Serie TV > Doctor Who
Ricorda la storia  |      
Autore: ferao    13/11/2012    8 recensioni
Per un Signore del Tempo non esiste mai più, solo un presente eterno in cui tutto può accadere. Tutto può essere rivissuto.
(Pre-finale di seconda stagione.)
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota iniziale: 
la storia qui presente è un missing moment che si pone subito prima del finale della seconda stagione. Se non doveste essere ancora arrivati a quel punto, beh, allora debbo avvertirvi che sarà SPOILER.
Per il resto, siete pregati di leggere le note a fine storia.
Buona lettura (spero!).











Quoth the Raven






Mai più.
In un altro momento quelle parole lo avrebbero fatto sorridere. Mai più.
Un concetto così umano, così distante dal suo modo di pensare. Per un Signore del Tempo non esiste mai più, solo un presente eterno in cui tutto può accadere. Tutto può essere rivissuto.
Mai più non esiste. Troppo definitivo, troppo categorico… no, non un’idea che lui possa accettare.
Eppure, in questo momento il Dottore riesce a pensare solo mai più. Non vedrà mai più Rose. Non viaggerà mai più con lei. Non le salverà mai più la vita.
Oh beh, non che questo sia un completo svantaggio.
Vorrebbe sorridere, ci prova, ma non riesce. Non adesso. Non ora che la TARDIS sembra così terribilmente vuota, silenziosa. Priva di lei.
 
Non è la prima volta che lascia andare qualcuno, né la prima in cui non riesce a dire addio.
Sarah Jane gliel’ha rimproverato piuttosto duramente – anche con lei, neppure un saluto, ma era diverso: per lei non era mai più, il Dottore pensava che sarebbe tornato a trovarla prima o poi, solo… solo che il tempo è volato, e quando vivi per più di novecento anni i giorni passano così in fretta…
Si era cullato nella certezza che l’avrebbe ritrovata, perché poteva. Non aveva però tenuto conto che per gli umani il tempo scorre in maniera del tutto diversa; che per loro, oltre al posso, esiste il mai più.
Lo stesso gli è successo con Rose: si è dimenticato del tempo. Sapeva, sapeva che non sarebbe stato per sempre; lei era soggetta al trascorrere degli anni, sarebbe maturata e invecchiata e prima o poi si sarebbe stancata di corrergli dietro, di saltellare da un secolo all’altro – o forse si sarebbe semplicemente stufata di lui, del suo modo di essere e di comportarsi.
Lo sapeva che sarebbe andata così, certo. D’altra parte, Rose era così giovane: un concentrato di vitalità esplosivo e affascinante, la perfetta rappresentazione di come si dovrebbe essere a vent’anni. Con lei non sarebbe durata per sempre, no, ma per molti anni , e molti anni erano uguali a molti viaggi, molte avventure, molte possibilità di strapparle un altro bacio e forse – forse – dirglielo.
Una simile prospettiva avrebbe fatto perdere il senso del tempo a chiunque. Era così bello stare con lei, che non valeva la pena di mettersi a pensare a quando sarebbe finita.
 
Nella sua lunga esistenza, il Dottore ha visto sparire un’infinità di persone più o meno amate, in una miriade di modi diversi. Ha sofferto, talora ha persino desiderato la morte; ogni volta, però, è andato oltre, si è rialzato e ha proseguito il suo vagare. Sa come reagire al dolore, sa come lenire la nostalgia.
In questo momento il Dottore non ricorda nulla di tutto ciò. Non pensa a ciò che è successo in passato, a tutti i compagni che ha perduto. Ora ha perso Rose, ora è tutto ciò che conta.
L’ora e il mai più.
Forse sarebbe meglio se fosse morta.
Stringe i denti e si pente subito di questo pensiero. È orrendo, dovrebbe essere felice di saperla viva e salva, ma non ce la fa. Il Dottore sa affrontare la morte, perché la morte è un evento definitivo, un taglio netto; la morte cancella tutto, elimina le possibilità, aiuta a rassegnarsi agli errori commessi.
Se Rose fosse morta il Dottore soffrirebbe, ma prima o poi anche questo dolore avrebbe fine, e il pensiero di lei si sommerebbe semplicemente a quello di tutto gli altri. Sapere che vive, ma in un posto in cui lui non può e non potrà mai raggiungerla, è infinitamente peggio: lei avrà un’esistenza, un futuro – e lui non la vedrà. Non la guarderà diventare donna, forse madre; non la guarderà affrontare la vita come affrontava i pericoli sulla sua strada. Non staranno più insieme. Non glielo dirà mai.
 
