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Autore: Sh_NT    18/11/2012    1 recensioni
Il mio nome è Helen Chester e sono una giornalista. Ho dovuto scrivere un articolo su Johnny Depp, e sottolineo "dovuto". No, inizialmente non ero felice. Credevo davvero che sarebbero stati i 30 giorni più orribili della mia vita.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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19. Day Twenty eight_Twenty nine_Thirty -This is everything I've ever dreamed of

Day Twenty eight/Twenty nine/Thirty - This is everything I've ever dreamed of

Qual è la definizione di week-end romantico? Perché di sicuro non è quello che passai io con Johnny, specialmente perché Johnny non lo vidi affatto.
Sabato, dopo il servizio fotografico e il pomeriggio passato sul divano a festeggiare, eravamo andati a prendere i bambini a scuola e avevamo cenato tutti insieme in un ristorante alla periferia di Los Angeles, come se fossimo una famiglia. Alcune persone, vedendoci entrare, borbottarono tra di loro, ma Johnny era amico del proprietario del locale quindi nessuno osò avvicinarsi per chiedere autografi o fare foto. In realtà, fu la cosa più vicina alla normalità di qualsiasi altro evento di quel giorno.
Quella notte, stesa di fianco a Johnny, mi resi conto che la normalità è un concetto piuttosto soggettivo. Tutto dipende dalla vita che una persona ha avuto, dalla vita che una persona si aspetta di avere, dalle abitudini, dagli appuntamenti, dalle persone che frequenta. Ciò che era normale per me non era normale per Johnny e viceversa. Se io il week-end mi prefissavo di non pensare al lavoro, Johnny si prendeva un mese sabbatico senza pensarci due volte. Quello per lui era normale. Una decisione del genere presa da me mi avrebbe fatto perdere il lavoro.
Jack sul contratto aveva inserito come data di inizio del mio nuovo lavoro il lunedì successivo, il che significava che avrebbe potuto sfruttarmi per qualche altro giorno. E lo fece. Domenica mattina mi chiamò alle sei di mattina per informarmi gentilmente che voleva per lunedì mattina l'articolo sulla sua cattedra, quindi dovevo recarmi immediatamente in ufficio per finire di scrivere. Di malavoglia, mi spostai lontana dall'abbraccio dell'attore, mi chiusi in bagno per una doccia veloce e poi uscii diretta verso la solita caffetteria per fare colazione.
Appena entrata, m'immobilizzai. Deglutii. Stava leggendo il giornale mentre sorseggiava un caffè. Non mi aveva vista, quindi avrei potuto far finta di nulla e uscire di fretta. Ma non lo feci. Scivolai sulla sedia e poggiai la borsa a terra.
« Logan...»
Gli occhi che fino a prima scorrevano veloci sulle pagine in bianco e nero si fermarono all'improvviso. Le mani si contrassero come se avessero voluto strappare la carta, però lui mantenne la calma, ripiegò il giornale e mi guardò.
« Helen.»
Mi dedicò uno sguardo veloce prima di concentrarsi sul liquido nella tazza che aveva preso tra le mani.
Ordinai un caffè e una brioche da portare via.
« Come stai?» Chiesi accennando un sorriso. Non parlavamo da un po', e l'ultima volta che ci eravamo visti non ci eravamo salutati in modo... “civile”.
« Sto bene, Helen, sto bene... Tu invece?» Dal modo in cui lo chiese sembrava già conoscere la risposta, quindi mi limitai a scrollare le spalle. « Sì, ho parlato con Claire. Sono... felice per te, suppongo. È questo quello che dicono, no? Mi chiedo solo se tu sia pronta a sopportare ciò che accadrà quando tutto diventerà pubblico.»
Improvvisamente, mi resi conto dell'errore che avevo fatto sedendomi lì. Avrei dovuto ignorarlo e andare via, invece avevo sentito il bisogno di scusarmi per il modo in cui lo avevo trattato. Lui era ancora ferito, era visibile, ma io non potevo più farci nulla. Logan non era più una mia preoccupazione. Non lo era mai stato.
Il cameriere mi portò ciò che avevo ordinato all'interno di un sacchetto di carta, quindi mi alzai.
« Trova qualcun altro da amare, Logan. Magari la prossima volta sarai più fortunato.»
Mentre mi allontanavo, sentii un “in bocca al lupo” appena sussurrato.

