Day
Twenty eight/Twenty nine/Thirty - This is everything I've ever
dreamed of
Qual
è la definizione di week-end romantico? Perché di
sicuro non è
quello che passai io con Johnny, specialmente perché Johnny
non lo
vidi affatto.
Sabato, dopo il servizio fotografico e il
pomeriggio passato sul divano a festeggiare, eravamo andati a
prendere i bambini a scuola e avevamo cenato tutti insieme in un
ristorante alla periferia di Los Angeles, come se fossimo una
famiglia. Alcune persone, vedendoci entrare, borbottarono tra di
loro, ma Johnny era amico del proprietario del locale quindi nessuno
osò avvicinarsi per chiedere autografi o fare foto. In
realtà, fu
la cosa più vicina alla normalità di qualsiasi
altro evento di quel
giorno.
Quella notte, stesa di fianco a Johnny, mi resi conto che
la normalità è un concetto piuttosto soggettivo.
Tutto dipende
dalla vita che una persona ha avuto, dalla vita che una persona si
aspetta di avere, dalle abitudini, dagli appuntamenti, dalle persone
che frequenta. Ciò che era normale per me non era normale
per Johnny
e viceversa. Se io il week-end mi prefissavo di non pensare al
lavoro, Johnny si prendeva un mese sabbatico senza pensarci due
volte. Quello per lui era normale. Una decisione del genere presa da
me mi avrebbe fatto perdere il lavoro.
Jack sul contratto aveva
inserito come data di inizio del mio nuovo lavoro il lunedì
successivo, il che significava che avrebbe potuto sfruttarmi per
qualche altro giorno. E lo fece. Domenica mattina mi chiamò
alle sei
di mattina per informarmi gentilmente che voleva per lunedì
mattina
l'articolo sulla sua cattedra, quindi dovevo recarmi immediatamente
in ufficio per finire di scrivere. Di malavoglia, mi spostai lontana
dall'abbraccio dell'attore, mi chiusi in bagno per una doccia veloce
e poi uscii diretta verso la solita caffetteria per fare colazione.
Appena entrata, m'immobilizzai. Deglutii. Stava leggendo il
giornale mentre sorseggiava un caffè. Non mi aveva vista,
quindi
avrei potuto far finta di nulla e uscire di fretta. Ma non lo feci.
Scivolai sulla sedia e poggiai la borsa a terra.
« Logan...»
Gli
occhi che fino a prima scorrevano veloci sulle pagine in bianco e
nero si fermarono all'improvviso. Le mani si contrassero come se
avessero voluto strappare la carta, però lui mantenne la
calma,
ripiegò il giornale e mi guardò.
« Helen.»
Mi dedicò uno
sguardo veloce prima di concentrarsi sul liquido nella tazza che
aveva preso tra le mani.
Ordinai un caffè e una brioche da
portare via.
« Come stai?» Chiesi accennando un sorriso. Non
parlavamo da un po', e l'ultima volta che ci eravamo visti non ci
eravamo salutati in modo... “civile”.
« Sto bene, Helen, sto
bene... Tu invece?» Dal modo in cui lo chiese sembrava
già
conoscere la risposta, quindi mi limitai a scrollare le spalle.
«
Sì, ho parlato con Claire. Sono... felice per te, suppongo.
È
questo quello che dicono, no? Mi chiedo solo se tu sia pronta a
sopportare ciò che accadrà quando tutto
diventerà
pubblico.»
Improvvisamente, mi resi conto dell'errore che avevo
fatto sedendomi lì. Avrei dovuto ignorarlo e andare via,
invece
avevo sentito il bisogno di scusarmi per il modo in cui lo avevo
trattato. Lui era ancora ferito, era visibile, ma io non potevo
più
farci nulla. Logan non era più una mia preoccupazione. Non
lo era
mai stato.
Il cameriere mi portò ciò che avevo ordinato
all'interno di un sacchetto di carta, quindi mi alzai.
« Trova
qualcun altro da amare, Logan. Magari la prossima volta sarai
più
fortunato.»
Mentre mi allontanavo, sentii un “in bocca al lupo”
appena sussurrato.
