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Autore: candycotton    17/11/2012    0 recensioni
Anno 2181. Hestla.
Lo scienziato Sycor ha iniziato, più di 50 anni fa, il suo piano malato di trasformare l’imperfetta popolazione di esseri umani uccidendoli e donando loro una seconda vita, grazie all’impianto di fili metallici e organi sostitutivi, creando così una nuova razza, i Sostituti.
Rigel e Bion. Due ragazzi alla ricerca di vendetta, in un mondo che sembra aver tolto loro ogni cosa.
Ma niente è quello che sembra su Hestla, ed è fondamentale saper riconoscere gli Umani dai Sostituti, la verità dalle bugie, il tradimento dalla fiducia, il bene dal male.
In un vortice di equivoci, doppiogiochisti, imbrogli e verità, i due ragazzi riusciranno a raggiungere la meritata rivincita su quel mondo spietato? E gli esseri umani, saranno disposti a lasciarsi trasformare? Saranno disposti a morire per vivere una vita all’apparenza migliore?
Un mondo sull'orlo della guerra. Un'intera popolazione perseguitata e sottomessa. Un ragazzo e una ragazza pronti a combattere con un destino ignoto che li attende..
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia del viaggiatore

 

seconda parte







Rigel era ormai sveglio da un po’, ma non era ancora riuscito a trovare la forza di alzarsi. Ricordava il volto di Bion, e una figura in ombra dietro di lei che non conosceva. Era stato probabilmente quando erano venuti a trovarlo. Ma tutto era così sfocato e distante…

Al risveglio si era tastato il viso, lo sentiva compresso e impossibilitato a muoversi. Doveva essere fasciato, ma non provava più tanto dolore.

Poi, improvvisa e inaspettata gli cadde addosso tutta la consapevolezza di ciò che era successo. L’Hydran che crollava, il fuoco, le sentinelle armate che correvano verso di loro e Freya, la bellissima lince rossa, la sua compagna di vita. Freya, che mai sarebbe tornata. Il bruciore agli occhi lo assalì e senza rendersene conto piangeva. Aprì le labbra dalla piccola fessura tra le bende e lasciò uscire rantoli e gemiti che non riconosceva come propri.

Era ancora intontito dagli anestetici ed era come assistere al pianto di qualcun altro, come se i sentimenti così dirompenti che provava, pari a fuoco ardente dentro di sé, non trovassero la possibilità di manifestarsi con altrettanto dolore attraverso il suo corpo. Si sentiva estraniato e confuso. Ma nella sua mente aleggiava sempre quell’immagine, a ripetizione continua. Freya che correva, Freya che veniva colpita, Freya accasciata al suolo…

Cercò di strapparsi le bende che lo soffocavano, e le lasciò cadere a terra. Nascose il viso tra le mani, e sentì il rilievo delle ferite cicatrizzate sotto le dita.

I singhiozzi lo divorarono, le lacrime gli purificarono il volto. Non avrebbe più sentito quel dolce suono delle fuse di Freya che tanto l’aveva rassicurato nelle notti solitarie nella foresta.

Sembrava essere passata una vita.

Si alzò dal letto, la testa gli girò ma riuscì a raggiungere la porta della stanza semibuia e uscì nella luce del corridoio che gli diede un forte fastidio agli occhi. Brancolò, appoggiandosi alla parete, e arrivò ad un altro corridoio. Lo imboccò; il silenzio e la tranquillità regnavano sovrani in quel posto. Poi udì delle voci, e riconobbe quella di una ragazza. Individuò la porta e fece per aprirla, ma poi decise di socchiuderla solo lievemente, senza fare rumore. Si avvicinò allo stipite e restò in ascolto.

E così Bion stava parlando di sé con quel ragazzo che lui ricordava sfocatamente. Si fece più attento, perché sentì pronunciare il suo nome. Stava parlando di lui. Proprio così, non si era sbagliato, aveva sentito pronunciarle ‘Rigel’.

Ma quello che seguì lo lasciò senza fiato. Rimase immobile, fissando lo stipite della porta e perdendosi nelle sfumature del legno. Non poteva essere vero, eppure aveva sentito perfettamente. Almeno che non fosse ancora sotto sedativi, ma non gli sembrava. L’effetto era svanito, e comunque il suo udito funzionava benissimo.

E dunque eccola la verità, dopo tante volte che si era chiesto se fidarsi o meno di Bion. Niente era stato un caso nella loro storia. Non era apparsa dal nulla quella notte salvandolo da sé stesso. Era stata un’apparizione programmata e voluta. Lei l’aveva voluto. Lui le serviva. Per salvare sua sorella.

