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Autore: Carlos Olivera    18/11/2012    5 recensioni
Una storia nata dalla Round Robin Threads Of Fate, ed ambientata parallelamente ad essa.
E' trascorso un anno da quando Eric Flyer ha sconfitto Valopingius e fermato i piani di suo nonno, discolpandosi dalle accuse a suo carico ed ottenendo la qualifica di Hunter a tutti gli effetti.
Molte cose sono cambiate in questi 12 mesi, e anche lui un po', così sua madre decide di raccomandarlo al suo amico Kaien perché sia inserito nel progetto di scambio culturale che l'Accademia Cross si accinge ad iniziare. Eric vi si trasferisce con una cert'ansia, sia perchè nella scuola si trova la sua eterna nemesi, sia perchè alla Cross è determinata a studiare anche la persona alla quale tiene maggiormente al mondo, e che disgraziatamente attira i vampiri come le mosche con il miele.
Ma la tranquillità durerà poco. Suo nonno Augusto, infatti, non solo non ha rinunciato al suo disegno di creare con le sue mani la prossima tappa dell'evoluzione dei vampiri, ma non ha neanche dimenticato come Kaname, e soprattutto Eric, abbiano fatto naufragare miseramente il suo primo piano. Ma questa volta, Eric potrà contare su un gran numero di compagni ed alleati.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il lunedì successivo, nella Day Class c’era grande fermento.

Era il primo giorno di lezione del nuovo professore di tedesco, e chi l’aveva visto fino a quel momento poteva giurare che era assolutamente bellissimo.

Il corso di tedesco era stato istituito come corso supplementare per chi avesse avuto interesse ad imparare una lingua straniera che non fosse i soliti cinese ed inglese, ma era bastata la notizia sul fascino del professore per riempire istantaneamente la classe, soprattutto di ragazze.

«Aspettate di vederlo.» diceva qualcuno «Sembra un attore di Hollywood».

Chi non riusciva per niente a farsi contagiare erano Emma e Izumi.

Loro, infatti, ben conoscevano questo attore di Hollywood, e sapevano cosa aspettarsi da lui.

Emma ancora fumava come una locomotiva, e non era sicura di poter mantenere l’autocontrollo appena quel damerino avesse messo piede in classe. Se solo quella testa di legno di Izumi non si fosse impuntata a voler frequentare a tutti i costi quel corso, avendo sempre amato e coltivato la passione per le lingue germaniche, lì lei non ci sarebbe non ci sarebbe andata manco sotto tortura.

Lo stesso quasi si poteva dire di Carmy, che invece si trovava lì a titolo di pura curiosità.

Quando le porte infine si aprirono, vi fu dapprima un istante di silenzio, seguito, al palesarsi verso e proprio del professore, da esclamazioni di giubilo da parte dei ragazzi e gemiti ammaliati delle ragazze.

Definirlo bello era un eufemismo.

I capelli, biondissimi, erano lunghi fino alle spalle, gli occhi blu ammalianti, il viso di una bella ed elegante forma ovale, ed il portamento sicuro, fiero. Sorrideva, come se si trovasse perfettamente a suo agio, e come, raggiunta la cattedra, si voltò verso i ragazzi, le esclamazioni divennero se possibile ancor più assordanti.

«Accidenti, ma quello è bello sul serio!» esclamò Carmy, che subito dopo però si calmò come soprapensiero «Eppure, non so perché, mi sembra quasi famigliare.»

«Buongiorno a tutti.» disse il professore «Mi chiamo Peter Eisen, e a partire da oggi sarò il vostro nuovo insegnante di tedesco.

Ho ventisei anni, e sono single.

Molto piacere».

Non ci fu neanche bisogno da parte sua di concedersi ad eventuali domande, perché queste arrivarono a pioggia appena ebbe finito di parlare.

«Professore, da dove viene?»

«Da Berlino. Ma sono nato a Monaco.»

«È mai stato fidanzato?»

«Ancora no.»

«Ha degli Hobby?»

