cosa un pò melensa... se volete ficcarvi due dita in gola e vomitare ve lo concedo...l'avevo scritta per una mia amica quindi ci sono commenti per lei... scusate...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Aragorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Lo vedevo, era in fondo alla strada, vicino al margine della foresta.
Incrociai il suo tenero sguardo, e lui mi rivolse un dolce sorriso.
Accidenti, perché mi faceva sentire così strana?
Perché avevo paura di stare da sola con lui?
Perché quell'umano mi affascinava tanto? "Forse il fatto che
ti sia concesso stare con lui, ti emoziona in modo particolare, facendo
nascere in te un desiderio talmente forte che ti sconvolge, travolgendo
tutti i tuoi sensi e sentimenti" quando Mirtale me lo disse la presi
per pazza. Ma ora iniziavo a pensare che lei avesse ragione. All'inizio
mi dicevo: "è solo una cosa passeggera, vedrai che
passerà..." ma erano cinque mesi che provavo sempre con la
stessa intensità codesta emozione. Nei primi tempi ricordavo
che non riuscivo neppure a incrociare il suo sguardo senza arrossire...
E mi chiedevo perché una creatura libera e dal cuore leggero
provasse certe sensazioni...così profonde,
così...belle. Dopo Glanden non avevo mai sentito nulla del
genere, qualcosa di così forte che mi legasse eternamente a
un persona. "Per di più", mi rimproveravo, "lui è
anche il tuo 'padrone'" (TESSSORO...).
Perché stava succedendo proprio a me? Forse
perché ero confusa, disperata...(bisogna essere proprio
disperati per amare Aragorn...Senza offesa per Arwen e per Eowyn.
Informo tutti ufficialmente che ho cambiato idea e che ora gli sbavo
dietro da un anno, circa…) e distrutta. In fondo la morte
del mio Elfo mi aveva abbattuto. Lo amavo tanto. Troppo, forse. Ma
sapevo di per certo che non sbagliavo a tenere così tanto a
lui. Era l'unico che mi comprendesse, che capisse il mio disagio
nell'essere una creatura a metà, senza essere né
un'umana né un'ondina. Ricordavo come stavo male quando un
uomo mi squadrava, poi, notando il colore dei miei occhi, sputava per
terra, ai miei piedi.
E Lui era lì, vicino a me, e bastava una sua occhiata per
far pentire quell'umano di ciò che mi aveva fatto. E se
quello non si scusava immediatamente con me, il mio Elfo gli si
avvicinava e gli diceva di lasciarmi in pace, perché, da
inutile essere umano qual era, non poteva criticarmi e nemmeno
guardarmi, e che meritava solo disprezzo.
A volte il tutto degenerava in una rissa, ma molto raramente,
perché gli Elfi odiano la violenza, e anche quando parlava
in mia difesa, lo faceva con un tono calmo, che incuteva maggiore
terrore di una minaccia ad alta voce.
E ora quegli esseri senza scrupoli me lo avevano tolto
(...rubato...sporchi piccoli Hobbit!) senza che io avessi potuto fare
qualcosa per evitarlo e per salvarlo.
Mi sentivo colpevole della sua morte, e sola, molto sola.
Finché non incontrai Mirtale, ninfa con la quale feci subito
amicizia, perché con la sua spensieratezza mi faceva sentire
felice. Poi a noi si aggiunse anche Lyuen, e con lei arrivarono i guai.
Infatti io e Mirtale ci guadagnavamo da vivere rubando e tutti i colpi
venivano sempre portati a termine con successo. Diventammo ladre
professioniste e famose, nessuno conosceva la nostra vera
identità, perché ci mascheravamo con foglie e
coprivamo il viso con panni mimetizzati. Finché, un giorno,
mentre fuggivamo dopo aver compiuto un meraviglioso furto, incappammo
nell'elfa. Lei ci fermò sospettosa e i nostri inseguitori ci
raggiunsero. Per fortuna eravamo armate, perciò riuscimmo a
difenderci in qualche modo e a fuggire. Purtroppo Lyuen venne scambiata
come nostra complice e noi la dovemmo salvare, portandocela dietro. E'
molto più giovane di entrambe, e molto più
ingenua. Ci ha fatte scoprire moltissime volte, e i nostri piani sono
diventati più complessi. Non potevamo lasciarla sola,
perché si sarebbe fatta scoprire, di questo eravamo certe.
Pian piano però, divenne molto brava, e assunse lei il
controllo dei furti, al posto di Mirtale, che ormai non aveva
più idee, dopo anni di colpi portati a buon fine. Fu Lyuen a
inventare il piano Perfetto, come lo chiamava lei.
Dopo essersi informata sulla nostra vera natura, inventò un
modo per esaltare le nostre doti. Le ondine erano bravissime a ballare,
e io, avendo un po’ del loro sangue dentro me, divenni una
discreta ballerina. Lei, rivelatasi anche metà silfide, si
rendeva invisibile e cantava, poiché dotata della voce
incantevole degli Elfi. La ninfa invece, essendo abituata a correre
veloce tra alberi e cespugli, rubava, sfiorando appena le vittime.
Quando incappavamo nei viaggiatori, attuavamo il nuovo piano, che
andava sempre a segno, poiché i viandanti venivano sempre
incantati dal canto e dalla mia danza, nonostante non lo credessi
possibile, essendo una ballerina non molto brava.
Però avevo sempre amato ballare, soprattutto per il mio
Elfo, che mi incoraggiava tanto e la sua fiducia mi faceva migliorare
di giorno in giorno, rendendomi felicissima.
Mi mancava tanto, non potevo negarlo, e neppure dimenticarlo. Tutte le
notti, appena chiudevo le palpebre, su di esse si proiettava il suo
gentile e perfetto viso sorridente, che mi costringeva a spalancare di
colpo gli occhi, per evitare di annegare in quelle cupe onde di dolore
che mi sommergevano dei suoi ricordi, dei suoi sorrisi enigmatici e
delle sue parole dolci, che mi cullavano come un dolce ruscelletto.
Continuavo a fare paragoni con le acque, e credevo che fosse dovuto
alla mia parte di creatura acquatica, che a volte riemergeva dalle
tenebre della mia anima, portando con sé pensieri e paure,
poiché ero un'ondina completa quando Lui morì.
Quando ballavo i ricordi riaffioravano, potenti e ruggenti come un
torrente in piena, sommergendo la mia mente, che si liberava e il mio
corpo seguiva il vento e il ritmo delle acque, che in quei momenti
sentivo forte dentro me.
Tutto andava bene, finché nella nostra vita entrarono loro,
che elusero l'incantesimo, per colpa del grido di gioia di Lyuen. Una
insignificante compagnia, che viaggiava con lo scopo di salvare la
Terra di Mezzo dalle forze oscure di Sauron e Saruman, uniti per
dominare Uomini, Nani, Elfi e tutte le razze che potevano essere
sottomesse con la forza. Quei mostri non sapevano nulla dell'esistenza
delle creature fatate, come silfidi, ninfe e ondine, poiché
vivevamo in un mondo a sé stante. Ma lì potevano
abitare solo creature complete, e quindi io e Lyuen fummo escluse
automaticamente mentre Mirtale lo abbandonò di sua spontanea
volontà. Così io ero mortale, potevo morire in
qualsiasi momento, e non avevo nemmeno il sostegno delle due razze in
me riunite. Anche Lyuen e Mirtale erano nelle mie stesse condizioni, ma
l'elfa era comunque immortale, perché i due esseri che
convivevano dentro di lei erano entrambi senza età e nessuno
dei due temeva la morte.
Da quando c'era quell'umano le mie emozioni erano cambiate. Ora sognavo
lui, nonostante il mio Elfo fosse sempre nei miei pensieri,
perché ci sarebbe stato sempre, come diceva lui. Infatti mi
rassicurava sempre sussurrando nel mio orecchio appuntito, quando
finivo di ballare e rimanevo trasformata, con l'aspetto di ondina che:
"Ovunque sarai, qualunque cosa succeda, noi saremo insieme per
l'eternità. Te lo prometto". Non mantenne la sua promessa,
perché eravamo lontani, e lui non era con me. Lui era sotto
terra, o forse le sue ossa non vi erano più,
perché gli orchi le avevano sbranate. Una lacrima mi scese
giù per la guancia. Non volevo asciugarla. Essa manifestava
l'amore che mi univa a Lui. Sentii qualcuno che mi parlava: "Cos'hai,
Krayel?" Non ci potevo credere! Era la voce del mio Elfo!
No, non era possibile. Infatti non lo era, e su di me si
stagliò una figura umana, dai capelli scuri. Oh, no! Mi
aveva vista piangere! Era tornato indietro dall'inizio della
processione, (Y± Amen…) solo per vedere come
stavo! Perché Mirtale e Lyuen non si erano accorte che
piangevo? Mi guardai intorno e mi accorsi che loro erano vicine ai loro
"carcerieri". Forse non ero l'unica pazza, che si innamorava dei
"padroni"...
(TESSSSSOORO!)Un dubbio mi attraversò la mente. Visto che
ero la sua schiava poteva fare di me tutto ciò che voleva?
Non era quel genere di uomo, ma un brivido mi percorse la schiena, e
lui se ne accorse. Mi porse il suo mantello. Lo rifiutai con un breve
cenno della testa. Senza dire nulla me lo mise sulle spalle. Lo fissai,
e incrociai il suo sguardo, che sapevo poteva diventare penetrante, ma
che in quel momento era dolce e preoccupato. Sentii le guance
avvampare, e pensai che la lacrima sarebbe evaporata. Invece rimase
dov'era, probabilmente, perché pochi momenti dopo avvertii
un suo dito sulla mia gote. Non mi ritrassi stranamente, e rimasi a
fissarlo direttamente negli occhi, perdendomi nella loro
profondità e nella loro dolcezza, che mi infondevano una
serenità che avevo provato in precedenza solo in compagnia
del mio Elfo.
