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Autore: Hoyden    03/06/2007    2 recensioni
cosa un pò melensa... se volete ficcarvi due dita in gola e vomitare ve lo concedo...l'avevo scritta per una mia amica quindi ci sono commenti per lei... scusate...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Aragorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo vedevo, era in fondo alla strada, vicino al margine della foresta. Incrociai il suo tenero sguardo, e lui mi rivolse un dolce sorriso. Accidenti, perché mi faceva sentire così strana? Perché avevo paura di stare da sola con lui? Perché quell'umano mi affascinava tanto? "Forse il fatto che ti sia concesso stare con lui, ti emoziona in modo particolare, facendo nascere in te un desiderio talmente forte che ti sconvolge, travolgendo tutti i tuoi sensi e sentimenti" quando Mirtale me lo disse la presi per pazza. Ma ora iniziavo a pensare che lei avesse ragione. All'inizio mi dicevo: "è solo una cosa passeggera, vedrai che passerà..." ma erano cinque mesi che provavo sempre con la stessa intensità codesta emozione. Nei primi tempi ricordavo che non riuscivo neppure a incrociare il suo sguardo senza arrossire... E mi chiedevo perché una creatura libera e dal cuore leggero provasse certe sensazioni...così profonde, così...belle. Dopo Glanden non avevo mai sentito nulla del genere, qualcosa di così forte che mi legasse eternamente a un persona. "Per di più", mi rimproveravo, "lui è anche il tuo 'padrone'" (TESSSORO...).
Perché  stava succedendo proprio a me? Forse perché ero confusa, disperata...(bisogna essere proprio disperati per amare Aragorn...Senza offesa per Arwen e per Eowyn. Informo tutti ufficialmente che ho cambiato idea e che ora gli sbavo dietro da un anno, circa…) e distrutta. In fondo la morte del mio Elfo mi aveva abbattuto. Lo amavo tanto. Troppo, forse. Ma sapevo di per certo che non sbagliavo a tenere così tanto a lui. Era l'unico che mi comprendesse, che capisse il mio disagio nell'essere una creatura a metà, senza essere né un'umana né un'ondina. Ricordavo come stavo male quando un uomo mi squadrava, poi, notando il colore dei miei occhi, sputava per terra, ai miei piedi.
E Lui era lì, vicino a me, e bastava una sua occhiata per far pentire quell'umano di ciò che mi aveva fatto. E se quello non si scusava immediatamente con me, il mio Elfo gli si avvicinava e gli diceva di lasciarmi in pace, perché, da inutile essere umano qual era, non poteva criticarmi e nemmeno guardarmi, e che meritava solo disprezzo.
A volte il tutto degenerava in una rissa, ma molto raramente, perché gli Elfi odiano la violenza, e anche quando parlava in mia difesa, lo faceva con un tono calmo, che incuteva maggiore terrore di una minaccia ad alta voce.
E ora quegli esseri senza scrupoli me lo avevano tolto (...rubato...sporchi piccoli Hobbit!) senza che io avessi potuto fare qualcosa per evitarlo e per salvarlo.
Mi sentivo colpevole della sua morte, e sola, molto sola. Finché non incontrai Mirtale, ninfa con la quale feci subito amicizia, perché con la sua spensieratezza mi faceva sentire felice. Poi a noi si aggiunse anche Lyuen, e con lei arrivarono i guai.
Infatti io e Mirtale ci guadagnavamo da vivere rubando e tutti i colpi venivano sempre portati a termine con successo. Diventammo ladre professioniste e famose, nessuno conosceva la nostra vera identità, perché ci mascheravamo con foglie e coprivamo il viso con panni mimetizzati. Finché, un giorno, mentre fuggivamo dopo aver compiuto un meraviglioso furto, incappammo nell'elfa. Lei ci fermò sospettosa e i nostri inseguitori ci raggiunsero. Per fortuna eravamo armate, perciò riuscimmo a difenderci in qualche modo e a fuggire. Purtroppo Lyuen venne scambiata come nostra complice e noi la dovemmo salvare, portandocela dietro. E' molto più giovane di entrambe, e molto più ingenua. Ci ha fatte scoprire moltissime volte, e i nostri piani sono diventati più complessi. Non potevamo lasciarla sola, perché si sarebbe fatta scoprire, di questo eravamo certe.
Pian piano però, divenne molto brava, e assunse lei il controllo dei furti, al posto di Mirtale, che ormai non aveva più idee, dopo anni di colpi portati a buon fine. Fu Lyuen a inventare il piano Perfetto, come lo chiamava lei.
Dopo essersi informata sulla nostra vera natura, inventò un modo per esaltare le nostre doti. Le ondine erano bravissime a ballare, e io, avendo un po’ del loro sangue dentro me, divenni una discreta ballerina. Lei, rivelatasi anche metà silfide, si rendeva invisibile e cantava, poiché dotata della voce incantevole degli Elfi. La ninfa invece, essendo abituata a correre veloce tra alberi e cespugli, rubava, sfiorando appena le vittime.
Quando incappavamo nei viaggiatori, attuavamo il nuovo piano, che andava sempre a segno, poiché i viandanti venivano sempre incantati dal canto e dalla mia danza, nonostante non lo credessi possibile, essendo una ballerina non molto brava.
Però avevo sempre amato ballare, soprattutto per il mio Elfo, che mi incoraggiava tanto e la sua fiducia mi faceva migliorare di giorno in giorno, rendendomi felicissima.
Mi mancava tanto, non potevo negarlo, e neppure dimenticarlo. Tutte le notti, appena chiudevo le palpebre, su di esse si proiettava il suo gentile e perfetto viso sorridente, che mi costringeva a spalancare di colpo gli occhi, per evitare di annegare in quelle cupe onde di dolore che mi sommergevano dei suoi ricordi, dei suoi sorrisi enigmatici e delle sue parole dolci, che mi cullavano come un dolce ruscelletto. Continuavo a fare paragoni con le acque, e credevo che fosse dovuto alla mia parte di creatura acquatica, che a volte riemergeva dalle tenebre della mia anima, portando con sé pensieri e paure, poiché ero un'ondina completa quando Lui morì.
Quando ballavo i ricordi riaffioravano, potenti e ruggenti come un torrente in piena, sommergendo la mia mente, che si liberava e il mio corpo seguiva il vento e il ritmo delle acque, che in quei momenti sentivo forte dentro me.
Tutto andava bene, finché nella nostra vita entrarono loro, che elusero l'incantesimo, per colpa del grido di gioia di Lyuen. Una insignificante compagnia, che viaggiava con lo scopo di salvare la Terra di Mezzo dalle forze oscure di Sauron e Saruman, uniti per dominare Uomini, Nani, Elfi e tutte le razze che potevano essere sottomesse con la forza. Quei mostri non sapevano nulla dell'esistenza delle creature fatate, come silfidi, ninfe e ondine, poiché vivevamo in un mondo a sé stante. Ma lì potevano abitare solo creature complete, e quindi io e Lyuen fummo escluse automaticamente mentre Mirtale lo abbandonò di sua spontanea volontà. Così io ero mortale, potevo morire in qualsiasi momento, e non avevo nemmeno il sostegno delle due razze in me riunite. Anche Lyuen e Mirtale erano nelle mie stesse condizioni, ma l'elfa era comunque immortale, perché i due esseri che convivevano dentro di lei erano entrambi senza età e nessuno dei due temeva la morte.
Da quando c'era quell'umano le mie emozioni erano cambiate. Ora sognavo lui, nonostante il mio Elfo fosse sempre nei miei pensieri, perché ci sarebbe stato sempre, come diceva lui. Infatti mi rassicurava sempre sussurrando nel mio orecchio appuntito, quando finivo di ballare e rimanevo trasformata, con l'aspetto di ondina che: "Ovunque sarai, qualunque cosa succeda, noi saremo insieme per l'eternità. Te lo prometto". Non mantenne la sua promessa, perché eravamo lontani, e lui non era con me. Lui era sotto terra, o forse le sue ossa non vi erano più, perché gli orchi le avevano sbranate. Una lacrima mi scese giù per la guancia. Non volevo asciugarla. Essa manifestava l'amore che mi univa a Lui. Sentii qualcuno che mi parlava: "Cos'hai, Krayel?" Non ci potevo credere! Era la voce del mio Elfo!
No, non era possibile. Infatti non lo era, e su di me si stagliò una figura umana, dai capelli scuri. Oh, no! Mi aveva vista piangere! Era tornato indietro dall'inizio della processione, (Y± Amen…) solo per vedere come stavo! Perché Mirtale e Lyuen non si erano accorte che piangevo? Mi guardai intorno e mi accorsi che loro erano vicine ai loro "carcerieri". Forse non ero l'unica pazza, che si innamorava dei "padroni"...
(TESSSSSOORO!)Un dubbio mi attraversò la mente. Visto che ero la sua schiava poteva fare di me tutto ciò che voleva? Non era quel genere di uomo, ma un brivido mi percorse la schiena, e lui se ne accorse. Mi porse il suo mantello. Lo rifiutai con un breve cenno della testa. Senza dire nulla me lo mise sulle spalle. Lo fissai, e incrociai il suo sguardo, che sapevo poteva diventare penetrante, ma che in quel momento era dolce e preoccupato. Sentii le guance avvampare, e pensai che la lacrima sarebbe evaporata. Invece rimase dov'era, probabilmente, perché pochi momenti dopo avvertii un suo dito sulla mia gote. Non mi ritrassi stranamente, e rimasi a fissarlo direttamente negli occhi, perdendomi nella loro profondità e nella loro dolcezza, che mi infondevano una serenità che avevo provato in precedenza solo in compagnia del mio Elfo.
Attorno a noi vi era un silenzio assoluto, rotto solo dal fruscio del vento nel fogliame.
Ad un tratto una voce possente ci fece sobbalzare: "Ehi, Aragorn! Ti vuoi muovere? O ti lasciamo qui?" Ci accorgemmo solo in quel momento di essere fermi entrambi.
Il nano aveva incrinato l'atmosfera, ma osservando il viso del re Aragorn, scorsi un fugace sorriso. Scoppiammo a ridere come due ragazzini, mentre Gimli ci guardava stupito, con una faccia da tonto che ci fece ridere maggiormente.
Da circa dieci anni non provavo più la meravigliosa sensazione di una risata sincera e aperta.
Lo ringraziai con un sorriso. Mi fissò a lungo, e il suo sguardo mi incantò. Era profondo e dolce, e io mi persi in lui. Era bello viaggiare nell'universo della sua anima, riuscendo a percepire i suoi pensieri e sentimenti, che mi attraversavano la mente, con una delicatezza tale da farmi perdere il senso della realtà. All'improvviso qualcosa mi strappò al mio incantevole sogno, portandomi via con violenza della quale io non riuscivo a capire il motivo. Scossi il capo e mi accorsi che Mirtale mi stava quasi trascinando, perché io ero ancora intontita dall'onda di tepore e piacevole incanto che mi aveva travolto. Lanciai un'occhiata veloce alla fonte della mia gioia, per non farmi scoprire dalla ninfa, che mi avrebbe rimproverato come sempre, e mi accorsi che anche lui mi stava fissando incuriosito. Capii che aveva provato le mie stesse sensazioni, perdendosi nei miei profondi, ma glaciali occhi color dell'acqua. Ma forse aveva percepito tutto il mio tormento, e ne era rimasto sconvolto.
In fondo apparivo giovane, e le ragazze della mia apparente età non potevano aver provato un dolore così acuto come il mio. O forse sì? Per lui probabilmente ero solo una prigioniera di "guerra", ma capii in quel momento che per me non era la stessa cosa. Lo consideravo un carceriere, certo, però c'era qualcosa in lui che mi riportava alla mente il mio Elfo, nonostante Aragorn fosse solo un umano. E allora perché mi faceva provare tali sensazioni, che consolavano il mio spirito straziato, martoriato a causa della grave perdita che avevo subito?
Stare in sua compagnia, anche senza parlargli, mi faceva stare bene, e mi faceva tornare indietro nel tempo, come se non fosse accaduto nulla da allora, e tutto era perfetto come quando ero insieme a Lui.
Persa nei miei pensieri non mi accorsi che l'umano era tornato in capo alla colonna e chiacchierava in elfico con Legolas, che cingeva le spalle a Lyuen, stringendola a sé, mentre lei ascoltava rapita le loro conversazioni. Giunse in fretta la notte, e ci accampammo in una radura, come comandava l'Elfo, nonostante Gimli sostenesse che fosse troppo pericoloso e che saremmo stati indifesi, di fronte a un attacco diretto da parte di quegli orrendi Uruk-hai. Ma nessuno diede ascolto al nano, poiché cercava in tutte le occasioni di contraddire il biondo, essendo nemici di razza.
Montai la nostra tenda con l'aiuto di Mirtale, mentre Lyuen ronzava intorno a Legolas, chiacchierando con lui con un sorriso da ebete stampato in faccia. "E' proprio innamorata, eh?" mi chiese all'improvviso la ninfa, mentre cercava di non far cadere i bastoni che aveva eretto con tanta fatica. "Già, credo di sì..." le risposi malinconica. "Dovresti provare ad imitarla. Dimentica il passato, vivi il presente, sogna il futuro!" riuscì a finire il lavoro e se ne andò. La osservai allontanarsi, mentre le sue parole mi risuonavano in testa di continuo. Le davo ragione. Anche se importante, il passato era passato, e ciò che successe non poteva essere modificato. Ma il presente si poteva ancora modificare e vivere, e il futuro poteva addirittura essere migliorato con piccoli interventi, che lo avrebbero cambiato per sempre.
Quindi secondo la mia amica dovevo dimenticare Glanden e cominciare una nuova vita? Sapevo che non lo avrei mai potuto celare nelle parti più recondite della mia memoria, per essere poi cancellato definitivamente, perché Lui sarebbe rimasto per sempre in me come un dolcissimo ricordo.
Forse era vero che dovevo crearmi una nuova vita, migliore della prima e molto più serena, senza perdite e massacri. Avevo deciso: avrei seguito il mio cuore, ignorando la coscienza, e avrei provato nuovamente quella meravigliosa sensazione: essere amati da qualcuno.
Seguii a lungo con lo sguardo Lyuen.
Era cresciuta molto con noi, e sembrava quasi adulta, nonostante avesse solo trent'anni e Mirtale la considerasse ancora una bambina.
"Sei stanca?" una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto e scorsi di nuovo la figura dell'umano che si stagliava sul mio corpo in penombra.
