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Autore: Lauur    18/11/2012    9 recensioni
"Fu a quel punto che guardò in basso. E non si vide i piedi. Già, non se li vide perché erano coperti dall’orlo pesante di una gonna ottocentesca. E fu allora che capì. Se Sherlock era Mr. Darcy, lui…lui era la sua Elizabeth Bennet."
Una maratona di Pride and Prejudice del '95, ma John Watson non si aspettava davvero questo.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:Signore e Signori, questa è la mia prima Fan Fiction, quindi vi chiedo di essere clementi con me, e di lanciarmi dietro solo ortaggi freschi, così almeno con quelli che recupero ci faccio l’insalata domani.
Chiunque voglia lasciarmi un parere, sia che esso sia una lode o un turpe insulto, è benvenuto.
Laura
 
P.S. Grazie a Patta97. Mentore e Musa.
P.P.S. Sherlock e John Watson non mi appartengono. Purtroppo, oserei dire!
 
 
Sherlock: the science of Jane Austen
 
 
John Watson non era mai stato così felice di trovarsi da solo tra le mura del suo appartamento al 221B di Baker Street.
Quando il suo sociopatico coinquilino era uscito di casa con fare melodrammatico (aiutato non poco dallo svolazzare del suo cappotto dal taglio sartoriale)  asserendo che no, non voleva la sua compagnia per questo caso da 9/10 che lo assillava da giovedì perché , avrebbe potuto trovare davvero irritante il suo tentativo di stabilire una conversazione in taxi, John non se ne fece un cruccio.
 
Quella sera per John era speciale.  Quella sera, dalle 21, sarebbe andata in onda sulla BBC1 una maratona di “Orgoglio e Pregiudizio”, serie tv di una quindicina di anni addietro, che aveva portato alla ribalta Colin Firth. Aveva visto lo spot due giorni prima, mentre guardava il suo talk-show pomeridiano insieme a Mrs. Hudson. Quello era il suo romanzo preferito. Quella era la sua serie preferita. E non se ne vergognava. E non voleva perdersela. Cinque ore di relax e brodo di giuggiole.
 
Se Sherlock fosse rimasto a casa con lui, di certo avrebbe messo il broncio e i bastoni tra le ruote, non apprezzando di scoprire in un’unica serata che:
 
a)     John preferiva guardare la tv piuttosto che sentire i resoconti delle sue ultime scoperte scientifiche!

b)     John amava un romanzo scritto da una donna dell’ottocento adatto alle educande di inizio secolo, e non di certo a un chirurgo,
        ex-militare e suo blogger!


c)      John voleva stazionare davanti alla TV, come una casalinga disperata, con il pile addosso a vedere una maratona (Oh, for God’s
         sake
!) del suddetto romanzucolo tramutato in una miniserie tv dai contenuti altrettanto stucchevoli e raccapriccianti!


d)     John era ancora più sentimentale di quello che la mente del consulente detective potesse anche lontanamente immaginare.
 
A John sembrava quasi di sentirlo recitare tutta quella litania che man mano si tramutava in una roca valanga di parole, con la voce sempre più bassa e cupa come a seguire il climax ascendete di orrore per un tale spreco di QI umano.
Ma a John stavolta tutto questo non interessava. Nessuno poteva mettersi tra lui e Jane Austen.
Alle prime note della colonna sonora, John si mise comodo sul divano, il cuscino con la Union Jack dietro la nuca, una sfilza di sacchetti del take-away cinese sul tavolinetto basso davanti a lui, il camino acceso e una buona bottiglia di vino. What else?
 
 
 
La miniserie era arrivata quasi alla fine del suo penultimo episodio, e John era sempre più convinto che non fosse stata proprio una buona idea quella di rivederla.
 