Attorno a noi vi era un silenzio assoluto, rotto solo dal fruscio del
vento nel fogliame.
Ad un tratto una voce possente ci fece sobbalzare: "Ehi, Aragorn! Ti
vuoi muovere? O ti lasciamo qui?" Ci accorgemmo solo in quel momento di
essere fermi entrambi.
Il nano aveva incrinato l'atmosfera, ma osservando il viso del re
Aragorn, scorsi un fugace sorriso. Scoppiammo a ridere come due
ragazzini, mentre Gimli ci guardava stupito, con una faccia da tonto
che ci fece ridere maggiormente.
Da circa dieci anni non provavo più la meravigliosa
sensazione di una risata sincera e aperta.
Lo ringraziai con un sorriso. Mi fissò a lungo, e il suo
sguardo mi incantò. Era profondo e dolce, e io mi persi in
lui. Era bello viaggiare nell'universo della sua anima, riuscendo a
percepire i suoi pensieri e sentimenti, che mi attraversavano la mente,
con una delicatezza tale da farmi perdere il senso della
realtà. All'improvviso qualcosa mi strappò al mio
incantevole sogno, portandomi via con violenza della quale io non
riuscivo a capire il motivo. Scossi il capo e mi accorsi che Mirtale mi
stava quasi trascinando, perché io ero ancora intontita
dall'onda di tepore e piacevole incanto che mi aveva travolto. Lanciai
un'occhiata veloce alla fonte della mia gioia, per non farmi scoprire
dalla ninfa, che mi avrebbe rimproverato come sempre, e mi accorsi che
anche lui mi stava fissando incuriosito. Capii che aveva provato le mie
stesse sensazioni, perdendosi nei miei profondi, ma glaciali occhi
color dell'acqua. Ma forse aveva percepito tutto il mio tormento, e ne
era rimasto sconvolto.
In fondo apparivo giovane, e le ragazze della mia apparente
età non potevano aver provato un dolore così
acuto come il mio. O forse sì? Per lui probabilmente ero
solo una prigioniera di "guerra", ma capii in quel momento che per me
non era la stessa cosa. Lo consideravo un carceriere, certo,
però c'era qualcosa in lui che mi riportava alla mente il
mio Elfo, nonostante Aragorn fosse solo un umano. E allora
perché mi faceva provare tali sensazioni, che consolavano il
mio spirito straziato, martoriato a causa della grave perdita che avevo
subito?
Stare in sua compagnia, anche senza parlargli, mi faceva stare bene, e
mi faceva tornare indietro nel tempo, come se non fosse accaduto nulla
da allora, e tutto era perfetto come quando ero insieme a Lui.
Persa nei miei pensieri non mi accorsi che l'umano era tornato in capo
alla colonna e chiacchierava in elfico con Legolas, che cingeva le
spalle a Lyuen, stringendola a sé, mentre lei ascoltava
rapita le loro conversazioni. Giunse in fretta la notte, e ci
accampammo in una radura, come comandava l'Elfo, nonostante Gimli
sostenesse che fosse troppo pericoloso e che saremmo stati indifesi, di
fronte a un attacco diretto da parte di quegli orrendi Uruk-hai. Ma
nessuno diede ascolto al nano, poiché cercava in tutte le
occasioni di contraddire il biondo, essendo nemici di razza.
Montai la nostra tenda con l'aiuto di Mirtale, mentre Lyuen ronzava
intorno a Legolas, chiacchierando con lui con un sorriso da ebete
stampato in faccia. "E' proprio innamorata, eh?" mi chiese
all'improvviso la ninfa, mentre cercava di non far cadere i bastoni che
aveva eretto con tanta fatica. "Già, credo di
sì..." le risposi malinconica. "Dovresti provare ad
imitarla. Dimentica il passato, vivi il presente, sogna il futuro!"
riuscì a finire il lavoro e se ne andò. La
osservai allontanarsi, mentre le sue parole mi risuonavano in testa di
continuo. Le davo ragione. Anche se importante, il passato era passato,
e ciò che successe non poteva essere modificato. Ma il
presente si poteva ancora modificare e vivere, e il futuro poteva
addirittura essere migliorato con piccoli interventi, che lo avrebbero
cambiato per sempre.
Quindi secondo la mia amica dovevo dimenticare Glanden e cominciare una
nuova vita? Sapevo che non lo avrei mai potuto celare nelle parti
più recondite della mia memoria, per essere poi cancellato
definitivamente, perché Lui sarebbe rimasto per sempre in me
come un dolcissimo ricordo.
Forse era vero che dovevo crearmi una nuova vita, migliore della prima
e molto più serena, senza perdite e massacri. Avevo deciso:
avrei seguito il mio cuore, ignorando la coscienza, e avrei provato
nuovamente quella meravigliosa sensazione: essere amati da qualcuno.
Seguii a lungo con lo sguardo Lyuen.
Era cresciuta molto con noi, e sembrava quasi adulta, nonostante avesse
solo trent'anni e Mirtale la considerasse ancora una bambina.
"Sei stanca?" una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi voltai di
scatto e scorsi di nuovo la figura dell'umano che si stagliava sul mio
corpo in penombra.
Scossi la testa e gli risposi: "No, ci sono abituata a camminare a
lungo. Grazie comunque." Mentre parlavo, mi strinsi nelle spalle e mi
accorsi che vi era ancora posato il suo mantello.
"Oh scusa! Ecco..." gli porsi il mantello, e lui tese le braccia per
afferrarlo, ma facendolo, mi sfiorò le mani con tocco
leggero, facendomi sussultare. Arrossii, alzando appena il capo per una
fuggevole occhiata e incappai nei suoi occhi profondi e dolci.
Perché accidenti mi faceva sentire così bene?
Abbassai lo sguardo, ma la sua mano mi impedì di far quasi
aderire il mento al mio petto, incontrando nuovamente il suo. Mi si
avvicinò. Lentamente e con delicatezza mi strinse a
sé. Al contatto con il suo corpo, il mio avvampò
interamente. Coincidevamo perfettamente l'una nell'altro. Posai la
testa sulla sua spalla, facendomi cullare dalla melodia del suo
respiro, e avvertii i battiti del suo cuore, che accelerarono.
Probabilmente anch'egli provava strane emozioni, come me. Io desideravo
ardentemente sfiorargli le labbra con le mie, per gustare il loro
sapore. Ma come potevo baciarlo? Lui non se lo aspettava e mi avrebbe
respinta sicuramente...Però fino ad allora egli aveva agito
spinto da un istinto che io non avevo osato contrastare, e se provava i
miei sentimenti, forse...
Non ebbi tempo per accertarmi di ciò che pensavo,
perché fu lui a chiarire i miei dubbi, posando leggermente
le sue labbra sulle mie, dopo avermi sollevato nuovamente il capo ed
aver incrociato le mie iridi glaciali.
Provai una emozione dimenticata, che travolse completamente i miei
sensi, ridimensionandoli e capovolgendoli.
Rimasi stupita, con gli occhi socchiusi per qualche lungo attimo.
Poi mi svegliai dal sogno nel quale ero immersa e feci la cosa
più stupida che avessi potuto fare.
Gli tirai uno schiaffo, colpendolo con forza improvvisa.
Mi guardò triste, e il mio cuore fece un tuffo,
all’interno del mio petto, precipitando in un buio inferno.
Mi portai la mano con la quale lo avevo colpito, alla bocca,
accarezzandomi e coprendomi allo stesso tempo le labbra, dove sentivo
ancora il suo sapore di bosco e il buon odore di terra bagnata e ancora
umida dopo una leggera pioggia.
Spalancai gli occhi, imbarazzata ed esterrefatta al contempo. Lui
abbassò il capo, evitando di fissarmi. Sembrava disilluso.
Quando rialzò la testa, incrociai il suo sguardo che mi
trafisse per la sua intensità come migliaia di pugnali di
orco.
Lanciai un’occhiata preoccupata alla guancia dove lo avevo
colpito e mi accorsi che aveva il segno delle mie dita di un color
sanguigno. Avvampai.
Visto che io non dicevo nulla, si voltò per andarsene. Mi si
spezzò il cuore a sapere che lo avevo fatto soffrire
talmente con il mio gesto impulsivo.
E allora reagii. Gli posai una mano sulla spalla e lo fermai con presa
flebile ma decisa. Si girò verso di me e mi
trapassò nuovamente con il suo sguardo estremamente
malinconico, che mi fece sussultare.
Mi decisi a parlare, anche se non sapevo come spiegargli il malinteso.
Però non volevo che mi lasciasse così,
perciò le mie labbra si schiusero per far uscire un debole
mormorio, che secondo me doveva essere un desolato:
“Scusa.” Per fortuna lui aveva l’udito
acuto e mi sentì.
Sorrise, e mi fece tremare come una foglia, di felicità.
Una foglia che, dopo una tremenda tempesta che aveva attentato alla sua
breve vita e al suo albero, dov’era nata come gemma e poi
cresciuta e diventata di un bel verde smeraldo, gioisce facendosi
cullare dalla leggera brezza che annuncia una calma e tiepida primavera.