La TARDIS è enorme, immensa. Al suo interno ci sono cimeli di ogni epoca e luogo, anticaglie e tecnologie dell’estremo futuro. Abiti, anche. Al Dottore piacciono gli abiti, li colleziona, per questo ne possiede un numero sterminato di qualsiasi tipo.
Tra i vestiti ci sono anche quelli lasciati lì dai suoi compagni; il Dottore li conserva con cura, casomai un domani dovesse trovare l’occasione di restituirli (in fondo, non esiste un mai più).
Ora, davanti a lui ci sono i vestiti di Rose, quelli che la ragazza aveva portato con sé in vista del viaggio imminente. Lui sorrideva di questa sua abitudine – con tutti gli indumenti a disposizione, perché usare i propri? – ma a lei non importava. Sono i miei, mi piacciono di più.
Adesso sono lì, e Rose non li indosserà mai più. Alcuni richiamano alla mente del Dottore episodi ben precisi – la maglietta con la Union Flag, il vestito di jeans con cui si è presentata alla regina Vittoria –, altri invece non evocano nulla, e sono quelli che lui preferisce.
Sono gli abiti che Rose aveva indossato in giorni tranquilli, in cui non facevano altro che starsene sdraiati su un prato a guardare le stelle collassare e scontrarsi tra loro; sono quelli che metteva per passeggiare nelle strade di Londra, le volte in cui tornavano nel suo presente a trovare Jackie. Sono gli abiti dei tempi sereni, in cui non dovevano affrontare minacce o mostri o eventi particolari. Sono gli abiti dei loro giorni.
Il Dottore allunga una mano e sfiora una maglia, la prende, la stringe tra le mani. Gli sembra strano trovarla così vuota, è come se fosse incompleta. Come un ramo senza l’albero.
La stoffa scivola tra le sue dita mentre ne saggia la consistenza, la trama. Il calore che trasmette gli è familiare – in fondo, quante volte ha abbracciato Rose? Quante volte ha pensato di poterlo fare ancora? –, ma è diverso, troppo diverso da com’era prima.
Accarezza la maglia, se l’avvicina al viso. Forse sta impazzendo, di sicuro sta impazzendo – perché se fosse in sé non lo farebbe, non lo farebbe e basta, lui sa affrontare il dolore e sa come non peggiorarlo –, tuttavia non può impedirsi di sentire un brivido quando lo sente.
L’odore di Rose. Quello che ancora aleggia nella TARDIS, tenue, impercettibile a chiunque non sia il Dottore. È l’odore di Rose, quello che lui gli trovava tra i capelli tutte le volte in cui si concedevano un abbraccio, quando non bastava più tenersi per mano. È l’odore di Rose, l’odore dei momenti in cui pensavano sul serio di non lasciarsi mai mai mai mai, quando era facile scordarsi della morte e lui credeva di poterla salvare sempre, in ogni momento, da qualunque pericolo.
Il Dottore ne ha perdute tante, di persone amate, ma adesso ha perso Rose; ha perso il suo odore e i giorni con lei, ogni occasione passata, presente e futura di dirle quanto è straordinaria e meravigliosa e indispensabile. Di dirglielo.
Ti amo, urla nella propria testa, i sensi invasi dal pensiero di lei. Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo.
Se le ripete all’infinito, quelle parole che non ha mai pronunciato in vita sua e che adesso non dirà mai più, non a lei, non a Rose. Le grida in silenzio, anche se fa ancora più male, perché quel dolore lo fa sentire vivo, presente, umano.
Umano come lei.
 