«Mi piace leggere e pescare. Ho fatto anche un po’ di tiro al piattello, ma niente di più.»

«Guardalo come si pavoneggia.» mugugnò Emma «Inqualificabile».

La russa si stava ovviamente riferendo al motivo per il quale Emma, e non solo lei, avevano trovato famigliari le fattezze del professor Eisen nel momento stesso in cui lo avevano visto.

Peter Eisen non era certo un professore, né aveva alcun interesse particolare a diventarlo, se si escludeva la possibilità di stare gomito a gomito con un esercito di leggiadre e innocenti studentesse.

Lui era essenzialmente un hunter, ma come molti altri hunter era solito arrotondare il proprio stipendio con lavori secondari o saltuari.

E con un bel faccino come il suo, ed un corpo che pareva scolpito nel marmo, quale attività poteva fare se non il modello?

In America in particolare era già piuttosto famoso, avendoci lavorato nei suoi anni migliori, e di recente aveva iniziato a farsi conoscere anche lì in Giappone.

«Bene ragazzi, basta con le domande. Direi che possiamo incominciare».

La lezione prese dunque il via, ma per una buona parte molti degli studenti, e soprattutto le ragazze, si mostrarono più interessate a spiare le peregrinazioni del professore su e giù per la classe che a seguire le sue spiegazioni.

Emma e Izumi erano, ancora una volta, le sole a non lasciarsi distrarre, ma mentre Izumi aveva gli occhi e la mente tutti concentrati sulla lezione, Emma al contrario teneva sì un occhio su Peter, ma solo per poter cogliere in controtempo qualsiasi sua mossa strana.

«Dunque, ricapitoliamo.» disse Peter incamminandosi lungo la scala di sinistra, proprio quella accanto alla quale stava Emma, seduta al lato più esterno della sua balconata «I numeri da uno a cinque sono Ein, Zwei, Drei, Vier, Funf. Chi sa dirmi quelli da sei a dieci?».

Nel mentre Peter era arrivato in cima alla scalinata, proprio accanto ad Emma. La bionda russa aveva la brutta abitudine di non abbottonare mai gli ultimi due bottoni della divisa scolastica, perché la soffocava diceva lei; effettivamente aveva un petto piuttosto generoso, ma il vero problema era la sua corporatura abbastanza massiccia, abbastanza da riuscire ad entrare a fatica nell’uniforme femminile di una scuola giapponese.

Peter fece finta di sostare lì per caso, e di stare ascoltando la titubante traduzione dal tedesco di uno degli studenti, ma in realtà era molto più interessato ad osservare che ad ascoltare. Per la precisione, osservava quello che c’era nella scollatura di Emma.

Ma la russa non stava facendosi i fatti suoi, come Peter pensava, né stava dormendo. E da un istante all’altro, un tallone d’acciaio si abbatté sul suo povero piede, tanto forte da fargli temere che si potesse spaccare in due.

«Azzardati a rifarlo e la prossima volta mirerò al cavallo dei tuoi pantaloni.»

Tremò come una foglia, trattenendo a stento le grida, ma dovette appoggiarsi al banco.

«Molto… molto bene…» mugugnò a denti stretti «Ora… direi di passare all’alfabeto…» e tornò zoppicando sui suoi passi.

 

Eric non era riuscito a dormire quella mattina, e piuttosto che rigirarsi nel letto sperando di riuscirci aveva preferito alzarsi, vestirsi e andarsene a fare un giro per la scuola.

C’era un albero, proprio accanto ad una delle finestre della classe di Izumi, un ginkgo robusto e sano con molti rami e foglie, e come aveva già fatto altre volte il giovane Flyer vi si arrampicò, scelse il ramo più robusto e comodo e si coricò, le braccia dietro la testa e le gambe incrociate.

Da quella posizione poteva scorgere, attraverso il fogliame, tutto quello che succedeva nella classe, senza però che i ragazzi potessero scorgere lui.