Tutto era iniziato con la visione delle prime scene.
John era subito giunto a una conclusione: l’attrice scelta per la parte di Elizabeth Bennett era decisamente insulsa.
Sfigurava di fronte alla trionfale aitanza di Colin Firth.
Portamento regale, sguardo fiero, il bavero della giacca sempre alzato per mettere in risalto gli zigomi e fare il figo…
L’involtino primavera che stava masticando gli andò di traverso. Scacciò alla bell’e meglio l’immagine di un altro uomo che aveva lo stesso vizio: bavero alzato, zigomi affilati, essere figo.
 
Nonostante si fosse forzato di tornare concentrato, occhi e mente, sulle vicende del film, un’altra frase si mise prepotentemente tra lui e la sua sanità mentale.
Lo sprezzante rifiuto del figo Darcy all’insulsa Elizabeth “E’ passabile, ma non bella abbastanza da tentare ME”.
Quanta arroganza in quelle parole. Un arroganza data dalla consapevolezza di essere in qualche modo superiore, esattamente come...
E quella volta fu il vino a prendere la via sbagliata. Perché a ogni immagine il suo cervello si ostinava a tessere paragoni o a cercare somiglianze con Sherlock Holmes?
Mandò via la supponente risposta che stava rannicchiata in una parte dimenticata del suo cervello da qualche tempo, e si disse che la sua cerchia di amici si era talmente ristretta dal momento in cui aveva fatto il suo trasloco al 221B che difficilmente avrebbe potuto fare un qualunque paragone con chiunque altro.
 
Subito dopo si disse anche che non tutto il contenuto di quelle considerazioni poteva rientrare nella tanto amata e confortevole categoria etichettabile con il nome di “normalità”.
 
Le lancette dell’orologio andavano avanti silenziose, e John si ritrovò felicemente sorpreso di non fare più di strani pensieri da un bel po’.
Questo lo confortò fino a quando si rese conto del fatto che Sherlock era fuori da più di sei ore, e che non si era degnato nemmeno di mandargli un misero messaggio del tipo
 
John, sono vivo. SH
 
Persino Mr. Darcy, dall’alto della sua assoluta arroganza e con i rudimentali supporti tecnologici del IXX secolo, riusciva a comunicare sue notizie a Elizabeth, mentre Sherlock non riusciva a comunicarle a lui nel XXI. Oh, for God’s sake! Eccolo fatto di nuovo.
 
Prese il cuscino, riempì di pugni la Union Jack e vi si buttò sopra con violenza, come se fosse stato lui a trasmettergli questi pensieri che vagavano per la sua povera testa.  
E poi pensò invece che la colpa fosse di Jane Austen, di Elizabeth Bennet, del loro fottuto romanticismo di fine ottocento e degli zigomi di Colin Firth.
E quindi, in definitiva, no. Non era stata una buona idea rivedere Orgoglio e Pregiudizio.  Che andasse in malora.
 
Poco dopo aver formulato questo brillante pensiero chiuse gli occhi. E quando li riaprì, quello che vide lo fece rimanere a bocca aperta.
 
Era all’aperto. Sembrava lo stesso paesaggio di Dartmoor. Ed era il tramonto. Si sentiva strano, stava sicuramente sognando.
Vide una figura all’orizzonte. Un puntino nero che diventava via via più grande. Appena riuscì a distinguerne i primi dettagli non ebbe più alcun dubbio. Era Sherlock. Ma era vestito in una maniera strana. Oh for God’s sake! Era vestito come Colin Firth! Appena se lo trovò davanti, vide un sorrisetto saccente dipinto sul suo viso. Non poté fare a meno di chiedersi il perché. Fu a quel punto che guardò in basso. E non si vide i piedi. Già, non se li vide perché erano coperti dall’orlo pesante di una gonna ottocentesca. E fu allora che capì. Se Sherlock era Mr. Darcy, lui…lui era la sua Elizabeth Bennet. Ebbe un violento capogiro, seguito a ruota da un’irrefrenabile voglia di scappare. Ma i suoi piedi erano come incollati a quel prato ricoperto di brina.
 