Scossi la testa e gli risposi: "No, ci sono abituata a camminare a lungo. Grazie comunque." Mentre parlavo, mi strinsi nelle spalle e mi accorsi che vi era ancora posato il suo mantello.
"Oh scusa! Ecco..." gli porsi il mantello, e lui tese le braccia per afferrarlo, ma facendolo, mi sfiorò le mani con tocco leggero, facendomi sussultare. Arrossii, alzando appena il capo per una fuggevole occhiata e incappai nei suoi occhi profondi e dolci. Perché accidenti mi faceva sentire così bene? Abbassai lo sguardo, ma la sua mano mi impedì di far quasi aderire il mento al mio petto, incontrando nuovamente il suo. Mi si avvicinò. Lentamente e con delicatezza mi strinse a sé. Al contatto con il suo corpo, il mio avvampò interamente. Coincidevamo perfettamente l'una nell'altro. Posai la testa sulla sua spalla, facendomi cullare dalla melodia del suo respiro, e avvertii i battiti del suo cuore, che accelerarono. Probabilmente anch'egli provava strane emozioni, come me. Io desideravo ardentemente sfiorargli le labbra con le mie, per gustare il loro sapore. Ma come potevo baciarlo? Lui non se lo aspettava e mi avrebbe respinta sicuramente...Però fino ad allora egli aveva agito spinto da un istinto che io non avevo osato contrastare, e se provava i miei sentimenti, forse...
Non ebbi tempo per accertarmi di ciò che pensavo, perché fu lui a chiarire i miei dubbi, posando leggermente le sue labbra sulle mie, dopo avermi sollevato nuovamente il capo ed aver incrociato le mie iridi glaciali.
Provai una emozione dimenticata, che travolse completamente i miei sensi, ridimensionandoli e capovolgendoli.
Rimasi stupita, con gli occhi socchiusi per qualche lungo attimo.
Poi mi svegliai dal sogno nel quale ero immersa e feci la cosa più stupida che avessi potuto fare.
Gli tirai uno schiaffo, colpendolo con forza improvvisa.
Mi guardò triste, e il mio cuore fece un tuffo, all’interno del mio petto, precipitando in un buio inferno.
Mi portai la mano con la quale lo avevo colpito, alla bocca, accarezzandomi e coprendomi allo stesso tempo le labbra, dove sentivo ancora il suo sapore di bosco e il buon odore di terra bagnata e ancora umida dopo una leggera pioggia.
Spalancai gli occhi, imbarazzata ed esterrefatta al contempo. Lui abbassò il capo, evitando di fissarmi. Sembrava disilluso. Quando rialzò la testa, incrociai il suo sguardo che mi trafisse per la sua intensità come migliaia di pugnali di orco.
Lanciai un’occhiata preoccupata alla guancia dove lo avevo colpito e mi accorsi che aveva il segno delle mie dita di un color sanguigno. Avvampai.
Visto che io non dicevo nulla, si voltò per andarsene. Mi si spezzò il cuore a sapere che lo avevo fatto soffrire talmente con il mio gesto impulsivo.
E allora reagii. Gli posai una mano sulla spalla e lo fermai con presa flebile ma decisa. Si girò verso di me e mi trapassò nuovamente con il suo sguardo estremamente malinconico, che mi fece sussultare.
Mi decisi a parlare, anche se non sapevo come spiegargli il malinteso.
Però non volevo che mi lasciasse così, perciò le mie labbra si schiusero per far uscire un debole mormorio, che secondo me doveva essere un desolato: “Scusa.” Per fortuna lui aveva l’udito acuto e mi sentì.
Sorrise, e mi fece tremare come una foglia, di felicità.
Una foglia che, dopo una tremenda tempesta che aveva attentato alla sua breve vita e al suo albero, dov’era nata come gemma e poi cresciuta e diventata di un bel verde smeraldo, gioisce facendosi cullare dalla leggera brezza che annuncia una calma e tiepida primavera.
Tese un braccio verso di me, con il palmo rivolto al cielo che si stava dipingendo con i toni passionali del tramonto, che a me ricordavano il sangue che avevo versato per vendicare Glanden e l’orma della mia mano che ancora si scorgeva sulla guancia dell’umano che mi stava davanti con occhi che brillavano di emozione e anche di felicità mista a quella che mi sembrò malinconia, che decisi di ignorare per farmi inglobare completamente da ciò che  mi sarebbe  accaduto insieme a lui.
La mia bocca si increspò come le acque di un ruscello che sfiora, durante la sua corsa verso valle, una roccia sulla sua riva e che divenne a sua volta un sorriso sincero.
Ma, oltre a prenderlo per mano, mi avvicinai a lui, feci aderire nuovamente il mio corpo al suo e questa volta fui io a baciarlo, spinta da un incontrastabile istinto, e così facendo avvertii ancora l’aroma di bosco che lo caratterizzava e che mi faceva sentire a casa.
Quella sera, mentre tutta la compagnia consumava davanti al fuoco quel magro pasto che erano riusciti a procurarsi, io non prestai la minima attenzione a ciò che si diceva e alle avversità che avremmo dovuto affrontare.
All’improvviso mi accorsi che Mirtale mi stava dicendo qualcosa, della quale non capii nemmeno una parola.
“Cosa ne pensi?”  mi chiese alla fine la mia amica. Probabilmente feci una faccia molto confusa, perché lei scosse il capo e sospirò, dicendo: “Non mi aspettavo che tu prendessi alla lettera ciò che ti ho detto oggi…”
“Eh?! Cosa?” ormai non capivo più nulla. Pensavo solo agli occhi di Aragorn che catturavano i miei in uno sguardo talmente intenso, che mi faceva dimenticare la realtà con molta facilità.
Lei sorrise e scosse il capo. Poi si alzò e raggiunse Faramir, che stava parlando animatamente con Gimli, ma che, quando vide arrivare verso di sé la mia amica, spostò su di lei la sua attenzione, e i suoi occhi brillarono di gioia.
Si fissarono a lungo, e i  loro sguardi riempivano il silenzio che li aveva avvolti con la sua coltre vellutata con parole cariche di sensazioni e sentimenti elettrici.
Il nano si levò in piedi e, brontolando come suo solito, raggiunse la sua tenda.
Sorrisi a mia volta, cercando quegli occhi profondi e dolci. Li trovai. Poi identificai cosa stava facendo il loro proprietario. Chiacchierava felice con l’Elfo di qualcosa a me sconosciuto nella lingua natia di Legolas, mentre Lyuen ascoltava rapita e seguiva ogni increspatura delle labbra di quest’ultimo, sembrando ipnotizzata dai loro movimenti.
Mi chiesi se mi sarei potuta unire a loro, oppure se fare compagnia a Mirtale e Faramir…Ma dove erano finiti quei due? La risposta perciò mi balenò nella mente come l’unica possibilità, e, silenziosamente, mi avvicinai ad Aragorn.
Lui alzò lo sguardo verso di me, ma nei suoi occhi non notai il lampo improvviso di gioia che avevo visto in quelli di Faramir all’arrivo di Mirtale. Rimasi un po’ delusa dal suo comportamento, ma, non appena mi sedetti accanto all'umano dai capelli corvini, egli, senza farsi notare dai due elfi, fece scivolare un braccio dal suo fianco al mio, stringendomi a sé con noncuranza.
Allora capii: non aveva ancora confessato nulla a Legolas, nonostante fosse il suo migliore amico, e non voleva di certo fargli intuire tutto in quel momento. Perciò sorrisi e mi avvicinai lentamente a lui.
All’improvviso Lyuen mi fissò.
Prima di poter fare qualcosa per evitarlo, oltre ad arrossire violentemente, mutai il mio aspetto. Infatti nei momenti in cui ero particolarmente felice oppure quelli in cui ero in imbarazzo estremo, oltre a quando ballavo, (cioè… sempre…) il mio corpo modificava le sue sembianze. La mia carnagione, da abbronzata e dorata, divenne diafana, facendo rilucere su sé stessa, i deboli raggi di luna e la fioca luce del manto stellato sopra le nostre teste. I miei capelli, da disordinati, annodati, e color delle braci vive, mutarono in una lunga chioma d’oro in ordine e ornata di gemme e pietre dei fiumi. I miei stracci invece, divennero un candido e lungo vestito che ricopriva i miei piedi, ormai nudi, come tutte le ondine, del resto. Solo gli occhi rimasero com’erano, poiché solo essi manifestavano la parte più nascosta di me, anche quando ero solo una semplice umana.
Non mi accorsi subito della trasformazione.
Intuii che era accaduto qualcosa quando vidi gli occhi sgranati dei miei tre compagni.
“Cosa c’è?” chiesi timorosa. Lyuen si riscosse dalla trance nella quale era precipitata e mi fissò a lungo con espressione preoccupata prima di rispondermi: “Tu sei…diventata…un…un’ondina.” Balbettò infine. Spalancai gli occhi e mi portai una ciocca di capelli di fronte agli occhi. Aveva ragione, erano dorati come il sole e il grano nella stagione della mietitura. Sbiancai come il vestito candido che mi era apparso addosso. Non avevo mai detto ad Aragorn che ero solo per metà umana. E quello della mia trasformazione improvvisa non era il modo migliore per rivelarglielo.
Mi voltai lentamente verso l’umano. Mi stava guardando stupito, ma nei suoi occhi scorsi anche lampi improvvisi di meraviglia.
“Aragorn…” mormorai imbarazzata.
Lui continuò a fissarmi, poi schiuse le labbra in un sorriso.
“Quasi non ti riconoscevo. Sei così…diversa…” Alzai le sopracciglia in un’espressione irritata. “Me ne ero accorta anche io…” risposi infine, mentre il suo sorriso svaniva. “Beh…noi andiamo…” si intromise Lyuen, alzandosi e quasi trascinando via Legolas, che ne voleva sapere di più, per un braccio.
Rabbrividii. Non ero mai rimasta sola con Aragorn,  ( + o -…) e l’idea, non sapevo perché, mi terrorizzava alquanto,  forse poiché non sapevo cosa poteva accadere.
“Non… non è stata un’affermazione molto acuta, vero?” Mi chiese infine l’umano, arrossendo leggermente e abbassando il capo (non commentare, Ely…) imbarazzato. Scossi la testa divertita. Era in imbarazzo nei miei confronti? “Scusa…avrei voluto dire qualcosa…di…diverso…” continuò lui, dopo aver notato il mio movimento lieve. “Volevo dire che…sei…bella.” Arrossii violentemente. Perché aveva detto una cosa del genere? “Oh…beh…io…” farneticai per un po’ di tempo parole senza senso, finché lui non ribatté: “E’ vero…sei…” “Ho capito. Ma…” lo interruppi.
Una frase mi attraversò la mente come una lama ghiacciata. “…ma tu…io…vorrei che tu mi amassi per ciò che sono, non per ciò che sembro.” L’imbarazzo svanì dal mio corpo come una goccia fresca che scivolava veloce su una superficie liscia e senza asperità, e con esso, anche la trasformazione. Ridivenni l’umana che ero. Ma anche lo sguardo dall’umano mutò: divenne triste e spento d’un tratto. E fu allora che in me scattò il dubbio: mi amava veramente? “Ma io ti amo per quello che sei… io mi sono invaghito di te quando eri della mia stessa razza, ovvero la prima volta che ti ho vista.”
Gli sorrisi, sebbene non gli credessi affatto. E feci bene.
Mesi dopo, quando fummo logorati da perdite affettive e da continui attacchi da parte degli orchi, Aragorn divenne malinconico, e quando gli chiesi se potevo far qualcosa per lui, mi chiese di ballare.
Esaudii il suo desiderio, perché mi piaceva vederlo felice.
Mutai come sempre, ma così facendo notai un lampo di gioia illuminargli il viso con bagliori d’argento lunare, poiché era ormai notte.
Smisi all’improvviso di danzare, e mi avvicinai a lui, rimanendo comunque un’ondina. Il sorriso non svanì, perciò intuii che non era la danza ad allietare il suo spirito, bensì, il mio aspetto. Si era innamorato della mia apparenza, nonostante avesse giurato sempre il contrario.
Mi tornarono in mente le parole di mia madre, ondina come me, dopo che mio padre l’aveva lasciato, essendo venuto a conoscenza del fatto che lei fosse incinta. Lei non gli perdonò mai il fatto di essere fuggito alla prima difficoltà: crescere insieme una figlia che possedeva metà del sangue di entrambi. Quando lui la lasciò io avevo solo cinque anni circa, e sapevo già comprendere significati che per una bambina della mia età sarebbero potuti risultare complicati: “Non fidarti mai di nessuno all’infuori di te stessa. Anche le persone che amerai profondamente potranno tradirti, come ha fatto tuo padre.
Perciò…stai molto attenta, mio piccolo Len – Hie (Amore…inventato da me, nella lingua del Reame Fatato. )Non innamorarti mai profondamente di qualcuno, vivi la tua vita con distacco e leggerezza, come una delle tue metà ti comanda. Non seguire mai il mio esempio. Vedrai che sarai felice, anche senza uomini al tuo fianco.” Aveva ragione. Glanden morì lasciandomi sola, e io soffrii immensamente, perché lo avevo amato ed ero stata ricambiata.
Almeno il fatto che non fossi l’unica a provare un affetto così profondo nei confronti di un estraneo, mi confortò, anche dopo la sua morte, ma fece crescere anche il mio dolore, perché sapevo di non essergli stata indifferente.
E ora provavo con la stessa intensità, lo stesso identico affetto, solo, per una persona per la quale non contavo. Mi infuriai all’improvviso, avvampando di collera infuocata e distruttrice come la più potente delle cascate.
“Lo sapevo…” sussurrai, mentre la mia voce tremava per la fiammata di furore che mi alimentava, “Tu…sei uguale a tutti gli altri…solo…un essere disgustoso e insensibile!” Questa volta urlai. Mi alzai di scatto e lo fissai negli occhi. Sembrava che in essi fosse scattato qualcosa, che lo fece tornare colui che era prima, la creatura gentile e sincera che mi aveva fatto amare di nuovo.
Mi voltai per andarmene, ma sentii la sua presa decisa sulla mia spalla: “Aspetta…” Mi attirò verso di sé. Mi divincolai velocemente. Non volevo sentire le sue scuse, non volevo ascoltare parole dette solo per liberare la propria coscienza da un enorme peso. Odiavo la falsità.
Allora lo aggredii come un serpente che si voltava contro chi lo disturbava durante il suo lento ed armonioso strisciare: “Non ho bisogno né di te, né delle tue scuse!” Assunse un’aria triste e pentita, che incrinò la mia durezza come un fragile specchio.
“Oh al diavolo…scusami Aragorn…io…” mormorai. Ma lui se ne era già andato, per non tornare mai più da me. Il mio cuore non resse al dolore troppo intenso, poiché,  oltre alla perdita del re, mi ritornò alla mente quel fatale giorno.