Tese un braccio verso di me, con il palmo rivolto al cielo che si stava
dipingendo con i toni passionali del tramonto, che a me ricordavano il
sangue che avevo versato per vendicare Glanden e l’orma della
mia mano che ancora si scorgeva sulla guancia dell’umano che
mi stava davanti con occhi che brillavano di emozione e anche di
felicità mista a quella che mi sembrò malinconia,
che decisi di ignorare per farmi inglobare completamente da
ciò che mi sarebbe accaduto insieme a
lui.
La mia bocca si increspò come le acque di un ruscello che
sfiora, durante la sua corsa verso valle, una roccia sulla sua riva e
che divenne a sua volta un sorriso sincero.
Ma, oltre a prenderlo per mano, mi avvicinai a lui, feci aderire
nuovamente il mio corpo al suo e questa volta fui io a baciarlo, spinta
da un incontrastabile istinto, e così facendo avvertii
ancora l’aroma di bosco che lo caratterizzava e che mi faceva
sentire a casa.
Quella sera, mentre tutta la compagnia consumava davanti al fuoco quel
magro pasto che erano riusciti a procurarsi, io non prestai la minima
attenzione a ciò che si diceva e alle avversità
che avremmo dovuto affrontare.
All’improvviso mi accorsi che Mirtale mi stava dicendo
qualcosa, della quale non capii nemmeno una parola.
“Cosa ne pensi?” mi chiese alla fine la
mia amica. Probabilmente feci una faccia molto confusa,
perché lei scosse il capo e sospirò, dicendo:
“Non mi aspettavo che tu prendessi alla lettera
ciò che ti ho detto oggi…”
“Eh?! Cosa?” ormai non capivo più nulla.
Pensavo solo agli occhi di Aragorn che catturavano i miei in uno
sguardo talmente intenso, che mi faceva dimenticare la
realtà con molta facilità.
Lei sorrise e scosse il capo. Poi si alzò e raggiunse
Faramir, che stava parlando animatamente con Gimli, ma che, quando vide
arrivare verso di sé la mia amica, spostò su di
lei la sua attenzione, e i suoi occhi brillarono di gioia.
Si fissarono a lungo, e i loro sguardi riempivano il silenzio
che li aveva avvolti con la sua coltre vellutata con parole cariche di
sensazioni e sentimenti elettrici.
Il nano si levò in piedi e, brontolando come suo solito,
raggiunse la sua tenda.
Sorrisi a mia volta, cercando quegli occhi profondi e dolci. Li trovai.
Poi identificai cosa stava facendo il loro proprietario. Chiacchierava
felice con l’Elfo di qualcosa a me sconosciuto nella lingua
natia di Legolas, mentre Lyuen ascoltava rapita e seguiva ogni
increspatura delle labbra di quest’ultimo, sembrando
ipnotizzata dai loro movimenti.
Mi chiesi se mi sarei potuta unire a loro, oppure se fare compagnia a
Mirtale e Faramir…Ma dove erano finiti quei due? La risposta
perciò mi balenò nella mente come
l’unica possibilità, e, silenziosamente, mi
avvicinai ad Aragorn.
Lui alzò lo sguardo verso di me, ma nei suoi occhi non notai
il lampo improvviso di gioia che avevo visto in quelli di Faramir
all’arrivo di Mirtale. Rimasi un po’ delusa dal suo
comportamento, ma, non appena mi sedetti accanto all'umano dai capelli
corvini, egli, senza farsi notare dai due elfi, fece scivolare un
braccio dal suo fianco al mio, stringendomi a sé con
noncuranza.
Allora capii: non aveva ancora confessato nulla a Legolas, nonostante
fosse il suo migliore amico, e non voleva di certo fargli intuire tutto
in quel momento. Perciò sorrisi e mi avvicinai lentamente a
lui.
All’improvviso Lyuen mi fissò.
Prima di poter fare qualcosa per evitarlo, oltre ad arrossire
violentemente, mutai il mio aspetto. Infatti nei momenti in cui ero
particolarmente felice oppure quelli in cui ero in imbarazzo estremo,
oltre a quando ballavo, (cioè…
sempre…) il mio corpo modificava le sue sembianze. La mia
carnagione, da abbronzata e dorata, divenne diafana, facendo rilucere
su sé stessa, i deboli raggi di luna e la fioca luce del
manto stellato sopra le nostre teste. I miei capelli, da disordinati,
annodati, e color delle braci vive, mutarono in una lunga chioma
d’oro in ordine e ornata di gemme e pietre dei fiumi. I miei
stracci invece, divennero un candido e lungo vestito che ricopriva i
miei piedi, ormai nudi, come tutte le ondine, del resto. Solo gli occhi
rimasero com’erano, poiché solo essi manifestavano
la parte più nascosta di me, anche quando ero solo una
semplice umana.
Non mi accorsi subito della trasformazione.
Intuii che era accaduto qualcosa quando vidi gli occhi sgranati dei
miei tre compagni.
“Cosa c’è?” chiesi timorosa.
Lyuen si riscosse dalla trance nella quale era precipitata e mi
fissò a lungo con espressione preoccupata prima di
rispondermi: “Tu
sei…diventata…un…un’ondina.”
Balbettò infine. Spalancai gli occhi e mi portai una ciocca
di capelli di fronte agli occhi. Aveva ragione, erano dorati come il
sole e il grano nella stagione della mietitura. Sbiancai come il
vestito candido che mi era apparso addosso. Non avevo mai detto ad
Aragorn che ero solo per metà umana. E quello della mia
trasformazione improvvisa non era il modo migliore per rivelarglielo.
Mi voltai lentamente verso l’umano. Mi stava guardando
stupito, ma nei suoi occhi scorsi anche lampi improvvisi di meraviglia.
“Aragorn…” mormorai imbarazzata.
Lui continuò a fissarmi, poi schiuse le labbra in un sorriso.
“Quasi non ti riconoscevo. Sei
così…diversa…” Alzai le
sopracciglia in un’espressione irritata. “Me ne ero
accorta anche io…” risposi infine, mentre il suo
sorriso svaniva. “Beh…noi
andiamo…” si intromise Lyuen, alzandosi e quasi
trascinando via Legolas, che ne voleva sapere di più, per un
braccio.
Rabbrividii. Non ero mai rimasta sola con Aragorn, ( + o
-…) e l’idea, non sapevo perché, mi
terrorizzava alquanto, forse poiché non sapevo
cosa poteva accadere.
“Non… non è stata
un’affermazione molto acuta, vero?” Mi chiese
infine l’umano, arrossendo leggermente e abbassando il capo
(non commentare, Ely…) imbarazzato. Scossi la testa
divertita. Era in imbarazzo nei miei confronti?
“Scusa…avrei voluto dire
qualcosa…di…diverso…”
continuò lui, dopo aver notato il mio movimento lieve.
“Volevo dire che…sei…bella.”
Arrossii violentemente. Perché aveva detto una cosa del
genere?
“Oh…beh…io…”
farneticai per un po’ di tempo parole senza senso,
finché lui non ribatté: “E’
vero…sei…” “Ho capito.
Ma…” lo interruppi.
Una frase mi attraversò la mente come una lama ghiacciata.
“…ma tu…io…vorrei che tu mi
amassi per ciò che sono, non per ciò che
sembro.” L’imbarazzo svanì dal mio corpo
come una goccia fresca che scivolava veloce su una superficie liscia e
senza asperità, e con esso, anche la trasformazione.
Ridivenni l’umana che ero. Ma anche lo sguardo
dall’umano mutò: divenne triste e spento
d’un tratto. E fu allora che in me scattò il
dubbio: mi amava veramente? “Ma io ti amo per quello che
sei… io mi sono invaghito di te quando eri della mia stessa
razza, ovvero la prima volta che ti ho vista.”
Gli sorrisi, sebbene non gli credessi affatto. E feci bene.
Mesi dopo, quando fummo logorati da perdite affettive e da continui
attacchi da parte degli orchi, Aragorn divenne malinconico, e quando
gli chiesi se potevo far qualcosa per lui, mi chiese di ballare.
Esaudii il suo desiderio, perché mi piaceva vederlo felice.
Mutai come sempre, ma così facendo notai un lampo di gioia
illuminargli il viso con bagliori d’argento lunare,
poiché era ormai notte.
Smisi all’improvviso di danzare, e mi avvicinai a lui,
rimanendo comunque un’ondina. Il sorriso non
svanì, perciò intuii che non era la danza ad
allietare il suo spirito, bensì, il mio aspetto. Si era
innamorato della mia apparenza, nonostante avesse giurato sempre il
contrario.
Mi tornarono in mente le parole di mia madre, ondina come me, dopo che
mio padre l’aveva lasciato, essendo venuto a conoscenza del
fatto che lei fosse incinta. Lei non gli perdonò mai il
fatto di essere fuggito alla prima difficoltà: crescere
insieme una figlia che possedeva metà del sangue di
entrambi. Quando lui la lasciò io avevo solo cinque anni
circa, e sapevo già comprendere significati che per una
bambina della mia età sarebbero potuti risultare complicati:
“Non fidarti mai di nessuno all’infuori di te
stessa. Anche le persone che amerai profondamente potranno tradirti,
come ha fatto tuo padre.
Perciò…stai molto attenta, mio piccolo Len
– Hie (Amore…inventato da me, nella lingua del
Reame Fatato. )Non innamorarti mai profondamente di qualcuno, vivi la
tua vita con distacco e leggerezza, come una delle tue metà
ti comanda. Non seguire mai il mio esempio. Vedrai che sarai felice,
anche senza uomini al tuo fianco.” Aveva ragione. Glanden
morì lasciandomi sola, e io soffrii immensamente,
perché lo avevo amato ed ero stata ricambiata.