- John, perché vuoi scappare? – Chiese Sherlock/Darcy con fare innocente.
- Come fai a sap…lasciamo perdere. - si arrese John/Elizabeth, tentando di rilanciare - Si voglio scappare? Ti sembra una volontà poco legittima? Ti sei visto? MI hai visto?
Sherlock sollevò l'angolo destro delle sue labbra a cuore, pregustandosi il suono delle proprie parole.
 - Non credo che indossare i vestiti di un’allegra pulzella sia peggio di indossare una divisa militare. – disse.
- Ok Sherlock - sbottò il dottore spazientito - parleremo dopo dell’inutilità della mia carriera militare. Adesso vuoi dirmi dove diavolo mi trovo?
- John, come sempre capace di guardare, ma non di osservare. - biascicò Sherlock tra l'incredulo e il divertito - Non capisci davvero dove ti trovi?
- Si, sono in una qualunque campagna inglese, con una qualunque gonna, e con una qualunque paresi! – sibilò John con un tono estremamente stizzito.
- Per l’amor del cielo John! Non capisci di essere semplicemente in un sogno? – ormai tratteneva a stento le risate
- Si, - sbottò John ormai furente - grazie per l’informazione. E quindi?
- Sei lento John! – il consulente investigativo indossò la sua migliore aria da saccente - Quindi tutto questo è frutto della tua immaginazione. Ergo, io sono una proiezione di te stesso, dunque sono qui affinché il tuo subconscio ti riveli qualcosa.
- E cosa di grazia?- chiese John, temendo la risposta.
- Noioso. Mortalmente noioso. Ti facevo più sveglio. Concentrati. Vedi insieme a me. Io sono vestito come Mr. Darcy, tu come Elizabeth Bennet. Durante la visione del tuo film non hai fatto altro che trovare delle similitudini tra di me, tra di NOI, e i personaggi della storia. Questa è, a tuo avviso, la più romantica storia d’amore della letteratura…Tutto questo secondo te cosa vuole dirci? – Sherlock sciorinò il suo ragionamento tutto d'un fiato, mettendo un forte accento sull'interrogativo finale.
John lo guardò atterrito.
 - Stai forse insinuando che… - balbettò.
- Io non insinuo, io deduco. – Ribatte Sherlock offeso, sistemandosi il bavero della giacca.
Il dottore era sempre più contrariato.
 - No Sherlock, - provò ad opporsi -  non è plausibile...io…
- Una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità. – sentenziò lapidariamente il detective.
- Ma tu sei un sociopatico allergico ai sentimenti. Tu pensi che i sentimenti siano degli sprechi di tempo, che siano parte di quegli errori sistematici che creano dei bug negli esseri umani normali. Gli esseri umani come me, ma non come te. - John pronunciò la sua filippica in un batter d'occhio, sperando di aver toccato i tasti giusti.
Vide che Sherlock lo fissava con i suoi occhi di ghiaccio attraversati da un sorriso compiaciuto.
- Sei così prevedibile John. – disse - Hai sprecato tutto il tuo fiato a spiegarmi il perché io sia incapace di provare dei sentimenti, e non hai speso nemmeno una sillaba del tuo discorso a cercare di negare di provare qualcosa per me.
 
Scacco matto. Come sempre la spiegazione di Sherlock aveva colpito nel segno. John si sentì messo al tappeto. Non aveva più argomenti con cui ribattere. Perché, almeno nei sogni, non poteva essere lui quello a lasciare il suo coinquilino senza parole?
- Cosa ti aspetti che dica? – sussurrò infine John.
- Cosa mi aspetto che tu faccia. E' questa la vera questione Lizzie. – replicò il detective con fare provocatore – Vuoi davvero aspettare che sia io a chiedere la tua mano a tuo padre? Vuoi davvero fare la dama ottocentesca con me John? Sai che potresti aspettare in eterno. Sai come reagisco al contattatto con i sentimenti. Li guardo, li saluto infastidito, e aspetto che vadano via, il più velocemente possibile. Devi essere tu a fare il primo passo.
 
