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Autore: Vandel    18/11/2012    0 recensioni
la storia di un militare che si ritrova a fronteggiare un'avventura ai limiti della fantascienza
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4 DIETRO LA PORTA
 
Torsi la maniglia e con un cigolare lento, la porta si aprì. Sgranai gli occhi, pronto a vedere chissà quale meraviglia fosse celata dietro l’enorme battente di ferro.
Ciò che vidi, però, mi lasciò molto deluso.
Davanti a  me si ergeva, da terra fino a superare di poco la mia testa, un oggetto di pietra scura, una stele. I suoi bordi, di un intagliatura irregolare, andavano restringendosi in alto, chiudendosi a formare una punta circolare.
Sul “corpo” di quella stele era inciso qualcosa, geroglifici forse, oppure sumero, ma comunque in una lingua antichissima che non sapevo tradurre.
“E questa cosa sarebbe?” esclamò Laura, che intanto era giunta la mio fianco senza che me ne accorgessi.
“Te l’ho detto, quel vecchio è pazzo!” dissi con cinismo, perso con lo sguardo su quelle lettere di colore argenteo.
“Pazzo è colui che si ostina a ficcare il naso dove gli è proibito!” una voce squarciò il silenzio del piano terra. Una voce che, purtroppo, sapevo appartenere al vecchio contadino.
Io e Laura ci voltammo spaventati per vederlo in piedi, dietro di noi, con il fucile puntato. Nei suoi occhi c’era la solita sinistra aria inquietante che ormai lo contraddistingueva.
Il mio pensiero corse alla fondina che avevo legata in vita, ma decisi che non era ancora il momento.
“Uccidi affinché nessuno ti rubi la stele?” iniziai a parlare.
Il vecchio Alberigo scoppiò in una fragorosa risata che mi inquietò ancora di più.
“Quando è possibile non mi sporco le mani” rispose tornando al suo tono freddo “basta assodare un killer, cosa facile visto l’enorme numero di ragazzi che non ha niente e che per qualche denaro farebbe di tutto. Poi lo uccidi, legittima difesa, per carità, e così ti ritrovi di nuovo da solo.”
La freddezza con cui parlava faceva capire che non fosse nuovo a quel genere di cose. Chissà quante persone aveva ucciso per quella misera stele.
Potevo sentire Laura tremare al mio fianco, spaventata. Dio solo sa quanto volevo abbracciarla in quel momento, però, mi avevano insegnato, bisognava rimanere presenti alla situazione, per cavarsela.
Così tornai con lo sguardo al vecchio. “Cos’ha d’ importante questa stele?” domandai.
L’altro sembrò infastidito e fu colto da un tic che gli fece storcere la testa, prima di rispondere. una risposta che arrivò fredda, sola e terribilmente irreale.
“Quello è Dio!”
Attimi di gelo caddero nella stanza, intervallati solo dai singhiozzi sommessi di Laura, che aveva sempre più paura. Mi voltai verso la stele di granito per vederla sempre ferma lì, sovrana di quella piccola cella di ferro che gli avevano costruito attorno. Sembrava guardarmi con lo stesso scetticismo con cui la guardavo io.
Poi sorridendo, abbassai lo sguardo a terra, per poi riportarlo su Alberigo Modenesi.
“Si dice che l’anzianità porta ad esser saggi” dissi con tono canzonatorio mentre l’altro mi guardava irritato “Ma si dice anche che c’è sempre un eccezione che conferma la regola!”.
Il vecchio fu colto da un altro tic nervoso. Poi tornò a puntarmi con il fucile. Laura sussultò e io alzai le mani. “Non hai idea di quante persone sono state uccise in questi anni, unicamente per preservare quel segreto…” parlò il vecchio, avvicinandosi a passi lenti verso di me “…e se ora tu non vuoi crederci, sarai solamente un’ altro di quegli eretici chiusi sotto il mio campo!”.
Per la prima volta, da quando ero in presenza del vecchio, un brivido mi corse lungo la schiena al sentire quest’ultima frase.
Quando…quando lo avevo visto lavorare nei campi, la mattina prima, in realtà stava preparando altre fosse dove seppellire le salme dei due uomini. Probabilmente sotto quel campo si nascondevano una miriade di cadaveri. Come mai la polizia locale non se ne era mai accorta? Perché era stato permesso quel massacro per così tanto tempo? Forse avevano tutti paura di quel vecchio.
Tutti, tranne me! Oggi avrei distrutto quel vecchio maniaco una volta per tutte!
La canna del fucile mi raggiunse la gola e vidi l’uomo a pochi centimetri da me, con un espressione da invasato.
“No…si fermi…la prego…” Laura era ormai in lacrime, appiattita alla parete accanto a me.
“Tranquilla Laura!” le dissi io in tono deciso, il che la convinse a desistere dal convincere il vecchio.
Alberigo mi fissava, i suoi  occhi nei miei, dito sul grilletto, pronto a sparare. La mia mano scivolò lenta nella fondina, senza farmi accorgere dall’uomo che comunque era troppo impegnato a fissarmi sadico.
“Prega la stele e farai ancora in tempo ad evitare l’inferno!” mi disse con un ghigno.
Era il momento, con il braccio sinistro spostai il fucile dal quale partì un colpo che mi oltrepassò, mancandomi, poi con il braccio destro estrassi la pistola e la puntai sullo stomaco dell’altro.
“Ti direi la stessa cosa, se non fosse che ormai non puoi evitare l’inferno!” esclamai con un espressione apatica. Poi premei il grilletto e il rumore sordo di uno sparo riecheggiò per la stanza.
Non un urlo, non un gemito ne un fiato.
Sentii il corpo esanime di Alberigo franare su di me e lo accasciai dolcemente a terra.
Laura si era lasciata cadere seduta a terra, evidentemente scossa da quanto successo.
Io mi rialzai guardandomi le mani macchiate di un vermiglio rosso sangue. Era tutto finito…