Passai tutta la domenica, senza sosta, a
scrivere e poi correggere il quarto e finale articolo che sarebbe
uscito quel martedì. Avevo già una bozza sul
quaderno degli appunti
che portavo sempre con me, ma mi vidi costretta a cambiare
praticamente tutto. Jack passò circa ogni una o due ore,
mentre per
il resto del tempo restò nel suo ufficio a fare telefonate e
a
tenermi d'occhio, oppure a ricevere star varie. Alcune di loro, lo
sapevo, sarebbero state le mie prossime “vittime”,
o meglio, ben
presto avrei dovuto scrivere articoli su di loro. Jack mi aveva
rassicurata dicendo che non sarebbero più stati 30 giorni ma
solo 7
di “pedinamento”. Al contrario di Johnny, non erano
star che
dovevano far dimenticare degli scandali recenti, ma semplicemente
celebrità che erano state convinte dai propri agenti che un
articolo
in più poteva solo aumentare la fama e, di conseguenza,
contratti
per nuovi film o serie tv.
Il mio attore era preoccupato che
potessi innamorarmi di loro, ma lo avevo rassicurato dicendo che in
una settimana al massimo sarei riuscita ad andare a letto con
qualcuno di loro, non altro. La risposta era stata cinque minuti
buoni di solletico non-stop. Dopo avevo ritrattato tutto e gli avevo
promesso che ci sarebbe stato al limite un bacio.
Ero davvero
terrorizzata all'idea di conoscere altre persone di Hollywood. Avevo
pensato di parlarne con Jack e confessargli che avevo cambiato idea,
che non volevo farlo, ma riflettendo su ciò che mi aveva
offerto
capivo che non potevo farlo: era una grande opportunità per
me –
come lo era stato il primo incontro con Johnny – che di
sicuro mi
avrebbe dato nuovi spunti per il mio libro.
Alle 19 molti
iniziarono ad andare via, ma io non avevo ancora finito. Alle 20 ero
rimasta l'unica sul piano, e fortunatamente stavo finendo di stampare
le venti pagine dell'articolo quando arrivò la donna delle
pulizie
con l'aspirapolvere. Quel rumore assordante mi fece tornare in mente
l'intervista di Johnny all'Inside The Actors Studio e le sue risposte
alle domande di rito. Diceva che il suono che detestava di
più era
quello dell'aspirapolvere, e quello che amava di più era
quello
della risata di sua figlia. Immaginai come dovevano essere felici in
quel periodo, lui e Vanessa, e mi sorse spontanea una domanda che mi
rovinò l'intera serata.
Avevo aperto l'ufficio di Jack con
la chiave che mi aveva dato lui stesso e avevo poggiato il fascio di
fogli sulla sua scrivania. Uscendo, avevo recuperato la mia borsa e
avevo corso fino alla macchina sotto la pioggia.
« Claire...»
Stavo piangendo. Sapevo che solo lei avrebbe potuto calmarmi e farmi
ragionare, ma proprio non si sbrigava, non voleva rispondere al
telefono.
Rimasi rannicchiata, con le ginocchia piegate sotto il
mento, al posto del guidatore della mia Mustang, impossibilitata a
fare altro. La pioggia, violenta contro il parabrezza, sembrava
indirizzata contro di me dal vento, voleva raggiungermi. Per un
attimo fui quasi tentata dall'idea di aprire il finestrino e lasciare
che l'acqua entrasse senza sosta. Ma non lo feci. Rimasi immobile fin
quando sentii il cellulare vibrare nella borsa. Lo afferrai in
fretta. Segnava le 22:34.
« Sì?»
« Helen? Dove sei? Ti sto
aspettando, sto provando a chiamarti dalle nove!»
« Johnny,
io...»
« Stai bene?»
Rimasi in silenzio per un po', cercando
di non iniziare a singhiozzare. « Ho finito da poco in
redazione,
sono... sono in macchina.»
« Perché stai piangendo?» Più
che
preoccupato, ora sembrava arrabbiato. Arrabbiato perché gli
stavo
nascondendo qualcosa.
« Sono... felice del successo
dell'articolo, tutto qui.»
Vidi una figura correre attraverso la
pioggia, nella mia direzione, mentre aspettavo una risposta di
Johnny. L'unica cosa di cui avevo bisogno erano altri paparazzi
invadenti.
La persona fuori armeggiò con la portiera e già
mi
stavo preparando a colpirlo – la mia unica arma era il
cellulare,
capitemi... – tuttavia apparve il volto dell'attore, il mio
attore.
Lo fissai impotente, afferrai la borsa dal sedile del passeggero, ci
ficcai dentro il cellulare e la lanciai sul sedile posteriore. Era
completamente zuppo, il che mi fece pensare che probabilmente era
rimasto ad aspettare fuori dalla redazione che uscissi.