§ § §

Era autunno. Gli alberi iniziavano a perdere le belle foglie, che a verde intenso mutavano in un rosso vivo o un giallo oro.
Le fissavo incantata, sotto la chioma vivace di un bel frassino, accanto all’Elfo che mi aveva infuso nuova speranza. Mi teneva la mano delicatamente, e il contatto con la sua pelle morbida (e tenera…) mi faceva stare bene con me stessa e con il mondo intorno a noi, che quasi non avvertivo più, immersa com’ero nei miei pensieri.
All’improvviso un Elfo insanguinato, barcollando, ci raggiunse. Glanden gli andò incontro, e si fece informare su quanto era successo in elfico.
Assunse un’aria tetra, e sul suo bel viso si formò una smorfia preoccupata. Estrasse il pugnale che preferiva dalla fodera e mi si avvicinò. Senza dir nulla mi prese per mano e mi condusse ad un lago lì vicino, consegnandomi la lama. Aveva una faccia seria, perciò non la rifiutai.
“Glanden…cosa…?” provai a chiedere spiegazioni, ma lui mi interruppe: “Ora va’. Mettiti in salvo scegliendo la via delle acque, tue sorelle e dei pesci di lago tuoi fratelli. Non indugiare oltre…” quando gli chiesi il motivo rispose: “Perché devo difendere la mia gente, la mia terra, il mio paese. Siamo stati attaccati dagli Uruk, che devono essere annientati. Ma sono molto forti, e non sarà una battaglia facile, perché siamo anche numericamente inferiori. Non temere e segui la corrente senza timore alcuno, perché lei ti mostrerà la corretta via da intraprendere. Attendimi al di là del lago per due giorni. Se al tramonto del secondo non sarò giunto…capirai e partirai in cerca del tuo destino. Ma sappi che…” pronunciò la fatidica frase in elfico, mentre le lacrime rigavano copiose le mie gote. Mi abbracciò per un breve istante, mentre singhiozzavo sul suo petto come una bambina piccola. Mi sollevò il mento e mi baciò leggermente sulle labbra, assaporando il sapore salato della mia disperazione. Mi asciugò una lacrima e si voltò, incamminandosi verso un destino infausto che non si meritava affatto. Sembrava si dirigesse verso una spessa coltre di tenebre, che sembrava squarciare la luce da lui emanata. Camminava fiero ed eretto, sicuro e deciso era il suo passo, e sempre maggiore la mia tristezza che mi opprimeva impietosa.
Mi tuffai, traendo la forza di nuotare dalla frustrazione che mi attanagliava il cuore nella sua morsa crudele.
Giunsi sull’altra riva esausta ma speranzosa, nonostante un presentimento malevolo fiorisse piano nella mia mente. Attesi quattro giorni il suo ritorno. Infine, sconfitta, mi arresi e mi incamminai verso l’ignoto, accarezzando il pugnale che mi aveva donato, l’ultimo ricordo che mi rimaneva di lui, che aveva squarciato le tenebre della mia anima con il suo lucente amore.

