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Autore: Echelon90    17/11/2012    0 recensioni
Dal Prologo:
Lo aveva sorpreso quel messaggio. Lui e Kurt non si erano mai scritti, telefonati o incontrati se non per caso, o per poterlo infastidire un po’ alla caffetteria. Non era da Hummel. Ma quello che aveva davanti non sembrava neppure lui.
-Stasera al McKinley. Kurt-
Poche parole. Non aveva risposto, ma non aveva pensato per un solo istante di non presentarsi. Forse per curiosità… non lo sapeva. Sapeva solo che ora era lì, nel parcheggio coperto di neve del McKinley, con Kurt Hummel di fronte a sé, e si sentiva come un topo in trappola mentre si avvicinava sempre di più, ma non riusciva a muoversi.
No… non da lui… Era qualcos’altro…
Dal Cap. 3:
Lentamente avvicinò il volto al suo per poter sentire se respirava. Quando gli fu a pochi centimetro gli occhi chiari del ragazzo addormentato si aprirono di scatto e le sue labbra premettero su quelle di Brody. Il moro non si scostò subito, preso alla sprovvista, ma poi si sollevò e si portò una mano alle labbra come per pulirsi.
“Credevo fosse il principe a baciare Biancaneve e non viceversa!”
...
“Chi ti dice che io sia Biancaneve!”
Genere: Angst, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sebastian Smythe, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 3: Between life and death

 

 

Andava troppo forte. Se ne rendeva conto da solo. Ma non riusciva a pensare razionalmente. Era scappato via dai suoi amici sopraffatto da tutto quel carico emotivo che lo stava stordendo. Si sentiva spaventato, agitato… e quella sete… aveva una sete assurda. Si rese conto di star piangendo quando le lacrime cominciarono ad offuscargli la vista.

Si costrinse allora ad accostare sul ciglio della strada per cercare di calmarsi. Scese dal suv posandosi poi alla portiera con la schiena e respirò a fondo asciugandosi le lacrime con rabbia.

Thad era suo amico… perché lo aveva guardato in quel modo? Quasi fosse un criminale. Si morse l’interno della guancia e chiuse gli occhi prendendo grossi respiri prima di aprire il bagagliaio e recuperare una bottiglia d’acqua. Ne teneva sempre una lì per ogni evenienza. Prese a berne grossi sorsi ma finì la bottiglia senza aver placato la sua sete.

Si lasciò cadere seduto a terra incurante di poter sporcare i suoi vestiti e piegò le ginocchia abbracciandole, stringendosi in un bozzolo protettivo. Doveva pensare. Doveva scoprire cosa stesse succedendo.

Ripercorse gli ultimi ricordi che aveva del 20 Dicembre. Come se non lo avesse fatto fino alla nausea da quando si era ritrovato con gli altri nell’aula di canto del McKinely. Era spaventoso sapere che fossero passate cinque settimane e non sapere cosa avesse fatto o detto. E Rachel era in coma… Rachel…

Sentì le lacrime bruciare nuovamente i suoi occhi e si sentì una persona orribile. Non aveva fatto che pensare a se stesso quando la sua migliore amica era in coma. Si alzò da terra spolverandosi i jeans dalla polvere della strada e salì in macchina mettendo in moto in direzione dell’ospedale.

 

***

 

Brody sembrava il fantasma di se stesso. Pallido e con profonde occhiaie scure, un grosso taglio non ancora del tutto cicatrizzato al sopracciglio e un livido ormai giallognolo sulla tempia destra. Aveva la mano destra fasciata, che teneva posata sul ginocchio. Il piede sinistro continuava a battere a terra con un tic nervoso.

Erano settimane che la sua routine era ormai la stessa. Era tornato a New York giusto il tempo per recuperare il minimo indispensabile, per poi ritornare a Lima. Aveva prenotato una camera in un motel. Quando era arrivato a Lima con Rachel, la ragazza lo aveva ospitato a casa sua e ora non se la sentiva di stare lì anche se i signori Berry, dopo la prima settimana, lo avevano pregato di stare da loro.

Se solo avesse prestato attenzione alla strada. Se avesse anche solo tentato di convincere Rachel a non uscire con quel tempo… Era colpa sua… Rachel era in quel letto per colpa sua.

Strinse forte gli occhi premendo pollice ed indice alla radice e si alzò di scatto dalla sedia sgranchendosi le gambe e le braccia intorpidite per essere rimasto troppo tempo seduto nella stessa posizione. Aveva bisogno di un caffè.

Appena lo pensò ne sentì immediatamente l’odore e alzando gli occhi verso il corridoio vi trovò un ragazzo con una divisa blu e rossa che reggeva in mano due bicchieri di caffè fumante.

“Harwood!” fece Brody con un cenno del capo verso il ragazzo.

