Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Adele_Herondale    18/11/2012    1 recensioni
Peeta e Katniss sono tornati al distretto 12. "Si sono trascinati fuori dall'incubo che hanno vissuto, ma hanno scoperto che non c'è nessun sollievo nello svegliarsi". Almeno per ora. Questo breve episodio racconta come Peeta e Katniss cercano di andare avanti..
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Anche se la nebbia oscura il sole, dalla luce deve essere mattino presto. Fuori si gela, ma dentro il letto il calore di peeta mi avvolge. Non riesco a dormire. Allora mi siedo per terra, accanto al camino, e comincio a sfogliare il libro mio e di peeta. Sfioro i ritratti di tutte quelle persone che se ne sono andate, lasciandoci con un mondo da ricostruire. Disegni accurati, a tratti sicuri, anche se salati per le lacrime. Riguardare quei volti, rileggere quelle memorie, mi dà una certa sicurezza, come se fossero lì per ricordarmi da dove si deve ricominciare. 
Sollevo lo sguardo per osservarne l'artista: è così rintanato nelle coperte che quasi non lo si vede. Mi avvicino. Ansima, scosso da un sonno inquieto. Non si muove e anche se i suoi occhi blu sono chiusi, la sua espressione è turbata. Vedo che anche se trema per il freddo sta sudando molto. Allora lo scopro da quello strato soffocante di piumini e mi sdraio accanto a lui, abbracciandolo stretto. Dopo un po' gli ansimi se ne vanno, lasciando posto al battito regolare del suo cuore che si intreccia con il mio. Mi addormento di nuovo, ma questa volta in un sonno profondo e tranquillo. 
Di colpo Peeta si alza con il fiato corto. Si muove a scatti. Sta cercando qualcosa, è una ricerca morbosa, ossessiva.
Mi tiro su e corro vicino a lui, perché so cosa gli prende. L'ho visto e provato troppe volte. Ma ora è diverso. Non si sta semplicemente aggrappando alla testata del letto o stringendosi i polsi come faceva una volta con le manette.
- questa volta no.. Questa volta non succederà..- il suo è un lamento che cresce sempre più di volume, ma non si ferma.
Provo a calmarlo, a interrompere quel delirio. Lui non sembra neanche accorgersi del mio peso sul suo corpo, e non posso far nulla contro la sua forza. Alla fine si ferma. Ha trovato quello che cercava, ma non è nulla di rassicurante.
Mi spinge via e sussurra:
- stai lontana, faranno del male anche a te. Non posso permetterglielo.
Non è il mio ragazzo del pane, quello che ha sempre il punto della situazione. Non è mai lui a impazzire, sono io. Lui deve essere quello che mi tiene stretta finché non mi calmo.
Sono caduta stesa sul pavimento e mi sento un po' stordita. Non riesco a mettere a fuoco cosa ha in mano. Luccica alla luce delle fuoco. Un coltello.
Lentamente lo gira e lo avvicina al viso -non sarete voi a farlo..- . Lo punta verso gli occhi.
Non posso permettere che mi privi della mia unica salvezza nei momenti difficili, il suo sguardo dolce e sincero. Mi alzo di scatto e mi scaglio addosso a lui, buttando la lama nel fuoco. Lui comincia a urlare e cerca di afferrare il coltello tra le fiamme. Avvolgo il suo petto con il mio corpo e per quanto possa contrastare la sua determinazione, lo spingo via tenendomi avvinghiata a lui. Le urla non cessano allora trovo l'unica cosa che posso fare per calmarlo. Premo le mie labbra sulle sue e mentre il suo respiro si scontra con il mio smette di lottare. Le grida diventano lamenti e i lamenti si sciolgono in lacrime.
Lo cullo tra le mie braccia, quando ad un tratto alza lo sguardo e vede la perla appesa al mio collo. Ci mette una mano sopra e mi guarda dritto negli occhi. Mi guarda tanto intensamente che il suo sguardo perfora il buio per poi trafiggermi il cuore. Stringe tra le dita la perla, posa la sua testa sulla mia spalla, e piange in silenzio, come non aveva mai fatto.