Almeno il fatto che non fossi l’unica a provare un affetto
così profondo nei confronti di un estraneo, mi
confortò, anche dopo la sua morte, ma fece crescere anche il
mio dolore, perché sapevo di non essergli stata indifferente.
E ora provavo con la stessa intensità, lo stesso identico
affetto, solo, per una persona per la quale non contavo. Mi infuriai
all’improvviso, avvampando di collera infuocata e
distruttrice come la più potente delle cascate.
“Lo sapevo…” sussurrai, mentre la mia
voce tremava per la fiammata di furore che mi alimentava,
“Tu…sei uguale a tutti gli
altri…solo…un essere disgustoso e
insensibile!” Questa volta urlai. Mi alzai di scatto e lo
fissai negli occhi. Sembrava che in essi fosse scattato qualcosa, che
lo fece tornare colui che era prima, la creatura gentile e sincera che
mi aveva fatto amare di nuovo.
Mi voltai per andarmene, ma sentii la sua presa decisa sulla mia
spalla: “Aspetta…” Mi attirò
verso di sé. Mi divincolai velocemente. Non volevo sentire
le sue scuse, non volevo ascoltare parole dette solo per liberare la
propria coscienza da un enorme peso. Odiavo la falsità.
Allora lo aggredii come un serpente che si voltava contro chi lo
disturbava durante il suo lento ed armonioso strisciare: “Non
ho bisogno né di te, né delle tue
scuse!” Assunse un’aria triste e pentita, che
incrinò la mia durezza come un fragile specchio.
“Oh al diavolo…scusami
Aragorn…io…” mormorai. Ma lui se ne era
già andato, per non tornare mai più da me. Il mio
cuore non resse al dolore troppo intenso, poiché,
oltre alla perdita del re, mi ritornò alla mente quel fatale
giorno.
§ § §
Era autunno. Gli alberi iniziavano a perdere le belle foglie, che a
verde intenso mutavano in un rosso vivo o un giallo oro.
Le fissavo incantata, sotto la chioma vivace di un bel frassino,
accanto all’Elfo che mi aveva infuso nuova speranza. Mi
teneva la mano delicatamente, e il contatto con la sua pelle morbida (e
tenera…) mi faceva stare bene con me stessa e con il mondo
intorno a noi, che quasi non avvertivo più, immersa
com’ero nei miei pensieri.
All’improvviso un Elfo insanguinato, barcollando, ci
raggiunse. Glanden gli andò incontro, e si fece informare su
quanto era successo in elfico.
Assunse un’aria tetra, e sul suo bel viso si formò
una smorfia preoccupata. Estrasse il pugnale che preferiva dalla fodera
e mi si avvicinò. Senza dir nulla mi prese per mano e mi
condusse ad un lago lì vicino, consegnandomi la lama. Aveva
una faccia seria, perciò non la rifiutai.
“Glanden…cosa…?” provai a
chiedere spiegazioni, ma lui mi interruppe: “Ora
va’. Mettiti in salvo scegliendo la via delle acque, tue
sorelle e dei pesci di lago tuoi fratelli. Non indugiare
oltre…” quando gli chiesi il motivo rispose:
“Perché devo difendere la mia gente, la mia terra,
il mio paese. Siamo stati attaccati dagli Uruk, che devono essere
annientati. Ma sono molto forti, e non sarà una battaglia
facile, perché siamo anche numericamente inferiori. Non
temere e segui la corrente senza timore alcuno, perché lei
ti mostrerà la corretta via da intraprendere. Attendimi al
di là del lago per due giorni. Se al tramonto del secondo
non sarò giunto…capirai e partirai in cerca del
tuo destino. Ma sappi che…” pronunciò
la fatidica frase in elfico, mentre le lacrime rigavano copiose le mie
gote. Mi abbracciò per un breve istante, mentre singhiozzavo
sul suo petto come una bambina piccola. Mi sollevò il mento
e mi baciò leggermente sulle labbra, assaporando il sapore
salato della mia disperazione. Mi asciugò una lacrima e si
voltò, incamminandosi verso un destino infausto che non si
meritava affatto. Sembrava si dirigesse verso una spessa coltre di
tenebre, che sembrava squarciare la luce da lui emanata. Camminava
fiero ed eretto, sicuro e deciso era il suo passo, e sempre maggiore la
mia tristezza che mi opprimeva impietosa.
Mi tuffai, traendo la forza di nuotare dalla frustrazione che mi
attanagliava il cuore nella sua morsa crudele.
Giunsi sull’altra riva esausta ma speranzosa, nonostante un
presentimento malevolo fiorisse piano nella mia mente. Attesi quattro
giorni il suo ritorno. Infine, sconfitta, mi arresi e mi incamminai
verso l’ignoto, accarezzando il pugnale che mi aveva donato,
l’ultimo ricordo che mi rimaneva di lui, che aveva squarciato
le tenebre della mia anima con il suo lucente amore.
§ § §
Imprecai e tirai un pugno a terra, cosa che facevo sempre quando ero
arrabbiata con me stessa per qualche grave sbaglio, e che mia madre mi
rimproverava, perché ella sosteneva che fosse un
atteggiamento da uomini rozzi e vili.
E ora cosa avrei fatto per riaverlo? Non ne avevo la minima idea, e,
ora che Mirtale era morta per colpa degli orchi e delle loro malefiche
frecce, non avevo nessun altro a cui confidare le mie pene. O
forse…ma certo!
Lyuen…forse lei mi avrebbe aiutata! Decisi di raggiungere
l’Elfa per cercare consiglio, e la trovai a preparare
unguenti curativi per precauzione, durante il viaggio.
“Ehm… Lyuen? Posso parlarti?” sussurrai
indecisa se rivelarle tutto e perdere la mia unica ragione di vita,
oppure vincere l’orgoglio e confessare come avevo trattato
l’umano e forse, trovare una soluzione. Di certo,
l’orgoglio, non mi avrebbe consolata nei momenti difficili,
come la morte di Mirtale, quando Aragorn mi era stato vicino e mi aveva
aiutata a trasformare la rabbia e la voglia di vendetta in
determinazione. Decisi in fretta.
Intanto l’Elfa aveva abbandonato gli unguenti e mi sorrideva
rassicurante. “Dimmi! Sai che mi piace dare
consigli!” Aveva un viso da bambina, o comunque da ragazza
molto giovane, nonostante fosse una donna adulta, anche se, per gli
Elfi, l’età non contava molto. Il sorriso la
illuminava come un raggio di sole che squarcia le nubi con il suo
bagliore gioioso e caldo, e mi infuse tranquillità e
fiducia. Era incredibile la serenità che riusciva a
trasmettere e la bellezza che le era stata donata.
“Dovrei dirti una cosa…” mi sedetti
accanto alla ragazza che avevo dovuto accudire per molto tempo, ma che
ora dimostrava avere una profonda saggezza, caratteristica della sua
affascinante e misteriosa razza.
“Senti…tu che cosa faresti se ti sentissi in colpa
per aver rimproverato chi era in torto nei tuoi confronti?”.
Fece una faccia confusa, e mi fissò a lungo.
Non appena schiusi le labbra per cercare di spiegarle ciò
che era successo, però, mi interruppe: “Aragorn
è un uomo impulsivo e leale. Probabilmente
capirà, se tu gli farai capire.” Ecco cosa odiavo
degli Elfi.
Davano consigli impossibili da interpretare. Questo mi fece venire in
mente Glanden. Scossi la testa per scacciare il suo viso sorridente ed
enigmatico dalla mia mente. “Potresti spiegarti
meglio?” provai a chiederle.
“Nel senso che devi parlargli assolutamente e fargli capire
il perché tu l’hai trattato in modo
spiacevole.” Altra cosa che odiavo negli Elfi. Sapevano
sempre tutto prima di tutti, anche di te, a volte. Comunque sorrisi
sollevata.
Finché non mi venne in mente che lui molto probabilmente non
voleva più vedermi, figuriamoci sentirmi parlare! E allora
Lyuen mi lesse nuovamente nel pensiero: “Per una volta dovrai
costringerlo ad ascoltarti…”
“Ma come? Mi scaccerà appena mi
vedrà!” esclamai esasperata. “Userai la
forza se sarà necessario.” La fissai stupita. Un
Elfo che consigliava la violenza? “Certo che no! Non dovrai
picchiarlo per farti ascoltare! Lo dovrai solo obbligare
anche contro la sua volontà!” Scoppiò a
ridere. Una risata limpida e argentina. Poi si rifece seria, tutto
d’un tratto. “Vuoi davvero riaverlo
vicino?” risposi senza pensarci due volte:
“Certo!” “E allora cosa aspetti?
Va’ da lui! Immediatamente!” Mi tirò un
buffetto amichevole sulla spalla e mi sorrise. Ricambiai.
“Grazie di tutto. Ora ho di nuovo
un’amica.” Mi alzai in fretta e corsi via a cercare
Aragorn. Ma feci in tempo ad accorgermi della sua espressione serena,
fiera e tranquillizzata, mentre riprendeva il suo lento e impegnativo
lavoro.
Lo trovai all’ombra di un albero, che giocherellava con una
foglia verde smeraldo, facendosela girare intorno alle dita.