Passai tutta la domenica, senza sosta, a scrivere e poi correggere il quarto e finale articolo che sarebbe uscito quel martedì. Avevo già una bozza sul quaderno degli appunti che portavo sempre con me, ma mi vidi costretta a cambiare praticamente tutto. Jack passò circa ogni una o due ore, mentre per il resto del tempo restò nel suo ufficio a fare telefonate e a tenermi d'occhio, oppure a ricevere star varie. Alcune di loro, lo sapevo, sarebbero state le mie prossime “vittime”, o meglio, ben presto avrei dovuto scrivere articoli su di loro. Jack mi aveva rassicurata dicendo che non sarebbero più stati 30 giorni ma solo 7 di “pedinamento”. Al contrario di Johnny, non erano star che dovevano far dimenticare degli scandali recenti, ma semplicemente celebrità che erano state convinte dai propri agenti che un articolo in più poteva solo aumentare la fama e, di conseguenza, contratti per nuovi film o serie tv.
Il mio attore era preoccupato che potessi innamorarmi di loro, ma lo avevo rassicurato dicendo che in una settimana al massimo sarei riuscita ad andare a letto con qualcuno di loro, non altro. La risposta era stata cinque minuti buoni di solletico non-stop. Dopo avevo ritrattato tutto e gli avevo promesso che ci sarebbe stato al limite un bacio.
Ero davvero terrorizzata all'idea di conoscere altre persone di Hollywood. Avevo pensato di parlarne con Jack e confessargli che avevo cambiato idea, che non volevo farlo, ma riflettendo su ciò che mi aveva offerto capivo che non potevo farlo: era una grande opportunità per me – come lo era stato il primo incontro con Johnny – che di sicuro mi avrebbe dato nuovi spunti per il mio libro.
Alle 19 molti iniziarono ad andare via, ma io non avevo ancora finito. Alle 20 ero rimasta l'unica sul piano, e fortunatamente stavo finendo di stampare le venti pagine dell'articolo quando arrivò la donna delle pulizie con l'aspirapolvere. Quel rumore assordante mi fece tornare in mente l'intervista di Johnny all'Inside The Actors Studio e le sue risposte alle domande di rito. Diceva che il suono che detestava di più era quello dell'aspirapolvere, e quello che amava di più era quello della risata di sua figlia. Immaginai come dovevano essere felici in quel periodo, lui e Vanessa, e mi sorse spontanea una domanda che mi rovinò l'intera serata.