Rimaniamo abbracciati sul pavimento gelido. Lo cullo lentamente accarezzandogli i  capelli.
Poi vedo che le sue mani sono piene di scottature per la lotta contro il fuoco.
- Peeta, le tue mani. Devono essere medicate. Andiamo giù, forza.
- Non ce n’è bisogno, Katniss. Sono un fornaio, sono abituato al fuoco.
- Beh, sei abituato alla ragazza in fiamme.
- Tu però il segno me l’hai lasciato dentro.
Rimango bloccata da questa frase.  Sorrido amaramente, e avrei voglia di piangere, ma sono ancora troppo spaventata per quello che è successo; non riesco a commuovermi, o provare qualsiasi altra emozione se non preoccupazione per Peeta. Non dico niente, so che tutto quello che potrei dire non esprimerebbe cosa sto provando in questo momento. E poi la vecchia Katniss, la Katniss che esisteva prima di diventare la pedina di un mondo corrotto, non avrebbe pianto.
Mi alzo senza guardarlo negli occhi, perché incrociarli sprigionerebbe tutti i sentimenti che ora sto soffocando. Non mi piace l’idea di lasciarlo da solo, ma decido di fare alla svelta, tornare subito per proteggerlo da se stesso.
Scendo le scale e prendo da un armadietto di noce tutto l’occorrente per medicare la ferita. Non è rimasto molto da quando mia madre non c’è più. Nessuno rifornisce più l‘armadietto per i farmaci. Allontano questo pensiero e lo chiudo insieme alle medicine.
Faccio per tornare in camera ma vedo Peeta seduto sull’ultimo gradino della scala. Con palmi rivolti verso l’alto appoggiati sulle ginocchia, si tiene avvolto in una vecchia coperta di lana. Senza dire niente, m’inginocchio, metto tutto a terra e comincio a curare le ferite.
- Non devi preoccuparti, ti capisco. Spesso anch’io reagisco così agli incubi. 
- No, tu non sei mai impazzita. Tu ti svegli urlando e basta.
E’ vero, ma non lo dico. Rispondo solo:
- Comunque non devi preoccuparti. Hai passato momenti peggiori di me. Tu sei stato torturato per settimane.
Non dovevo ricordarglielo, è già abbastanza sconvolto senza che io gli riporti alla mente quell'esperienza. Lui rimane impassibile, con lo sguardo perso nel vuoto. Dopo una pausa, trascuro la mia paura e la mia preoccupazione e gli chiedo:
  - Ne vuoi parlare?
 - Sì...
Mi guarda negli occhi e vedo che i suoi sono lucidi. Distoglie lo sguardo, non vuole che io lo veda piangere mai più. Lui è il tipo di uomo che piange da solo e non crede che nessuno debba compatirlo mai. E’ compito suo  sostenere gli altri. Guarda fuori dalla finestra, mentre fuori il cielo si sta liberando lentamente dalla nebbia. Fa un respiro profondo e comincia.
- Ero di nuovo nei settantaquattresimi Hunger Games. Cato mi aveva ferito alla gamba e io, dopo essermi allontanato, ero crollato vicino al fiume. Mi sentivo come se tutta la mia forza evaporasse con il calore del sole. Poi cominciarono ad arrivare le ghiandaie imitatrici. Stormi di uccellini neri che cantano una ninnananna. Una si precipita su di me e cerca di cavarmi gli occhi. Molte altre si mettono a fare lo stesso. Mi accecano, per non farmi vedere per l’ultima volta la luce del giorno. A questo punto mi sono svegliato. Non ero del tutto consapevole delle mie azioni, ma non volevo che fossero loro a cavarmi gli occhi. Se non dovevo vedere la luce, volevo accecarmi da solo. Poi... – qui socchiude gli occhi per mettere a fuoco l’immagine che cerca di far riaffiorare alla mente - poi, pur essendo sveglio, mi sono sentito come se stessi ancora sognando... una ghiandaia imitatrice, diversa dalle altre, mi portava la nostra perla.- una lacrima traccia il suo percorso sulla sua guancia, ma viene subito asciugata.

– Alla fine l’unica vera Ghiandaia Imitatrice mi ha baciato. 

Mi stringo forte al suo petto e comincio a versare lacrime calde e salate, non so bene se di gioia o di dolore. Forse entrambi. Lui invece sorride. Sorride e mi sussurra:
– Grazie. Grazie per non avermi tolto l’ultimo raggio di sole. 

CP<3

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Adele_Herondale