All’inizio lo faceva tutti i giorni, troppo preoccupato che Izumi potesse non essere al sicuro neppure alla luce del sole, ma poi, anche dopo l’arrivo di Emma e Zero, si era tranquillizzato, finendo addirittura per smettere di pensarci.

Vedendo che tutto andava bene, e cullato sia dal tepore del primo sole estivo che da un tiepido vento meridionale, Eric fu quasi sul punto di addormentarsi, quando il suo fine udito di vampiro gli permise di notare quasi subito una grossa macchina scura che varcava il cancello della scuola.

Incuriosito la osservò mentre si fermava davanti all’ingresso, e la sua curiosità divenne stupore quando vide scendere dal sedile posteriore nientemeno che la presidentessa dell’Associazione Hunter.

«E lei che ci fa qui?» si domandò.

Doveva essere successo qualcosa di molto grosso per spingere la presidentessa ad agire in prima persona, e quasi subito Eric fu colto dall’impulso di saperne quanto più possibile. Arrampicatosi di qualche metro, arrivò proprio di fronte alla presidenza, proprio mentre la presidentessa entrava.

Sfortunatamente, il direttore già da tempo aveva avuto la brillante idea di premunirsi contro gli ascoltatori indesiderati, installando barriere sonore che impedivano anche al più piccolo sussurro di lasciare il suo ufficio, e dovendo stare nascosto per non farsi vedere, Eric non poteva neanche leggere decentemente il labiale, tanto più che dandogli Kaien le spalle le sue labbra non riusciva proprio a vederle.

A quel punto, e sempre più curioso di capire che stesse accadendo, il giovane si risolse ad andare a chiedere di persona.

Sceso dall’albero, raggiunse in pochi minuti la porta dell’ufficio, ma qui trovò Shezka a sbarrargli la strada.

«Non puoi entrare, mi spiace.»

«Che sta succedendo?»

«Non lo so, ma niente di buono temo».

E infatti, quasi subito, il direttore si era accigliato, e più la presidentessa andava avanti nel raccontargli il motivo della sua venuta più lui si faceva cupo, i gomiti appoggiati alla scrivania e la testa sorretta dalle mani incrociate a rete.

«Capisci ora?» domandò infine la presidentessa «La situazione è molto seria.»

«Seria è un eufemismo, se tutto quello che mi avete detto è vero.»

«Gli animi sono estremamente tesi, sia all’interno dell’Associazione che nel Consiglio degli Anziani. Mi sono già consultata con i capi del consiglio, e abbiamo convenuto di organizzare quanto prima una riunione di emergenza per discutere il da farsi.

Visto che molti dei tuoi studenti provengono dall’alta aristocrazia vampirica, ho ritenuto doveroso informare anche te.

Guardati le spalle.»

«Capisco. La ringrazio di avermi avvisato.»

«Ci sono alcuni, sia nell’associazione che nel consiglio, che criticano fortemente sia la tua scuola che il tuo progetto, e dopo quello che è successo la loro influenza è in continua ascesa. Ma se questa riunione chiarificatrice dovesse andare a buon fine, le cose potrebbero nuovamente cambiare in meglio.»

«Me ne rendo conto. Conti pure su di me. Farei di tutto pur di proteggere i miei ragazzi.»

«Senza dubbio. Allora, buon proseguimento».

La direttrice, seguita da una delle sue guardie, aprì dunque la porta per uscire, trovandosi a tu per tu col giovane Eric; non si erano mai visti prima d’ora, ma ciò nonostante ognuno dei due sapeva bene chi fosse l’altro.

«Ah, Hunter Flyer.»

«Presidentessa.»

«Spero non vorrà tradire la fiducia che l’Associazione ha deciso di concederle. Contiamo tutti molto sulla sua competenza e professionalità, e ci auguriamo che possa tornare in servizio attivo quanto prima. L’Associazione ha bisogno ora più che mai di Hunter del suo calibro.»