Avevo aperto l'ufficio di Jack con la chiave che mi aveva dato lui stesso e avevo poggiato il fascio di fogli sulla sua scrivania. Uscendo, avevo recuperato la mia borsa e avevo corso fino alla macchina sotto la pioggia.
« Claire...» Stavo piangendo. Sapevo che solo lei avrebbe potuto calmarmi e farmi ragionare, ma proprio non si sbrigava, non voleva rispondere al telefono.
Rimasi rannicchiata, con le ginocchia piegate sotto il mento, al posto del guidatore della mia Mustang, impossibilitata a fare altro. La pioggia, violenta contro il parabrezza, sembrava indirizzata contro di me dal vento, voleva raggiungermi. Per un attimo fui quasi tentata dall'idea di aprire il finestrino e lasciare che l'acqua entrasse senza sosta. Ma non lo feci. Rimasi immobile fin quando sentii il cellulare vibrare nella borsa. Lo afferrai in fretta. Segnava le 22:34.
« Sì?»
« Helen? Dove sei? Ti sto aspettando, sto provando a chiamarti dalle nove!»
« Johnny, io...»
« Stai bene?»
Rimasi in silenzio per un po', cercando di non iniziare a singhiozzare. « Ho finito da poco in redazione, sono... sono in macchina.»
« Perché stai piangendo?» Più che preoccupato, ora sembrava arrabbiato. Arrabbiato perché gli stavo nascondendo qualcosa.
« Sono... felice del successo dell'articolo, tutto qui.»
Vidi una figura correre attraverso la pioggia, nella mia direzione, mentre aspettavo una risposta di Johnny. L'unica cosa di cui avevo bisogno erano altri paparazzi invadenti.
La persona fuori armeggiò con la portiera e già mi stavo preparando a colpirlo – la mia unica arma era il cellulare, capitemi... – tuttavia apparve il volto dell'attore, il mio attore. Lo fissai impotente, afferrai la borsa dal sedile del passeggero, ci ficcai dentro il cellulare e la lanciai sul sedile posteriore. Era completamente zuppo, il che mi fece pensare che probabilmente era rimasto ad aspettare fuori dalla redazione che uscissi.
« Che ci fai qui?»
Lui si allungò verso di me e mi accarezzò una guancia. L'intento probabilmente era di cancellare le lacrime, ma finì solo per bagnarmi il volto. Il contatto mi causò un brivido.
« Sei freddo.»
Mi voltai completamente verso di lui, piegando la gamba destra sotto la sinistra, e appoggiai la testa contro il sedile.
La sua mano, prima portata sul mio viso, si fermò al limitare del mio sedile e lui si avvicinò per sfiorare le mie labbra con le sue.
« Cos'è successo?» Sussurrò lui incontrando i miei occhi. Distolsi lo sguardo e tornai a fissare le gocce contro il lunotto.
Scossi la testa un paio di volte, tuttavia Johnny mi fermò il mento con tre dita e mi costrinse a guardarlo.
« Parla.»
Arricciai le labbra, contrariata. Quello era uno dei tanti discorsi che devono essere impacchettati e riposti in un angolo della mente, dimenticati, sperando che non tornino un giorno o nell'altro in uno di quegli attacchi a tradimento. Perché certi discorsi, se ti accoltellano alle spalle un giorno di primavera, mentre magari sei semplicemente in giardino a potare le rose, ti lasciano lì a dissanguare lentamente, costringendoti a strisciare per andare avanti. E poi un cerotto non basta più.
« Se io non fossi arrivata... se Jack non mi avesse chiesto di scrivere questo articolo, o se magari le cose tra di noi fossero andate in modo diverso... credi che adesso con te ci sarebbe stata Vanessa?»
Lui sfoggiò uno dei suoi sorrisi disarmanti,
« Helen... le cose tra me e Vanessa erano finite da tempo. Da molto prima che tu arrivassi. Quello che è successo in Francia, o ciò che è accaduto quando lei è venuta qui a Los Angeles, non significa che io l'ho amata per tutto questo tempo, solo che lei è fin troppo insistente. Se mi stai chiedendo se hai rovinato una famiglia, la risposta è no. Non vorrei crescere i miei figli al fianco di qualcuno che non amo, per questo ora ci sei tu.»
« Quindi... non sono una persona orribile?»
Accennò una risata. « No, non sei una persona orribile.»
Fui io a buttargli le braccia al collo, ad affondare le mani tra i suoi capelli e a dare via a un bacio che si protrasse per diversi minuti.
« Tu... il mio lavoro... sono felice. Questo è tutto ciò che ho sempre sognato...» Sussurrai tra le sue braccia.


Jack mi aveva chiamata, come al solito, con un gesto della mano. Ora era seduto alla scrivania e fissava il foglio, poi me, poi di nuovo il foglio. A tratti alzava un dito per correggermi qualcosa, ma la maggior parte delle volte ci ripensava e continuava la lettura. Aveva aspettato che arrivassi – quel giorno non mi aveva svegliata alle 6 – affinché potessimo correggere l'articolo insieme. Solo che di errori non ce n'erano, visto che avevo passato tutto il pomeriggio precedente a rileggere e a correggere.
« Bene, bene...» Borbottò dopo un po'. « Ti sei davvero impegnata.»
« Come sempre.» Commentai arricciando le labbra. Il fatto che sospettasse che non mi ero impegnata mi aveva fatto leggermente innervosire. Forse perché quella notte non avevo dormito molto, ero molto suscettibile.
« Certo. Come limite ti avevo dato 15 pagine, ma okay, vedremo di chiamare la tipografia, sto giusto portando tutto ora.»
Sulla scrivania, dentro una cartellina aperta, riuscivo a intravedere le foto e l'intervista di sabato.
« Posso...?» Chiesi allungando una mano.
Lui annuì, e io presi in mano la cartellina e sfogliai i tre fogli totali di un'intervista durata 10 minuti.
« Chi ha scritto tutto?»
« Ruth.»
Sospirai profondamente. « Proprio lei?»
« È brava nel suo lavoro, non lasciarti influenzare dal modo in cui si comporta.»
Scrollai le spalle. « Ormai è fatta.»
Lessi qualche riga e notai che non aveva mostrato affatto il suo odio tra le parole, anzi, tutto sembrava molto lusinghiero. Mi chiesi cosa dovesse avergli offerto Jack. Presi tra le mani una delle foto che ci aveva scattato il ragazzo impegnato; dovetti ammettere che ci sapeva fare, e non poco. Sembravamo quasi una coppia qualunque di Hollywood, solo che non era così.
« La vostra intervista è già su Internet... i fan vi adorano.»
« Davvero? Sul sito del Rolling Stone?»
« Sì, vuoi vederla?» Si sporse verso lo schermo del computer e con il mouse iniziò a cercare qualcosa su Internet
« No, no, tranquillo, lo vedrò poi dalla postazione.»
« Okay, allora io scappo. A domani, Helen.»
Lo osservai radunare tutto il necessario per la tipografia, poi lo seguii con lo sguardo mentre lasciava l'ufficio. Pochi attimi dopo, mi alzai e uscii.


