Cap.
3: Between
life and death
Andava
troppo forte. Se ne rendeva conto da solo. Ma
non riusciva a pensare razionalmente. Era scappato via dai suoi amici
sopraffatto da tutto quel carico emotivo che lo stava stordendo. Si
sentiva
spaventato, agitato… e quella sete… aveva una
sete assurda. Si rese conto di
star piangendo quando le lacrime cominciarono ad offuscargli la vista.
Si
costrinse allora ad accostare sul ciglio della
strada per cercare di calmarsi. Scese dal suv posandosi poi alla
portiera con
la schiena e respirò a fondo asciugandosi le lacrime con
rabbia.
Thad
era suo amico… perché lo aveva guardato in quel
modo? Quasi fosse un criminale. Si morse l’interno della
guancia e chiuse gli
occhi prendendo grossi respiri prima di aprire il bagagliaio e
recuperare una
bottiglia d’acqua. Ne teneva sempre una lì per
ogni evenienza. Prese a berne
grossi sorsi ma finì la bottiglia senza aver placato la sua
sete.
Si
lasciò cadere seduto a terra incurante di poter
sporcare i suoi vestiti e piegò le ginocchia abbracciandole,
stringendosi in un
bozzolo protettivo. Doveva pensare. Doveva scoprire cosa stesse
succedendo.
Ripercorse
gli ultimi ricordi che aveva del 20
Dicembre. Come se non lo avesse fatto fino alla nausea da quando si era
ritrovato con gli altri nell’aula di canto del McKinely. Era
spaventoso sapere
che fossero passate cinque settimane e non sapere cosa avesse fatto o
detto. E
Rachel era in coma… Rachel…
Sentì
le lacrime bruciare nuovamente i suoi occhi e si
sentì una persona orribile. Non aveva fatto che pensare a se
stesso quando la
sua migliore amica era in coma. Si alzò da terra
spolverandosi i jeans dalla
polvere della strada e salì in macchina mettendo in moto in
direzione
dell’ospedale.
***
Brody
sembrava il fantasma di se stesso. Pallido e con
profonde occhiaie scure, un grosso taglio non ancora del tutto
cicatrizzato al
sopracciglio e un livido ormai giallognolo sulla tempia destra. Aveva
la mano
destra fasciata, che teneva posata sul ginocchio. Il piede sinistro
continuava
a battere a terra con un tic nervoso.
Erano
settimane che la sua routine era ormai la
stessa. Era tornato a New York giusto il tempo per recuperare il minimo
indispensabile, per poi ritornare a Lima. Aveva prenotato una camera in
un
motel. Quando era arrivato a Lima con Rachel, la ragazza lo aveva
ospitato a
casa sua e ora non se la sentiva di stare lì anche
se i signori Berry,
dopo la prima settimana, lo avevano pregato di stare da loro.
Se
solo avesse prestato attenzione alla strada. Se
avesse anche solo tentato di convincere Rachel a non uscire con quel
tempo… Era
colpa sua… Rachel era in quel letto per colpa sua.
Strinse
forte gli occhi premendo pollice ed indice
alla radice e si alzò di scatto dalla
sedia sgranchendosi le gambe e
le braccia intorpidite per essere rimasto troppo tempo seduto nella
stessa
posizione. Aveva bisogno di un caffè.
Appena
lo pensò ne sentì immediatamente
l’odore e
alzando gli occhi verso il corridoio vi trovò un ragazzo con
una divisa blu e
rossa che reggeva in mano due bicchieri di caffè fumante.
“Harwood!”
fece Brody con un cenno del capo verso il
ragazzo.
“Weston!”
ricambiò Thad passando a Brody uno dei due
bicchieri per poi sedersi su una sedia.
Brody
tentennò qualche minuto prima di risedersi sulla
sedia accanto al Warbler. Rimasero in silenzio assaporando il loro
caffè.
Ognuno immerso nei propri pensieri.
“Sei
andato da loro?” disse Brody rompendo per primo
il silenzio tra loro.
“Sì”
rispose secco Thad bevendo un lungo sorso del suo
caffè.
“E…?”
tentò di spronarlo a continuare, Brody.
“E’
tutto inutile!” fece Thad senza guardare il
ragazzo seduto accanto a lui. “Gli fanno muro
attorno.”
Brody
sospirò alzandosi di nuovo, e andando a
posare la schiena sul muro di fronte a Harwood: “Credo che
sia finito il tempo
di essere ragionevoli e parlare!”
Thad
inarcò un sopracciglio: “E cosa intendi
fare?”
Brody
scosse la testa come per scacciare un pensiero e
fece una smorfia guardando il fondo del bicchiere del suo
caffè: “Ho bisogno di
un po’ d’aria…” disse buttando
il bicchiere in un cestito e incamminandosi
verso l’uscita dell’ospedale.