«Senz’altro.» rispose rispettosamente Eric

«Spero di rincontrarla presto. E dica pure a sua madre che, quando vorrà, sarà sempre la benvenuta nella mia residenza di Klagenfurt. I vampiri nobili che sanno usare il cervello sono un bene raro di questi tempi.»

«Riferirò sicuramente.»

«Allora, arrivederci.»

«Anche a Lei».

I due si scambiarono un rapido sguardo, poi la presidentessa se ne andò.

«Quella donna sembra tanto gentile e disponibile.» commentò il direttore mentre Eric chiudeva la porta «Ancora oggi non riesco a capire come mai abbia accettato così di buon grado che tu venissi a studiare qui.»

«Che cosa è successo?» tagliò corto Flyer.

Anche il direttore non volle girarci attorno, ed Eric non ricordava di averlo mai visto così nero.

«Nelle ultime settimane, due importanti famiglie aristocratiche, i Kamsievic di Budapest e i Nogiev di Minsk, sono state assaltate e sterminate nei loro palazzi.»

«Cosa!?» esclamò il ragazzo attonito

«Ancora non si sa di preciso cosa sia successo. Ma a giudicare dai rapporti, in entrambi i casi deve essersi trattato di un assalto in piena regola. Non ci sono superstiti, e i luoghi delle stragi erano ridotti in uno stato agghiacciante.»

«Non ci sono indizi che possano aiutare a capire chi possa essere stato?»

«Niente di niente. Ed è proprio qui che sta il problema. Qualcuno pensa che possa trattarsi di faide personali tra membri dell’aristocrazia, come se ne vedono di tanto in tanto, ma altri invece arrivano a sostenere che potrebbe trattarsi dell’inizio di una nuova guerra di potere tra i Livello A, o peggio ancora che vi sia di mezzo l’Associazione.»

«Ma questo è ridicolo. Noi non facciamo certe cose!»

«È quello che la presidentessa vorrebbe far capire. Quanto prima sarà organizzato un incontro ufficioso tra le parti per cercare di raffreddare le acque, nella speranza che possa bastare.»

«Quindi era a questo che Peter stava lavorando prima di venire qui.»

«Il primo assalto risale a quasi un mese fa. Peter era stato inviato ad investigare, ma poi il caso è passato nelle mani della commissione d’inchiesta. Si sperava che fosse un caso isolato. Invece, cinque giorni fa è stata sterminata anche la famiglia Nogiev».

Un brivido attraversò il corpo di Eric, accompagnato da un orribile pensiero. Il direttore lo intercettò.

«Non preoccuparti. Tutte le famiglie più in vista dell’aristocrazia sono già state segretamente informate. Ho parlato con tua madre l’altro giorno, dopo aver saputo dello sterminio dei Nogiev. In questo momento sono al sicuro in un rifugio segreto sugli Appennini.»

«Quindi adesso, cosa succederà?»

«Come puoi immaginare, molte famiglie aristocratiche cominciano ad essere preoccupate nel sapere i propri figli ed eredi in un posto all’apparenza tanto vulnerabile. La presidentessa ha rassicurato ognuno di loro, così come il consiglio, e anche se la presenza di un così elevato numero di Hunter all’interno della scuola costituisce un ottimo deterrente, mi ha richiesto di attivare quanto prima i nostri sistemi difensivi.»

«Sistemi difensivi!?»

«Tranquillo. A tempo debito saprai ogni cosa. Aspetterò ancora qualche giorno per azionarli. Il tempo necessario perché arrivino alla Cross gli unici due studenti stranieri che ancora mancavano all’appello. Per ora, speriamo solo che non accadano altri fatti simili».

 

Da quando si era sparsa la voce degli attacchi contro i membri dell’Aristocrazia, la famiglia Kurenai aveva trasformato la propria residenza sulle montagne di Shikoku in una specie di fortezza, sorvegliata a vista da decine di guardie, anche mercenarie.

Nessuno doveva avvicinarsi.

Il consiglio aveva minimizzato, sostenendo che chiunque fosse il responsabile non sarebbe mai stato tanto folle da attaccare una famiglia di Sangue Puro.

