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Autore: JadeDaniels    15/11/2012    0 recensioni
Mi trovavo in piedi davanti al primo bivio della mia vita. Ogni strada avrebbe portato ad una decisione diversa, a una vita diversa.
Avevo il cuore in gola e un nodo allo stomaco. A scuola non mi avevano mai insegnato cosa fare in queste situazione, mia mamma non mi aveva preparato a questo.
Lo sapevo che sarebbe stato difficile, la paura aumentava.
Erano li, fermi ad aspettarmi all'inizio della via, mi tendevano la mano.
Iniziai a tremare, e no, non erano brividi di freddo. Chiusi gli occhi e tirai un sospiro poi misi un piede dietro l'altro e intrapresi la strada che sapevo mi avrebbe resa felice per la prima volta.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Il mio nome e Jade, Jade Daniels. Occhi azzurri, capelli biondi e carattere incerto, 1° marzo 1995. Vivo, o meglio direi, vivevo in una piccola cittadina dell'Italia settentrionale chiamata Druento. Un posto molto accogliente con pochissima popolazione. 
La mia vita è cambiata dal giorno alla notte in un tempo molto ristretto. Quel paesino che credevo potesse possedere tutto quello che mi sarebbe servito per il mio futuro si rivelò solamente un piccolo frammento del mio passato.
Mi sembra strano trovarmi a scrivere quello che mi è successo, io che da piccola sognavo di fare la dottoressa o l'avocato, non mi sarei mai potuta immaginare che il destino aveva prescritto per me un futuro sotto riflettori e su copertine di giornali. 
Cosa affascinante il destino, non trovate? Oltre ad avermi prescritto tutto quello, aggiunse un dettaglio che non poteva mancare in mezzo a quello che sembrava tutto così stupendo e meraviglioso. Il destino ha scelto di darmi un'occasione. Ha deciso di fare scegliere a me la direzione della vita che avrei voluto vivere. 
Per farvi capire meglio, racconterò tutto da capo.
 
 
Era un mercoledì pomeriggio di inizio inverno. 
L'aria iniziava a raffreddarci e il paesaggio iniziava a prendere un colorito biancastro. In cielo si iniziarono a vedere i primi stormi di uccelli emigrare verso una destinazione più calda e accogliente.
Ero seduta in classe a fissare l'orologio della mia compagna di banco, nella speranza che quell'infernale giornata finisse. Mancavano pochi secondi, e finalmente.. La campanella suonò. Feci la cartella in cinque secondi e mi catapultai fuori dalla scuola per aspettare l'arrivo di mia sorella. 
"Giornata pesante?" mi domandò uscendo dalla classe e vedendomi appoggiata alla parete difronte alla porta dalla quale lei uscì.
"Un mattone, non vedo l'ora di arrivare a casa e di mettermi a dormire".
Il viaggio di ritorno fù, come al solito, molto tranquillo e rilassante. Fortunatamente, casa nostra non era molto lontana dalla scuola.
Entrammo in casa spalancando la porta, corremmo nelle nostre camere a posare le cartelle. Stavamo per crollare entrambi sui letti quando una voce, dalla cucina, chiamò i nostri nomi.
"Jessica, Jade, scendete un attimo?" mamma non amava molto l'attesa così, affrettammo il passo e scesimo le scale per dirigerci in salotto dove vidimo lei e papà seduti sul divano.
Mia madre stringeva tra le sue mani quelle di mio padre.
"Che succede?" chiese mia sorella avvicinandosi a loro.
Io guardavo la scene con sguardo sospetto. Papà di solito tornava a casa verso sera, per essere già arrivato alle 3 e mezzo del pomeriggio, doveva per forza essere qualcosa di importante.
"Jessica, Jade, sedetevi" disse mia madre stampandosi un sorriso sulle labbra.
Papà sorrise con lei e lasciò andare il suo braccio sinistro dietro il collo di mia madre.
"Ho avuto un nuovo lavoro, ma purtroppo dobbiamo trasferirci".