Mi avvicinai silenziosa come un felino, ma la natura non fu dalla mia
parte. Infatti calpestai un rametto, che, scricchiolando,
richiamò l’attenzione del ramingo su di me. Mi
fermai e lo fissai direttamente negli occhi, con uno sguardo che doveva
essere deciso, ma che probabilmente assomigliava di più a
quello di un piccolo coniglietto spaventato. ( la mia piccola Lepre!!!)
Scorsi nei suoi profondi occhi cerbiatto, un lampo di tristezza e una
fuggevole lacrima che ricacciò velocemente da dove era
venuta. Stessa cosa che avrei sicuramente dovuto fare
anch’io di lì a poco.
Ma lui non resse il mio sguardo, e abbassò il capo (zitta
Ely…L…), lasciando cadere la foglia. Essa
frusciò e si posò delicatamente e silenziosamente
sul suolo umido e fertile. Sospirai profondamente, poiché il
silenzio che ci circondava era opprimente e premeva sul mio cuore.
Decisi di avvicinarmi ed ebbi un tale coraggio da sedermi addirittura
vicino all’umano, che, come mi ero aspettata,
voltò la testa dall’altra parte, ignorandomi, ma
senza allontanarsi da me.
‘Buon segno…’ pensai fra me e me. La
luce lunare ci illuminò con la sua pallida bellezza,
facendomi notare un improvviso bagliore argenteo sulla sua guancia. Una
lacrima imperlava il suo viso? Piangeva per me? Gemetti. Incuriosito e
preoccupato mi fissò apertamente. ‘Ora!’
pensai. Non credendo alle mie orecchie, mi sorpresi a dire tutto
ciò che mi opprimeva, anche se tutto d’un fiato:
“Scusami, sono stata un’idiota a trattarti
così male, però pensavo che tu mi stessi vicino
solo perché divento un’ondina, e che tu ti fossi
innamorato solo del mio aspetto esteriore, quando sono una creatura
dell’acqua, e allora soffrivo, perché poi mi
veniva in mente Glanden e allora ero ancora più triste, ti
ho trattato male, non volevo parlarti perché ero dalla parte
della ragione, poi mi sono scoperta nel torto e non ho più
resistito e dovevo dirti tutto perché altrimenti ti avrei
perso, e io non voglio lasciarti, perché ti amo
e…” mi fermai d’un tratto, quando mi
accorsi di ciò che avevo detto. Arrossii violentemente e fui
io a chinare il capo.
“Beh…ti…ti…ho
detto…tutto.” Balbettai altre frasi senza senso,
maledicendomi per la mia lingua lunga. Riuscii a dire: “Ora
mi sono liberata, ti ho spiegato tutto, sono più
tranquilla.”
“Hai comunque tutto il diritto di odiarmi perché
sono stata dura e…” avvertii un debole sussurro.
“Puoi ripetere? Sarò sorda, ma non ho proprio
capito…” mi scusai sorridendo debolmente.
“Avevi ragione.” Esclamò
all’improvviso facendomi sussultare per la sorpresa.
Lo guardai incuriosita. “Sì…avevi
ragione…purtroppo. Avrei preferito dirti che era solo una
tua impressione, che ti sbagliavi. Ma non posso. È vero,
provavo qualcosa solo per le tue sembianze. Ma…”
Vide il mio sguardo deluso. Ora erano i miei occhi a riempirsi di
lacrime perlacee. Vide il mio sogno svanire come fumo.
E lo intuì dal mio sguardo malinconico. Per questo
continuò: “…Ho detto provavo,
perché…perché…ora ti amo
per ciò che sei, non per ciò che sembri. Ho usato
le tue stesse parole per farti capire che ti ascoltavo quel giorno,
quando ebbi il coraggio di mentire ad una creatura fragile. Mi sento
colpevole e non sai quanto. Non puoi nemmeno immaginare la mia
frustrazione. Perciò dovresti essere tu ad odiarmi per
ciò che ti o fatto, perché io…ora
più che mai…ti amo.” (YEEEEH!!!JJJ
scusate mi sono fatta prendere dall’entusiasmo…).
Rimasi a guardarlo.
Ad ammirare la luna che gli illuminava il viso segnato dal tempo, ma
che in quel momento era bello e attraente, e sul quale brillavano lampi
di gioia giovanile, quella giovinezza che gli era scivolata addosso
così in fretta, ma che l’aveva fatto diventare un
uomo. Uno splendido uomo. (un vecchiaccio ingobbito, con la
dentiera…)
I capelli corvini (e unti…) gli ricadevano sciolti sulle
spalle, carezzandogli il viso, cullati dalla leggera e dolce brezza
notturna. Mi accorsi solo in quel momento che le tenebre avevano
avvolto la natura con il loro velo drappeggiato di stelle, soffocando
tutti gli aromi dei fiori e i suoni della vita.
Ma a me non importava, perché ora, in quel meraviglioso
momento di solitudine, avvertivo solo il nostro respiro e il battere
incessante (per fortuna…) dei nostri cuori, che ormai
pulsavano all’unisono, accesi entrambi da un sentimento che
li rendeva i padroni della notte, della vita e della morte.
(Non chiedetemi dove cavolo ho preso questa frase senza
senso…).
Scorsi un sorriso sincero sul suo viso. Poi, dopo aver scrutato a lungo
le tenebre, mi guardò.
“Abbiamo litigato perché…ognuno credeva
che l’altro avesse ragione?” disse ad un tratto.
“Beh…io pensavo di aver ragione, e che tu avessi
torto, e tu…pensavi la stessa cosa!” Detta
così sembrava assurda, perciò scoppiammo a
ridere.
“Ascolta…” sussurrò. Si era
fatto serio, e questo mi fece preoccupare.
“…ricordi quando ti dissi che Arwen mi attendeva a
Gran Burrone?”. Feci un breve cenno di assenso col capo,
dubbiosa. “Ho bisogno di te per sapere come farle capire che
tra noi è finita.”
Tirai un sospiro di sollievo, e lui scoppiò nuovamente a
ridere.
“A cosa pensavi?” mi chiese tra le risate.
Scossi la testa fingendomi offesa: “A niente!!!”
riuscì a frenare il riso, e mi rivolse un dolce sorriso,
come quelli che vedevo i primi tempi in cui ci conoscevamo. Mi si
avvicinò, perché ormai nessuna incomprensione ci
divideva, e mi baciò la fronte delicatamente.
“Come farò a informarla, se ora siamo lontani, e
soprattutto quando lei mi ha già ceduto la sua
immortalità?” “E’ un bel
problema. Di certo non puoi più dirle nulla, ora che lei ha
fatto un tale sacrificio per te, no?” “Appunto.
Come faccio? Dopo che suo padre Elrond mi ha chiesto di lasciarla
andare, e lei è rimasta per me? Lui mi odia
perché ho rubato la vita eterna e la giovinezza a sua
figlia, e ora mi presento là e gli dico che lei
può riprendersi la collana che simboleggia il suo dono e che
amo un’altra donna?”. Alzò la voce, come
se fosse stato irritato. Mi concentrai. Era vero, Arwen aveva dato
tutto per Aragorn, per averlo vicino, affrontando l’ira di
suo padre, e all’improvviso io mi mettevo in mezzo e rovinavo
il suo amore? Del resto però, non si poteva obbligare una
persona ad amare chi non voleva. Come risolvere il problema che ci
bloccava la via per la felicità assoluta? Mi venne in mente
un’idea, che però poteva fallire. Il tutto stava
nel fidarsi di quella razza affascinante che erano gli Elfi. "Chiediamo
consiglio a Legolas e a Lyuen!” esclamai ad un tratto
facendolo sobbalzare. Sorrisi. Lui ricambiò, ma nuovamente
un’ombra di preoccupazione ricoprì il suo bel viso
maturo: “Ma loro sapranno cosa fare?”.
“Non potremo saperlo finché non glielo
chiederemo.” Risposi io.
“Però…” continuai, dopo
essermi accorta che Aragorn si stava muovendo per alzarsi,
“…però li consulteremo domani. Ora
è tardi e dormiranno.” “Ma gli Elfi non
ne hanno bisogno!” “Oh…comunque diremo
loro tutto solo domani. Hanno bisogno di tempo per stare
insieme!” ( ^=_=^ non fraintendetemi…).
“Anche noi, allora.” Mormorò lui,
accostando il suo viso al mio. Prima di baciarmi, però, mi
prese le mani tra le sue: “Per evitare
schiaffi…” si giustificò. Io scoppiai a
ridere, e l’umano posò le sue
labbra sulle mie mentre il sorriso non vi era ancora scomparso.
"Vuoi rimanere qui a gelare di freddo per tutta la notte?”
chiesi ad un tratto, mentre guardavamo entrambi la Luna che
occhieggiava tra i rami, affascinati dall’atmosfera e dalle
emozioni che trasmetteva. Per tutta risposta mi strinse a
sé, avvolgendomi con il mantello e facendomi arrossire.
Stranamente non mi trasformai.
Forse la brutta esperienza che avevamo avuto, mi trattenne, anche se
solitamente non erano sotto controllo. Giocherellai per un
po’ con la spilla a forma di foglia di Lothlorièn,
poi mi accorsi che, seppur essendo piacevole, stare vicino a lui non mi
riscaldava affatto, perciò dissi:
“Ehm…io continuo a
ghiacciare…”. Mi fissò senza
espressione. Poi, senza avviso alcuno, mi sollevò il viso
con una mano, prendendomi il mento con tocchi leggeri che non avvertii
quasi, e mi fece incrociare lo sguardo con il suo.
Poi non capii più nulla dei successivi cinque minuti circa.