Il dottore era sempre più allibito. Sapeva che quello che si trovava davanti era un finto Sherlock, frutto delle sue proiezioni oniriche, ma sentirgli pronunciare queste parole fu comunque la causa di un piccolo shock.
 
E solo allora si rese conto di quanto quella mise ottocentesca donasse alla figura slanciata del suo amico.
Di come la camicia bianca non avesse dimenticato neanche in sogno di essere una taglia più piccola del dovuto, producendo quel delizioso effetto tirato sui pettorali.
Di come il bavero della giacca contribuisse a limare ancora di più i suoi zigomi.
Di come il grigio del completo donasse profondità ai suoi occhi cangianti.
E di come quei pantaloni indugiassero con generosità su…NO!
Era troppo per lui. Non poteva davvero ritrovarsi a fare delle considerazioni sul sedere di Sherlock.
Lui, John Watson non era gay. Nemmeno per scherzo. Nemmeno in sogno. Semplicemente a lui piacevano le donne. Si. Le donne. A John piace tutto di loro.
Il modo in cui raccolgono i capelli. Le loro curve mozzafiato. Il modo in cui si prendono gioco del suo fare romantico. Il profumo che hanno al mattino appena sveglie. Le cure premurose che hanno una volte che lui le aveva fatte sue. Si…le donne…però nessuna di loro aveva mai avuto gli occhi imperscrutabili di Sherlock. E neanche il suo sedere.
 
- Vedo che apprezzi il taglio sartoriale dei miei pantaloni, John. – disse Sherlock all’improvviso, con fare volutamente noncurante – Anche io apprezzo la tua gonnella. È sicuramente una scelta migliore rispetto ai tuoi soliti orribili maglioni.
- Non mi sforzo nemmeno di chiederti come tu abbia capito che “apprezzo” i tuoi pantaloni. Ci rinuncio. – Disse John allo stremo delle forze. Voleva che quello strazio finisse al più presto. Ci stava rimettendo ogni briciolo di orgoglio rimastogli.
- O John, io so tutto. So persino che hai fatto uno strano paragone tra Mycroft e Lady Catherine de Bourgh, zia di Mr. Darcy, e che non hai avuto il coraggio di ammetterlo nemmeno a te stesso. Probabilmente il loro piglio freddo e risoluto te li ha fatti accostare. Ma credo che tu stia sottovalutando il mio caro fratellone. – l’ironia nella sua voce diventava più acuta a ogni parola – Non credo che Mycroft si opporrebbe mai a Noi.
 
John era arrossito dalla cima dei capelli fino alla scollatura a cuore del suo vestitino ottocentesco. Non si spiegava perché, ma, a parer suo, quel pensiero su Mycroft era più privato di mille pensieri sul fondoschiena di Sherlock.
 
E poi, Lady Catherine non porta mai l’ombrello. – aggiunse ammiccante Sherlock.
John perse davvero le staffe, rispondendo acido – Sai dove puoi…
 
 
- …ficcarti l’ombrello? – biascicò.
- Non credi che questa sia un’espressione un po’ troppo colorita per dirmi “Bentornato a casa Sherlock?” – disse il consulente detective con tono perplesso.
 
John spalancò gli occhi e si ritrovò a meno di un centimetro di distanza dal suo migliore amico che lo fissava con i suoi infiniti occhi color del ghiaccio.
Le ultime scene del matrimonio di Darcy e Elisabeth scorrevano sullo schermo. Il dottore, con il sogno ancora vorticante dentro la testa, si preparò a ripararsi dai commenti al vetriolo del suo coinquilino sui suoi gusti in fatto di film.
- Provo a svegliarti da dieci minuti – continuò Sherlock con fare risentito - ma a quanto pare eri troppo preso dal tuo sogno sugli ombrelli per accorgerti della mia presenza. Del resto come biasimarti; chiunque, sottoposto a un palinsesto del genere, capitolerebbe, lasciandosi andare a un coma profondo.
- Quale palinsesto? Che ore sono? – John tentò di fare il vago, guardando il suo orologio da polso – Le due di notte? Oh, for God’s sake, devo essermi addormentato ore fa, appena rientrato dal lavoro. – Sperava ardentemente che Sherlock se la bevesse. Per più di una ragione.
- Certo. Ore fa. John, ammetti semplicemente di essere un fan di Jane Austen. – disse Sherlock con fare accondiscendente.
- Jane Austen? – ripeté interrogativo il dottore, come se quella fosse la prima volta in cui avesse sentito quel nome.
- John. John. Non fare finta di niente. – incalzò Sherlock, come se stesse parlando ad un bambino.
- Fare finta di niente cosa? – John si sforzava di essere il ritratto della più pura innocenza.
Allora il detective sfoderò le sue più affilate armi della deduzione.
 