Finché si trattava di massacrare aristocratici era un conto, ma un’intera stirpe di Livello A era tutta un’altra cosa, e gli assalitori dovevano per forza saperlo.

Ogni notte, sia l’interno che l’esterno della villa erano severamente presidiati, ed anche quella notte la sorveglianza era strettissima.

Nel cortile, le guardie scrutavano l’oscurità, mentre quelle posizionate a guardia dell’alto muro di cinta e dell’unico varco di accesso fendevano la foresta tutto attorno alla ricerca del minimo segnale di pericolo.

Visto che nessuno sapeva chi o cosa avesse attaccato le altre famiglie, nessuno di conseguenza sapeva neppure cosa si dovesse cercare o scorgere di preciso, e quindi l’attenzione doveva essere costante.

Certo, nessuno poteva neanche solo immaginare la reale portata della piaga che era in procinto di abbattersi su di loro.

Erano da poco passate le due.

Il silenzio era quasi spettrale, e all’interno della villa la famiglia Kurenai stava consumando il proprio desinare, sotto l’occhio perennemente vigile dei guardiani.

D’un tratto, uno strano rumore catturò l’attenzione di quelli che stavano all’esterno.

«Lo senti?» domandò uno ad un suo compagno, volgendo gli occhi al cielo

«Un aereo?» ipotizzò quello.

Era troppo buio, e comunque stava troppo in alto perché potessero vederlo, ma si trattava effettivamente di un grosso aereo da trasporto di fabbricazione russa, con sopra inciso lo stemma della Repubblica dell’Est, che decollato dalla base militare americana più vicina stava ora transitando sui cieli di Shikoku.

«Siamo in posizione.» disse l’addetto al radar

«Torre di controllo, sorvoliamo l’obiettivo.» disse uno dei due piloti «Pronti a sganciare il carico.»

«Siete autorizzati allo sgancio. Procedete.»

«Ricevuto, torre. Sgancio in dieci secondi».

D’un tratto, sulla pancia del velivolo si aprì un’enorme portello a due ante, dal quale, dopo qualche istante, sporse la parte inferiore di un altrettanto gigantesco oggetto di forma ovale: sembrava una specie di missile, o una bomba, ma non aveva né inneschi né sistemi propulsivi, almeno a prima vista; solo degli alettoni per stabilizzare la caduta, ed una punta estremamente acuminata all’estremità opposta, forse per permettergli di potersi conficcare meglio nel terreno.

«Stiva di carico aperta. Contenitore all’esterno.» disse il secondo pilota

«Bersaglio agganciato.» disse l’addetto al puntamento inquadrando con il suo mirino il cortile della villa «Tre… due… uno… sganciare!».

I supporti furono allentati, e l’enorme ordigno a forma di uovo, almeno dieci metri di lunghezza per tre o quattro di diametro, fu lasciato cadere sul suo bersaglio.

La bomba precipitò alla velocità di una meteora, e le guardie non si accorsero della sua presenza fino all’ultimo momento, quando era ormai ad un tiro di schioppo dal suolo.

«Attenti, via!» urlò il primo che la riconobbe.

Tutti fecero il vuoto attorno al probabile punto d’impatto, buttandosi a terra nel disperato tentativo di salvarsi la vita, ma grande fu il loro stupore quando l’ordigno, infrangendosi al solo come un gigantesco maglio da guerra, produsse nulla più che un frastuono assordante, un polverone inestricabile e un leggero terremoto.

Tutto ciò venne udito anche all’interno, in sala da pranzo.

«Che succede?» domandò il patriarca vedendosi saltare il piatto davanti agli occhi.

Passata la tempesta, le guardie, timidamente, si rialzarono, e facendosi strada tra la polvere qualcuna di loro si avvicinò all’ordigno, che come una freccia si era conficcato per una buona metà nel terreno producendo un piccolo cratere nel terreno morbido.

«In nome del cielo…» disse una.