§ § §
   
Imprecai e tirai un pugno a terra, cosa che facevo sempre quando ero arrabbiata con me stessa per qualche grave sbaglio, e che mia madre mi rimproverava, perché ella sosteneva che fosse un atteggiamento da uomini rozzi e vili.
E ora cosa avrei fatto per riaverlo? Non ne avevo la minima idea, e, ora che Mirtale era morta per colpa degli orchi e delle loro malefiche frecce, non avevo nessun altro a cui confidare le mie pene. O forse…ma certo!
Lyuen…forse lei mi avrebbe aiutata! Decisi di raggiungere l’Elfa per cercare consiglio, e la trovai a preparare unguenti curativi per precauzione, durante il viaggio.
“Ehm… Lyuen? Posso parlarti?” sussurrai indecisa se rivelarle tutto e perdere la mia unica ragione di vita, oppure vincere l’orgoglio e confessare come avevo trattato l’umano e forse, trovare una soluzione. Di certo, l’orgoglio, non mi avrebbe consolata nei momenti difficili, come la morte di Mirtale, quando Aragorn mi era stato vicino e mi aveva aiutata a trasformare la rabbia e la voglia di vendetta in determinazione. Decisi in fretta.
Intanto l’Elfa aveva abbandonato gli unguenti e mi sorrideva rassicurante. “Dimmi! Sai che mi piace dare consigli!” Aveva un viso da bambina, o comunque da ragazza molto giovane, nonostante fosse una donna adulta, anche se, per gli Elfi, l’età non contava molto. Il sorriso la illuminava come un raggio di sole che squarcia le nubi con il suo bagliore gioioso e caldo, e mi infuse tranquillità e fiducia. Era incredibile la serenità che riusciva a trasmettere e la bellezza che le era stata donata.
“Dovrei dirti una cosa…” mi sedetti accanto alla ragazza che avevo dovuto accudire per molto tempo, ma che ora dimostrava avere una profonda saggezza, caratteristica della sua affascinante e misteriosa razza.
“Senti…tu che cosa faresti se ti sentissi in colpa per aver rimproverato chi era in torto nei tuoi confronti?”. Fece una faccia confusa, e mi fissò a lungo.
Non appena schiusi le labbra per cercare di spiegarle ciò che era successo, però, mi interruppe: “Aragorn è un uomo impulsivo e leale. Probabilmente capirà, se tu gli farai capire.” Ecco cosa odiavo degli Elfi.
Davano consigli impossibili da interpretare. Questo mi fece venire in mente Glanden. Scossi la testa per scacciare il suo viso sorridente ed enigmatico dalla mia mente. “Potresti spiegarti meglio?” provai a chiederle.
“Nel senso che devi parlargli assolutamente e fargli capire il perché tu l’hai trattato in modo spiacevole.” Altra cosa che odiavo negli Elfi. Sapevano sempre tutto prima di tutti, anche di te, a volte. Comunque sorrisi sollevata.
Finché non mi venne in mente che lui molto probabilmente non voleva più vedermi, figuriamoci sentirmi parlare! E allora Lyuen mi lesse nuovamente nel pensiero: “Per una volta dovrai costringerlo ad ascoltarti…” 
“Ma come? Mi scaccerà appena mi vedrà!” esclamai esasperata. “Userai la forza se sarà necessario.” La fissai stupita. Un Elfo che consigliava la violenza? “Certo che no! Non dovrai picchiarlo per farti ascoltare! Lo dovrai  solo obbligare anche contro la sua volontà!” Scoppiò a ridere. Una risata limpida e argentina. Poi si rifece seria, tutto d’un tratto. “Vuoi davvero riaverlo vicino?” risposi senza pensarci due volte: “Certo!” “E allora cosa aspetti? Va’ da lui! Immediatamente!” Mi tirò un buffetto amichevole sulla spalla e mi sorrise. Ricambiai. “Grazie di tutto. Ora ho di nuovo un’amica.” Mi alzai in fretta e corsi via a cercare Aragorn. Ma feci in tempo ad accorgermi della sua espressione serena, fiera e tranquillizzata, mentre riprendeva il suo lento e impegnativo lavoro.
Lo trovai all’ombra di un albero, che giocherellava con una foglia verde smeraldo, facendosela girare intorno alle dita.
Mi avvicinai silenziosa come un felino, ma la natura non fu dalla mia parte. Infatti calpestai un rametto, che, scricchiolando, richiamò l’attenzione del ramingo su di me. Mi fermai e lo fissai direttamente negli occhi, con uno sguardo che doveva essere deciso, ma che probabilmente assomigliava di più a quello di un piccolo coniglietto spaventato. ( la mia piccola Lepre!!!)
Scorsi nei suoi profondi occhi cerbiatto, un lampo di tristezza e una fuggevole lacrima che ricacciò velocemente da dove era venuta. Stessa cosa che avrei  sicuramente dovuto fare anch’io di lì a poco.
Ma lui non resse il mio sguardo, e abbassò il capo (zitta Ely…L…), lasciando cadere la foglia. Essa frusciò e si posò delicatamente e silenziosamente sul suolo umido e fertile. Sospirai profondamente, poiché il silenzio che ci circondava era opprimente e premeva sul mio cuore.
Decisi di avvicinarmi ed ebbi un tale coraggio da sedermi addirittura vicino all’umano, che, come mi ero aspettata, voltò la testa dall’altra parte, ignorandomi, ma senza allontanarsi da me.
‘Buon segno…’ pensai fra me e me. La luce lunare ci illuminò con la sua pallida bellezza, facendomi notare un improvviso bagliore argenteo sulla sua guancia. Una lacrima imperlava il suo viso? Piangeva per me? Gemetti. Incuriosito e preoccupato mi fissò apertamente. ‘Ora!’ pensai. Non credendo alle mie orecchie, mi sorpresi a dire tutto ciò che mi opprimeva, anche se tutto d’un fiato: “Scusami, sono stata un’idiota a trattarti così male, però pensavo che tu mi stessi vicino solo perché divento un’ondina, e che tu ti fossi innamorato solo del mio aspetto esteriore, quando sono una creatura dell’acqua, e allora soffrivo, perché poi mi veniva in mente Glanden e allora ero ancora più triste, ti ho trattato male, non volevo parlarti perché ero dalla parte della ragione, poi mi sono scoperta nel torto e non ho più resistito e dovevo dirti tutto perché altrimenti ti avrei perso, e io non voglio lasciarti, perché ti amo e…” mi fermai d’un tratto, quando mi accorsi di ciò che avevo detto. Arrossii violentemente e fui io a chinare il capo. “Beh…ti…ti…ho detto…tutto.” Balbettai altre frasi senza senso, maledicendomi per la mia lingua lunga. Riuscii a dire: “Ora mi sono liberata, ti ho spiegato tutto, sono più tranquilla.”
“Hai comunque tutto il diritto di odiarmi perché sono stata dura e…” avvertii un debole sussurro. “Puoi ripetere? Sarò sorda, ma non ho proprio capito…” mi scusai sorridendo debolmente. “Avevi ragione.” Esclamò all’improvviso facendomi sussultare per la sorpresa.
Lo guardai incuriosita. “Sì…avevi ragione…purtroppo. Avrei preferito dirti che era solo una tua impressione, che ti sbagliavi. Ma non posso. È vero, provavo qualcosa solo per le tue sembianze. Ma…” Vide il mio sguardo deluso. Ora erano i miei occhi a riempirsi di lacrime perlacee. Vide il mio sogno svanire come fumo.
E lo intuì dal mio sguardo malinconico. Per questo continuò: “…Ho detto provavo, perché…perché…ora ti amo per ciò che sei, non per ciò che sembri. Ho usato le tue stesse parole per farti capire che ti ascoltavo quel giorno, quando ebbi il coraggio di mentire ad una creatura fragile. Mi sento colpevole e non sai quanto. Non puoi nemmeno immaginare la mia frustrazione. Perciò dovresti essere tu ad odiarmi per ciò che ti o fatto, perché io…ora più che mai…ti amo.” (YEEEEH!!!JJJ scusate mi sono fatta prendere dall’entusiasmo…). Rimasi a guardarlo.
Ad ammirare la luna che gli illuminava il viso segnato dal tempo, ma che in quel momento era bello e attraente, e sul quale brillavano lampi di gioia giovanile, quella giovinezza che gli era scivolata addosso così in fretta, ma che l’aveva fatto diventare un uomo. Uno splendido uomo. (un vecchiaccio ingobbito, con la dentiera…)
I capelli corvini (e unti…) gli ricadevano sciolti sulle spalle, carezzandogli il viso, cullati dalla leggera e dolce brezza notturna. Mi accorsi solo in quel momento che le tenebre avevano avvolto la natura con il loro velo drappeggiato di stelle, soffocando tutti gli aromi dei fiori e i suoni della vita.
Ma a me non importava, perché ora, in quel meraviglioso momento di solitudine, avvertivo solo il nostro respiro e il battere incessante (per fortuna…) dei nostri cuori, che ormai pulsavano all’unisono, accesi entrambi da un sentimento che li rendeva i padroni della notte, della vita e della morte.
(Non chiedetemi dove cavolo ho preso questa frase senza senso…).
Scorsi un sorriso sincero sul suo viso. Poi, dopo aver scrutato a lungo le tenebre, mi guardò.
“Abbiamo litigato perché…ognuno credeva che l’altro avesse ragione?” disse ad un tratto. “Beh…io pensavo di aver ragione, e che tu avessi torto, e tu…pensavi la stessa cosa!” Detta così sembrava assurda, perciò scoppiammo a ridere.
“Ascolta…” sussurrò. Si era fatto serio, e questo mi fece preoccupare. “…ricordi quando ti dissi che Arwen mi attendeva a Gran Burrone?”. Feci un breve cenno di assenso col capo, dubbiosa. “Ho bisogno di te per sapere come farle capire che tra noi è finita.”
Tirai un sospiro di sollievo, e lui scoppiò nuovamente a ridere.
“A cosa pensavi?” mi chiese tra le risate.
Scossi la testa fingendomi offesa: “A niente!!!” riuscì a frenare il riso, e mi rivolse un dolce sorriso, come quelli che vedevo i primi tempi in cui ci conoscevamo. Mi si avvicinò, perché ormai nessuna incomprensione ci divideva, e mi baciò la fronte delicatamente.
“Come farò a informarla, se ora siamo lontani, e soprattutto quando lei mi ha già ceduto la sua immortalità?” “E’ un bel problema. Di certo non puoi più dirle nulla, ora che lei ha fatto un tale sacrificio per te, no?” “Appunto. Come faccio? Dopo che suo padre Elrond mi ha chiesto di lasciarla andare, e lei è rimasta per me? Lui mi odia perché ho rubato la vita eterna e la giovinezza a sua figlia, e ora mi presento là e gli dico che lei può riprendersi la collana che simboleggia il suo dono e che amo un’altra donna?”. Alzò la voce, come se fosse stato irritato. Mi concentrai. Era vero, Arwen aveva dato tutto per Aragorn, per averlo vicino, affrontando l’ira di suo padre, e all’improvviso io mi mettevo in mezzo e rovinavo il suo amore? Del resto però, non si poteva obbligare una persona ad amare chi non voleva. Come risolvere il problema che ci bloccava la via per la felicità assoluta? Mi venne in mente un’idea, che però poteva fallire. Il tutto stava nel fidarsi di quella razza affascinante che erano gli Elfi. "Chiediamo consiglio a Legolas e a Lyuen!” esclamai ad un tratto facendolo sobbalzare. Sorrisi. Lui ricambiò, ma nuovamente un’ombra di preoccupazione ricoprì il suo bel viso maturo: “Ma loro sapranno cosa fare?”. “Non potremo saperlo finché non glielo chiederemo.” Risposi io. “Però…” continuai, dopo essermi accorta che Aragorn si stava muovendo per alzarsi, “…però li consulteremo domani. Ora è tardi e dormiranno.” “Ma gli Elfi non ne hanno bisogno!” “Oh…comunque diremo loro tutto solo domani. Hanno bisogno di tempo per stare insieme!” ( ^=_=^ non fraintendetemi…). “Anche noi, allora.” Mormorò lui, accostando il suo viso al mio. Prima di baciarmi, però, mi prese le mani tra le sue: “Per evitare schiaffi…” si giustificò. Io scoppiai a ridere, e  l’umano posò le  sue labbra sulle mie mentre il sorriso non vi era ancora scomparso.
 