Avevo visto il suo capo chino sul mio, avevo avvertito il contatto
delle nostre labbra, ma poi i miei pensieri fluttuarono via leggeri,
portandomi altrove, su un Paradiso immaginario e splendente.
Rimanemmo per un po’ abbracciati, finché il gelo
non mi avvolse nuovamente nelle sue spire taglienti, facendomi
rabbrividire.
“Stai congelando!” esclamò
all’improvviso Aragorn, afferrandomi una mano, ormai
mortalmente fredda. (Buongiorno!!!). Annuii lentamente. Senza preavviso
alcuno si alzò, mi aiutò a levarmi in piedi, poi
mi sollevò senza sforzo, e, portandomi in braccio, si
diresse verso la zona a lui riservata, ove aveva depositato tutte le
sue coperte e cose. Mi appoggiò, mentre
l’imbarazzo mi inglobò nella sua coltre infuocata
di tepore, riscaldandomi
interamente.
Mi porse gentilmente una coperta, ne prese una per
sé, poi, prendendomi per mano, dopo avermela sfiorata per
alcuni secondi, mi condusse in una radura poco distante, circondata da
alberi fitti.
“Perché hai voluto che venissimo qui?”
chiesi sorpresa e meravigliata dalla bellezza del prato che si stendeva
ai miei piedi. Era di un bel verde smeraldo, ricoperto da un leggero
velo di rugiada argentea, che veniva risaltata dai flebili raggi di
luna, che fino ad allora avevano guidato i nostri passi.
“Te l’ho detto prima, per stare un po’
insieme…” stese le coperte sull’erba
umida e morbida, ci si sedette sopra e tese una mano verso di me, come
un cortese invito, che io accettai senza esitazione.
Mi sedetti accanto a lui, senza arrossire o trasformarmi, neppure
quando, con delicatezza, mi fece sdraiare, coricandosi accanto a me.
Mi prese ancora la mano, lentamente, quasi avesse paura che io la
ritirassi, anche se sapeva che non lo avrei mai fatto.
Se la portò sul petto, stringendola (
fratturandola…)comunque fra le sue, e io avvertii i battiti
del suo cuore accelerare, come se fosse stato il contatto con la mia
pelle a metterlo in imbarazzo.
Poi voltò il capo verso di me, mentre nel suo sguardo si
accendeva una luce calda e romantica, nella quale, come al solito, mi
persi.
Però avvertii il suo bacio, e la sua carezza sul mio viso,
che scese al collo, sfiorandomi appena le labbra e solleticando
piacevolmente la mia pelle abbronzata. Allora avvampai. Le mie gote
diventarono di un bel rosso vivo e iniziarono a scottare, tanto che
Aragorn fece scivolare la mano dal mio mento alla fronte, avendo paura
che fossi malata. Risi, e lui mi guardò per metà
pentito e per metà corrucciato.
“Scusa…però pensavo avessi la febbre,
sei talmente calda…stai bene?” Riuscii a
trattenere il riso e gli sorrisi divertita: “Sì
è tutto a posto, è solo che… quando
sono imbarazzata…divampo…”.
Capì immediatamente ciò che intendevo dire, e si
sdraiò nuovamente, visto che, precedentemente, si
era chinato, da inginocchiato, su di me. (^=_=^ e vedersi un
bell’uomo vicino…). “Perdonami ancora,
allora. Non era mia intenzione metterti a
disagio…” mormorò dopo alcuni secondi.
“Ho detto che ero in imbarazzo, non a
disagio…” mi fissò stupito, poi mi
baciò nuovamente, questa volta anche il collo, e riuscii
miracolosamente e con l’aiuto dei Valaar, a ridurre le fiamme
che mi ardevano dentro, ad un semplice colorito rossastro sulle guance.
La mattina arrivò in fretta, e il sorgere del sole mi
svegliò quasi immediatamente, con la sua luce calda e
forte.
Mi mossi leggermente, e mi avvidi che, per dormire, avevo posato la
testa e la mano sinistra sul petto dell’umano, senza forse
rendermene conto. La destra era sotto di me, e mi doleva per il peso
che vi avevo esercitato per tutta la notte.
Scostai le coperte e mi alzai, il più silenziosamente
possibile. Nonostante tutto lui si svegliò, essendo un
ramingo dall’udito acuto, mi afferrò i pantaloni e
non mi lasciò finché non mi risdraiai dandogli la
schiena.
Mi era piaciuto dormire con qualcuno, dopo la solitudine che avevo
affrontato negli anni precedenti, non sentirmi più sola
durante il lungo viaggio che compivamo. Mi abbracciò,
stringendomi delicatamente (Strangolandomi…) a
sé, e avvertii l’aroma (puzzone!!!) di terra umida
che lo caratterizzava e che mi ricordava tanto il passato, anche se
egli rappresentava il mio futuro.
Mi avvolse uno strano torpore, che mi rilassò sia la mente,
sia i muscoli, facendomi lentamente e leggermente, stendere le gambe,
che fino ad allora erano raggruppate vicino al petto.
Così facendo, però, sfiorai le sue braccia, che
mi cingevano all’altezza del costato, e arrossii. Il ramingo
si ritrasse e io ne approfittai per divincolarmi e uscire dalle
coperte, perché stavo sudando copiosamente,
dall’imbarazzo e dal vero e proprio caldo. Mi rimisi la
casacca, che avevo tolto per riposare, sopra la camicia, mi sistemai i
pantaloni, ormai sformati, infilai gli stivali e feci per
dirigermi al campo comune. Però mi fermai a metà
strada e tornai indietro.
“Hai dimenticato qualcosa?” chiese lui incuriosito.
Per tutta risposta mi chinai sull’umano e gli posai un bacio
sulla fronte. Lui però mi fermò e mi
baciò teneramente le labbra, senza farmi stranamente
avvampare.
“Ora posso andare.” Sussurrai, quando il contatto
terminò dolcemente.
Mi voltai e mi diressi a grandi passi verso le tende. Lyuen mi corse
incontro: “Com’è andata?”
domandò concitata e maliziosa. La fissai stupita, poi
assunsi un’aria ingenua nonostante avessi capito
ciò che intendeva: “Com’è
andata cosa?” “Non fare la finta tonta! Sai a cosa
mi riferisco!”. Visto che io non accennavo a risponderle, si
guardò intorno con circospezione accertandosi che non ci
fosse nessuno, mi afferrò per un braccio e mi condusse verso
la tenda che condividevamo, e che, nonostante tutto, era rimasta vuota
dopo la morte di Mirtale, che ci mancava immensamente.
“Allora?” mi chiese, dopo essere entrate. Sbuffai.
“Come hai fatto a…” mi interruppe:
“Mi sono svegliata all’improvviso, e tu non
c’eri. Anche Legolas si è accorto
dell’assenza di Aragorn, e si è preoccupato. Ma
quando gli ho riferito che mancavi anche tu, si è
tranquillizzato e ha fatto anche un mezzo sorriso. Poi è
tornato nella tenda senza dirmi nulla. Ma anch’io avevo
capito cos’era accaduto, perciò ho dormito
rilassata. Non si nasconde facilmente un movimento, seppur furtivo, con
il braccio, quando nelle vicinanze c’è un Elfo!
Eravamo anche in due! Ma ora voglio sapere tutti i
dettagli!!!”. Il tono della sua voce diventò acuto
ed emozionato, il suo viso si aprì in un largo sorriso e i
suoi occhi balenarono illuminati da rapidi lampi di
curiosità. Voltai di scatto la testa dall’altra
parte, nascondendo un sorriso. “Non ti confidi più
con la tua migliore amica?” chiese lei. “Per tua
informazione, la mia migliore amica era Mirtale…tu sei solo
una piccola curiosa!”. Non volevo offenderla,
(chissà che offesa…L) e nemmeno ricordare la
ninfa. Il viso dell’Elfa si rabbuiò
all’istante, insieme al mio. “Scusa…non
volevo…comunque…siamo rimasti a parlare sotto
l’albero, mi sono scusata e…”.Mi
interruppe: “Scherzetto!” esclamò
all’improvviso, tornando di nuovo a brillare come un gioioso
raggio di sole, “Ci caschi sempre! Racconta!”.
Scossi la testa, poi le narrai tutto, anche se lei mi interrompeva
spesso per sapere i dettagli, accusandomi di non dire tutta la
verità, e che non era facile imbrogliare una silfide, che di
inganni si intendeva. Non capii cosa volesse dire, ma esaudii la sua
richiesta, e, infine, quando terminai, mi ritrovai il suo viso a pochi
centimetri dal mio, aperto in un largo sorriso, mentre il suo corpo
perfetto era esteso in tutta la sua affusolata lunghezza. Sobbalzai
indietreggiando. Lei scoppiò a ridere con la sua risata
cristallina e squillante e si ritrasse.(okay, che l’elfa si
è fumata il cervello è chiaro a tutti, ormai,
no?)Si alzò per preparare i bagagli, visto che il viaggio
era ancora molto lungo, e molte terre dovevano ancora percorrere i
nostri piedi, prima di giungere a Mordor, ove l’Oscuro Sire
stava attendendo il suo Anello, l’unico in grado di comandare
gli altri. Ma il nostro scopo, o almeno quello del Portatore
dell’Anello, di cui non avevo ancora parlato anche se era il
solo protagonista di questa storia, era quello di distruggere il
prezioso e maledetto monile, per impedire
all’Oscurità di estendersi su tutta la Terra di
Mezzo, e assumere il controllo delle razze in essa viventi, per scopi
malvagi.