Forse non era esplosa, o forse non era fatta per esplodere. Ma chi e perché l’aveva scagliata?

Tutti si stavano ancora facendo queste domande, quando d’un tratto, senza un motivo apparente, la parte superiore del missile si aprì come i petali di un fiore, espellendo da proprio interno, e rivelandosi quindi cavo, una strana poltiglia gelatinosa di colore giallo sporco, e dalla consistenza simile alla gomma.

«Ma cosa…» domandò una guardia.

Poi, dall’interno del foro parve giungere qualcos’altro; sembrava un lamento, o comunque un gemito, ma sicuramente non era un suono naturale.

Una delle guardie, incuriosita, si avvicinò ancora di più, nonostante gli avvertimenti dei suoi compagni. Per questo, fu la prima a notare la comparsa, sempre dall’interno dell’ordigno, di uno strano e terrificante essere mostruoso, che gracchiando e trascinandosi come schiacciato da una gravità eccessiva si eresse faticosamente oltre il bordo mostrandosi per interno.

Era abominevole.

La pelle era rossa, tirata allo spasimo, come fosse stata sul punto di lacerarsi, la bocca sproporzionata e armata di ben quattro file di artigli acuminati, due per ogni arcata; non sembrava avere occhi, e nonostante l’apparenza umana camminava su quattro zampe come una belva, strisciando i suoi sedici artigli ricurvi e taglienti contro la superficie metallica dell’ordigno.

Dalla bocca semiaperta colava una bava oleosa ed appiccicosa, ed emetteva un gemito simile ad un roco ronzio. Le zampe posteriori erano leggermente più corte di quelle anteriori, e piegate ad angolo, e le sue dimensioni erano molto superiori a quelle di un comune essere umano.

«Mio dio…» disse la guardia più vicina.

Essersi voluto avvicinare fu la sua condanna.

Nonostante, teoricamente, non potesse vedere, la creatura si accorse di lui, e con un salto sproporzionato, che tradiva l’iniziale parvenza goffa e malaticcia, piombò giù dall’ordigno, si avventò su quel povero disgraziato e con un solo fendente gli portò via di netto la testa, uccidendolo.

Le altre guardie, sconvolte, a quel punto reagirono, chi cercando il corpo a corpo chi mettendo mano alle armi, ma quell’essere, oltre che agile, era anche di una velocità disarmante, e piombò su ognuno di loro facendone strage.

Dopo meno di trenta secondi, il cortile del palazzo era un mare di sangue, interiora e cenere.

Il mostro, compiuto il suo massacro, saggiò l’aria, accertandosi di non averne lasciato nessuno, quindi con passo veloce corse verso il palazzo.

Quasi contemporaneamente, il rimbombo di un elicottero a bassa quota riecheggiò nel silenzio venutosi nuovamente a creare, e da dietro una collina, agitando le cime degli alberi, sbucò un grosso velivolo militare, anch’esso con lo stemma della Repubblica impresso sulla fiancata; il mezzo volò basso fino al centro del cortile, illuminando col suo faro il mare di morte sotto di sé, ed una volta qui si posò dolcemente a terra.

Poi, prima ancora che le pale di spegnessero, il portellone si aprì, e dall’oscurità all’interno emerse un ignoto e gigantesco figuro, così grosso, e all’apparenza così possente, che l’elicottero sobbalzò sotto il suo peso mentre scendeva.

Doveva essere alto più di due metri, ridondante di muscoli, con gli occhi ambrati che scintillavano di follia, e denti affilati come quelli di un animale; portato a spalla, poi, aveva qualcosa, qualcosa di enorme come lui, con varie dentellature disposte ad intervalli regolari lungo tutto il perimetro.

Questi, appena sceso, piegò le sue orrende fauci in un malvagio sorriso, e contemporaneamente guardò verso il palazzo.

