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Autore: Diomache    06/06/2007    18 recensioni
Molti si chiedono se Jack abbia mai amato.
Parliamo dell’amore vero, quello che sconvolge ed annienta, l’amore che affanna, che ossessiona, non un’avvenuta di una notte. Certo, se lo chiedete a Jack, lui vi risponderà che l’unica cosa che ami è il mare.
Ma non è sempre stato così.
La verità è che prima delle disavventure legate a Davy Jones, prima di tutto quello che conosciamo è avvenuto ben altro.
Prima di tutto Jack ha amato. Non solo il mare.
Ha amato Lei.
Genere: Romantico, Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi di nuovo qua con il secondo capitolo della storia

Eccomi di nuovo qua con il secondo capitolo della storia.. inizio subito con i dovuti ringraziamenti a tutti coloro che hanno recensito.

 

Sarah James: ciao Sarah ! Grazie, spero che la storia continuerà a piacerti e che tu non mancherai di dirmi che ne pensi anche di questo capitolo ! ne hai scritta una anche tu? Adesso corro a leggerla, sono curiosa! Un bacio!

 

Sweeterika: ciao! Grazie mille per i complimenti!!!

 

Miky90: ciao Miky.. che dire, grazie! Spero di non deludere la tua fiducia!

 

Nysil: Ciao, grazie mille per la recensione e per i complimenti.. spero che questo chap ti piaccia!

 

Dark_girl92: ciao! Sì, sono io… adesso mi sono presa un piccolo break con House e dopo la visione del terzo film di Jhonny ho avuto una folgorazione..  grazie per i complimenti, spero di poterli riconfermare con questo capitolo!

 

DJKela: ciao.. credo che tu sia troppo buona con la mia piccola ff.. Sì, l’allaccio era proprio quello.. l’ispirazione mi è venuta quando alla lettura della condanna: <> Jack aveva fatto quel sorriso divertito.. così ho immaginato che magari quell’episodio potesse ricondurre a qualcos’altro nella vita del pirata.. ad Evelyne per esempio!:P anch’ io sono un’inguaribile romantica! Barbino!! Che carino!! Spero che questo cap ti piaccia!

 

Apple: Cara Ire, tu mi dai sempre troppa fiducia, speriamo che ne uscirà davvero qualcosa di buono! Grazie per la recensione amica mia e per le tue belle parole.. ti sono debitrice.. qualsiasi cosa scriva non mi fai mai mancare il tuo appoggio.. spero di poterti ricambiare con un bel capitolo!

 

Ròrò: Grazie mille Ròrò!

 

Jhonny Jack: Grazie per i complimenti, non so cosa dire.. sei troppo gentile.. beh, eccolo qua il secondo capitolo, spero che ti piaccia e non sia deludente!

 

 

Dark Lucy: ciao, grazie mille per la recensione e per i complimenti, spero che continuerai a farmi avere il tuo parere sulla storia!

 

 

Eleuthera: ciao! Innanzitutto grazie mille per la recensione.. sono contenta che Evelyne si inserisca bene, all’inizio ero un po’ titubante perché infondo è una figura problematica.. ma nella Perla Nera chi non ne ha di problemi? Spero che la storia continuerà a piacerti! Ps: bel nick name!

 

Ovviamente ringrazio anche tutti coloro che hanno letto la storia senza commentarla...

Bene, vi lascio alla lettura del secondo capitolo, come al solito vi raccomando di lasciare un commentino :P e di farmi sapere tutto quello che ne pensate (anche se ci sono delle storture o se avete delle critiche, non fatevi problemi!)

Un bacio a tutti!

Buona Lettura

Diomache.

 

 

 

 

Capitolo II

 

 

Your  Dark  Mystery

 

 

 

 

 

 

Quegli occhi neri e quasi abissali osservavano la mappa con circospezione, diffidenza direi,  come se non si  fidasse nemmeno di lei, come se mentisse anch’essa.

L’ Isla de Muerta non compariva in nessuna cartografia girasse in quegli anni e anche quella che avevano razziato dalle mani del Pirata Corvo Nero non diceva un accidente.

Iniziò a tamburellare le dita sul tavolo di legno, pensieroso, e quel semplice ticchettio risuonò in tutta la chiusa stanza. Ripensò alle dicerie che circondavano il tesoro Azteco di Cortes.. molti dicevano che fosse maledetto dagli dei pagani, che a chiunque lo prendesse lo aspettasse un destino di morte e di agonia. Un destino di maledizione.

Sorrise. Non credeva alle storie di fantasmi da moltissimo, né tanto meno alle voci che Gattopardo e tutte le altre compagnie di pirati mettevano un giro per distoglierli dai bottini più sostanziosi.

Tuttavia l’Isla de Muerta risultava effettivamente ­introvabile per chiunque non sappia già dove sia.

E c’era un unico modo per trovarla: avere ­quella bussola.