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"Vuoi rimanere qui a gelare di freddo per tutta la notte?” chiesi ad un tratto, mentre guardavamo entrambi la Luna che occhieggiava tra i rami, affascinati dall’atmosfera e dalle emozioni che trasmetteva. Per tutta risposta mi strinse a sé, avvolgendomi con il mantello e facendomi arrossire. Stranamente non mi trasformai.
Forse la brutta esperienza che avevamo avuto, mi trattenne, anche se solitamente non erano sotto controllo. Giocherellai per un po’ con la spilla a forma di foglia di Lothlorièn, poi mi accorsi che, seppur essendo piacevole, stare vicino a lui non mi riscaldava affatto, perciò dissi: “Ehm…io continuo a ghiacciare…”. Mi fissò senza espressione. Poi, senza avviso alcuno, mi sollevò il viso con una mano, prendendomi il mento con tocchi leggeri che non avvertii quasi, e mi fece incrociare lo sguardo con il suo.
Poi non capii più nulla dei successivi cinque minuti circa. Avevo visto il suo capo chino sul mio, avevo avvertito il contatto delle nostre labbra, ma poi i miei pensieri fluttuarono via leggeri, portandomi altrove, su un Paradiso immaginario e splendente.
Rimanemmo per un po’ abbracciati, finché il gelo non mi avvolse nuovamente nelle sue spire taglienti, facendomi rabbrividire.
“Stai congelando!” esclamò all’improvviso Aragorn, afferrandomi una mano, ormai mortalmente fredda. (Buongiorno!!!). Annuii lentamente. Senza preavviso alcuno si alzò, mi aiutò a levarmi in piedi, poi mi sollevò senza sforzo, e, portandomi in braccio, si diresse verso la zona a lui riservata, ove aveva depositato tutte le sue coperte e cose. Mi appoggiò, mentre l’imbarazzo mi inglobò nella sua coltre infuocata di tepore, riscaldandomi interamente.    
Mi porse gentilmente una coperta,  ne prese una per sé, poi, prendendomi per mano, dopo avermela sfiorata per alcuni secondi, mi condusse in una radura poco distante, circondata da alberi fitti. 
“Perché hai voluto che venissimo qui?” chiesi sorpresa e meravigliata dalla bellezza del prato che si stendeva ai miei piedi. Era di un bel verde smeraldo, ricoperto da un leggero velo di rugiada argentea, che veniva risaltata dai flebili raggi di luna, che fino ad allora avevano guidato i nostri passi.
“Te l’ho detto prima, per stare un po’ insieme…” stese le coperte sull’erba umida e morbida, ci si sedette sopra e tese una mano verso di me, come un cortese invito, che io accettai senza esitazione.
Mi sedetti accanto a lui, senza arrossire o trasformarmi, neppure quando, con delicatezza, mi fece sdraiare, coricandosi accanto a me.
Mi prese ancora la mano, lentamente, quasi avesse paura che io la ritirassi, anche se sapeva che non lo avrei mai fatto.
Se la portò sul petto, stringendola ( fratturandola…)comunque fra le sue, e io avvertii i battiti del suo cuore accelerare, come se fosse stato il contatto con la mia pelle a metterlo in imbarazzo.
Poi voltò il capo verso di me, mentre nel suo sguardo si accendeva una luce calda e romantica, nella quale, come al solito, mi persi.
Però avvertii il suo bacio, e la sua carezza sul mio viso, che scese al collo, sfiorandomi appena le labbra e solleticando piacevolmente la mia pelle abbronzata. Allora avvampai. Le mie gote diventarono di un bel rosso vivo e iniziarono a scottare, tanto che Aragorn fece scivolare la mano dal mio mento alla fronte, avendo paura che fossi malata. Risi, e lui mi guardò per metà pentito e per metà corrucciato.
“Scusa…però pensavo avessi la febbre, sei talmente calda…stai bene?” Riuscii a trattenere il riso e gli sorrisi divertita: “Sì è tutto a posto, è solo che… quando sono imbarazzata…divampo…”. Capì immediatamente ciò che intendevo dire, e si sdraiò nuovamente, visto che, precedentemente, si  era chinato, da inginocchiato, su di me. (^=_=^ e vedersi un bell’uomo vicino…). “Perdonami ancora, allora. Non era mia intenzione metterti a disagio…” mormorò dopo alcuni secondi. “Ho detto che ero in imbarazzo, non a disagio…” mi fissò stupito, poi mi baciò nuovamente, questa volta anche il collo, e riuscii miracolosamente e con l’aiuto dei Valaar, a ridurre le fiamme che mi ardevano dentro, ad un semplice colorito rossastro sulle guance.



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La mattina arrivò in fretta, e il sorgere del sole mi svegliò quasi immediatamente, con la sua luce calda e forte. 
Mi mossi leggermente, e mi avvidi che, per dormire, avevo posato la testa e la mano sinistra sul petto dell’umano, senza forse rendermene conto. La destra era sotto di me, e mi doleva per il peso che vi avevo esercitato per tutta la notte.
Scostai le coperte e mi alzai, il più silenziosamente possibile. Nonostante tutto lui si svegliò, essendo un ramingo dall’udito acuto, mi afferrò i pantaloni e non mi lasciò finché non mi risdraiai dandogli la schiena.
Mi era piaciuto dormire con qualcuno, dopo la solitudine che avevo affrontato negli anni precedenti, non sentirmi più sola durante il lungo viaggio che compivamo. Mi abbracciò, stringendomi delicatamente (Strangolandomi…) a sé, e avvertii l’aroma (puzzone!!!) di terra umida che lo caratterizzava e che mi ricordava tanto il passato, anche se egli rappresentava il mio futuro.
Mi avvolse uno strano torpore, che mi rilassò sia la mente, sia i muscoli, facendomi lentamente e leggermente, stendere le gambe, che fino ad allora erano raggruppate vicino al petto.
Così facendo, però, sfiorai le sue braccia, che mi cingevano all’altezza del costato, e arrossii. Il ramingo si ritrasse e io ne approfittai per divincolarmi e uscire dalle coperte, perché stavo sudando copiosamente, dall’imbarazzo e dal vero e proprio caldo. Mi rimisi la casacca, che avevo tolto per riposare, sopra la camicia, mi sistemai i pantaloni, ormai sformati, infilai gli stivali e feci  per dirigermi al campo comune. Però mi fermai a metà strada e tornai indietro.
“Hai dimenticato qualcosa?” chiese lui incuriosito. Per tutta risposta mi chinai sull’umano e gli posai un bacio sulla fronte. Lui però mi fermò e mi baciò teneramente le labbra, senza farmi stranamente avvampare.
“Ora posso andare.” Sussurrai, quando il contatto terminò dolcemente.
Mi voltai e mi diressi a grandi passi verso le tende. Lyuen mi corse incontro: “Com’è andata?” domandò concitata e maliziosa. La fissai stupita, poi assunsi un’aria ingenua nonostante avessi capito ciò che intendeva: “Com’è andata cosa?” “Non fare la finta tonta! Sai a cosa mi riferisco!”. Visto che io non accennavo a risponderle, si guardò intorno con circospezione accertandosi che non ci fosse nessuno, mi afferrò per un braccio e mi condusse verso la tenda che condividevamo, e che, nonostante tutto, era rimasta vuota dopo la morte di Mirtale, che ci mancava immensamente.
“Allora?” mi chiese, dopo essere entrate. Sbuffai. “Come hai fatto a…” mi interruppe: “Mi sono svegliata all’improvviso, e tu non c’eri. Anche Legolas si è accorto dell’assenza di Aragorn, e si è preoccupato. Ma quando gli ho riferito che mancavi anche tu, si è tranquillizzato e ha fatto anche un mezzo sorriso. Poi è tornato nella tenda senza dirmi nulla. Ma anch’io avevo capito cos’era accaduto, perciò ho dormito rilassata. Non si nasconde facilmente un movimento, seppur furtivo, con il braccio, quando nelle vicinanze c’è un Elfo! Eravamo anche in due! Ma ora voglio sapere tutti i dettagli!!!”. Il tono della sua voce diventò acuto ed emozionato, il suo viso si aprì in un largo sorriso e i suoi occhi balenarono illuminati da rapidi lampi di curiosità. Voltai di scatto la testa dall’altra parte, nascondendo un sorriso. “Non ti confidi più con la tua migliore amica?” chiese lei. “Per tua informazione, la mia migliore amica era Mirtale…tu sei solo una piccola curiosa!”. Non volevo offenderla, (chissà che offesa…L) e nemmeno ricordare la ninfa. Il viso dell’Elfa si rabbuiò all’istante, insieme al mio. “Scusa…non volevo…comunque…siamo rimasti a parlare sotto l’albero, mi sono scusata e…”.Mi interruppe: “Scherzetto!” esclamò all’improvviso, tornando di nuovo a brillare come un gioioso raggio di sole, “Ci caschi sempre! Racconta!”. Scossi la testa, poi le narrai tutto, anche se lei mi interrompeva spesso per sapere i dettagli, accusandomi di non dire tutta la verità, e che non era facile imbrogliare una silfide, che di inganni si intendeva. Non capii cosa volesse dire, ma esaudii la sua richiesta, e, infine, quando terminai, mi ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio, aperto in un largo sorriso, mentre il suo corpo perfetto era esteso in tutta la sua affusolata lunghezza. Sobbalzai indietreggiando. Lei scoppiò a ridere con la sua risata cristallina e squillante e si ritrasse.(okay, che l’elfa si è fumata il cervello è chiaro a tutti, ormai, no?)Si alzò per preparare i bagagli, visto che il viaggio era ancora molto lungo, e molte terre dovevano ancora percorrere i nostri piedi, prima di giungere a Mordor, ove l’Oscuro Sire stava attendendo il suo Anello, l’unico in grado di comandare gli altri. Ma il nostro scopo, o almeno quello del Portatore dell’Anello, di cui non avevo ancora parlato anche se era il solo protagonista di questa storia, era quello di distruggere il prezioso e maledetto monile, per impedire all’Oscurità di estendersi su tutta la Terra di Mezzo, e assumere il controllo delle razze in essa viventi, per scopi malvagi.
Il Portatore era un misero Mezzuomo della Contea, che viaggiava accompagnato da altri tre Hobbit: il suo giardiniere, suo servo fedele che lo seguiva in ogni luogo, e due suoi parenti alla lontana. Essi avevano incontrato Grampasso, ovvero Aragorn, a un’osteria, e da lì lui, destinato a diventare il più grande re della Terra di Mezzo, li aveva guidati e protetti, dopo aver giurato eterna fedeltà a Frodo, il Portatore.