– Punto uno – esclamò- : tu non dormi da più di un’ora. Il fuoco scoppietta ancora vivace nel camino. Qualcuno deve averlo smosso non più un ora fa per ravvivarlo. La porta era chiusa a chiave dall’interno. Dunque la Sign. Hudson non può aver avuto accesso all’appartamento. E quindi chi, se non tu, può aver rinnovato la legna nel camino? In conclusione, tu non dormi da più di un’ora.
Passiamo ora al punto due: Hai scelto volontariamente di vedere “Orgoglio e Pregiudizio”, serie tv tratta dal romanzo di Jane Austen. Il telecomando è poggiato sul tavolinetto da caffè, dunque è troppo lontano perché tu possa aver cambiato canale involontariamente nel sonno, spingendo dei tasti a caso. Il Daily è aperto sulla pagina dei programmi tv. Sul riquadro di oggi, delle ore 21, del canale BBC, c’è un imbarazzante segno, fatto con un altrettanto imbarazzante evidenziatore giallo, sull’imbarazzantissimo nome “Orgoglio e Pregiudizio”. E quindi si, tu hai scelto di vederlo volontariamente. – concluse trionfante – Mi sorprendo soltanto di non averti trovato sommerso da una montagna di Kleenex.
- Sei il solito geniale stronzo. – Ribattè inerme John. Iniziava a rimpiangere la saccenza del Sherlock/Darcy.
- Lo prenderò come un complimento. – sentenziò Sherlock, alzando l’angolo destro della bocca in un mezzo sorriso.
- Non voleva esserlo. – replicò John, sorridendo apertamente al suo disarmante amico. – Posso fare io una piccola deduzione?
- Prego, mio caro blogger. – rispose il detective.
- Deduco dalla tua sfrontata e più illimitata del solito saccenza, che tu abbia risolto il caso. – disse il dottore.
- Oh, John Watson. Complimenti. Sarebbe stato chiaro e lampante persino per Anderson. – sentenziò Sherlock, ridendo della sua stessa battuta.
- Oh, Sherlock Holmes. Lascio a te le deduzioni che stupiscono. – ribattè John, con fare estremamente provocatorio – E qual è  stata la soluzione dell’enigma, di grazia?
Gli occhi del detective si illuminarono. Non vedeva l’ora che arrivasse quel momento. Quello in cui rivelava a tutti il trucco del mago. Era così plateale. Era così Sherlock.
- I colpevoli, - esordì il suo amico - caro John, sono i sentimenti. Ci offuscano. Ci confondono. Ci rubano brandelli di vita.
 
A John bastò questa frase.
Davvero il suo Io onirico aveva pensato che Sherlock potesse provare qualcosa per lui?
Davvero aveva pensato che a lui sarebbe bastato dichiararsi per aprire la porta del cuore del suo detective (sempre che lui ne avesse uno)?
No, povero illuso di un dottore.
Semplicemente Sherlock non ci pensava. Non pensava ai sentimenti. Non pensava a LUI.
E per quanto i sentimenti di John Watson si facessero pesanti, nulla, nemmeno un macigno, avrebbe potuto abbattere le pareti della prigione di ghiaccio in cui Sherlock Holmes aveva relegato la sua anima sensibile.
 