“Weston!” ricambiò Thad passando a Brody uno dei due bicchieri per poi sedersi su una sedia.

Brody tentennò qualche minuto prima di risedersi sulla sedia accanto al Warbler. Rimasero in silenzio assaporando il loro caffè. Ognuno immerso nei propri pensieri.

“Sei andato da loro?” disse Brody rompendo per primo il silenzio tra loro.

“Sì” rispose secco Thad bevendo un lungo sorso del suo caffè.

“E…?” tentò di spronarlo a continuare, Brody.

“E’ tutto inutile!” fece Thad senza guardare il ragazzo seduto accanto a lui. “Gli fanno muro attorno.”

Brody sospirò alzandosi di nuovo, e andando a posare la schiena sul muro di fronte a Harwood: “Credo che sia finito il tempo di essere ragionevoli e parlare!”

Thad inarcò un sopracciglio: “E cosa intendi fare?”

Brody scosse la testa come per scacciare un pensiero e fece una smorfia guardando il fondo del bicchiere del suo caffè: “Ho bisogno di un po’ d’aria…” disse buttando il bicchiere in un cestito e incamminandosi verso l’uscita dell’ospedale.

Thad osservò la sua figura sparire oltre due porte antipanico prima di alzarsi e seguirlo, gettando anche il suo bicchiere nel pattume.

 

***

 

Kurt si nascose dentro un ripostiglio al passaggio di Brody e Thad. Aveva assistito incredulo alla loro discussione. Cosa era successo? Perché sembrava che ce l’avessero così palesemente con lui?

Cominciò a tremare per la tensione nervosa… o forse per altro. Si sentì come fremere mentre la sete lo tormentava sempre di più. La sua gola era arsa e le labbra quasi secche al tatto. Doveva bere. Doveva bere subito qualcosa… Una scossa lo percorse dai piedi fino alla testa e tutto divenne buio.

Quello che uscì dal ripostiglio tutti lo avrebbero potuto riconoscere come Kurt Hummel. Molti lo avevano visto lì nelle ultime settimane dopotutto, anche se lui non poteva saperlo. Ma quello che camminava e aveva l’aspetto di Kurt non era Kurt. Era qualcun altro.

L’altro sorrise alla sua immagine riflessa sulla superficie liscia di una finestra e passò avanti fino ad una stanza. Aprì la porta e inspirò a fondo. Molti avrebbero sentito solo l’odore di disinfettante e di chiuso tipico degli ospedali. Lui sentiva altro. Quella che inspirava era un’appetitosa fragranza che ancor più alimentava la sua sete.

Entrò nella stanza osservando la figura distesa sul letto. Addormentata e con l’aria sofferente, attaccata a diversi macchinari, stava Rachel Berry. La macchina che rilevava i battiti del suo cuore emetteva un lento bip continuo e monotono e il suo petto si sollevava appena percettibilmente al ritmo del suo respiro.

L’altro si avvicinò chinandosi sui talloni e portando il volto alla stessa altezza di quello della ragazza. Inclinò il capo e respirò a pieni polmoni. Sollevò lenta una mano e le posò un dito sul collo percorrendo lento la giugulare che pulsava lenta.

Lo sentì appena, ma non ebbe il tempo di reagire prima che una freccia colpisse di striscio la sua mano andandosi a conficcare sulla parete di fronte a sé. Si alzò di scatto voltandosi verso la finestra. Non vi era che un piccolo spiraglio a far entrare l’aria dall’esterno. Chiunque avesse scoccato quella freccia doveva essere maledettamente bravo. Non capiva da dove fosse arrivata. Fece per avvicinarsi alla finestra cautamente ma una seconda freccia piombò nella stanca. L’altro di scostò appena in tempo e quella si andò a conficcare nell’imbottitura di una sedia vicino al letto di Rachel.

Non rimase a riflettere un secondo di più e uscì di corsa dalla stanza. Doveva scoprire chi era il misterioso arciere. Ma prima doveva bere.

 

***

 

Non erano sicuri che li avrebbero fatti entrare in massa nella camera di ospedale di Rachel ma almeno dovevano tentare. Anche Jake e Marley insistettero per seguirli: anche se non conoscevano bene la cantante quella situazione li sconvolgeva troppo e dovevano sapere.

Contrariamente ad ogni loro aspettativa, le infermiere di turno sembrarono riconoscerli e una di loro si mostrò molto amichevole e li scortò di persona nella stanza della ragazza. Fece un piccolo controllo alle flebo e ai macchinari per poi lasciarli soli con lei, avvertendoli che come sempre sarebbero potuti restare solo pochi minuti.

Nessuno fiatò alla vista della loro amica ridotta in quello stato. Rachel era la rompipalle megalomane che parlava a macchinetta. Puck l’aveva spesso paragonata ad una fastidiosa zanzara che d'estate ti ronza insistente alle orecchie e ti punge a tradimento, ma che non riesci mai ad afferrare.