Papà disse quella frase senza neanche mettere spazi tra una parola è l'altra, senza nemmeno prendere fiato. 
Il mio sguardo si perse nel vuoto, e il mio cuore, per qualche istante, si bloccò.
Ricordo ancora le parole di mia madre.
"Sarà un nuovo inizio, per tutti quanti, avrete nuovi amici, una nuova casa, una nuova scuola, e poi è molto importante per vostro padre."
Non ci potevo credere. Mia madre sembrava così eccitata e mio padre così euforico per questo trasferimento.
M girai verso mia sorella, lei mi guardò negli occhi, poi si girò verso mia madre.
"Possiamo andare?" 
"Ragazze, lo facciamo per il vostro bene" disse mia mamma posando le sue mani sulle nostre.
Io e Jessica ci alzammo, salimmo le scale e ci dirigemmo in camera nostra.
Non ebbi il tempo di entrare in camera che sentii un vomito di parole uscirmi senza un freno.
"Spero che sia solo uno scherzo, non ci posso credere. Non ci possono fare questo, non adesso, non possono proprio. Io non me ne vado, e fuori discussione." 
Così dicendo, mi passai una mano trai capelli e mi avvicinai alla finestra della camera di mia sorella. 
Da quella finestra riuscivo sempre ad intravedere i raggi del sole che passavano tra le foglie degli alberi, Era una cosa stupenda.
Mia sorella si avvicinò a me.
"Se non proviamo non possiamo sapere come andrà a finire, magari potrà rivelarsi una bella esperienza"
"E lasceresti qui tutto quello che abbiamo? Gli amici, la scuola, la famiglia? Mi dispiace, forse sono ancora troppo piccola per capire o troppo grande per accettarlo, ma no, non sono così sicura che possa essere niente di positivo" 
Mia sorella mi guardò, tolse l'elastico che raccoglieva i suoi lunghi capelli rossi, 
"Devo fare la grande, e tu devi aiutarmi ad esserlo" mi disse porgendomi una mano.
Rimasi ancora qualche secondo a fissare i raggi del sole che formavano una figura strana e stupenda sul giardino di casa. Dentro di me sentivo qualcosa che mi diceva "andrà tutto bene" ma un'altra parte invece "non promette bene". Tirai un sospiro e porsi la mia mano a quella di mia sorella.
Scesi le scale tenendomi aggrappata al corrimano e pensando a quante cose avevo passato in quella casa, i miei primi passi, le feste di compleanno, i natali.. Non sarebbe stato facile dirle addio.
I nostri genitori si trovavano ancora su quel divano, come se dalla paura di un nostro rifiuto fossero rimasti pietrificati su di esso.
"Va bene" disse Jessica fermandosi davanti a loro.
Mia mamma le sorrise e poi mi guardò.
"Jade.. te cosa ne pensi?"
"Lo faccio solo perchè amo voi, e perchè me lo ha chiesto mia sorella, quindi, mi sa che mi serviranno parecchi scatoloni" 
Non potevo crederci di avere detto quelle parole, eppure, mia mamma era li ad abbracciarmi forte e felice come non mai. Aveva un sorriso stampato in faccia che raramente appariva sul suo volto. Ero contenta di essere stata partecipe nella creazione di esso. 
Mia sorella si girò verso di me e mi abbracciò.
"Stiamo facendo la cosa giusta" mi disse nell'orecchio.
Ascoltai quelle parole come se fosse la mia voce interiore a dirmelo, come una rassicurazione.
"Oh a proposito, volete sapere qual'è la destinazione?" disse mia madre 
Dentro di me pensai "beh dai, dove avrebbero potuto mai prendere un Architetto, Roma, Milano, Puglia?"
"CANADA" esclamarono mamma e papà esterefatti di rivelarci la nostra destinazione.
"CANADA??" domandammo in coro io e mia sorella.
Non ero preparata ad una destinazione così lontana dalla mia amata Italia.