Thad
osservò la sua figura sparire oltre due porte
antipanico prima di alzarsi e seguirlo, gettando anche il suo bicchiere
nel
pattume.
***
Kurt
si nascose dentro un ripostiglio al passaggio di
Brody e Thad. Aveva assistito incredulo alla loro discussione. Cosa era
successo? Perché sembrava che ce l’avessero
così palesemente con lui?
Cominciò
a tremare per la tensione nervosa… o forse
per altro. Si sentì come fremere mentre la sete lo
tormentava sempre di più. La
sua gola era arsa e le labbra quasi secche al tatto. Doveva bere.
Doveva bere
subito qualcosa… Una scossa lo percorse dai piedi fino alla
testa e tutto
divenne buio.
Quello
che uscì dal ripostiglio tutti lo avrebbero
potuto riconoscere come Kurt Hummel. Molti lo avevano visto
lì nelle ultime
settimane dopotutto, anche se lui non poteva saperlo. Ma quello che
camminava e
aveva l’aspetto di Kurt non era Kurt. Era qualcun altro.
L’altro
sorrise alla sua immagine riflessa sulla
superficie liscia di una finestra e passò avanti fino ad una
stanza. Aprì la
porta e inspirò a fondo. Molti avrebbero sentito solo
l’odore di disinfettante
e di chiuso tipico degli ospedali. Lui sentiva altro. Quella che
inspirava era
un’appetitosa fragranza che ancor più alimentava
la sua sete.
Entrò
nella stanza osservando la figura distesa sul
letto. Addormentata e con l’aria sofferente, attaccata a
diversi macchinari,
stava Rachel Berry. La macchina che rilevava i battiti del suo cuore
emetteva
un lento bip continuo e monotono e il suo petto si sollevava appena
percettibilmente
al ritmo del suo respiro.
L’altro
si avvicinò chinandosi sui talloni e portando
il volto alla stessa altezza di quello della ragazza.
Inclinò il capo e respirò
a pieni polmoni. Sollevò lenta una mano e le posò
un dito sul collo percorrendo
lento la giugulare che pulsava lenta.
Lo
sentì appena, ma non ebbe il tempo di reagire prima
che una freccia colpisse di striscio la sua mano andandosi a conficcare
sulla
parete di fronte a sé. Si alzò di scatto
voltandosi verso la finestra. Non vi
era che un piccolo spiraglio a far entrare l’aria
dall’esterno. Chiunque avesse
scoccato quella freccia doveva essere maledettamente bravo. Non capiva
da dove
fosse arrivata. Fece per avvicinarsi alla finestra cautamente ma una
seconda
freccia piombò nella stanca. L’altro di
scostò appena in tempo e quella si andò
a conficcare nell’imbottitura di una sedia vicino al letto di
Rachel.
Non
rimase a riflettere un secondo di più e uscì di
corsa dalla stanza. Doveva scoprire chi era il misterioso arciere. Ma
prima
doveva bere.
***
Non
erano sicuri che li avrebbero fatti entrare in
massa nella camera di ospedale di Rachel ma almeno dovevano tentare.
Anche Jake
e Marley insistettero per seguirli: anche se non conoscevano bene la
cantante
quella situazione li sconvolgeva troppo e dovevano sapere.
Contrariamente
ad ogni loro aspettativa, le infermiere
di turno sembrarono riconoscerli e una di loro si mostrò
molto amichevole e li
scortò di persona nella stanza della ragazza. Fece un
piccolo controllo alle
flebo e ai macchinari per poi lasciarli soli con lei, avvertendoli che
come
sempre sarebbero potuti restare solo pochi minuti.
Nessuno
fiatò alla vista della loro amica ridotta in
quello stato. Rachel era la rompipalle megalomane che parlava a
macchinetta.
Puck l’aveva spesso paragonata ad una fastidiosa zanzara che
d'estate ti ronza
insistente alle orecchie e ti punge a tradimento, ma che non riesci mai
ad
afferrare.
Era
difficile associare Rachel con quella ragazza
stesa inerme in un letto d’ospedale.
Finn
sentì il respiro mancargli come se qualcuno se lo
fosse preso tutto di colpo. Si avvicinò lentamente al letto
lasciandosi cadere
sulla sedia accanto a lei e posò la sua mano su quella della
ragazza. Era
calda. C’era ancora vita in lei, ma quando gliela strinse lei
non strinse la
sua.
“Finn?”
si voltò verso Mike.