Era difficile associare Rachel con quella ragazza stesa inerme in un letto d’ospedale.

Finn sentì il respiro mancargli come se qualcuno se lo fosse preso tutto di colpo. Si avvicinò lentamente al letto lasciandosi cadere sulla sedia accanto a lei e posò la sua mano su quella della ragazza. Era calda. C’era ancora vita in lei, ma quando gliela strinse lei non strinse la sua.

“Finn?” si voltò verso Mike.

Il ragazzo osservava la parete davanti a se con sguardo stranito. Finn gli si avvicinò curioso, mentre anche gli altri si avvicinavano per vedere cosa avesse attirato l’attenzione di  Mike in quel momento.

Il ragazzo stava sfiorando una fenditura nell’intonaco della parete e quando scostò le dita erano sporche di polvere bianca: “E recente.”

“E’ allora?” grugnì Puck incurante, alzando le spalle e riportando lo sguardo su Rachel.

Quinn gli si avvicinò impercettibilmente accostando il suo corpo al fianco del ragazzo, trasmettendogli calore. Conosceva Puck meglio di chiunque altro per capire come si sentisse veramente dietro la facciata del ragazzo forte e rude. Puck passò un braccio sul suo fianco attirando di più la bionda a sé.

“C’è ne un’altra qui!” fece Jake indicando una fessura identica a quella del muro sulla sedia lasciata poco prima da Finn.

Vi posò due dita per tastare lo strappo nel tessuto dell’imbottitura e si sentì come se fosse folgorato.

 

Cadde in ginocchio scosso da forti tremiti e tutto si fece offuscato, e i rumori lontani e ovattati. Dove aveva posato le dita c’era una freccia. La osservò incredulo quando una mano l’afferrò tirandola via. Sollevò il volto verso una figura vestita completamente di nero e il cappuccio di una felpa che gli copriva il viso.

Il tizio infilò la freccia in una faretra e ne staccò un’altra dal muro riponendola al sicuro. Nell’altra mano reggeva una balestra. Lo vide soffermarsi alcuni minuti ad osservare Rachel. Poi si voltò di scatto verso la porta e corse verso la finestra che aprì e si buttò di sotto pochi minuti prima che entrassero un ragazzo moro e il tizio che li aveva accusati di coprire Kurt.

Un’altra scossa lo fece tremare violentemente facendolo finire carponi a terra.

 

Tutto si rifece più distinto, di colpo. Si ritrovò circondato dai suoi amici. Marley gli teneva una mano, in apprensione, e Puck sembrava aver provato a scuoterlo, e ora era chino su di lui e gli afferrava le spalle con entrambe le mani.

“Che ti è preso? Stai bene?” quasi gli urlò contro.

“Io… non lo so…” si mise seduto stropicciandogli gli occhi e sbattendo le palpebre un paio di volte. “Credo… di aver visto qualcosa… una visione.”

“Visione?” fece Puck incredulo. “Devi aver battuto la testa!”

Jake gli rivolse un’occhiataccia: “Senti non lo so… ma dopo che Blaine e… C’era un tizio.” Fece indicando la sedia. “Vestito di nero… proprio qui! Aveva una balestra. Ha estratto una freccia dalla sedia e una dal muro.” Indicò la fessura sulla sedia e quella sul muro. “Poi è saltato giù dalla finestra e sono entrati un tizio moro e quello che ha delirato di congiure al McKinley!!!”

“Thad?” fece Blaine inarcando un sopracciglio. “Che ci faceva qui?”

“Che ci faceva un tizio vestito di nero con una balestra!” fece Santana.

“Ma credete alla visione?” chiese Puck incredulo.

“Blaine era invisibile!” fece Artie, ovvio.

Santana sospirò alzando gli occhi al cielo: “Qualsiasi cosa stia succedendo non mi piace! Dobbiamo tenere d’occhio quell’Harwood e soprattutto scoprire cosa cazzo ci è successo in queste cinque settimane!”

 

***

 

Era ormai notte fonda. I fari di una nuova discoteca fuori città lampeggiavano dalle fessure delle persiane di una squallida stanza di un Motel disturbando il sonno di Kurt. Fece una smorfia portandosi una mano al viso, troppo intontito dal sonno per poter ragionare. Si chiedeva solo cosa fosse quella luce.

Sbuffò cercando una posizione più confortevole, che gli schermasse la vista da quella fastidiosa luce lampeggiante nel letto dove dormiva, rendendosi conto solo vagamente che quello non sembrava il suo letto. Era scomodo e le lenzuola odoravano di polvere e naftalina. Si alzò a sedere infastidito, osservando la stanza spoglia e assolutamente sconosciuta.