Rigel ci pensò. Se i ruoli fossero stati invertiti, non avrebbe forse fatto la stessa cosa? Tutto pur di salvare una persona amata, un familiare. Eppure ancora faticava a realizzare la verità. Che tutto era stato solo un enorme balla architettata.

E si chiese per quale motivo tutto ciò lo sconvolgesse tanto. In fondo, sapeva dentro di sé che non poteva essere altrimenti. Immaginava già che Bion avesse altri scopi, che facesse il doppio gioco. Ma aveva forse sperato, negli ultimi giorni, che non fosse vero? Che fossero dalla stessa parte, che potessero arrivare alla fine insieme, da alleati e non da rivali?

Sì, probabilmente se l’era figurata così la storia. Con un lieto fine. Ma doveva sapere che il lieto fine succede solo nelle favole.

Si allontanò dalla porta, lasciandola socchiusa e continuò a camminare lungo il corridoio. C’era una cosa che voleva fare, si era alzato per quello. Non sapeva quanto tempo era passato e dov’era ora, ma doveva trovare il cadavere di Freya e darle una degna sepoltura.

Proseguì lungo il corridoio con la voce soffusa di Bion che ripeteva nella sua testa le cose appena sentite. E in qualche modo ancora non voleva crederci. Non voleva che fossero vere. Raggiunse una porta diversa dalle altre, per certi versi simile al portellone dell’Hydran. Tirò con forza la maniglia e la fece scivolare di lato, rivelando un prato dall’erba piuttosto alta e una luce assordante.

Rigel si portò un palmo alla fronte, per proteggersi gli occhi dai raggi accecanti del sole. Scese una scaletta di acciaio e si chiese dove diavolo fosse finito. Poi qualcosa nella sua mente riaffiorò come un ricordo lontano.

Benvenuti a bordo di Chérie, la mia astronave”.

Era la voce di quel ragazzo che associava ad una figura scura sullo sfondo della sua memoria. Quindi quella era un’astronave. Ecco perché assomigliava in qualcosa all’Hydran.

Rigel marciò sotto il forte sole estivo che gli bruciò la pelle. Non gli importava più di nulla, davvero.

Era come se una forza invisibile lo guidasse verso il bosco, verso l’erba sempre più incolta. E lui non resistette a quella chiamata. Attraversò la foresta, gli alti alberi che regalavano un sospiro di sollievo dalla calura estiva.

Non seppe calcolare per quanto camminò, dovevano essere più di due ore, ma gli parvero solo pochi minuti, con lo scopo stampato a fuoco nella sua mente.

Quando finalmente giunse al limitare della foresta, una radura arida con qualche ciuffo d’erba sparso qua e là si stagliò davanti a lui. E improvvisamente ogni ricordo si fece più vivido, più vero. Ora li vedeva come se stesse guardando un film, facendogli ricordare tutto così bene, che quasi riuscì a percepire il dolore di quegli istanti ancora ardere sulla sua pelle. Notò pezzi dell’Hydran abbrustoliti e accartocciati non molto distanti da lui.

Mosse qualche passo in quella direzione, si accovacciò. E mentre rialzava lo sguardo con un misto di tristezza e malinconia, lo vide. Ebbe un tuffo al cuore.

Il cadavere di Freya era proprio là, il rosso fulvo della sua pelliccia in netto contrasto con l’ocra quasi bianco della sabbia fine.

Camminò in quella direzione, e presto si scoprì correre. A pochi passi rallentò, si accasciò al suolo e non potè fermare le lacrime alla vista del muso del felino. Gli occhi chiusi, la pancia immobile, non più smossa dalle tenere fusa. Le orecchie lunghe e vellutate paralizzate in quella posizione di eterna insensibilità.

Rigel singhiozzò e gli parve di avere ancora quindici anni e di trovarsi solo in mezzo al bosco, raffreddato e spaventato. E tutte le altre volte succedute a quella. Ma poi un giorno era arrivata Freya, e nonostante la paura iniziale, non si era rivelata aggressiva. Avevano immediatamente stretto una forte amicizia. Non avrebbe potuto chiedere un modo migliore di essere salvato dalla sua solitudine.

E ora, tutto si era spezzato, aveva perso Freya, e con lei ogni cosa.

Fintanto lei fosse stata in vita, cosa avrebbe potuto spaventarlo? Nulla, perché erano in due. Ma adesso gli sembrava di avere di nuovo quindici anni, di essere stato abbandonato in mezzo alla foresta, ma questa volta non aveva più voglia di reagire. Non aveva voglia di ricominciare tutto daccapo.

Guardò un’altra volta il musetto rilassato della lince. Si asciugò gli occhi con le dita, ma il volto rimase rigato dalle lacrime, che non accennavano a diminuire. Raccolse il corpicino di Freya, e lo spostò da lì. Lo portò al limitare della foresta e lo appoggiò da una parte.