Il
ragazzo osservava la parete davanti a se con
sguardo stranito. Finn gli si avvicinò curioso, mentre anche
gli altri si
avvicinavano per vedere cosa avesse attirato l’attenzione di
Mike in quel
momento.
Il
ragazzo stava sfiorando una fenditura nell’intonaco
della parete e quando scostò le dita erano sporche di
polvere bianca: “E
recente.”
“E’
allora?” grugnì Puck incurante, alzando le spalle
e riportando lo sguardo su Rachel.
Quinn
gli si avvicinò impercettibilmente accostando il
suo corpo al fianco del ragazzo, trasmettendogli calore. Conosceva Puck
meglio
di chiunque altro per capire come si sentisse veramente dietro la
facciata del
ragazzo forte e rude. Puck passò un braccio sul suo fianco
attirando di più la
bionda a sé.
“C’è
ne un’altra qui!” fece Jake indicando una fessura
identica a quella del muro sulla sedia lasciata poco prima da Finn.
Vi
posò due dita per tastare lo strappo nel tessuto
dell’imbottitura e si sentì come se fosse
folgorato.
Cadde
in ginocchio scosso da forti tremiti
e tutto si fece offuscato, e i rumori lontani e ovattati. Dove aveva
posato le
dita c’era una freccia. La osservò incredulo
quando una mano l’afferrò
tirandola via. Sollevò il volto verso una figura vestita
completamente di nero
e il cappuccio di una felpa che gli copriva il viso.
Il
tizio infilò la freccia in una faretra
e ne staccò un’altra dal muro riponendola al
sicuro. Nell’altra mano reggeva
una balestra. Lo vide soffermarsi alcuni minuti ad osservare Rachel.
Poi si
voltò di scatto verso la porta e corse verso la finestra che
aprì e si buttò di
sotto pochi minuti prima che entrassero un ragazzo moro e il tizio che
li aveva
accusati di coprire Kurt.
Un’altra
scossa lo fece tremare
violentemente facendolo finire carponi a terra.
Tutto
si rifece più distinto, di colpo. Si ritrovò
circondato dai suoi amici. Marley gli teneva una mano, in apprensione,
e Puck
sembrava aver provato a scuoterlo, e ora era chino su di lui e gli
afferrava le
spalle con entrambe le mani.
“Che
ti è preso? Stai bene?” quasi gli urlò
contro.
“Io…
non lo so…” si mise seduto stropicciandogli gli
occhi e sbattendo le palpebre un paio di volte.
“Credo… di aver visto qualcosa…
una visione.”
“Visione?”
fece Puck incredulo. “Devi aver battuto la
testa!”
Jake
gli rivolse un’occhiataccia: “Senti non lo
so… ma
dopo che Blaine e… C’era un tizio.” Fece
indicando la sedia. “Vestito di nero…
proprio qui! Aveva una balestra. Ha estratto una freccia dalla sedia e
una dal
muro.” Indicò la fessura sulla sedia e quella sul
muro. “Poi è saltato giù
dalla finestra e sono entrati un tizio moro e quello che ha delirato di
congiure al McKinley!!!”
“Thad?”
fece Blaine inarcando un sopracciglio. “Che ci
faceva qui?”
“Che
ci faceva un tizio vestito di nero con una
balestra!” fece Santana.
“Ma
credete alla visione?” chiese Puck incredulo.
“Blaine
era invisibile!” fece Artie, ovvio.
Santana
sospirò alzando gli occhi al cielo: “Qualsiasi
cosa stia succedendo non mi piace! Dobbiamo tenere d’occhio
quell’Harwood e
soprattutto scoprire cosa cazzo ci è successo in queste
cinque settimane!”
***
Era
ormai notte fonda. I fari di una nuova discoteca fuori
città lampeggiavano dalle fessure delle persiane di una
squallida stanza di un
Motel disturbando il sonno di Kurt. Fece una smorfia portandosi una
mano al
viso, troppo intontito dal sonno per poter ragionare. Si chiedeva solo
cosa
fosse quella luce.
Sbuffò
cercando una posizione più confortevole, che
gli schermasse la vista da quella fastidiosa luce lampeggiante nel
letto dove
dormiva, rendendosi conto solo vagamente che quello non
sembrava il suo
letto. Era scomodo e le lenzuola odoravano di polvere e naftalina. Si
alzò a sedere infastidito, osservando la
stanza spoglia e
assolutamente sconosciuta.
Fu
improvvisamente più sveglio e vigile e
assolutamente spaventato. Cercò a tentoni la luce sul
comodino e quando
l’accese lo sguardo gli cadde sulla mano
facendogli sgranare gli occhi.
Guardò anche l’altra, orripilato. Erano entrambe
coperte di sangue ormai
rappreso.