- John – lo interruppe bruscamente il detective – pensavo fossi stato tu a chiedermi di spiegarti il modo in cui ho risolto il caso. Suppongo quindi che potresti degnarmi della tua attenzione. O sei ancora troppo impegnato a pensare a Mr. Darcy?
Il dottore si sentì completamente piccato da quel commento. Era ingiusto. Ed era abbastanza.
- Deve sempre girare sempre tutto intorno a te, Sherlock? – gridò furente –  Devono sempre essere tutti pronti ad applaudire alla fine dello spettacolo? Sono stanco. Vado a dormire. Notte.
 
Sherlock rimase a fissare il solottino vuoto con un’espressione di soddisfatta vittoria dipinta sul volto.
 
John si girava e rigirava nel letto, senza riuscire a dormire. Era terribilmente dispiaciuto per come aveva trattato Sherlock. In fin dei conti il consulente detective non aveva fatto nulla di strano, o per lo meno nulla di diverso dal solito. Aveva dato sfoggio della sua saccenza. E questo a John non era mai dispiaciuto.
John non era arrabbiato con Sherlock. John era arrabbiato con se stesso. Arrabbiato per la sua codardia. Erano mesi ormai che cercava scuse su scuse. C’era voluta Jane Austen per fare ammettere al suo subconscio di provare qualcosa per il suo migliore amico. E c’era voluta la saccenza di Sherlock per farlo capire anche al suo Io cosciente.
Passo la successiva mezz’ora a pensare alle varie soluzioni al problema.
Dirglielo? Giammai.
Andare via dal 221B? Certo. E tornare alla abietta vita di solitudine che conduceva prima.
Fare finta di niente? Non sa fino a quando le sue sinapsi avrebbero retto. E non sapeva fin a quando avrebbe potuto sopportare i sogni su Darcy/Serlock senza uscire totalmente fuori di senno.
Iniziare diplomaticamente con delle scuse per come si era comportato? Si. Era questa l’unica cosa per cui si sentiva pronto.
Si affacciò dal pianerottolo antistante alla sua stanza, e scorse dalle scale la fioca luce della cucina.
Probabilmente Sherlock era ancora sveglio.
Scese le scale con fare rassegnato e si trovo di fronte la schiena di Sherlock china sul suo microscopio.
- Ti stavo aspettando, John. – disse.
- Davvero? – chiese John per nulla sorpreso – Sono venuto a chiederti scusa per la sfuriata di prima.
- Lo so. – replicò il detective – Lo si capiva dal modo in cui hai sceso le scale.
- Beh, non mi sarei aspettato niente di diverso da questa risposta, perciò torno a dormire. – decretò il dottore.
- John. Sei sicuro che non vuoi dirmi nient’altro? – Sherlock si era girato di scatto mentre pronunciava quelle parole. E ora lo fissava con i suoi meravigliosi occhi. Impossibile capire di che colore fossero. Impossibile dire cosa suscitassero nell’animo del dottore.
John si perse. Un flebile sussurro uscì dalla sua bocca.
Poi avvertì un lampo negli occhi di Sherlock, e una lampadina si accese nel suo cervello. Il suo coinquilino sapeva. Sapeva tutto.   
- Tu lo sai…brutto figlio di… – John sputò quelle parole in un sol fiato.
- John. Dovresti esserti abituato. Io so tutto. – Sherlock aveva chiuso gli occhi e giunto le mani all’altezza della bocca. – Credi che sia un caso che adesso ci troviamo qui a parlarne?
- Cosa intendi dir…oh. Oh. – il dottore avvampò pronunciando quelle parole. Adesso aveva capito davvero. – Cosa sono io – continuò - un tuo esperimento? Vediamo quando resiste il soggetto X, John Watson, soggetto a pressioni di vario genere in un ambiente chiuso e sterile. Sapevi che avrei visto il film vero? Sapevi che…
Sherlock lo interruppe - Non la tirare tanto per le lunghe John. Si, è vero. Mi hai scoperto. Ma solo perché io ho deciso di farmi scoprire. – sentenziò altezzoso. Poi continuò divertito – Manca solo un tassello al mio puzzle. Anche se ho due idee al riguardo. Anzi, un’idea. Cosa è stato a convincerti John? Cosa ti ha mosso esattamente? – scrutò ancora più da vicino gli occhi blu oltremare del dottore, e sembrò leggerci dentro qualcosa – Ma certo. Il sogno sugli ombrelli. È lampante. Era un sogno su di me, vero? Magari c’ero proprio io vestito da Mr. Darcy…
John era allibito. Non sapeva cosa rispondere. Decise di continuare a marcare duro, difendendo le macerie del suo orgoglio ferito.
- Cosa sei diventato? Un indovino del cazzo, oltre che un losco burattinaio?
- Grazie John. – disse il detective sempre più deliziato dal tono che la conversazione stava prendendo.
- Di cosa, Sherlock? – sibilò il dottore furioso.
- Di aver, con la tua risposta, confermato la mia teoria! – disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Continuò - E no, non sono un indovino. Come ben sai io osservo e deduco. Traggo conseguenze da fatti e cause da effetti. Come hai potuto pensare che il misero caso che Lestrade mi aveva sottoposto giovedì non avesse ancora una soluzione per me?
Stasera sono uscito con l’intenzione di lasciarti solo. Sapevo che avresti visto quel melenso film, avevo scorso la tua chiazza di evidenziatore sul giornale stamani. Sapevo che la visione avrebbe fatto scattare in te qualcosa. Qualcosa che frulla in quella tua testolina da un po’. Dovevo averne la prova empirica. Ed eccoci qui John, chi aveva ragione? Tu, che difendi a spada tratta la tua eterosessualità da integerrimo soldato in congedo, o io?
 