"Si, lo so il clima è molto diverso da questo di Torino, e anche la lingua ma vedrete che vi troverete bene, dopotutto andate così bene in inglese"
Alzai gli occhi al cielo, ci sarebbe stato un mare in mezzo a me e a tutto quello che avevo avuto con me per tutti questi anni. 
Io e mia sorella, Jessica, salimmo nuovamente nelle nostre camera dove nostra madre, non perse tempo nel portare scatoloni e impacchettare le cose.
Non avevo molti amici a Torino ma i pochi che avevo erano veramente importanti e lasciarli li, mi faceva sentire sempre peggio. 
Pensai tutta la notte a come dire il giorno seguente a scuola che mi sarei dovuta trasferire in Canada, a milioni e milioni di chilometri lontana da loro.
La mattina dopo andai a scuola, nonostante avessi pensato cosa dire a Lucrezia, Claudia e Amanda riguardo al mio trasferimento in Canda, le parole non sembravano mai all'altezza della situazione.
"Vedrai, la nostra amicizia non finirà qui" disse Amanda abbracciandomi.
"Ti vogliamo bene" continuò Lucrezia
"Quando vorrai, a qualsiasi ora, di qualsiasi giorni e in qualsiasi momento, non esitare a chiamare, faremo il possibile per te anche se distanza oltre mare" disse Claudia asciugandomi quelle poche lacrime che riuscii a non far cadere sul pavimento di quel corridoio che percorsi per l'ultima volta.
Mia sorella, invece, aveva problemi maggiori. 
Io che credevo che lasciare quelle poche amiche che avevo fosse stata una delle imprese più dure di tutta la mia vita, si rivelarono solo sciocchezze.
Erano le 20 e 18 quando, Davide, il ragazzo di mia sorella, arrivò a casa.
Andarono a parlare nel giardino. Io ero nella mia cameretta, seduta alla finestra che guardavo e cercavo di capire cosa stesse succedendo.
Penso che non riuscirò mai a dimenticare l'espressione assente e terrorizzate che assunse Davide non appena mia sorella nominò il nome Canada.
Riuscivo a sentire il battito cardiaco di Davide rallentare a dismisura e sentire le lacrime di mia sorella cadere sul pavimento. Di colpo lasciai cadere anche io qualche lacrime, scesi in giardino e andai ad abbracciare Davide che, pietrificato, riuscì solamente ad aprire le sue braccia e avvolgerle attorno a me.
Mi staccai da lui e andai da mia sorella.
"Non è la fine" le dissi
Mi guardò e sorrise.
"Lo spero" rispose
Davide si avvicinò a noi.
"No, non è la fine, verrò da te il prima possibile, nemmeno un oceano ci potrà dividere" baciò mia sorella.
Di colpo un sorriso apparve sulle nostre facce.
Quella fù la nostra ultima giornata a Druento, l'ultima volta che camminammo su quel pavimento, toccammo quei muri, annusammo l'odore della nostra casa. 
La notte arrivò, Fissai per l'ultima volta il soffitto della mia camera come ogni sera prima di addormentarmi.
 
Erano le 5 e mezza quando mia madre venne disperatamente a svegliarci più e più volte. Le coperte sembravano volerci tenere legate al letto. 
Strizzai gli occhi, mi trovavo ancora nella mia camera a Druento. Ero felice, tutto quello che avevo era ancora mio, ancora per poco almeno. 
Nel giro di mezzora mi trovavo seduta su un divanetto dell'aereoporto di Caselle ad aspettare che il nostro volo venisse chiamato.
Guardavo i tebelloni nella speranza che il volo 25F venisse annullato da un momento all'altro, ma niente.
Mia sorella continuava a darmi qualche gufetto ogni tanto, cercando di farmi capire che sarebbe andato tutto bene. I minuti passarono, poi, l'autoparlante diede un annuncio:
*Chiamata per il volo 25F diretto in Canada con scalo a Stratford*
Cuore in gola. Avevano chiamato il nostro volo. Era ufficiale, avrei dovuto dire addio alla mia amata Torino.