Si
alzò di colpo correndo verso quello credeva fosse
il bagno, deciso a togliere quel sangue dalla sua pelle candida. Ma
quando
entrò nel bagno sentì le gambe cedergli e cadde
seduto sul pavimento, con la
mano ancora stretta alla maniglia. Non riuscì nemmeno ad
urlare. Gli mancava il
fiato per farlo. Cercò di distogliere lo sguardo
provando a riprendere
fiato, quando gli occhi gli caddero sullo specchio e per poco
non svenne a
quella vista. La sua bocca… la sua bocca era completamente
sporca di sangue,
come le sue mani… come il cadavere di un ragazzo abbandonato
nella vasca.
Si
portò una mano alla bocca prima che un urlo
finalmente uscisse. Un conato gli risalì e
lui raggiunse appena in tempo
la tazza per vomitare anche l’anima, quasi soffocando in
preda ad un pianto
isterico. Si pulì la bocca infilando la testa sotto il getto
del lavandino,
pulendosi alla buona le mani insanguinate e piangendo sempre
più forte.
Corse nella camera senza nemmeno chiudere il getto d’acqua,
desideroso solo di
sottrarsi a quella vista. Si portò le mani ai capelli
sconvolgendoli, e cadde
carponi a terra per poi rannicchiarsi in posizione fetale sulla
moquette sporca
della stanza. Allora vide il suo cellulare abbandonato a terra. Lo
raggiunse e
lo prese tra le mani come se fosse la sua unica salvezza, per poi
cercare tra
le chiamate e premere l’invio su di un nome.
Quando
dall’altro capo una voce assonnata rispose
disse solo: “Sono nei guai!”
***
Dall’altra
parte di Lima, in un vecchio mattatoio,
Brody Weston camminava avanti e indietro accanto ad un tavolaccio di
ferro dove
stava una figura apparentemente addormentata di un ragazzo. Si
fermò,
osservandone il volto per poi controllare l’ora e sbuffare
esasperato. Si
addossò alla parete cadendo seduto con le ginocchia
raccolte, martellando a
terra con un piede. Controllò di nuovo l’ora prima
di alzarsi di scatto e
avvicinarsi di nuovo alla figura, posando i due palmi
all'estremità
del tavolo vicino alla testa del ragazzo.
Lentamente
avvicinò il volto al suo per poter sentire
se respirava. Quanto gli fu a pochi centimetro gli occhi chiari del
ragazzo
addormentato si aprirono di scatto e le sue labbra premettero su quelle
di
Brody. Il moro non si scostò subito, preso alla
sprovvista, ma poi si
sollevò e si portò una mano alle labbra come per
pulirsi.
“Credevo
fosse il principe a baciare Biancaneve e non
viceversa!” commentò, per nulla infastidito da
quel bacio.
Ormai
aveva fatto l’abitudine ai modi di Sebastian
Smythe, abbastanza da non prendersela troppo per quegli assalti
improvvisi.
Sebastian
lo guardò con un sorrisetto malizioso,
leccandosi le labbra in modo lascivo. Brody non fece caso nemmeno a
quello,
raggiungendo uno zaino abbandonato a terra e prendendo dei vestiti
puliti.
“Chi
ti dice che io sia Biancaneve!” fece Sebastian,
scendendo dal tavolo quando Brody gli porse i vestiti.
Le
gambe non lo ressero e Brody lo afferrò appena in
tempo, sospirando: “Ormai dovresti saperlo che non riesci a
reggerti in piedi
subito!” disse, sollevandolo per farlo sedere sul
tavolo, reggendolo però
per le spalle.
“Forse
è una scusa per farmi afferrare da te!” sorrise
Sebastian.
Brody
non rispose aiutandolo a vestirsi. Poi gli mise
un sandwich e una bottiglia d’acqua in mano e
ritornò a frugare nel suo zaino.
Ritornò con un orologio che agganciò al polso
sinistro del ragazzo.
“Credi
di farcela questa volta?” gli chiese sollevando
gli occhi sui suoi.
“Devo!”
fece Sebastian prendendo un sorso d’acqua.
“Non sono sicuro per quanto durerà questa
cosa…”
“E
se finisse?” fece Brody con uno strano luccichio
negli occhi. “E se non tornassi più
indietro?”
Sebastian
gli sorrise: “Ti mancherei?”
Brody
non rispose.
“Ti
sembrerà assurdo,” disse Sebastian scendendo
lentamente dal tavolo e tenendosi aggrappato saldamente alla
spalla di
Brody, “ma lo preferire di gran lunga a questo!”
Disclaimer
I personaggi
citati in questo racconto non sono miei,
ma appartengono agli aventi diritto. Servendo di
loro non ottengo nessuna forma di lucro.