All’inizio, quando ne aveva sentito parlare, ci aveva riso su, come credo avevano fatto tutti coloro che avevano saputo di una bussola .. speciale. Una bussola che non punta il nord non verrebbe accreditata un cent da nessuno, eppure era proprio la sua “deficienza” a dargli quel quid che lo avrebbe portato dritto dritto a Isla de Muerta e in qualsiasi altro luogo.

Quella bussola conduceva verso ciò che più desideriamo al mondo.

Infondo travestirsi da religioso, rischiare la forca, portarsi sulla Nave una saputella inglese aveva portato a qualcosa. Sospirando mise una mano nel gilet ed estrasse da una tasca interna un pezzo di pergamena giallognolo, tutto consumato. Era ridotto male, quasi allo stesso stadio del vescovo a cui l’aveva illegalmente sottratto.

Lo spiegò bene sul tavolo ammirandolo quasi con venerazione. Era quello che definivano l’anagramma di Chefalos, un’antica creatura pagana che prima di morire aveva inciso parole prive di senso, parole che se ricomposte davano la località che cercava, dove avrebbe trovato la bussola.

E quindi Isla de Muerta.

E quindi Cortes.

Oro!

Rilesse il complicato giochetto di parole.

“NESSUNO AMA STONARE, SOPRATTUTTO ALL’UNYSONO.”

Lo guardò di nuovo e si persuase che quella che aveva ipotizzato fosse l’unica possibilità. C’aveva pensato tutto il tempo in cui si era trovato in prigione e ormai era sicuro d’essere arrivato alla risposta: Nassau. Ovvero la città composta da ogni iniziale di parola.

Era l’unico modo, altrimenti quei lemmi non avevano alcun senso.

Certo, c’era ancora un piccolo problema. << Unisono >> era scritto in maniera anomala, con una Y che non aveva affatto alcun senso, messa lì.

Bah, disse, riponendolo al suo posto, con uno sguardo pensieroso.

D’altra parte non poteva permettersi di indugiare ancora molto sugli indovinelli di qualche cretino della classicità. La ciurma iniziava ad innervosirsi, soprattutto Barbossa, chiedendo la soluzione di questo enigma il prima possibile, per mettere finalmente le mani sul tesoro.

Tornare da Port Royal con un fogliettino senza senso e con una ragazza, stile palla al piede, non era stato proprio il massimo, gli uomini volevano oro, non inglesine aristocratiche o enigmi alla sfinge edipica.

Il suo pensiero, senza logica alcuna, corse un istante a lei, Evelyne.

Se l’immaginò, lei, un’aristocratica, tutta intenta a pulire il ponte.

E, sadicamente, sorrise.

 

 

-o-

 

In effetti quando uno della ciurma le aveva messo in mano una spugna e dato un secchio pieno di acqua putrida, Evelyne non aveva saputo subito che fare. Aveva osservato  quella spugna mezza ammuffita e poi il secchio e quindi il ponte, sporco ed enorme. Sospirando si era quindi inginocchiata ed aveva attinto la spugna nell’acqua, maledicendosi mille volte per quella bellissima idea. Non poteva proporre a Jack, che ne so, di stare nelle cucine!?

Sospirando, si accorse che non sarebbe stata tanto diversa come situazione.

Non sapeva nemmeno cucinare.

Iniziò a far andare la spugna su e giù per il legno, cercando di vincere l’odoraccio  di quell’acquaccia. Puliva il pavimento sotto gli occhi e le risa dei pirati, intenti chi a bere, chi a far andare la nave, sotto il sole cocente del primo pomeriggio, con lo stomaco vuoto e tanto mal di testa.

Avanzando non faceva altro che sporcarsi, un po’ per la posizione, un po’ per l’acqua che quasi sembrava più sporca del ponte stesso.

Per contrappasso ripensò a casa sua, alla pulizia, ai suoi vestiti, ai merletti e all’ipocrisia del suo mondo, un mondo in cui era stata allevata sin da bambina e solo da suo padre perché  la sua mamma, Anne, era morta mettendola alla luce.

Forse era per quello che suo padre l’aveva sempre trattata con austera severità, con rigore, e a volte indifferenza. Ripensò al suo volto, prima di andare alla forca, alle sue parole, a Dio.

Era maledetta, sporca, colpevole, no? Forse meritava la vita grama che ora stava conducendo, meritava di sudare così sotto il sole, con i capelli arruffati e scomposti, tra una ciurma di uomini allupati, senza più una casa, senza più nulla oltre se stessa.

Per istinto si fermò un istante e andò a toccare con le dita sporche di spuma l’unica cosa che le era rimasta della sua famiglia, un piccolo ciondolo, quasi con l’intento di strapparselo di dosso. Ma non ci riuscì. Non appena i suoi polpastrelli sfiorarono il piccolo medaglione d’oro, si fermò, presa dall’angoscia.

Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e di rabbia. Lì, tra la schiuma, gli sembrò quasi di rivedere suo padre e i suoi occhi di ghiaccio e riprese a lavorare con molta più verve di prima, spingendo forte la spugna con entrambe le braccia, facendo forza finché non sarebbero scomparsi tutti, i giudizi di tutti, le accuse di tutti.

