Capitolo 2
L’incubo di Ellie
Scottsdale, Arizona
Ellie
Degler era seduta nella veranda sul retro della sua casa di periferia, in
Arizona. Era rimasta seduta così da circa dieci minuti, cercando di trovare la
forza e il coraggio necessari per tornare dentro casa. Lei e suo marito avevano
litigato un’altra volta.
Mark
urlava sempre per qualsiasi cosa. Questa volta sembrava fosse per via della
bolletta del telefono. Era arrabbiato per il fatto che il numero di Alan Grant
fosse comparso nei tabulati così tante volte quel mese. Lei stava cucinando quando lui era entrato in cucina, con la bolletta
in mano. Aveva bevuto e le stava sventolando il foglio in faccia, chiedendole
se ci fosse qualcosa di cui dovesse essere informato. Lei aveva risposto che
non c’era niente da dire. Non era stata abbastanza convincente, comunque. Mark
aveva accartocciato la bolletta tra le mani e gliel’aveva buttata addosso,
continuando a gridare.
Ellie
non voleva che la discussione degenerasse, così era scappata fuori. Se restava
fuori sulla veranda, sapeva che Mark non l’avrebbe seguita per farle una
scenata. Non faceva mai scenate in pubblico, neppure quando
era ubriaco. Era l’unica cosa su cui Ellie potesse
contare. Ora era pronta per rientrare e chiudere la discussione.
Silenziosamente,
Ellie aprì la porta sul retro ed entrò in cucina. Mark non c’era. Tirò un
sospiro di sollievo. Entrò nel salotto. Mentre andava verso la porta principale
per vedere se il furgone di Mark c’era ancora, sentì un rumore in salotto. Si
girò. Era Mark. Era ancora lì. Seduto su una sedia, che la fissava.
“Pensavo
te ne fossi andato.” Disse Ellie.
“No.”
Ellie
non voleva più discutere.
“Mark,
possiamo lasciar stare questa cosa di Alan? Per favore. Ti ho detto centinaia
di volte che non c’è niente tra me e lui. E’ solo un buon amico. Mi piace
parlare con lui, tutto qui.”
Mark
continuò a fissarla.
“Possiamo
smetterla di litigare solo per una sera Mark?”
“Litigare?
Noi non stiamo litigando. Siamo semplicemente in disaccordo. Litigare
implicherebbe il contatto fisico, non pensi?”
Mark
si alzò. Ellie iniziò a spaventarsi.
“E
dove sono i miei bambini?” Chiese Mark.
“Sono
con mia madre. E’ venerdì. Abbiamo deciso che potevano stare con mia madre,
ricordi?”
“Ricordo
che ne abbiamo parlato. Non ho mai approvato la cosa, comunque. Perché lasci
che i miei bambini vadano in posti che io non approvo?”
“Mark,
è mia madre. Non qualche persona squilibrata.”
A
Mark non piacque il suo atteggiamento. Scattò in piedi dalla sedia, afferrò
Ellie e la scosse violentemente. Lei si liberò dalla sua presa e afferrò le
chiavi della macchina. Fuggì verso la porta principale. Non voleva più stare in
quella casa con lui, nemmeno un’altra notte.
Mark
aveva altri piani. L’afferrò per un braccio, strappandole le chiavi e la sbattè
contro il muro. Come Ellie colpì la parete, Mark la schiaffeggiò, facendola
cadere a terra.
“Non
voglio che tu usi più il telefono.” Ordinò.
Ellie
iniziò a piangere. Lui sembrava così indifferente a lei. Era una persona
totalmente diversa quando beveva. E beveva sempre più
frequentemente, a quanto pareva. Le stava dando ordini ingiusti come questo
ormai da un po’. Prima non poteva più andare a casa dei vicini, poi non le era
più permesso usare il libretto degli assegni e ora il telefono. Stava piangendo
in parte perché era spaventata ma più di tutto perché era stata debole e aveva
lasciato che questo andasse avanti troppo a lungo. Si mise a sedere.
“Mark,
io ti lascio. Non posso più sopportare tutto questo.”
“Tutto cosa?”
“I
litigi. E gli ordini. Non starò più qui a sopportarli.”
Mark
tirò su Ellie dal pavimento. La scosse per un minuto e poi la sbattè di nuovo
contro la parete. Torreggiò sopra di lei, aspettando che sollevasse gli occhi
su di lui. Quando lo fece, Mark strinse il pugno e la colpì in faccia. Ellie
ricadde a terra. Guardò Mark che tornava verso di lei. Questa volta riuscì ad
alzarsi e a scappare da lui.
Corse
dietro Mark, si voltò e lo spinse più forte che poteva. Riuscì a buttarlo a
terra. Afferrò le chiavi del furgone di Mark che erano appese a un gancio
vicino alla porta. Riuscì a raggiungere il vialetto d’entrata prima che Mark le
afferrasse la caviglia, facendola cadere. Si voltò per
guardarlo. Alzò la gamba destra e gli diede un calcio in testa. Alzandosi più
veloce che poteva raggiunse il furgone di Mark ed entrò. Mentre cercava di
trovare la chiave giusta, poteva vedere Mark. Si era già alzato e stava venendo
verso di lei. Armeggiò con le chiavi ancora qualche secondo e trovò quella
giusta. Accese il furgone e fece marcia indietro, proprio
mentre Mark afferrava lo specchietto dalla parte del guidatore. Lo lasciò
andare e iniziò a urlarle dietro.
“Ti
ucciderò Ellie. Mi hai sentito? Nessuno può lasciarmi! Nessuno! Io ti
ucciderò!”
Ellie
si allontanò da casa sua. Stava piangendo. Era spaventata e non aveva nessuna
idea su dove andare. Mentre guidava, iniziò a pensare a cosa era andato storto
tra lei e Mark.
Da
quando Alan era andato a visitarla, circa 2 anni prima, Mark si era messo in
testa che ci fosse qualcosa tra lei ed Alan. Ne parlava molto spesso. Aveva
davvero iniziato a diventare matto o qualcosa del genere. Charlie aveva 5 anni
adesso. Questi litigi a proposito di Alan erano andati avanti più o meno per 2
anni. Circa un anno prima, erano iniziate anche le
violenze. Ellie era sempre impegnata a coprire occhi neri e lividi.
Ellie
chiamava Alan in lacrime almeno una volta al mese.
Prima che lui rispondesse però riusciva sempre a
smettere di piangere. Poi lui diceva ciao e lei si sentiva subito meglio. Voleva
dirgli che c’era qualcosa che non andava, ma non era mai riuscita a pronunciare
le parole ad alta voce. Semplicemente parlavano di niente, o magari degli scavi
o di come stavano i bambini. Quando riattaccava, si sentiva sempre molto
meglio.
Sapeva
che i bambini sarebbero stati al sicuro con sua madre per il momento. Avrebbe
chiamato più tardi e spiegato tutto. Le serviva un po’ di tempo da sola, per
riflettere. Decise di andare all’aeroporto e lasciare l’Arizona per un po’.