Il Portatore era un misero Mezzuomo della Contea, che viaggiava
accompagnato da altri tre Hobbit: il suo giardiniere, suo servo fedele
che lo seguiva in ogni luogo, e due suoi parenti alla lontana. Essi
avevano incontrato Grampasso, ovvero Aragorn, a un’osteria, e
da lì lui, destinato a diventare il più grande re
della Terra di Mezzo, li aveva guidati e protetti, dopo aver giurato
eterna fedeltà a Frodo, il Portatore.
“Krayel! Ehi! Vuoi stare lì imbambolata ancora un
po’?” mi voltai. Di nuovo. Sempre lei.
“Ciao Lyuen…” mormorai scocciata. Stavo
così bene. Senza pensieri che mi vagassero per la testa.
Immersa solo in un tranquillo laghetto di emozioni…senza
provare dolore. Per una volta sola, dopo tanti e tanti anni.
“Allora?! Come va?” “Tutto
bene…almeno finché ero sola.”
“Ah sì?! E perché sei rimasta tanto con
Frodo, se volevi stare sola?” “Ma cosa sei? La mia
spia privata?”
“Esatto! E poi non è vero che ti sto sempre
attaccata, è solo che tu scompari sempre e mi fai
preoccupare!” “E da quando ti preoccupi per me,
povera piccola elfa incompresa?!” “Sei cattiva,
ecco! Se io fossi Mirtale non mi tratteresti così, feccia
insensibile!” rimasi basita. Solo gli umani mi chiamavano
‘ feccia’, a causa della mia razza.
Ma…ma loro non avevano mai rivangato nel mio passato con
durezza tale.
Una lacrima improvvisa mi scivolò lungo la guancia. Ero
furente. E volevo dirglielo, ma non avevo più voce per
manifestare la mia ira, perché ero bloccata. Davanti a me si
erano formate le immagini del mio passato, quelle che avevo cercato di
celare con cura e di cancellare al tempo stesso nella mia mente. Mi
morsi il labbro. Eppure Lyuen sapeva che in quel periodo ero MOLTO
sensibile. Dovevo avere lo sguardo stravolto, perché vidi
l’elfa che cercava una soluzione per riscuotermi.
“Che cosa ti succede?”.
Poi capì. E si pentì in fretta. Ma era troppo
tardi.
“Per i Valaar! Non dirmi che è perché
ti ho detto ‘feccia’! dimmi che non è
per un motivo così stupido!” esclamò
all’improvviso. Mormorai: “E’ per
quello…perché ti stupisci? Essendo una
‘feccia’ sono matta, no!?” “Oh
no, no! Non volevo offenderti! Era solo per…”
“Per sfottermi? Ci sei riuscita alla perfezione!
Complimenti!” urlai all’improvviso. La sensazione
di pace e serenità di poco prima svanì come fumo,
e fu sostituita da un furore immenso. “Ma…per una
ragione del genere…andiamo, è una cosa senza
importanza!” gridò di rimando lei. Ma non poteva
capire.
§ § §
No…non poteva capire il disgusto che leggevo sui visi degli
uomini, quando mi guardavano. Facevano battute volgari, mi insultavano.
A volte mi picchiavano.
I ricordi mi investirono con violenza assurda. Ma lui mi era accanto.
Sempre e comunque. E mi aveva promesso di esserci sempre. Ma mi aveva
mentito. Perché te ne eri andato? Perché mi avevi
lasciata sola? Mi aveva lasciata per difendere i suoi cari, e per
difendere ME. Perché ero tanto arrabbiata con lui? Dovevo
prendermela con gli orchi che lo avevano ucciso, non con lui. Era una
cosa ingiusta, ma non potevo fare a meno di essere in collera con lui
per avermi abbandonata al mio destino.
Però così facendo mi aveva salvata da morte
sicura. La morte del mio corpo.
Allo stesso tempo però aveva fatto morire il mio
spirito… e uno spirito senza corpo non può vivere
in pace. O almeno, io non ci riuscivo.
Ricordavo… fiamme…
morte…grida…risate…e il nulla. Il
silenzio mi aveva avvolta con la sua coltre ingannevole, quasi a dire:
“va tutto bene…tu non senti, ma non succede
niente…”. Odiavo il silenzio come gli orchi,
perché era stato loro alleato nel portarmelo via. Tutti
quegli Elfi massacrati… io potevo vedere cosa avveniva da
lontano, ma non potei mai recarmi sul campo di battaglia per accertarmi
di sbagliare. Perché non lo feci? Per paura? Allora odio
anche la paura!!! Perché anch’essa ti ha portato
via da me!!! Torna…
§ § §
“TORNA!!!” lo gridai, facendo sobbalzare
Lyuen.
Mi accorsi solo allora di piangere a dirotto. Le lacrime calde
irrigavano la terra come il sangue in quel maledetto
giorno…sangue, sangue e ancora…sangue, lacrime e
dolore.
Lasciai cadere le braccia a terra, mentre chinavo il capo, e le gemme
provenienti dai miei occhi si moltiplicavano.
Mi affogavano…in un lago di
paura…sofferenza…solitudine.
Ero ancora sola. Sempre più sola. Non mi ero mai sentita
così male in tutta la mia vita, tranne forse dopo il
massacro. Avrei voluto vedere almeno il suo viso insanguinato prima di
partire. Avrei voluto vedere il suo sguardo fiero, mentre lo stringevo
a me e cercavo di curarlo…
Avrei voluto. Ma non avevo potuto. Perché?
“PERCHE’?! Sei scivolato via da me senza
salutarmi…”
Lyuen sobbalzò nuovamente. Poi mi abbracciò. Il
motivo non lo capii. Ma la stretta fra le sue braccia mi
riscaldò il cuore, almeno per un minuto. E tutto
tornò bello e luminoso come era un tempo, quando ero con lui.
Ma quando mi lasciò caddi nuovamente nell’ombra,
che mi avvolse senza pietà, senza darmi il tempo per
fuggire… intrappolandomi in oscure spire di
morte… ma almeno ti avrei raggiunto. Morendo
anch’io sarei lì con te. Due anime libere che si
rincorrono per i prati e il bosco…tutto tornerebbe come
prima… se solo tu fossi qui… con me.
(Mi sono accorta che assomiglio veramente ad Anna dai capelli
rossi…col colore di chioma ci siamo…)
“Ehi! Riprenditi! Non puoi rimanere tutto il giorno
lì accucciata a piangere sul tuo passato, perché
ormai è stato, e non si può cambiare. Lo sai
anche tu…”
la fissai. Com’era possibile che una ragazzina riuscisse a
capire come diavolo mi sentivo? E fosse saggia quasi quanto Mirtale?
Sorrisi: “Grazie… sei cresciuta, Lyuen. Io invece
sono rimasta una bambina…”
“No… tu sei come una sorella maggiore…
sei umana, perciò hai il diritto di essere debole, a
volte…”
“non c’è altro metodo che dirglielo
apertamente... io non saprei proprio che altro fare...”
Legolas abbassò il capo, cercando una nuova soluzione,
invano probabilmente.
Mi sentivo così colpevole per ciò che stavo
causando... avrei preferito di lunga non incontrarlo mai per lasciarlo
ad Arwen... anche se averlo accanto mi aveva risollevato dal mio
abisso, questo riuscivo ad ammetterlo ancora a me stessa...
“Forse ci sarebbe un modo...” in tre guardammo
Lyuen come l’unica ancora di salvezza. Lei
sussultò a vedere i nostri occhi sgranati.
“Beh, potremmo trovarle qualcun altro... però solo
quando tutto questo sarà finito per sempre, ovvio. Nulla
è più importante della salvezza della nostra
Terra, almeno, non per me... no, Legolas, non guardarmi
così, certo che ti amo... è per questo che tengo
alla mia patria... perchè è qui che voglio vivere
per sempre al tuo fianco...e in pace.”
L’Elfo sorrise, perchè poteva aggrapparsi ad una
piccola certezza in quel futuro che certezze non forniva...
“Credi di poterlo fare Aragorn?” l’umano
si riscosse dal pozzo oscuro nel quale il dubbio lo aveva fatto
precipitare.
“Immagino... di sì.” Non potevo
assistere a tutto ciò. Perciò balzai in piedi,
attirando l’attenzione, e dissi: “nessuno
più di me ha la colpa della tristezza e della futura
disillusione di Arwen... glielo dirò io... perchè
mi sento responsabile di tutto e perchè so cosa significa
perdere la persona che hai di più cara al mondo.”
Forse era stata una proposta avventata, come mi fece notare Aragorn
praticamente subito dopo, ma sapevo che quel peso sarebbe toccato a me
e non volevo che fossero altri a prendersi la
responsabilità...
Quando mi risedetti, il futuro sovrano di Gondor mi sussurrò
nell’orecchio un debole ringraziamento, che però
fece scaturire in me una profonda gioia.
Gli Elfi si alzarono e abbandonarono il focolare accanto al quale ci
eravamo riuniti, per dare una mano agli Hobbit e al nano a preparare i
bagagli.
Si allonantarono mano nella mano, ma notai che si separarono
immediatamente non appena fece la sua comparsa Gimli: ovviamente non
avevano voglia di continuare la giornata con un sottofondo di brontolii
vari...
“Ma sei proprio sicura di ciò che vuoi
fare?” mi chiese tutto d’un tratto Aragorn,
facendomi distogliere lo sguardo dai due compagni di viaggio.
“Lo sento come se fosse un mio dovere... e non mi dispiace
farlo. Io non voglio guadagnarmi la felicità al tuo fianco
causando sofferenza in altri.” Lui sorrise e mi
abbracciò, stringendomi al petto e quasi soffocandomi:
“Affronteremo insieme questa prova.”