Ebbi il resto della giornata per prepararmi a ciò che sarebbe successo il giorno seguente, martedì.
Non fu abbastanza.
Quella mattina, via posta, era arrivata l'edizione speciale del Rolling Stone, e Johnny, dopo averla letta d'un fiato, l'aveva messa sul comodino, in modo che potessi vederla. Il copertina c'era una nostra foto insieme, quella in cui io stavo ridendo appoggiandogli una mano sulla spalla e lui mi guardava sorridente. Durante il servizio non avevo notato quel suo sguardo, quello che più tardi Claire avrebbe definito “simile allo sguardo di una donna che guarda una diamante che le apparterrà per sempre”.
Sapevo che era tardi e che Johnny era già uscito ad accompagnare i bambini, ciò non mi aspettavo era di rincontrarlo in redazione, insieme a tutti gli altri giornalisti e all'editore. L'edificio era grande, e ogni piano si occupava di una sezione diversa del giornale (politica, musica, cinematografia...) eppure quel giorno tutti i pezzi grossi erano lì a congratularsi con me. In realtà erano lì solo perché il loro stipendio presto sarebbe stato aumentato, ma non diedi molta importanza a quel dettaglio.
Ciò che il giornale aveva deciso di fare era modernizzare il modo di intervistare. Molti credevano che fosse impossibile conoscere qualcuno solo in venti minuti, quindi ecco che questa nuova soluzione usciva fuori al momento adatto. Onestamente non credevo che fosse un'idea degna di una festa del genere, ma era troppo tardi per fermarla. Risposi a ogni domanda che mi fu posta, parlai con ogni singola persona nella stanza tra un bicchiere di champagne e l'altro, quindi lasciai l'edificio solo a pomeriggio inoltrato con Johnny.
« Sono passati 30 giorni...» Mormorò lui mentre raggiungevamo la macchina.
« Già. 30 giorni in cui ho imparato come odiare davvero qualcuno.»
« Parli di Logan, vero?»
Accennai una risata. « Logan o te, come preferisci.» Gli lanciai un'occhiata.
« Oh, avanti, non puoi paragonarmi a lui! Io ho un'isola!»
« Sì, Mr. Depp, ma non vantartene!»
« Lo tiro fuori quando può farmi comodo.» Rimase in silenzio per un paio di secondi. « Senza contare che hanno fatto una mia statua di cera!»



(Beh, ma buongiorno!
Non ci sentiamo da un po', è vero, però ora sono qui perché siamo giunti (quasi) alla fine. Tra un paio di giorni (spero) pubblicherò un piccolopiccolopiccolo epilogo, giusto per vedere come se la caveranno Helen e Johnny dopo qualche mese. Visto che il primo capitolo è chiamato ''The beginning of a nightmare'' mi è sembrato più che appropriato chiamare l'epilogo ''The beginning of a dream'', giusto per restare in tema.
Ringrazio tutte coloro che mi hanno seguito sin dall'inizio e quelle che hanno iniziato a leggere solo una settimana fa, quelle che hanno recensito e quelle che sono rimaste in silenzio perché sono 'timide' (vi capisco, anch'io sono pigra, non vi abbattete).
Quindi nulla, grazie grazie grazie! È stata davvero una gioia per me riuscire a portare questa ff su Johnny su EFP, e vi assicuro che a volte ho creduto seriamente di non riuscire a portare a termine ciò che avevo iniziato. Se ce l'ho fatta, è tutto merito vostro.
Adieu, mes amies, e...
Cheers!~
)

   
 
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