« Che ci
fai qui?»
Lui si allungò verso di me e mi accarezzò una
guancia. L'intento probabilmente era di cancellare le lacrime, ma
finì solo per bagnarmi il volto. Il contatto mi
causò un brivido.
«
Sei freddo.»
Mi voltai completamente verso di lui, piegando la
gamba destra sotto la sinistra, e appoggiai la testa contro il
sedile.
La sua mano, prima portata sul mio viso, si fermò al
limitare del mio sedile e lui si avvicinò per sfiorare le
mie labbra
con le sue.
« Cos'è successo?» Sussurrò
lui incontrando i miei
occhi. Distolsi lo sguardo e tornai a fissare le gocce contro il
lunotto.
Scossi la testa un paio di volte, tuttavia Johnny mi
fermò il mento con tre dita e mi costrinse a guardarlo.
«
Parla.»
Arricciai le labbra, contrariata. Quello era uno dei
tanti discorsi che devono essere impacchettati e riposti in un angolo
della mente, dimenticati, sperando che non tornino un giorno o
nell'altro in uno di quegli attacchi a tradimento. Perché
certi
discorsi, se ti accoltellano alle spalle un giorno di primavera,
mentre magari sei semplicemente in giardino a potare le rose, ti
lasciano lì a dissanguare lentamente, costringendoti a
strisciare
per andare avanti. E poi un cerotto non basta più.
« Se io non
fossi arrivata... se Jack non mi avesse chiesto di scrivere questo
articolo, o se magari le cose tra di noi fossero andate in modo
diverso... credi che adesso con te ci sarebbe stata Vanessa?»
Lui
sfoggiò uno dei suoi sorrisi disarmanti,
« Helen... le cose tra
me e Vanessa erano finite da tempo. Da molto prima che tu arrivassi.
Quello che è successo in Francia, o ciò che
è accaduto quando lei
è venuta qui a Los Angeles, non significa che io l'ho amata
per
tutto questo tempo, solo che lei è fin troppo insistente. Se
mi stai
chiedendo se hai rovinato una famiglia, la risposta è no.
Non vorrei
crescere i miei figli al fianco di qualcuno che non amo, per questo
ora ci sei tu.»
« Quindi... non sono una persona
orribile?»
Accennò una risata. « No, non sei una persona
orribile.»
Fui io a buttargli le braccia al collo, ad affondare
le mani tra i suoi capelli e a dare via a un bacio che si protrasse
per diversi minuti.
« Tu... il mio lavoro... sono felice. Questo
è tutto ciò che ho sempre sognato...»
Sussurrai tra le sue
braccia.
Jack mi aveva chiamata, come al solito, con un
gesto della mano. Ora era seduto alla scrivania e fissava il foglio,
poi me, poi di nuovo il foglio. A tratti alzava un dito per
correggermi qualcosa, ma la maggior parte delle volte ci ripensava e
continuava la lettura. Aveva aspettato che arrivassi – quel
giorno
non mi aveva svegliata alle 6 – affinché potessimo
correggere
l'articolo insieme. Solo che di errori non ce n'erano, visto che
avevo passato tutto il pomeriggio precedente a rileggere e a
correggere.
« Bene, bene...» Borbottò dopo un po'.
« Ti sei
davvero impegnata.»
« Come sempre.» Commentai arricciando le
labbra. Il fatto che sospettasse che non mi ero impegnata mi aveva
fatto leggermente innervosire. Forse perché quella notte non
avevo
dormito molto, ero molto suscettibile.
« Certo. Come limite ti
avevo dato 15 pagine, ma okay, vedremo di chiamare la tipografia, sto
giusto portando tutto ora.»
Sulla scrivania, dentro una
cartellina aperta, riuscivo a intravedere le foto e l'intervista di
sabato.
« Posso...?» Chiesi allungando una mano.
Lui annuì,
e io presi in mano la cartellina e sfogliai i tre fogli totali di
un'intervista durata 10 minuti.
« Chi ha scritto tutto?»
«
Ruth.»
Sospirai profondamente. « Proprio lei?»
« È brava
nel suo lavoro, non lasciarti influenzare dal modo in cui si
comporta.»
Scrollai le spalle. « Ormai è fatta.»
Lessi
qualche riga e notai che non aveva mostrato affatto il suo odio tra
le parole, anzi, tutto sembrava molto lusinghiero. Mi chiesi cosa
dovesse avergli offerto Jack. Presi tra le mani una delle foto che ci
aveva scattato il ragazzo impegnato; dovetti ammettere che ci sapeva
fare, e non poco. Sembravamo quasi una coppia qualunque di Hollywood,
solo che non era così.