Per la seconda volta in una sola sera John Watson sentì di essere in posizione di scacco matto. Solo che la prima volta tutto si era svolto dentro la sua testa. Adesso invece la sconfitta era reale.
 
Ma si trattava davvero di una sconfitta? O forse era quello che davvero voleva?
Si sorprese a sentirsi leggero. Persino sollevato. Sherlock sapeva. Lui sapeva.
Ora giocava a carte scoperte, e se nulla sarebbe stato più come prima, beh, almeno quel macigno che si portava dentro si era sciolto. Per sempre.
Mancava solo l’ultimissima questione da risolvere.
- Perché mi hai fatto questo Sherlock? – disse con calma John – Perché? Hai la dimostrazione del fatto che io nutro “sentimenti romantici” per te. Ma perché hai voluto averla? Per te i sentimenti sono degli ostacoli. Degli inquilini abusivi del tuo palazzo mentale. Distrazioni futili. Volevi forse umiliarmi? Decretare una volta per tutte la tua superiorità? Stabilire in un modo malato e distorto che io non ti merito?
Il dottore non si era accorto di aver pronunciato quel discorso ad occhi serrati. Non avrebbe potuto mai farcela guardando Sherlock dritto negli occhi.
- John Watson – disse una voce roca, a lui così familiare, a meno di dieci centimetri da lui. John poteva sentire il profumo del suo alito, che sapeva di Early Grey dolciastro e sigarette fumate di nascosto – non credi di avere troppi pregiudizi su di me?
 
Dopo fuochi d’artificio. Scintille di calore colorato che si propagano ovunque nella mente di John.
 
La risposta alla domanda di Sherlock rimase sospesa tra i due. Ma ben presto si dimenticarono dove si trovassero, figurarsi di cosa stessero parlando.
 
 
Sei ore dopo
 
- Quindi ero davvero vestito come Mr. Darcy? - chiese Sherlock tra una risata e l'altra, mentre giocherellava con i capelli di John.
- Sì... - ammise John, imbarazzato. - E io da Elisabeth Bennett, in gonnella –
- Interessante... - commentò Sherlock, calando piano su di lui.
- Oh! For God's sake... -
  
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