Mia sorella mi prese la mano, e insieme, salimmo le scale che ci portarono alla fine di una storia e all'inizio di un'altra.
l'aereo decollò. Vidi per l'ultima volta la forma di quello stivale che geograficamente veniva chiamato Italia.
Durante tutto il volo non smisi di pensare a come potesse essere riniziare una nuova vita, in un nuovo posto. 
"Ehi piccola, va tutto bene?" papà, che si trovava qualche posto dietro a quelli miei e di mia sorella si era avvicinato al mio sedile.
"Ciao papà". 
Cercai di dare una risposta ne fredda ne euforica.
Papà si sedette al posto di mia sorella che lei stessa aveva lasciato libero per andare in bagno.
Il mio sguardo era fisso sul panorama completamente bianco al di fuori del finestrino. Papà fece un sospiro e iniziò a parlare.
"Sto cercando di fare la cosa giusta, non voglio che nè te nè tua sorella c'è l'abbiate con me. Per me questa è una buona opportunità di lavoro. Se ho accettato questo incarico e perchè è ben retribuito e potrei dare a te a tua sorella il meglio. 
Vostra madre all'inizio era contraria al trasferimento, ma abbiamo valutato le diverse opzioni, e siamo arrivati alla conclusione che sarebbe stato meglio così. Forse non te ne ho mai parlato ma.."
Il mio sguardo di colpo passò dallo sguardo assente fuori dal finestrino a quello interessato che volsi agli occhi di mio padre.
"..l'azienda per cui lavoravo a Torino stava fallendo. Avrei potuto perdere il lavoro da un momento all'altro. Non ne ho mai parlato ne con te nè con tua sorella perchè non voglio darvi ulteriori preoccupazioni, avete già da pensare hai vostri problemi adolescenziali, ma ora penso che sia il momento giusto per dire le cose come stanno. Spero che voi riuscirete a capire che tutto quello che papà e mamma fanno, e per darvi un futuro migliore".
Vidi gli occhi di mio padre luccicare, mai successo prima d'ora. 
Mostrai un sorriso e mi avvicinai a lui avvolgendolo in un grosso abbraccio.
"Ti voglio bene, papà"
Papà si dovette staccare da quell'abbraccio che sono sicura avrebbe voluto che durasse per tutto il volo, ma mia sorella era arrivata.
"Ha fatto anche a te il discorso?" mi chiese occupando nuovamente il suo sedile.
"Si, non posso odiarli ne disprezzarli, lo fanno per noi."
Così facendo, passai le ultime ore di volo ad ascoltare musica e a fissare nuovamente le immagini fuori dal finestrino che se prima erano completamenti vuote, ora erano riempite da qualcosa: l'emozione.
 
Dodici ore dopo l'imbarcazione, l'aereo arrivò a destinazione. 
Stanca e felice di poter finalmente mettere i piedi a terra, presi la borsa, riposi all'interno l'iphod e le cuffie e, seguendo mia sorella, scendemmo dall'ereo. Aspettammo l'arrivo dei nostri genitori e subito dopo, in un perenne silenzio da parte di tutti quanti (dodici ore di aereo vi assicuro che sono molto stancanti e stressanti) andammo a recuperare i nostri bagagli. 
"Lo vedi?" chiese mia mamma a mio padre interrompendo il silenzio.
"Umm, no.. Aspetta, sisi lo vedo, è la in fondo!" rispose papà afferrando il suo bagaglio e avvicinandosi ad un uomo a bordo di un'auto nera come la pece.
"Su ragazze, prendete i vostri bagagli, si va a casa" mamma afferò a sua volta il suo bagaglio e si avviò anche lei per la macchina.
"Secondo te, chi è quell'uomo?" chiesi a mia sorella con aria ambigua.
"Potrebbe essere semplicemente uno di quelli che va a prendere la gente in aereoporto e la porta a casa loro."