Poi iniziò a scavare una buca nella sabbia, raschiandola con le mani. Fece fatica, perché ogni volta che spingeva un mucchio indietro, quello tornava giù. E così dovette ripetere il gesto molte volte, finché non ebbe creato una fossa abbastanza grande.

Era sudato fradicio e sporco di sabbia ed erba. Si pulì le mani sui pantaloni e prese in braccio il corpo di Freya, posandolo delicatamente nella fossa.

Si portò due dita alle labbra e le trasferì il bacio sul muso. “Grazie per avermi salvato così tante volte. Sei stata coraggiosa a scegliere uno come me. Non ti dimenticherò mai. Spero che ora tu sia felice. Addio, piccola”.

Si costrinse a richiudere la buca, ma non fu facile. Ad ogni mucchio di sabbia, il corpo di Freya scompariva sempre più alla sua vista.

Alla fine, la terra era tornata compatta sotto il suo tocco. E lui si sentiva incredibilmente solo. Il silenzio era infinito tutt’attorno e sembrava che ogni rumore più insignificante balzasse fuori dall’anonimità con tutta la forza della natura.

Rigel alzò gli occhi al cielo, e li chiuse, lasciando che la brezza leggera, alzata dalle fronde degli alberi, gli rinfrescasse il volto e gli asciugasse il sudore.

Rigel!”

Quel momento fu distrutto. Ogni cosa bella andò in frantumi quando udì quella voce gridare il suo nome. Abbassò il capo.

Due gambe lunghe fasciate da scuri scarponcini entrarono nel suo campo visivo. Bion si accovacciò e i loro sguardi si incrociarono. “L’hai fatto?”

Rigel non perse neanche tempo a chiedersi come l’avesse capito. Forse aveva visto le lacrime sul suo volto e le mani ancora aggrappate agli ultimi rimasugli di sabbia. O forse aveva seguito l’intera sepoltura e aveva preferito aspettare piuttosto che interromperlo.

Annuì.

Oh, mi dispiace tanto”.

Rigel la odiò intensamente in quel momento. Dopo tutto quello che aveva fatto, sapeva ancora essere maledettamente sincera. Piantò lo sguardo in quello verde di lei e la fissò a lungo.

È un po’ di tempo che non parliamo, ti va?” Bion allungò una mano verso di lui e l’aiutò ad alzarsi.

Ma Rigel ce la faceva anche da solo, restò distante.

Kalb è rimasto indietro, ma ci aspetta a qualche chilometro. Così troveremo più facilmente la strada”.

Kalb… è così che si chiama?”

Esattamente”.

Rigel la fissò. “È stato lui a salvarci la vita?”

Bion annuì. “Io non ci credo che siamo ancora qui. Ci ha fatto un gran favore, e dovresti ringraziarlo come minimo”.

Lo farò”.

Silenzio.

Quanto tempo è passato?”

Due giorni, ma le ferite sono guarite in fretta. Kalb mi stava proprio raccontando della miriade di piante medicinali che…”

Avete avuto molto tempo per raccontarvi”.

Bion corrugò le sopracciglia. Rigel serrò la mascella, sentì lo sguardo stancarsi di fissarla e farsi d’istinto severo e malinconico. Ingoiò una saliva amara.

Questo cosa vorrebbe dire?”

Se non lo capisci da sola, non sarò certo io a spiegartelo”.

Molto divertente. Adesso ti ci metti anche tu a parlare per indovinelli?”

Lascia perdere”.

Rigel prese a camminare verso la selva. Sentì Bion corrergli dietro e prendere il ritmo del suo passo. Per qualche ragione non riusciva ad essere veramente arrabbiato con lei. Almeno, credeva di non esserlo. Perché mentre gli camminava accanto, la sua presenza lo sollevava invece che farlo infuriare. Lo compiaceva, invece di irritarlo. E quasi si sentì per un istante spensierato, solo con Bion sotto la frescura degli alberi, chiacchierando sommessamente come se nulla fosse successo.

Come se Freya non fosse morta, come se lui non avesse scoperto tutta la verità sui piani di lei. E così tornò a pensarci, la guardò e piombò su di lui la consapevolezza che non le importava un accidenti di lui. Che era sbagliato sentirsi bene in sua compagnia. Che lei era il nemico, che doveva allontanarla.

Il suo sguardo non fece in tempo ad intristirsi, che Bion gli sorrise e sfiorò il suo palmo.

Seppur consapevole di quanto i suoi sentimenti fossero contraddittori, la mano di Bion, calda nella sua, era come un ancora di salvezza nel lago gelido dei suoi pensieri.


  
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