Per i Signori del Tempo non esiste mai più. Ogni evento può ripetersi, ogni azione tornare indietro, perché il tempo è un circolo e lui non fa altro che percorrerlo.
Ma Rose è fuori da quel tempo. E il Dottore non può fare altro che rassegnarsi a quel mai più che ora rimbomba, terribilmente presente, nell’immensità dell’astronave.
Mai più Rose. Mai più.
 
O forse no.
 
Forse non è così. Forse i due universi non sono poi così ben sigillati. Se ci fosse ancora una falla, una crepa, qualcosa? Ha messo tutto a posto, vero, ma nessuno è perfetto: e se gli fosse sfuggito qualcosa?
Nemmeno si mette a calcolare le probabilità che un simile evento si sia verificato; getta via la maglia e si lancia sul quadro di comando.
Se c’è anche una possibilità, una sola, di rivedere Rose per una volta, di parlarle e dirglielo, se esiste anche l’ombra di un’ultima occasione con lei, il Dottore la troverà e la sfrutterà. E se non dovesse esserci quella possibilità, allora lui la creerà, perché , perché ne ha bisogno. Perché solo in questo modo potrà sopportare di essere separato da lei per sempre.
 
La TARDIS ci mette un po’, ma alla fine trova quello che il suo padrone sta cercando.
Il Dottore sorride.
Per un Signore del Tempo non esiste mai più.















Note finali:

anzitutto, SALVE! Mi chiamo Ferao e sono nuova di questo fandom. Nuova in tutti i sensi: ho scoperto da poco la serie Doctor Who, e sto recuperando adesso tutto il tempo perduto. Attualmente sto iniziando la terza serie.
Perché vi dico ciò? Perché è essenziale per spiegarvi il senso di tutta questa ff.
Essa è nata in un momento particolarmente tragico per me, ossia il finale di Doomsday. IL DOLORE. Non stavo così male da, boh, forse dal finale della seconda stagione di Sherlock.
Dannata BBC.
Ad ogni modo, finita quella puntata ho sentito la necessità di scrivere una fanfiction. Avevo bisogno di uno sfogo, una catarsi, qualcosa del genere. Per cui, questa ff.
Detto ciò, alcuni chiarimenti:

1) Come ho detto, sono da pochissimo nel fandom, e non ho mai letto fanfiction su Doctor Who. Eventuali somiglianze con altre ff sono TOTALMENTE INVOLONTARIE. Ve lo giuro.
2) In genere - e i miei lettori abituali lo sanno - tengo moltissimo a mantenere l'IC e l'attinenza al canon. Ora, come ben saprete, l'IC del Dottore è qualcosa di difficilissimo. Chi ha letto questa storia in anteprima - tutte persone adorabili e fidatissime - mi ha detto di andre tranquilla, ma... insomma, se doveste riscontrare atteggiamenti OOC o cose simili, vi prego di perdonarmi. Sono nuova, sono piccola. Abbiate pietà di me.
3) "La TARDIS". Ebbene sì. So che in italiano si è abituati a dire e scrivere "il TARDIS", lo so perfettamente. D'altra parte, io sto guardando le puntate in inglese, e quando il Dottore parla della sua astronave usa sempre il femminile ("she"). Ergo, TARDIS è femmina.
So che è una scelta non condivisibile, ma spero comprendiate le mie ragioni ^^
4) SONO ALLA TERZA STAGIONE, quindi NON HO IDEA di cosa accada dopo. Non lo so, non voglio saperlo, voglio scoprirlo da sola. Se tutto ciò che ho scritto dovesse essere in contrasto con qualcosa che avviene dopo (ma non credo, essendo un missing moment precisamente inquadrato) mi scuso di nuovo. E NO, non voglio spoiler.
5) Il titolo, suppongo l'abbiate capito, è una citazione da "The Raven" di Poe; in questo poema l'ipotetico protagonista ha un dialogo con un corvo il quale pare rispondergli continuamente "Nevermore" (= "mai più"). Mi sembrava carino citarlo.
... no, non sono brava coi titoli, men che meno con le note d'autore.

Orbene, ho finito. Spero davvero che la ff vi sia piaciuta. In caso contrario, per insulti/lamentele/sguardi di biasimo sono qui.
Grazie, in ogni caso, di aver letto.

Fera
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: ferao