All’interno dell’edificio, intanto, il mostro aveva nuovamente dato il via alla propria mattanza, senza che nessuno riuscisse a fermarlo, uccidendo chiunque gli capitasse a tiro, compresi gli inermi ed inoffensivi inservienti, quindi come una marea inarrestabile dilagò fino in sala da pranzo, dove trovò ad attenderlo, spade alla mano, il patriarca della famiglia e la sua giovane moglie.

Maria non c’era; era stata portata al sicuro dalla sua balia.

«Orrenda creatura!» urlò il patriarca scagliandosi all’attacco «Fuori da casa mia!».

Ma, ancora una volta, il mostro si rivelò troppo agile, persino per un Sangue Puro; oltre ad essere agile, poi, quella creatura era dotata di zampe simili a quelle degli insetti, che lo rendevano in grado di attaccarsi ai muri ed al soffitto come una mosca, il che rendeva molto difficile riuscire a colpirlo.

Il patriarca e la moglie lo ingaggiarono come meglio poterono, ma anche in due non riuscirono ad avere la meglio, e più passava il tempo più il patriarca, vinto dal senso di impotenza, si lasciava guidare dalla collera. Questo, purtroppo, lo rese prevedibile, e ad un certo punto il mostro, schivato l’ennesimo assalto, gli piombò addosso dal fianco cogliendolo alla sprovvista.

«Caro, attento!» gridò sua moglie.

Senza pensarci lei si mise in mezzo, un gesto d’amore che le costò la vita, poiché l’artigliata che avrebbe dovuto concludere l’esistenza del marito invece pose fine alla sua.

Fu un colpo letale, senza scampo, ed il patriarca vide la sua adorata moglie tramutarsi in vetro davanti ai suoi occhi per poi ridursi in cenere.

A quel punto, la frustrazione divenne rabbia incontrollabile.

«Maledetto mostro! Muori!».

Infuriato oltre ogni limite, il patriarca diede fondo a tutto il suo potere, e a quel punto persino quel mostro si ritrovò in difficoltà; il patriarca prima gli mozzò un braccio, senza che ciò sortisse apparentemente effetto, poi, approfittando di un momento favorevole, gli troncò di netto la testa, riuscendo finalmente ad ucciderlo.

«Muori! Muori!» urlò l’uomo in preda all’ira infilzando più e più volte il corpo ripugnante di quel mostro.

Solo dopo molti secondi il raziocinio tornò a guidarlo, e tirando dei lunghi sospiri per riprendere fiato estrasse per l’ultima volta la lama dal mostro, certo di aver finalmente avuto la meglio.

Il pensiero di aver appena perduto la propria moglie, oltretutto per una propria, imperdonabile leggerezza, lo tormentava, e forse fu proprio per questo che non riuscì ad accorgersi fino all’ultimo di essere osservato.

Se ne avvide solo quando, dall’alto, si sentì colare addosso una strana bava appiccicosa, ed alzati gli occhi si ritrovò a tu per tu, stavolta impreparato, con un nuovo abominio.

Il suo ultimo pensiero fu per la sua adorata figlia.

Probabilmente, pensò chiudendo gli occhi, si sarebbero comunque rivisti presto.

 

Maria era chiusa in camera sua, terrorizzata, con la sua balia come ultima linea difensiva.

«Non temete, signorina.» disse la giovane governante sentendo avvicinarsi la minaccia «Io vi proteggerò ad ogni costo».

Come le porte furono sfondate, ed il mostro entrò nella camera, la governante gli si scagliò contro mulinando la sua falce, ma il suo stupore raggiunse il culmine quando vide quella creatura che, come per magia, le scompariva davanti agli occhi, quasi fosse stato un fantasma.

«È…. È scomparso!».

Si guardò intorno, cercando di capire se potesse essersi spostato senza che riuscisse a vederlo, ma nella stanza non c’era nessuno a parte lei e la signorina.

«Attenta, dietro di te!» urlò all’improvviso Maria.

Non vi fu il tempo di fare nulla.

Da un istante all’altro, la governante avvertì un colpo secco, accompagnato da una strana sensazione, e solo in un secondo momento si accorse di avere quattro artigli che spuntavano dal suo corpo grondanti sangue.