l corpo di Alberigo giaceva ancora sul pavimento del piano terra, faccia in giù, come ad assaporare quel luogo, che per moltissimo tempo era stata la sua casa.
Io ero seduto cavalcioni davanti alla stele, e la fissavo. Come si può credere che quell’oggetto potesse essere Dio?! Insomma, era impossibile, soprattutto con quella ceca convinzione.
A quel punto mi incuriosiva sapere cosa gli avesse dato quella certezza, al vecchio.
Comunque la stele era lì, che sembrava ricambiare i miei sguardi spenti e vuoti.
Le lettere, snodate e spigolose incise sopra, sembravano risplendere di un colore argenteo, dovuto ad un gioco di luci e ombre. Magari Modenesi aveva tradotto le incisioni, magari era da lì che derivava la sua conclusione che fosse Dio.
Non pensai a nient’altro perché fui interrotto dalla presenza di Laura, che si sedette accanto a me.
“Sai…” iniziò a parlare con voce suadente e serena “…non ho mai visto il Signore, non so come sia…”.
Io la guardai con un mezzo sorriso, prima di rispondere sarcastico: “Ho ucciso il suo messia, ora sarò condannato alla dannazione?!”.
Lei capì la mia ironia, magari anche fuori luogo, e per un po’ ammutolì. Poi tornò a guardarmi.
“Non credi?” fu la semplice domanda a bruciapelo.
Non risposi subito, mi lasciai due secondi per pensarci. Cosa dire lo sapevo, me volevo riordinare le idee.
“Il mio Dio non l’ho trovato in nessuna delle religioni esistenti. Non so quale sia il vero Dio, ma di sicuro non può essere questo…”. Conclusi.
Mi accorsi che Laura abbassò lo sguardo, come a volermi compatire, e non ne capivo il perché.
“Credere in qualcosa fa nascere delle convinzioni e con esse una ragione di vita per molti” Disse poi, celando l’evidente esempio, in questo caso negativo però, di Alberigo Modenesi “Io per esempio ho speranza che possa esistere un mondo dove non esista la guerra e la sofferenza, ma per realizzarlo, devo appellarmi a qualcuno più in alto. Credere mi dà speranza…”.
Mi accorsi solo quando ebbe finito di parlare, che mi ero letteralmente perso nei suoi limpidi occhi verdi. Quella ragazza, così giovane e già così matura, mi aveva conquistato. Evitai di dire altro che poteva sciogliere le sue convinzioni, anche se dubito, ci sarei riuscito.
“Ora però andiamo, altrimenti tuo padre si preoccupa!” dissi solo, sorridendole.
“Ne avrebbe tutte le ragioni, in effetti!” sorrise anche lei, alzandosi in piedi.
La seguii poco dopo, ma mentre mi alzavo, qualcosa attirò la mia attenzione ai piedi della stele. Era un oggetto minuto e accartocciato su se stesso in modo irregolare. Quando capì cosa fosse lo presi in mano. Era il proiettile del fucile di Alberigo, il colpo che mi aveva mancato e che dunque, si era conficcato nella stele, dietro di me. Sollevai gli occhi ad essa e rimasi di sasso. Com’era possibile?
Nessun segno di impatto e nessuna minuscola crepa. La stele non era stata scalfita!

Il breve tragitto in macchina ci portò di nuovo al villaggio. Fu veramente una liberazione rivedere la statua equestre di quel cavaliere che occupava la piazza del paese. Era un po’ come tornare a casa.
Quando bussammo alla porta della casa di Laura, suo padre ci aprì e ci saltò al collo in un abbraccio che lo liberò da mille preoccupazioni.
Estrassi dalla fondina la pistola e la porsi al vecchio, dicendo: “Grazie mille, ci ha salvato la pelle questo gioiellino!”.
Lui l’afferrò con un sorriso a trentasei denti e disse: “Ma entrate, raccontatemi tutto!”.
Passai un altro giorno a casa di Laura e suo padre e fu un altro giorno spensierato come da tempo non mi accadeva. Io e la ragazza eravamo sempre più vicini e quello non faceva che rendermi felice sempre di più.  Chissà…forse iniziavo ad innamorarmi.
La sera mi addormentai con un proposito per il giorno seguente. Sarei andato a fare rapporto al campo più vicino, dove ero stato assegnato e poi, insieme a loro sarei tornato alla casa del vecchio, a prelevare la stele per studiarla e a dare degna sepoltura a quei cadaveri nel campo.
E poi, chissà, magari sarei rimasto al campo del villaggio. Così avrei potuto vedere Laura più di frequente.
Con quei piacevoli pensieri arrossii e piano piano scivolai in un sonno ristoratore.
 
  
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