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E, mentre mi dirigevo verso una radura per richiamare il cavallo di spuma, incrociai proprio lui. “Buon giorno!” esclamò con un sorriso radioso. Aveva la stessa capacità di Lyuen. (Era bellissimo…©==©) Riusciva  a trasmettere a chiunque una gioia incommensurabile e incomprensibile, con il suo sguardo sempre allegro, nonostante su di lui gravasse un grande peso: salvare il mondo.
“Ah…Buon giorno!” risposi sorridendo a mia volta. “Posso chiederti dove stai andando o è una cosa privata?” disse, mantenendo un tono sereno, “Beh…non saprei come spiegarvi…venite con me! Lo vedrete!” mi sembrava strano usare un tono formale con un compagno di viaggio e Hobbit, però incuteva anche rispetto, nonostante non lo avessi mai visto arrabbiato da quando l’avevo conosciuto. Lui annuì e mi seguì. Giungemmo ad una radura assolata: l’erba era soffice al tatto, e verde alla vista, che se ne beava. Emisi un fischio acuto, al quale rispose un nitrire lontano che si avvicinava e uno scalpitio di zoccoli. (ho ciullato Ombromanto, lo ammetto…) Pochi attimi dopo ai nostri occhi si materializzò il mio candido destriero, che amavo così tanto, anche se era un’immagine effimera, che compariva e svaniva in poco tempo, quando non se ne aveva bisogno. Notai un lampo di meraviglia negli occhi di Frodo.
Era raro per un essere comune avere l’occasione di vedere una creatura di tale bellezza. (Lo so mi gaso…J) Mi ero affezionata alla luce che splendeva negli occhi dello Hobbit, che notavo quando i nostri sguardi si incrociavano. Ma avevo il vago e spiacevole presentimento che anch’esso sarebbe stato un piacere passeggero, a causa di una mia indecisione futura, che avrebbe arrecato dolore non solo a me, ma anche ad altri, che amavo immensamente. (e qui ci sta bene…L) 
Scossi leggermente il capo per scacciare il pensiero infausto, ma Frodo se ne accorse: “Stai male?” “No…è solo…non è niente…”. “Se non vuoi parlarne…come si chiama?” chiese infine, cambiando discorso. “Lui? Non gli ho ancora dato nessun nome. Voi…come lo chiamereste?” “Non saprei, perciò rispetto la tua decisione di non nominarlo. Temo che qualunque nome, anche elfico, potrebbe insultarne la bellezza e la purezza.”         
“L’elfico non sminuirà di certo l’ingannevole sensazione di bellezza di una creatura irreale…” sussurrai. Avevo sempre preso a cuore ogni accusa agli Elfi e a tutto ciò che li riguardava. Non potevo sopportare il fatto che la memoria di Glanden potesse essere infangata da un essere certamente inferiore di fronte alla maestosa saggezza della razza elfica.
“Non intendevo offendere né gli Elfi né il tuo bel cavallo…non assalirmi, per favore.”
“Perdonate la mia impudenza, non volevo…è che colui che persi anni orsono continua a pesare sul mio cuore, già oppresso dai numerosi dubbi della vita…”
“Sei così giovane…perché ti affanni a cercare una strada per la felicità che dovresti già avere da tempo?”. E perché tutto ciò che esce dalle sue labbra è sempre una giusta e veritiera affermazione?
“Avete ragione, in parte…in effetti ho trovato almeno una piccola scintilla di gioia, da quando mi sono unita alla vostra compagnia, e da quando ho conosciuto le persone meravigliose che la compongono…” quando si accorse che con questa frase parlavo di lui, arrossì lievemente, abbassando lo sguardo.
Sorrisi e mi voltai per andarmene. Dovevo ammettere che avevo trovato numerosi volti amici in quel gruppo, composto da individui completamente differenti fra loro.
Nonostante fossi legata a tutti da una sincera amicizia, sentivo per due membri in particolare, un affetto che ci legava in modo unico ed indissolubile.
“Aspetta…ecco…se per caso partissi dimenticandola, oppure facendolo apposta…o se, per qualche motivo particolare non potessi portarla con me…vorrei che questa…la conservassi e te ne servissi tu…” lo fissai incuriosita, per vedere cos’era il bene che aveva deciso di lasciare in eredità ad una perfetta sconosciuta.
Si slacciò la misera casacca, dalla quale balenò un lampo argentato, che mi stupì ulteriormente. Scorsi una cotta di maglia perlacea…non potevo credere ai miei occhi! Il tesoro che i nani per anni avevano gelosamente custodito, una difesa rivelatasi una lama a doppio taglio, che li aveva distrutti, che era stata la causa del loro massacro…
MITHRIL! Spalancai gli occhi, mentre lui la accarezzava dolcemente. Evidentemente era molto affezionato a quell’armatura.
Allora perché voleva lasciarmela? “Perché mi fido, e perché credo ne avrai bisogno…”. Sembrava che mi stesse leggendo nel pensiero come gli Elfi…dannati fossero per sempre! Ogni parola, ogni accenno bastava per farmi tornar in mente quella razza perfetta…
“Non potete! È vostra, e credo che per voi sarà molto più utile che a me. In fondo siete voi il Portatore, e voi necessitate di maggiore protezione di una qualsiasi mezzo sangue, no?” “Non puoi auto accusarti in questo modo per la tua razza. Prendila, te ne prego…” mormorò. Sembrava che non mi avesse ascoltato neppure un momento. Aveva due occhioni dolcissimi che infondevano tenerezza. Era così piccolo…mi faceva veramente dolcezza. (cucciolo!!) Però non potevo accettare la sua offerta. Aveva il cuore puro, le mani pulite, e sarebbe dovuto vivere ancora per molto, molto tempo. Perché sprecare una tale meraviglia per una creatura con le mani macchiate di sangue, e il cuore gonfio di rabbia e voglia di vendetta? Mi voltai di schiena. Mi era più facile parlargli per spiegargli che non potevo…almeno non mi avrebbe commossa.
“Sentite…io non la prenderò,  mai la infilerò, perciò sarebbe solo uno spreco. Tenetela, perché io non so come poterla utilizzare.” Sentii la mia voce farsi fredda, quasi ghiacciata, come i miei occhi. Era mutata e diventata tagliente. No, non potevo trattarlo così. Mi voltai ancora, e lo vidi col capo abbassato. Volevo consolarlo, ma non intendevo cedere, nonostante la mia maleducazione nel rifiutare un regalo.
Mi avvicinai a lui e lasciai perdere il tono rispettoso che usavo con quel piccolo Hobbit, perché rendeva la mia voce maggiormente metallica: “Ascolta…io non voglio offenderti rifiutando questa meraviglia, però non posso accettare un regalo che fa parte di te, come per me lo è il pugnale, capisci? E poi temo ulteriormente per la tua vita, senza di essa. Perché se tu perdessi il respiro, non potrei rivederti!” riesaminai mentalmente le mie parole, poi, quando mi accorsi dell’eccessiva convinzione dell’ultima frase, arrossii lievemente, ma non quanto Frodo, che avvampò letteralmente, infuocandosi come una brace.
Rimanemmo in silenzio a lungo, ascoltando il respiro caldo del mio destriero, che avevo quasi scordato, e che non feci scomparire solo per il fatto che altrimenti il silenzio imbarazzante sarebbe diventato addirittura opprimente.
Qualcuno doveva dire qualcosa, perciò lui parlò, seppur balbettando leggermente: “Se proprio non vuoi…d’accordo, allora non ti obbligherò, ma… sa - sappi che se ne avrai bisogno…sia di questa che…che…di me, io… ecco… io…ci sarò.”
Non riuscii a capire il perché, ma di fronte a parole così sincere e gentili, scoppiai a piangere, cadendo in ginocchio, come da bambina, quando ripensavo a mio padre, che ci aveva abbandonate in modo così vile.
Come avevo previsto, pur non volendo, lo sconvolsi. Aveva fatto fatica a dire tutto ciò, e ora si trovava di fronte una in lacrime, che tremava come una foglia, scossa dai singhiozzi.
Avevo pianto tanto dopo la morte di Glanden, ma mai avevo versato tante lacrime per altri che non fosse lui.
Mi scioccai da sola, dovevo ammetterlo. Però, dopo qualche minuto, mi sentii meglio. Forse perché avvertii un braccio dello Hobbit, avvicinatosi timidamente, sulle mie spalle. Sollevai il capo per fissarlo attraverso il velo tremulo e trasparente che mi rivestiva gli occhi. Quando si accorse del gesto improvviso arrossì violentemente, ma non mi lasciò. Allora arrossii anche io.  Era in piedi, per via della bassa statura che caratterizzava la sua razza.
Chinai il capo, e lo posai sul suo ventre, facendolo avvampare maggiormente.
Sembrava che lo facessi apposta, poteva essere una sorta di dolce tortura.
Si scostò, infine, perché non poteva più sopportare il contatto con il mio capo. Lo fissai ancora. Non riuscivo a capire da dove mi provenisse tanta insolenza e coraggio.
“Ehm…scusa…credo che ormai si stiano preoccupando, e…io vado…” mormorò infine. Gli sorrisi. Il perché mi era sconosciuto, incomprensibile. Mi sembrava di essere avvolta in una nube, senza essere cosciente delle mie azioni avventate.
Arrossì ancora, si voltò, ma io non lo fermai. Lo guardai allontanarsi con lo stesso sorriso sulle labbra…avevo trovato un amico. (o qualcos’altro???)

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“Krayel! Ehi! Vuoi stare lì imbambolata ancora un po’?” mi voltai. Di nuovo. Sempre lei. “Ciao Lyuen…” mormorai scocciata. Stavo così bene. Senza pensieri che mi vagassero per la testa. Immersa solo in un tranquillo laghetto di emozioni…senza provare dolore. Per una volta sola, dopo tanti e tanti anni.
“Allora?! Come va?”  “Tutto bene…almeno finché ero sola.” “Ah sì?! E perché sei rimasta tanto con Frodo, se volevi stare sola?” “Ma cosa sei? La mia spia privata?”
“Esatto! E poi non è vero che ti sto sempre attaccata, è solo che tu scompari sempre e mi fai preoccupare!” “E da quando ti preoccupi per me, povera piccola elfa incompresa?!” “Sei cattiva, ecco! Se io fossi Mirtale non mi tratteresti così, feccia insensibile!” rimasi basita. Solo gli umani mi chiamavano ‘ feccia’, a causa della mia razza. Ma…ma loro non avevano mai rivangato nel mio passato con durezza tale.
Una lacrima improvvisa mi scivolò lungo la guancia. Ero furente. E volevo dirglielo, ma non avevo più voce per manifestare la mia ira, perché ero bloccata. Davanti a me si erano formate le immagini del mio passato, quelle che avevo cercato di celare con cura e di cancellare al tempo stesso nella mia mente. Mi morsi il labbro. Eppure Lyuen sapeva che in quel periodo ero MOLTO sensibile. Dovevo avere lo sguardo stravolto, perché vidi l’elfa che cercava una soluzione per riscuotermi. “Che cosa ti succede?”.
Poi capì. E si pentì in fretta. Ma era troppo tardi.
“Per i Valaar! Non dirmi che è perché ti ho detto ‘feccia’! dimmi che non è per un motivo così stupido!” esclamò all’improvviso. Mormorai: “E’ per quello…perché ti stupisci? Essendo una ‘feccia’ sono matta, no!?” “Oh no, no! Non volevo offenderti! Era solo per…” “Per sfottermi? Ci sei riuscita alla perfezione! Complimenti!” urlai all’improvviso. La sensazione di pace e serenità di poco prima svanì come fumo, e fu sostituita da un furore immenso. “Ma…per una ragione del genere…andiamo, è una cosa senza importanza!” gridò di rimando lei. Ma non poteva capire.