La spiegazione di mia sorella non era molto chiara ma ero troppo stanca per correggerla così, afferrammo i nostri bagagli e raggiungemmo i nostri genitori.
Sentire parlare una lingua diversa da quella che prima si era abituati ad udire si rivelò una cosa molto emozionante e abbastanza facile. 
Scoprimmo che il "guido" si chiamava Clariss e che aveva una famiglia in Francia, ma che lui lavorava in Canada per via che dove abitava lui non c'era molto lavoro.
Il viaggio dall'aereoporto alla nosta nuova abitazione di rivelò abbastanza immediato, o meglio, così mi parve.
"Non abbiamo badato a spese" disse mamma tutta emozionata di mostrarci la nostra nuova "dimora".
Se devo essere sincera amavo molto i paesi stranieri, le loro usanze e i loro costumi.
La macchina percorse un lungo viale composto da tante villette separate le une dalle altre da delle siepi. 
A mia grande meraviglia, mi accorsi che ogni casa aveva un pezzo di giardino proprio davanti. Amavo osservare dalla mia finestra il giardino.
Ad un certo punto la macchina si fermò davanti a una casa grande due volte tutte le case che avevo visto in quel viale. 
Da fuori aveva un aspetto molto "signorile". Era completamente bianca con il vialetto e i davanzali fatti di mattoni chiari. La porta era di un color mogano e le finestre di un castano scuro, tendente al nero. Nel giardino davanti alla porta principale c'era un pezzo di giardino con un piccolo alberello che riparava l'intera casa dal sole.
"Wow" dissi a bassa voce tanto che mia sorella, che si trovava qualche metro più in la mi sentì.
"Promette bene, non è così?"
Dovetti darle ragione. La casa sembrava stupenda, ma ero ansiosa di vederla all'interno.
"Siete pronte?" mamma, tutta euforica, tirò fuori dalla tasca una chiave che posò all'interno della serratura e la fece scattare. Davanti a noi si spalancò il paradiso. 
All'interno, proprio davanti alla porta principale, si apriva una scala, che in cima si divideva in due parti: una che portava a destra e una che portava a sinistra, tutta in marmo bianco con sopra un tappeto nero che riprendeva il colore del lampadario che si trovava al centro della sala.
Sulla destra si apriva un enorme salotto con un enorme tavolo di cristallo che sosteneva delle candele nere, che si posavano sopra ad un centrino bianco come la neve. Davanti al tavolo, sulla destra, c'era una finestrata enorme che dava sul vialetto.
Dall'altra parte, invece, un divano enorme e delle poltrone di pelle nera, accerchiavano un caminetto, anche esso di marmo. 
"Vieni a vedere di qui".
La voce estasiata di mia sorella arrivava dalla parte sinistra della casa. Subito corsi da lei.
Davanti a me mi trovavi una cucina tutta di interno marmo con al centro una penisola di marmo nero sbrilluccicante.  Il frigo sembrava grosso quanto il mio precedente armadio. Il tavolo da pranzo era bianco con sopra una composizione floreale di rose blu e bianche.
"Non può essere vero". 
Ero rimasta a bocca aperta dell'immensità di quella casa.
"E non è ancora finito, andate a vedere le vostre stanze" mamma e papà si erano fermati ad osservare la nostra reazione davanti a quella cucina così meravigliosa.
Guardai di scatto mia sorella e poi, di corsa, percorremmo quelle scale alla ricerca della nostra camera.
"Mi ci vorrà una mappa" disse Jessica trovandosi davanti a se una decina di porte.
"WOW! Ma dove dobbiamo andare?" ero rimasta a bocca aperta.
Mamma e papà nel frattempo ci raggiunsero.
"Hahaha, si beh, è grossa come casa. Ora vi spieghiamo bene. Jade la tua camera e quella li al fondo a sinistra, mentre la tua, Jessica, al fondo a destra." Papà finì.