« La vostra intervista è già su
Internet... i fan vi adorano.»
« Davvero? Sul sito del Rolling
Stone?»
« Sì, vuoi vederla?» Si sporse verso lo
schermo del
computer e con il mouse iniziò a cercare qualcosa su Internet
«
No, no, tranquillo, lo vedrò poi dalla postazione.»
« Okay,
allora io scappo. A domani, Helen.»
Lo osservai radunare tutto il
necessario per la tipografia, poi lo seguii con lo sguardo mentre
lasciava l'ufficio. Pochi attimi dopo, mi alzai e uscii.
Ebbi
il resto della giornata per prepararmi a ciò che sarebbe
successo il
giorno seguente, martedì.
Non fu abbastanza.
Quella mattina,
via posta, era arrivata l'edizione speciale del Rolling Stone, e
Johnny, dopo averla letta d'un fiato, l'aveva messa sul comodino, in
modo che potessi vederla. Il copertina c'era una nostra foto insieme,
quella in cui io stavo ridendo appoggiandogli una mano sulla spalla e
lui mi guardava sorridente. Durante il servizio non avevo notato quel
suo sguardo, quello che più tardi Claire avrebbe definito
“simile
allo sguardo di una donna che guarda una diamante che le
apparterrà
per sempre”.
Sapevo che era tardi e che Johnny era già uscito
ad accompagnare i bambini, ciò non mi aspettavo era di
rincontrarlo
in redazione, insieme a tutti gli altri giornalisti e all'editore.
L'edificio era grande, e ogni piano si occupava di una sezione
diversa del giornale (politica, musica, cinematografia...) eppure
quel giorno tutti i pezzi grossi erano lì a congratularsi
con me. In
realtà erano lì solo perché il loro
stipendio presto sarebbe stato
aumentato, ma non diedi molta importanza a quel dettaglio.
Ciò
che il giornale aveva deciso di fare era modernizzare il modo di
intervistare. Molti credevano che fosse impossibile conoscere
qualcuno solo in venti minuti, quindi ecco che questa nuova soluzione
usciva fuori al momento adatto. Onestamente non credevo che fosse
un'idea degna di una festa del genere, ma era troppo tardi per
fermarla. Risposi a ogni domanda che mi fu posta, parlai con ogni
singola persona nella stanza tra un bicchiere di champagne e l'altro,
quindi lasciai l'edificio solo a pomeriggio inoltrato con Johnny.
«
Sono passati 30 giorni...» Mormorò lui mentre
raggiungevamo la
macchina.
« Già. 30 giorni in cui ho imparato come odiare
davvero qualcuno.»
« Parli di Logan, vero?»
Accennai una
risata. « Logan o te, come preferisci.» Gli lanciai
un'occhiata.
«
Oh, avanti, non puoi paragonarmi a lui! Io ho un'isola!»
« Sì,
Mr. Depp, ma non vantartene!»
« Lo tiro fuori quando può farmi
comodo.» Rimase in silenzio per un paio di secondi.
« Senza contare
che hanno fatto una mia statua di cera!»
(Beh,
ma buongiorno!
Non ci sentiamo da un po', è vero, però ora sono
qui perché siamo giunti (quasi) alla fine. Tra un paio di
giorni
(spero) pubblicherò un piccolopiccolopiccolo epilogo, giusto
per
vedere come se la caveranno Helen e Johnny dopo qualche mese. Visto
che il primo capitolo è chiamato ''The beginning of a
nightmare'' mi
è sembrato più che appropriato chiamare l'epilogo
''The beginning
of a dream'', giusto per restare in tema.
Ringrazio tutte coloro
che mi hanno seguito sin dall'inizio e quelle che hanno iniziato a
leggere solo una settimana fa, quelle che hanno recensito e quelle
che sono rimaste in silenzio perché sono 'timide' (vi
capisco,
anch'io sono pigra, non vi abbattete).
Quindi nulla, grazie
grazie grazie! È stata davvero una gioia per me riuscire a
portare
questa ff su Johnny su EFP, e vi assicuro che a volte ho creduto
seriamente di non riuscire a portare a termine ciò che avevo
iniziato. Se ce l'ho fatta, è tutto merito vostro.
Adieu, mes
amies, e...
Cheers!~
)