§ § §




No…non poteva capire il disgusto che leggevo sui visi degli uomini, quando mi guardavano. Facevano battute volgari, mi insultavano. A volte mi picchiavano.  
I ricordi mi investirono con violenza assurda. Ma lui mi era accanto. Sempre e comunque. E mi aveva promesso di esserci sempre. Ma mi aveva mentito. Perché te ne eri andato? Perché mi avevi lasciata sola? Mi aveva lasciata per difendere i suoi cari, e per difendere ME. Perché ero tanto arrabbiata con lui? Dovevo prendermela con gli orchi che lo avevano ucciso, non con lui. Era una cosa ingiusta, ma non potevo fare a meno di essere in collera con lui per avermi abbandonata al mio destino.
Però così facendo mi aveva salvata da morte sicura. La morte del mio corpo.
Allo stesso tempo però aveva fatto morire il mio spirito… e uno spirito senza corpo non può vivere in pace. O almeno, io non ci riuscivo.
Ricordavo… fiamme… morte…grida…risate…e il nulla. Il silenzio mi aveva avvolta con la sua coltre ingannevole, quasi a dire: “va tutto bene…tu non senti, ma non succede niente…”. Odiavo il silenzio come gli orchi, perché era stato loro alleato nel portarmelo via. Tutti quegli Elfi massacrati… io potevo vedere cosa avveniva da lontano, ma non potei mai recarmi sul campo di battaglia per accertarmi di sbagliare. Perché non lo feci? Per paura? Allora odio anche la paura!!! Perché anch’essa ti ha portato via da me!!! Torna…



§ § §



“TORNA!!!” lo gridai, facendo sobbalzare Lyuen. 
Mi accorsi solo allora di piangere a dirotto. Le lacrime calde irrigavano la terra come il sangue in quel maledetto giorno…sangue, sangue e ancora…sangue, lacrime e dolore.
Lasciai cadere le braccia a terra, mentre chinavo il capo, e le gemme provenienti dai miei occhi si moltiplicavano.
Mi affogavano…in un lago di paura…sofferenza…solitudine.
Ero ancora sola. Sempre più sola. Non mi ero mai sentita così male in tutta la mia vita, tranne forse dopo il massacro. Avrei voluto vedere almeno il suo viso insanguinato prima di partire. Avrei voluto vedere il suo sguardo fiero, mentre lo stringevo a me e cercavo di curarlo…
Avrei voluto. Ma non avevo potuto. Perché?
“PERCHE’?! Sei scivolato via da me senza salutarmi…”
Lyuen sobbalzò nuovamente. Poi mi abbracciò. Il motivo non lo capii. Ma la stretta fra le sue braccia mi riscaldò il cuore, almeno per un minuto. E tutto tornò bello e luminoso come era un tempo, quando ero con lui.
Ma quando mi lasciò caddi nuovamente nell’ombra, che mi avvolse senza pietà, senza darmi il tempo per fuggire… intrappolandomi in oscure spire di morte… ma almeno ti avrei raggiunto. Morendo anch’io sarei lì con te. Due anime libere che si rincorrono per i prati e il bosco…tutto tornerebbe come prima… se solo tu fossi qui… con me.
(Mi sono accorta che assomiglio veramente ad Anna dai capelli rossi…col colore di chioma ci siamo…)
“Ehi! Riprenditi! Non puoi rimanere tutto il giorno lì accucciata a piangere sul tuo passato, perché ormai è stato, e non si può cambiare. Lo sai anche tu…”
la fissai. Com’era possibile che una ragazzina riuscisse a capire come diavolo mi sentivo? E fosse saggia quasi quanto Mirtale?
Sorrisi: “Grazie… sei cresciuta, Lyuen. Io invece sono rimasta una bambina…”
“No… tu sei come una sorella maggiore… sei umana, perciò hai il diritto di essere debole, a volte…”




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“Buongiorno, Aragorn…” esclamò Legolas, sedutosi al capezzale del ramingo, che fissava il cielo con sguardo vuoto.
“oh, Legolas…” mormorò l’umano, rivolgendogli un sorriso sognante e sereno. “Cosa ti rende così?” chiese l’Elfo. “così come?” “hai una faccia da ebete e stai fissando il cielo. Solo i primi giorni del nostro (Viggo) viaggio ti vidi in questo stato. Pensavi ad Arwen. E poi… sei ancora tra le coperte, per i Valaar!! Dove è finito il re di Gondor che eri? Ti svegliavi prima di tutti, preparavi piani per le battaglie… dove sei, Aragorn?” “in un sogno”, sospirò egli.
“spero che sia bello e che duri il più a lungo possibile.” “ho paura che possa finire presto. La guerra incombe, Legolas. E io compirò il mio destino. Morirò per il mio paese?” “Non puoi. Tu devi regnare su Gondor. E vivere a Minas Tirith.”
L’uomo sorrise e sedette, specchiandosi nei bei e lucenti occhi blu del compagno.
“Anche questo è un sogno. In cui spero… voglio vincere questa battaglia.” “e la vincerai. Confida nel futuro. Non sempre è crudele e ingiusto.” “in questo momento è molto dolce…” (oh, ma che cariiiiiiiiiiiiiiino!!!!!!!!! ©»__»©). “Ah! Piantala! Mi farai arrossire!” esclamai io, uscendo da dietro un cespuglio. Lo ammisi: avevo origliato tutta la conversazione, insieme a Lyuen. Era incredibilmente facile, con un’Elfa come aiuto.
Ci avvicinammo. Legolas strinse Lyuen tra le braccia, dolcemente ma con fermezza, mentre lei gli tirava un leggero buffetto sulla guancia, (scaraventandolo contro un albero…) dicendo: “E tu? Non sono abbastanza piacevole per essere un sogno?”. L’Elfo arrossì violentemente, ma scosse la testa. “no… tu sei troppo perfetta anche per essere una chimera. Sei impossibile da immaginare. E non puoi essere reale. Cosa sei, mia bella silfide?” lei sorrise e le sue guance si imporporarono. “Bugiardo!” esclamò. Ma si vedeva che era compiaciuta e lusingata. Forse non aveva tutti i torti, il biondo. Lei era veramente bellissima. Anche troppo…
Mi inginocchiai al fianco del Ramingo. “Coraggio, ghiro! In piedi!” e lo presi per un braccio, aiutata dagli altri due, cercando di farlo alzare, mentre lui rideva.
“Siete tre pazzi! Ora vengo!” mormorò fra le risa, liberandosi dalla nostra stretta e alzandosi. Solo allora mi accorsi che si era tolto la casacca per dormire, e si notavano perfettamente gli addominali scolpiti. ( #»»#) Lyuen lo fissò a lungo, finché non le tirai una gomitata al fianco, guardandola a metà fra l’arrabbiato e il divertito, mentre il ramingo si infilava i vestiti e Legolas brontolava al suo fianco, sommessamente e in elfico, su come l’uomo tentasse di rubargli l’Elfa, mentre l’altro sghignazzava, assentendo alle accuse dell’amico, per farlo infuriare. 
“Basta! Gli farai venire un infarto!” esclamai ad un tratto, abbracciando Aragorn da dietro e sfiorando il ciondolo. Elessar… quella collana gli era stata donata da Arwen… e lui non l’aveva mai tolta, durante tutto il viaggio. Forse perché non aveva nulla di mio, tranne il mio profondo affetto, da indossare al suo posto.
Mi ritrassi, come se invece di quella lucente pietra elfica, fossi entrata in contatto con il fuoco stesso.
Però lui se ne accorse. Allora si portò le mani dietro il collo, slacciò il filo delicato ma resistente e afferrò il ciondolo, contemplandolo per un lungo istante, per poi avvolgerlo in uno straccio che si era procurato (eh si? Non si fregano le cose ai barboni!) e nasconderlo in una coperta, che ripose nella sacca da viaggio. ( che mise nel baule, che posò nella cassaforte, che affrancò per spedirla a Timbuktu.)
Poi mi sorrise. Era disposto a rinunciare alla collana elfica… per me? Questa volta lo strinsi con maggiore decisione, affondando il capo nell’incavo del suo collo, ove posai un leggero bacio di ringraziamento e pentimento.
“Hai rinunciato ad un dono tanto importante… perché?” sussurrai nel suo orecchio, debolmente e dolcemente. (in realtà urlai e gli bucai un timpano…) Annuì, mentre un nuovo bacio si depositava, leggero come una piuma, sulla sua guancia, per poi salire alla fronte, in punta di piedi, e scendere alle labbra, ove rimase più a lungo.
All’improvviso mi ricordai dei due Elfi, che ci fissavano con sguardo malizioso.
Arrossii e sentii un formicolio in tutto il corpo. Mi stavo trasformando. Ancora.
Ma la mia mutazione fu molto breve, perché la combattei con tutte le mie forze e la limitai a un solo, brevissimo attimo, che però mi sembrò durare un eternità.
“Volete tornare al campo o rimanere qui ancora a lungo?” chiese all’improvviso Lyuen, con un sorriso cordiale, sincero e sereno. Uno dei pochi veramente carichi di sentimenti positivi che mi donava, da quando eravamo con la Compagnia.
Mentre ci dirigevamo verso l’accampamento, chiesi ancora: “Allora… perché l’hai fatto?” “perché non mi piace vederti infelice. E perché voglio sentire ancora il tuo abbraccio…”