Fu improvvisamente più sveglio e vigile e assolutamente spaventato. Cercò a tentoni la luce sul comodino e quando l’accese lo sguardo gli cadde sulla mano facendogli sgranare gli occhi. Guardò anche l’altra, orripilato. Erano entrambe coperte di sangue ormai rappreso.

Si alzò di colpo correndo verso quello credeva fosse il bagno, deciso a togliere quel sangue dalla sua pelle candida. Ma quando entrò nel bagno sentì le gambe cedergli e cadde seduto sul pavimento, con la mano ancora stretta alla maniglia. Non riuscì nemmeno ad urlare. Gli mancava il fiato per farlo. Cercò di distogliere lo sguardo provando a riprendere fiato, quando gli occhi gli caddero sullo specchio e per poco non svenne a quella vista. La sua bocca… la sua bocca era completamente sporca di sangue, come le sue mani… come il cadavere di un ragazzo abbandonato nella vasca.

Si portò una mano alla bocca prima che un urlo finalmente uscisse. Un conato gli risalì e lui raggiunse appena in tempo la tazza per vomitare anche l’anima, quasi soffocando in preda ad un pianto isterico. Si pulì la bocca infilando la testa sotto il getto del lavandino, pulendosi alla buona le mani insanguinate e piangendo sempre più forte. Corse nella camera senza nemmeno chiudere il getto d’acqua, desideroso solo di sottrarsi a quella vista. Si portò le mani ai capelli sconvolgendoli, e cadde carponi a terra per poi rannicchiarsi in posizione fetale sulla moquette sporca della stanza. Allora vide il suo cellulare abbandonato a terra. Lo raggiunse e lo prese tra le mani come se fosse la sua unica salvezza, per poi cercare tra le chiamate e premere l’invio su di un nome.

Quando dall’altro capo una voce assonnata rispose disse solo: “Sono nei guai!”

 

***

 

Dall’altra parte di Lima, in un vecchio mattatoio, Brody Weston camminava avanti e indietro accanto ad un tavolaccio di ferro dove stava una figura apparentemente addormentata di un ragazzo. Si fermò, osservandone il volto per poi controllare l’ora e sbuffare esasperato. Si addossò alla parete cadendo seduto con le ginocchia raccolte, martellando a terra con un piede. Controllò di nuovo l’ora prima di alzarsi di scatto e avvicinarsi di nuovo alla figura, posando i due palmi all'estremità del tavolo vicino alla testa del ragazzo.

Lentamente avvicinò il volto al suo per poter sentire se respirava. Quanto gli fu a pochi centimetro gli occhi chiari del ragazzo addormentato si aprirono di scatto e le sue labbra premettero su quelle di Brody. Il moro non si scostò subito, preso alla sprovvista, ma poi si sollevò e si portò una mano alle labbra come per pulirsi.

“Credevo fosse il principe a baciare Biancaneve e non viceversa!” commentò, per nulla infastidito da quel bacio.

Ormai aveva fatto l’abitudine ai modi di Sebastian Smythe, abbastanza da non prendersela troppo per quegli assalti improvvisi.

Sebastian lo guardò con un sorrisetto malizioso, leccandosi le labbra in modo lascivo. Brody non fece caso nemmeno a quello, raggiungendo uno zaino abbandonato a terra e prendendo dei vestiti puliti.

“Chi ti dice che io sia Biancaneve!” fece Sebastian, scendendo dal tavolo quando Brody gli porse i vestiti.

Le gambe non lo ressero e Brody lo afferrò appena in tempo, sospirando: “Ormai dovresti saperlo che non riesci a reggerti in piedi subito!” disse, sollevandolo per farlo sedere sul tavolo, reggendolo però per le spalle.

“Forse è una scusa per farmi afferrare da te!” sorrise Sebastian.

Brody non rispose aiutandolo a vestirsi. Poi gli mise un sandwich e una bottiglia d’acqua in mano e ritornò a frugare nel suo zaino. Ritornò con un orologio che agganciò al polso sinistro del ragazzo.

“Credi di farcela questa volta?” gli chiese sollevando gli occhi sui suoi.

“Devo!” fece Sebastian prendendo un sorso d’acqua. “Non sono sicuro per quanto durerà questa cosa…”

“E se finisse?” fece Brody con uno strano luccichio negli occhi. “E se non tornassi più indietro?”

Sebastian gli sorrise: “Ti mancherei?”

Brody non rispose.

“Ti sembrerà assurdo,” disse Sebastian scendendo lentamente dal tavolo e tenendosi aggrappato saldamente alla spalla di Brody, “ma lo preferire di gran lunga a questo!”

 

 

 

Disclaimer

 

 I personaggi citati in questo racconto non sono miei,  ma appartengono agli aventi diritto. Servendo di loro non ottengo nessuna forma di lucro.

  
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