Mormorò poi, baciandomi i capelli.
Non volevo sembrare uan scansafatiche, perciò, dopo alcuni
istanti, mi divincolai e mi alzai in fretta, spolverandomi i pantaloni
per cercare di far andare via i fili d’erba che li decoravano.
Quando finalmente ci riuscii e alzai lo sguardo su colui che mi aveva
ridonato la felicità, vidi un’espressione delusa
sul suo volto.
“Pensavo volessi... rimanere insieme, almeno stamattina,
ultimo giorno in cui ne avremo la possibilità, dato che
Gimli sembra un’anima in pena che cerca in ogni momento di
disturbare.” Sorrise leggermente, senza però che
il suo sorriso si estendesse agli occhi, che rimasero tristi.
“Volevo dare una mano... ma...” cercai di trovare
una promessa alla quale avrei potuto facilmente tener fede. Infine la
trovai. “...Ma stasera, al crepuscolo, mi troverai nella
radura. Almeno se vorrai.” Conclusi con un sorriso veloce,
poi mi voltai e raggiunsi Lyuen, beccandomi una sgridata da Girmi
(ops... scusate, ma c’ho fatto l’abitudine...), che
accolsi con una sonora risata. Questo mio scoppio di
ilarità, però, lo fece infuriare maggiormente, e
il nano se ne andò brontolando come suo solito
dell’impudenza di certa gente.
Lanciai uno sguardo complice alla mia compagna di viaggio, che
ricambiò. Infine, insieme, ci mettemmo a cancellare ogni
traccia della nostra presenza e raccogliemmo tutti i bagagli che gli
altri, impazienti di affilare le lame e/o preparare le scorte, si erano
dimenticati.
Questo scatenò in noi un profondo disappunto,
perchè ormai non ci consideravamo più schiave
nè prigioniere della compagnia, ma membri stessi di questa,
tuttavia non ci lamentammo e rispondemmo con sorrisi gioviali a
chiunque si avvicinasse.
Tra questi, vi fu anche Frodo, che ci passò vicino mentre ci
accingevamo a legare il tutto con alcune fronde flessibili per essere
più trasportabile. Mi lanciò
un’occhiata in tralice e molto fugace. Poi avvampò
violentemente e accelerò il passo.
Non seppi spiegarmi il perchè, ma anch’io arrossii
e abbassai lo sguardo davanti al suo.
Lyuen mi fissò per un attimo, poi le comparve un sorriso
malizioso sulle labbra, ma non pronunciò parola per tutto il
resto del giorno. Allora iniziai a contare gli attimi che mi separavano
dal crepuscolo, e, man mano che il cielo diventava roseo e lentamente
rossastro, i battiti dle mio cuore acceleravano percettibilmente, tanto
che pensai mi sarebbe scoppiato.
Finalmente il tramonto giunse. Lento, ma inesorabile. Finalmente!!!
Salutai brevemente Lyuen, nascondendo l’emozione che mi si
agitava in fondo al cuore.
Raggiunsi di corsa la radura, perchè l’impazienza
mi consumava.
Non era ancora arrivato. Molto bene. Potevo fargli ancora la sorpresa
che avevo preparato nel pomeriggio...
Ogni istante che potevo passare in sua compagnia mi donava una gioia
infinita, incontenibile... non riuscivo neppure a descriverla tale era
la sua intensità...
Agitai brevemente le mani e, lentamente venni circondata da miriadi di
gocce, tutte con le sfumature d’arcobaleno. Concentrai le mie
emozioni. Infine, dopo un profondo sospiro, completai la mutazione.
Ottenni ciò che speravo: una luce intensa, e
un’illusione. Dietro di me, la cascata, prorompente,
distruttrice. Davanti, ai miei piedi, un placido ruscelletto che poi si
alzava ad arco, fino a circondarmi interamente.
I capelli biondi ondeggiavano, mentre schizzi di spuma vi si
impigliavano.
Fu l’unica volta in cui fui felice di poter covare in me due
razze completamente differenti l’una dall’altra, in
cui non mi disperai per il mio sangue...
Poi, arrivò. A passo sostenuto, ma con flemma. Contro il
rosso – violaceo del cielo, la sua figura era più
maestosa del solito, e brillava di una bellezza austera... almeno
finchè non mi vide. Il suo viso diventò quasi
comico. Spalancò la bocca e sgranò gli occhi, e
poco mancò che non scoppiassi a ridere. Mi limitai a un
sorriso imbarazzato, avvicinandomi a pochi centimetri dal suolo.
Quando fui a pochi passi da lui, piroettai intorno al suo corpo, mentre
cercava di seguirmi con lo sguardo.
All’improvviso, si mosse. Troppo rapido per essere visto, mi
afferrò il braccio e mi fermò.
Infine mi strinse a sè, posando le sue labbra sulle mie. Io
però, mi sottrassi. Volevo giocare, e non avevo intenzione
di cedere così facilmente. Infatti mi allontanai
velocemente, arrivando ai limiti della radura e appoggiandomi a un
tronco. Gli feci un cenno con la mano. Stupito, mi raggiunse.
Sorrisi. Ma con malizia. Fu allora, probabilmente, che capì
quali erano le mie intenzioni. Perciò, finimmo per
rincorrerci lungo i confini del prato (ma il sorriso che mi fai... sta
azzerando tutti i dubbi miei... ecco qua quello che
c’è... sai con me... Sto. Con. Te...). rallentai.
Ero stanca di giocare. Fu allora che mi prees per il polso, si
buttò a terra e mi tirò a sè.
Non opposi resistenza. Il mio corpo non rispondeva ai miei comandi.
Mi baciò. A lungo. Intensamente. Fu veramente bello, forse
la cosa più bella che avevamo fatto insieme. O almeno
così credevo.
Era piacevole rimanere sdraiata sul suo corpo, con le sue braccia lungo
i fianchi, e le sue labbra sulle mie. Almeno finchè non
giunsero al collo, e poi alla spalla... tornando infine, percorrendo il
sentiero al contrario, alla bocca.
Mi abbandonai a quell’istante, gustandolo in tutta la sua
pienezza. Non avvertii nemmeno il bruciore sulle guance. Non mi
vergognai di nulla, per una volta in tutta la mia vita.
Infine, mi spostai, rimanendo sull’erba fresca, con la mano
intrecciata alla sua, guardando la vastità del cielo e
pensando che, forse, Glanden era una di quelle stelle che brillavano
sopra di noi... questo pensiero mi fece rabbrividire. Stavo sbagliando
tutto. Infangavo la sua memoria. Lo stavo tradendo!!
Mi scostai velocemente, mettendomi a sedere.
Aragorn mi imitò e mi cinse le spalle con un braccio, non
capendo ciò che mi turbava.
Per questo glielo spiegai, dopo essermi tolta di dosso il braccio, il
cui contatto mi terrorizzava, mentre poco prima mi faceva stare tanto
bene. “Quelle stelle, Aragorn. No, non posso. Non posso
rimanere accanto a te, quando lui si è sacrificato per...
perchè io... avessi...” mi interruppi. I
singhiozzi mi chiudevano la gola. Ricacciai indietro le lacrime.
Evidentemente Lyuen si era preoccupata di spiegargli tutto. Altrimenti
non avrebbe detto: “Se tu non vuoi... il contatto, il mio
amore, non è un problema. Posso capire come una persona
possa segnare profondamente il tuo spirito. Non ti devi preoccupare.
Scusa pensavo avessi deciso di guardare al futuro, senza essere
oppressa dal passato, ma... ovviamente mi sbagliavo. Bene,”
si alzò, dopo avermi guardata a lungo negli occhi,
“...Se è questo che vuoi... io non ti
obbligherò a fare nulla. Dimentica tutto ciò che
vuoi. D’ora in poi...” non terminò la
frase, si voltò e fece qualche passo.
Se ne sarebbe andato, per non tornare più indietro.
E avrei perso anche lui, oltre al mio Elfo. E cosa avrei guadagnato?
Dolore. Pentimento.
Per questo decisi di seguire il consiglio di Mirtale.
“Dimentica il passato... vivi il presente, cerca di costruire
e di cambiare il futuro” (più o meno è
così...)
“Aragorn. Aspetta.” Pensai di doverlo fermare,
invece tornò sui suoi passi e si sedette nuovamente al mio
fianco, aspettando.
“ Ascoltami.” Era inutile dirglielo. Sapevo che
avrebbe ascoltato tutto quello che volevo dirgli, qualsiasi cosa.
Presi fiato. Avevo bisogno di molto coraggio.
“Non voglio perderti. So che i morti non possono tornare
indietro. So che non tornerà. E so anche che ti amo... e
che... non voglio... io... non voglio commettere di nuovo lo stesso
errore. Non voglio essere sola. Non di nuovo. Perciò, se tu
vorrai, io sarò sempre al tuo fianco, qualsiasi cosa
succederà. Te lo prometto” quindi, presi una sua
mano e me la misi sul petto, dal lato del cuore. Era un gesto
simbolico, e, come speravo, lui lo capì.
Il suo viso si aprì in un sorriso dolce e malinconico.
Pronunciò solo una parola: un sì talmente
impercettibile, da essere appena udibile.
Poi, in silenzio, lasciando che la natura e la bellezza di quel luogo
suggellassero la nostra promessa, mi baciò.
Nessun rumore ne seguì.
Solo il battito dei nostri cuori uniti nell’eterno.