“non c’è altro metodo che dirglielo apertamente... io non saprei proprio che altro fare...” Legolas abbassò il capo, cercando una nuova soluzione, invano probabilmente.
Mi sentivo così colpevole per ciò che stavo causando... avrei preferito di lunga non incontrarlo mai per lasciarlo ad Arwen... anche se averlo accanto mi aveva risollevato dal mio abisso, questo riuscivo ad ammetterlo ancora a me stessa...
“Forse ci sarebbe un modo...” in tre guardammo Lyuen come l’unica ancora di salvezza. Lei sussultò a vedere i nostri occhi sgranati.
“Beh, potremmo trovarle qualcun altro... però solo quando tutto questo sarà finito per sempre, ovvio. Nulla è più importante della salvezza della nostra Terra, almeno, non per me... no, Legolas, non guardarmi così, certo che ti amo... è per questo che tengo alla mia patria... perchè è qui che voglio vivere per sempre al tuo fianco...e in pace.”
L’Elfo sorrise, perchè poteva aggrapparsi ad una piccola certezza in quel futuro che certezze non forniva...
“Credi di poterlo fare Aragorn?” l’umano si riscosse dal pozzo oscuro nel quale il dubbio lo aveva fatto precipitare.
“Immagino... di sì.” Non potevo assistere a tutto ciò. Perciò balzai in piedi, attirando l’attenzione, e dissi: “nessuno più di me ha la colpa della tristezza e della futura disillusione di Arwen... glielo dirò io... perchè mi sento responsabile di tutto e perchè so cosa significa perdere la persona che hai di più cara al mondo.”
Forse era stata una proposta avventata, come mi fece notare Aragorn praticamente subito dopo, ma sapevo che quel peso sarebbe toccato a me e non volevo che fossero altri a prendersi la responsabilità...
Quando mi risedetti, il futuro sovrano di Gondor mi sussurrò nell’orecchio un debole ringraziamento, che però fece scaturire in me una profonda gioia.
Gli Elfi si alzarono e abbandonarono il focolare accanto al quale ci eravamo riuniti, per dare una mano agli Hobbit e al nano a preparare i bagagli.
Si allonantarono mano nella mano, ma notai che si separarono immediatamente non appena fece la sua comparsa Gimli: ovviamente non avevano voglia di continuare la giornata con un sottofondo di brontolii vari...
“Ma sei proprio sicura di ciò che vuoi fare?” mi chiese tutto d’un tratto Aragorn, facendomi distogliere lo sguardo dai due compagni di viaggio. “Lo sento come se fosse un mio dovere... e non mi dispiace farlo. Io non voglio guadagnarmi la felicità al tuo fianco causando sofferenza in altri.” Lui sorrise e mi abbracciò, stringendomi al petto e quasi soffocandomi: “Affronteremo insieme questa prova.” Mormorò poi, baciandomi i capelli.
Non volevo sembrare uan scansafatiche, perciò, dopo alcuni istanti, mi divincolai e mi alzai in fretta, spolverandomi i pantaloni per cercare di far andare via i fili d’erba che li decoravano.
Quando finalmente ci riuscii e alzai lo sguardo su colui che mi aveva ridonato la felicità, vidi un’espressione delusa sul suo volto.
“Pensavo volessi... rimanere insieme, almeno stamattina, ultimo giorno in cui ne avremo la possibilità, dato che Gimli sembra un’anima in pena che cerca in ogni momento di disturbare.” Sorrise leggermente, senza però che il suo sorriso si estendesse agli occhi, che rimasero tristi.
“Volevo dare una mano... ma...” cercai di trovare una promessa alla quale avrei potuto facilmente tener fede. Infine la trovai. “...Ma stasera, al crepuscolo, mi troverai nella radura. Almeno se vorrai.” Conclusi con un sorriso veloce, poi mi voltai e raggiunsi Lyuen, beccandomi una sgridata da Girmi (ops... scusate, ma c’ho fatto l’abitudine...), che accolsi con una sonora risata. Questo mio scoppio di ilarità, però, lo fece infuriare maggiormente, e il nano se ne andò brontolando come suo solito dell’impudenza di certa gente.
Lanciai uno sguardo complice alla mia compagna di viaggio, che ricambiò. Infine, insieme, ci mettemmo a cancellare ogni traccia della nostra presenza e raccogliemmo tutti i bagagli che gli altri, impazienti di affilare le lame e/o preparare le scorte, si erano dimenticati.
Questo scatenò in noi un profondo disappunto, perchè ormai non ci consideravamo più schiave nè prigioniere della compagnia, ma membri stessi di questa, tuttavia non ci lamentammo e rispondemmo con sorrisi gioviali a chiunque si avvicinasse.
Tra questi, vi fu anche Frodo, che ci passò vicino mentre ci accingevamo a legare il tutto con alcune fronde flessibili per essere più trasportabile. Mi lanciò un’occhiata in tralice e molto fugace. Poi avvampò violentemente e accelerò il passo.
Non seppi spiegarmi il perchè, ma anch’io arrossii e abbassai lo sguardo davanti al suo.
Lyuen mi fissò per un attimo, poi le comparve un sorriso malizioso sulle labbra, ma non pronunciò parola per tutto il resto del giorno. Allora iniziai a contare gli attimi che mi separavano dal crepuscolo, e, man mano che il cielo diventava roseo e lentamente rossastro, i battiti dle mio cuore acceleravano percettibilmente, tanto che pensai mi sarebbe scoppiato.
Finalmente il tramonto giunse. Lento, ma inesorabile. Finalmente!!! Salutai brevemente Lyuen, nascondendo l’emozione che mi si agitava in fondo al cuore.
Raggiunsi di corsa la radura, perchè l’impazienza mi consumava.
Non era ancora arrivato. Molto bene. Potevo fargli ancora la sorpresa che avevo preparato nel pomeriggio...
Ogni istante che potevo passare in sua compagnia mi donava una gioia infinita, incontenibile... non riuscivo neppure a descriverla tale era la sua intensità...
Agitai brevemente le mani e, lentamente venni circondata da miriadi di gocce, tutte con le sfumature d’arcobaleno. Concentrai le mie emozioni. Infine, dopo un profondo sospiro, completai la mutazione.
Ottenni ciò che speravo: una luce intensa, e un’illusione. Dietro di me, la cascata, prorompente, distruttrice. Davanti, ai miei piedi, un placido ruscelletto che poi si alzava ad arco, fino a circondarmi interamente.
I capelli biondi ondeggiavano, mentre schizzi di spuma vi si impigliavano.
Fu l’unica volta in cui fui felice di poter covare in me due razze completamente differenti l’una dall’altra, in cui non mi disperai per il mio sangue...
Poi, arrivò. A passo sostenuto, ma con flemma. Contro il rosso – violaceo del cielo, la sua figura era più maestosa del solito, e brillava di una bellezza austera... almeno finchè non mi vide. Il suo viso diventò quasi comico. Spalancò la bocca e sgranò gli occhi, e poco mancò che non scoppiassi a ridere. Mi limitai a un sorriso imbarazzato, avvicinandomi a pochi centimetri dal suolo.
Quando fui a pochi passi da lui, piroettai intorno al suo corpo, mentre cercava di seguirmi con lo sguardo.
All’improvviso, si mosse. Troppo rapido per essere visto, mi afferrò il braccio e mi fermò.
Infine mi strinse a sè, posando le sue labbra sulle mie. Io però, mi sottrassi. Volevo giocare, e non avevo intenzione di cedere così facilmente. Infatti mi allontanai velocemente, arrivando ai limiti della radura e appoggiandomi a un tronco. Gli feci un cenno con la mano. Stupito, mi raggiunse.
Sorrisi. Ma con malizia. Fu allora, probabilmente, che capì quali erano le mie intenzioni. Perciò, finimmo per rincorrerci lungo i confini del prato (ma il sorriso che mi fai... sta azzerando tutti i dubbi miei... ecco qua quello che c’è... sai con me... Sto. Con. Te...). rallentai. Ero stanca di giocare. Fu allora che mi prees per il polso, si buttò a terra e mi tirò a sè.
Non opposi resistenza. Il mio corpo non rispondeva ai miei comandi.
Mi baciò. A lungo. Intensamente. Fu veramente bello, forse la cosa più bella che avevamo fatto insieme. O almeno così credevo.
Era piacevole rimanere sdraiata sul suo corpo, con le sue braccia lungo i fianchi, e le sue labbra sulle mie. Almeno finchè non giunsero al collo, e poi alla spalla... tornando infine, percorrendo il sentiero al contrario, alla bocca.
Mi abbandonai a quell’istante, gustandolo in tutta la sua pienezza. Non avvertii nemmeno il bruciore sulle guance. Non mi vergognai di nulla, per una volta in tutta la mia vita.
Infine, mi spostai, rimanendo sull’erba fresca, con la mano intrecciata alla sua, guardando la vastità del cielo e pensando che, forse, Glanden era una di quelle stelle che brillavano sopra di noi... questo pensiero mi fece rabbrividire. Stavo sbagliando tutto. Infangavo la sua memoria. Lo stavo tradendo!!
Mi scostai velocemente, mettendomi a sedere.
Aragorn mi imitò e mi cinse le spalle con un braccio, non capendo ciò che mi turbava.

Per questo glielo spiegai, dopo essermi tolta di dosso il braccio, il cui contatto mi terrorizzava, mentre poco prima mi faceva stare tanto bene. “Quelle stelle, Aragorn. No, non posso. Non posso rimanere accanto a te, quando lui si è sacrificato per... perchè io... avessi...” mi interruppi. I singhiozzi mi chiudevano la gola. Ricacciai indietro le lacrime.
Evidentemente Lyuen si era preoccupata di spiegargli tutto. Altrimenti non avrebbe detto: “Se tu non vuoi... il contatto, il mio amore, non è un problema. Posso capire come una persona possa segnare profondamente il tuo spirito. Non ti devi preoccupare. Scusa pensavo avessi deciso di guardare al futuro, senza essere oppressa dal passato, ma... ovviamente mi sbagliavo. Bene,” si alzò, dopo avermi guardata a lungo negli occhi, “...Se è questo che vuoi... io non ti obbligherò a fare nulla. Dimentica tutto ciò che vuoi. D’ora in poi...” non terminò la frase, si voltò e fece qualche passo.
Se ne sarebbe andato, per non tornare più indietro.
E avrei perso anche lui, oltre al mio Elfo. E cosa avrei guadagnato? Dolore. Pentimento.
Per questo decisi di seguire il consiglio di Mirtale.
“Dimentica il passato... vivi il presente, cerca di costruire e di cambiare il futuro” (più o meno è così...)
“Aragorn. Aspetta.” Pensai di doverlo fermare, invece tornò sui suoi passi e si sedette nuovamente al mio fianco, aspettando.
“ Ascoltami.” Era inutile dirglielo. Sapevo che avrebbe ascoltato tutto quello che volevo dirgli, qualsiasi cosa.
Presi fiato. Avevo bisogno di molto coraggio.
“Non voglio perderti. So che i morti non possono tornare indietro. So che non tornerà. E so anche che ti amo... e che... non voglio... io... non voglio commettere di nuovo lo stesso errore. Non voglio essere sola. Non di nuovo. Perciò, se tu vorrai, io sarò sempre al tuo fianco, qualsiasi cosa succederà. Te lo prometto” quindi, presi una sua mano e me la misi sul petto, dal lato del cuore. Era un gesto simbolico, e, come speravo, lui lo capì.
Il suo viso si aprì in un sorriso dolce e malinconico. Pronunciò solo una parola: un sì talmente impercettibile, da essere appena udibile.
Poi, in silenzio, lasciando che la natura e la bellezza di quel luogo suggellassero la nostra promessa, mi baciò.
Nessun rumore ne seguì.
Solo il battito dei nostri cuori uniti nell’eterno.


The end
   
 
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