Il mostro, comparso come era sparito alle spalle della donna, lanciò un ruggito, e subito dopo sollevò in aria la sua preda sotto gli occhi atterriti e sconvolti di Maria.

«Signorina! Scappate!» urlò la donna un istante prima che un secondo colpo d’artigli si abbattesse sulla sua testa con la potenza di un cannone.

Ciò che Maria vide fu capace di spegnere la luce del suo animo, lasciandola con due occhi privi di vita piantati sul mostro, che dopo aver lasciato andare quanto restava della sua giovane balia rivolse la sua attenzione direttamente contro di lei.

Eppure, nonostante ciò, esitò ad attaccare, seguitando a rimanere a debita distanza, tenendo quella povera ragazza sotto la minaccia dei suoi artigli.

Poi Maria, raggomitolata a terra, con il poco raziocinio che le restava sentì un rumore sordo di passi che percorrevano il corridoio, e l’essere che da un momento all’altro vide comparire davanti ai suoi occhi era quasi peggio di quello che aveva visto uccidere la sua balia.

Era un gigante.

Un gigante nero ridondante di muscoli, capelli rossi raccolti in lunghe trecce rasta e chiusi dietro la nuca da una cordicella colorata, occhi piccoli e gialli e labbra sottili da cui sbucavano due file di denti affilatissimi. Indossava solo un paio di pantaloni lunghi ed un gilè viola senza maniche, il che rendeva ancor più evidente la vastità della sua muscolatura, e brandiva una motosega dalle misure sproporzionate, che nessuno essere umano sarebbe stato capace neanche di sollevare.

Per un istante, Maria cercò di pensare che potesse essere un amico.

«Ti prego…» mormorò terrorizzata «Aiutami…».

Ma lui, invece, rise, e quando Maria vide l’altro mostro camminare al suo fianco come un fedele cagnolino, quanto restava della sua mente realizzò che era davvero la fine.

«Tanta fatica per una mocciosa simile.» disse il gigante, che subito dopo si avvicinò alla ragazzina, con passo lento e sicuro.

Maria lo vide sovrastarla, incapace di muoversi fino al punto di non riuscire a respirare.

Il gigante la guardò, sorridendo malefico, quindi mise una mano nella tasca del gilè, prendendone fuori una boccetta di vetro che schiacciò come un uovo sopra Maria, inzuppandola del suo contenuto, uno strano liquido violaceo dall’odore pungente.

Era come una specie di battesimo. O forse, un’estrema unzione.

Infatti, un istante dopo, il silenzio venutosi a creare fu riempito dal fragore assordante della motosega che il gigante aveva messo in funzione.

«Rilassati. Non sentirai nulla».

Solo allora, di fronte alla fine, Maria riacquistò la ragione, ma ormai era troppo tardi, e tutto quello che poté fare fu osservare con occhi pietrificati e bocca spalancata quella lama oscillante che si avvicinava a lei.

Passò un istante, ed nei corridoi di quella villa inondata del sangue di chi vi aveva vissuto fino a pochi minuti prima riecheggiò un urlo spaventoso, che sembrava venire dalle profondità dell’inferno; poi, più niente.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Sono vivo! Ci sono riuscito!

Sono passato indenne per uno dei momenti più angoscianti e sconfortanti della mia carriera da studente!^_^

Non so ancora come sia andata, ma sono piuttosto fiducioso circa il buon esito di questa prova, e appena saprò qualcosa di più preciso non esiterò a condividerlo con voi.

Allora? Che vi è parso di questo nuovo capitolo?

Molto splatter direte voi.

A parte questa piccola parentesi, non credo vi saranno altre scene simili, ma non prendetemi in parola.

Nel prossimo capitolo arrivano gli ultimi due ritardatari, Derek e Gabriele, ma prima che lo possiate leggere sto preparando per tutti voi una piccola sorpresa.

Ne saprete di più a breve, ve lo prometto.

A presto!^_^

Carlos Olivera

 

  
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