"E tutte queste altri 8 porte?" chiese Jessica ancora incredula che ci fosse ancora così tanto da vedere di quella cassa.
"Beh, una cosa alla volta, prima andate a vedere le vostre stanze, come tutta la casa, sono già state arredate."
Io e mia sorella corremmo immediatamente al fondo del corridoio. Prendemmo fiato ed entrammo all'interno delle nostre stanze.
Ero pietrificata. 
La mia camera era più grossa di tutta la sala da pranzo e il salotto messo insieme. 
Sulla parete al fondo c'era posizionato il mio letto a 2 piazze, i muri erano dipinti di un rosa acceso, e il copriletto era nero. 
Davanti al letto si trovava una piccola "zona relax" con qualche divanetto e una tv enorme. 
Sulla sinistra c'era una scrivania con sopra il mio computer e tutti i miei dischi. Era perfetta, ma c'erano solo due piccola porta che sarebbero dovuti essere il mio armadio. Mi avvicinai ad una di esse e non potei immaginare quello che mi stavo trovando davanti agli occhi. Era una cabina armadio grossa almeno quanto la mia stanza, piena di vestiti, scarpe, cinture, borse, cappelli ecc.. Uscii e aprii la seconda porta e davanti a me si spalancò il paradiso. Avevo il bagno in camera. Era veramente troppo bello per essere vero.
La cosa che in assoluto preferivo di quella camera era la finestra che dava sul giardino e sul vialetto di casa.
Curiosa, andai a vedere la camera di mia sorella.
Io che credevo che non mi sarei più potuta sbalordire mi dovetti ricredere. 
La camera di mia sorella era forse più bella della mia.
Aveva le pareti di un viola chiaro chiaro quasi lilla, il letto più grosso del mio con le lenzuola viola. Un televisore e due scrivanie, una su cui si trovava il computer e una su cui si trovava il suo sterio.
L'armadio era strabigliante.  Anche lei aveva una "zona relax" un po' più grande della mia con qualche poltrona e un divanetto che rendevano quella stanza ancora più bella. Anche lei aveva il suo bagno.
Eravamo entrambe estasiate.
"Vi piace?" chiese papà appoggiandosi alla porta della stanza di Jessica, con la seguito mamma.
"State scherzando? E' stupenda" dicemmo ad unisolo io e mia sorella che andammo ad abbracciare immediatamente i nostri genitori.
"Ora volte vedere le altre stanze?"
Non diedimo nemmeno il tempo a nostra madre di finire che già eravamo davanti alla prima porta dove si trovavano apparecchiature musicali di ultima generazione. C'erano 3 o 4 chitarre, due o tre microfoni. Computer multimediali come quelli che usano nelle case discografiche, una cabina per registrare.
"Questo è un regalo di vostra nonna Rosa. Sa quanto vi piaccia cantare."
"Dobbiamo ricordarci di farle un bel regalo per Natale quest'anno" disse mia sorella estasiata.
Le porte successive nascondevano la palestra e l'area cinema/videogiochi.
Dietro un'altra porta si trovava la stanza per gli ospiti, dietro un'altra la camera dei nostri genitori.
Le altri 3 camere erano ancora vuote nella speranza che venisse fatto un progetto anche su di loro.
La casa era qualcosa di stupendo. Le ore passarono in un battibaleno. Erano già le 20 quando il fattorino consegnò a casa le pizze.
Molto velocemente mangiammo quella prelibata pizza nella nostra nuova casa e, senza pensarci troppo, ci recammo tutti nella sala giochi dove la nostra nuova XBOX ci attendeva. 
Con le ultime forze che ci rimasero in corpo giocammo a non so quanti giochi fino a quando, esausti, decidemmo di mettere da parte i videogiochi e di inaugurare i nostri nuovi letti.
Erano le undici e mezza quando, esausta, mi sdraiai tra le coperte di quel letto, che, dopotutto, non mi fece sentire poi così tanto la nostalgia di casa.
  
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