua e immagino tu possa comprendere gli inevitabili disagi che deriveranno da questa nostra difficoltà a comunicare» prende fiato e poi continua nella sua arringa. «Per cui, non ti offendere, ma purtroppo devi cambiare stanza e fanculo se non hai capito una parola di quello che ho detto» conclude in un lamento strozzato che fa inevitabilmente ridere l’altro.
«Ho solo detto che sei buffo» ghigna l’altro. «Non è un’offesa, Thad Harwood
Il Thad Harwood in questione sospira. «Ma cosa potevo saperne io, se-» si blocca, mentre un lampo di consapevolezza si fa largo dentro di lui e, improvvisamente, non si sente più tanto ben disposto nei confronti del suo personale flagello divino. «Tu ti stavi prendendo gioco di me?» Sibila, quindi, con gli occhi ridotti a due fessure e una voglia implacabile di sbattere la sua testa contro il muro.
«Non proprio» lo informa l’altro con una semplicità – strafottenza, Thad, lo corregge la sua mente – disarmante. «Il fatto è che avevi un’espressione veramente tenera e… spaventata» ghigna. «Eri carino» e, di nuovo, quel suo sguardo accattivante che Thad sta iniziando a detestare.
«Non era un’espressione carina» gli fa notare Thad, la fronte aggrottata e le mani strette a pungo. «Era scoraggiata e rassegnata.»
Sebastian-sono francese ma parlo la tua lingua anche se mi diverto a farti credere il contrario-Smythe scrolla le spalle e ride di più. «Era comunque carina» decide, pacato. «Il broncio invece ti rende estremamente sexy» ghigna con voce vagamente maliziosa e la testa leggermente inclinata sul lato.
Thad sospira ed è un po’ più sollevato per aver risolto la questione della lingua – nonostante rimanga comunque offeso per il modo in cui il ragazzo molto-neanche poi tanto-francese si è approfittato di lui. «Come ti pare» risolve la situazione. «Comunque, siccome mi capisci» sia ringraziato il cielo. «Questo è il mio letto e quindi ti sarei grato se ci togliessi le tue cose da sopra» sorride cordiale, nella speranza di poter ripartire da zero e dimenticare il grazioso siparietto di poco prima.
L’altro fa spallucce e continua a sogghignare in maniera lasciva ed inquietante. «Tanto sappiamo entrambi che tra qualche giorno non importerà più quale letto è di chi» constata, con un’alzata di spalle, mentre si avvicina al letto. «Ma se proprio ci tieni…» afferra la borsa che ci ha abbandonato sopra e se la mette a tracolla.
Thad è un po’ confuso, ma finge che la cosa non lo riguardi più del dovuto. «No, questo è mio e quello è tuo» lo corregge, parlando lentamente per spiegargli quel concetto di basilare importanza, «non è così difficile da capire. Fine della storia.»
Il ragazzo fa una smorfia divertita, mentre inizia a frugare nella borsa che, intanto, ha posato sul suo letto – sul suo letto giusto, stavolta. «Se lo dici tu» acconsente. «Sai, dovresti fare gli onori di casa e mostrarmi l’Accademia» gli fa notare con un mezzo sorriso. «Di solito funziona così, bel faccino
Thad sospira rassegnato, ricordandosi improvvisamente di aver accantonato completamente le buone maniere e che, forse, non è esattamente il modo di comportarsi con un nuovo studente con cui, tra l’altro, dovrà convivere per tutto l’anno. «Non c’è molto da vedere» lo avverte, cercando di piazzarsi in faccia il sorriso più bendisposto che gli riesce. «Ma, se ci tieni tanto, ti porto a fare un giro.»
Il ragazzo-non-più-tanto-francese-ma-ancora-tanto-snob di cui Thad ha comunque deciso di essere diffidente, sembra sinceramente entusiasta di quella concessione, tant’è che si avvicina alla porta e – con un altro dei suoi mezzi inchini saltati fuori direttamente da un romanzo di amor cortese – gli apre la porte e gli cede il passo.
E Thad rotea gli occhi, ignora il braccio che il ragazzo gli porge e pensa che Jeff era un compagno di stanza perfetto e che magari può provare a chiedere asilo politico a lui e Nick quando – e, purtroppo, sa che accadrà – il suo detestabilmente attraente coinquilino gli farà saltare i nervi.
«Dunque» inizia a spiegare con semplicità. «Come avrai avuto modo di comprendere, questi sono i dormitori.»
Ignora la battutina che gli rivolge il ragazzo accanto a sé – «non lo avrei mai detto, guarda» – e procede a snocciolare pratico. «In questo corridoio ci sono le stanze di quasi tutti i Warblers» indica le porte mano a mano che ci passano davanti. «Quella è di Nick e Jeff, quella è di Trent e Flint, quella lì è di Ethan e Richard, mentre lì c’è quella di David e James» spiega velocemente. Via il dente, via il dolore. «Lì ci sono i bagni comuni, quello è il distributore delle bibite e in quella stanza lì nell’angolo ci dorme il supervisore degli alloggi.»
Si volta a guardare il ragazzo che, intanto, è miracolosamente rimasto zitto al suo fianco e sospira afflitto. «Domande?»
Quello, in tutta risposta e sfoderando uno dei suoi sorrisi tutto denti e da ragazzo francese e aristocratico, infila le mani nelle tasche e lo fissa incuriosito. «Sì, una, in realtà» rivela, con sguardo penetrante. «Sei etero, per caso?»
 
Perché il primo giorno di scuola è sempre un’esperienza mistica ed esaltante. E Thad Harwood sta seriamente pensando di riconsiderare l’ipotesi di chiedere asilo politico.
In Bolivia, però.
 
 
 
 

 
The End Beginning
(tan tan taaaaa~)
 

 
 
 
   
 
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