“Ehi, fermatevi.”

Una voce dura ma quasi amichevole la distolse improvvisamente da tutti i suoi pensieri. Alzò lo sguardo e vide uno dei pirati, dall’aria bonacciona. Con il gomito, corse subito ad asciugarsi il viso, dalle lacrime e dal sudore, e fissò l’uomo che la osservava con un sorriso divertito.

“Vi abbiamo detto di pulire il ponte, non di scavare il legno della nave.”

Lei sorrise notando effettivamente che, in preda alle sue manie, era rimasta sullo stesso centimetro di legno per minuti.

L’uomo le porse la destra per farla rialzare e lei, dopo aver osservato la mano di lui con un po’ di diffidenza, accettò ben volentieri. Lui la accompagnò, senza lasciarle il braccio, sotto l’ombra. “è parecchio che lavorate, lì, sotto il sole. Sarete sfinita, riposatevi un po’. Ne volete?” disse porgendole la bottiglia di rum e dopo il suo diniego, ne fece un bel sorso.

“William Turner, piacere.”

Evelyne strinse forte la mano dell’uomo, sulla cinquantina e dall’animo buono. “Evelyne.. – esitò un istante, prima di dire il suo cognome.- Evelyne Smith.”

“Che cosa vi porta, Evelyne Smith, a seguire un branco di malviventi?- domandò l’uomo, sorridendo.- non avrete nemmeno vent’anni, che cosa avete potuto fare di così orribile per essere allontanata dalla società e non meritare il loro perdono?”

Lei non rispose, solo distolse lo sguardo. Dopo un altro sorso di rum l’uomo proseguì, capendo che non avrebbe avuto alcuna risposta. “Io ho un figlio, sapete?”

Gli occhi di lei si alzarono.

“Avrà si e no la vostra età. Forse un po’ più grande.”

“Come si chiama?”

“Mia moglie gli ha dato il mio nome. William, si chiama William.”

Lei sorrise, intenerita. “e dov’è ora? Lui e tua moglie ti seguono qui sulla Perla Nera?”

Questa volta fu il volto del pirata ad adombrarsi e i suoi occhi si posarono sul legno parzialmente pulito del ponte. “Non lo vedo da vent’anni.. da quando è nato.- lesse incredulità negli occhi di lei.- a volte mi chiedo come sia, non riesco quasi ad immaginarmelo. Solo, spero che mi somigli un po’.”

“Non ti manca?- domandò lei, stringendo il vestito sotto le dita.- perché non ha deciso di vivere al suo fianco?” Nel suo cuore c’era molto più disprezzo di quello che esprimevano innocentemente le sue parole. Non tanto per quel pirata dall’aspetto gentile, ma perché i suoi pensieri cadevano istintivamente su suo padre.

“Siete giovane, miss Smith. Non tutte le scelte sono facili, non tutte le volte siamo certi di fare la cosa giusta. Voi siete stata fortunata a crescere con la vostra famiglia.”

I suoi occhi si riempirono nuovamente di pianto, delle lacrime rabbiose che cercava disperatamente di ricacciare all’indietro, non voleva piangere lì, con quel pirata, non doveva mostrare la sua debolezza a nessuno.

Per fortuna non ce ne fu bisogno.

“Mastro Turner, mi sembra che il vostro culo puzzolente sia stato a riposo abbastanza, non credete che sia ora di mettervi a lavorare?” la voce cruda di Barbossa interruppe la loro conversazione. Turner la salutò con uno sguardo e si dileguò negli ambienti chiusi della nave, lasciandola con sottufficiale “E voi, milady, intendete godervi l’ombra ancora per molto? Mi sembra che il ponte sia ancora tutto sporco.”

I suoi occhi azzurri fulminarono quasi quelli dell’uomo. “Lo so. Adesso vado.”

“Capisco, deve essere umiliante e faticoso per voi.- nonostante tutto le parole dell’uomo non volevano essere di scherno, anzi.- una così bella donna magari avrebbe altri mezzi per guadagnarsi un passaggio sulla Perla Nera.”

Qualsiasi altra donna sarebbe arrossita, scappata via inorridita, o forse avrebbe schiaffeggiato Barbossa, punta sull’onore. Ma lei, ormai, di rispettabilità e di onore, non ne aveva più. Quindi, disse, semplicemente, e con garbo. “Grazie. Non mi interessano.”

E, dopo averlo sorpassato, si diresse di nuovo verso il suo meschino lavoro.

 

-o-

 

Era così stanca alla fine che quando Barbossa le disse che poteva bastare avrebbe voluto abbracciarlo dalla contentezza. Quasi intenerito dalla sua spossatezza il pirata mandò a chiamare due pirati affinché le mostrassero quella che doveva diventare la sua stanza per tutto il viaggio che l’avrebbe condotta a Nassau.

Nassau.

Non le inspirava molto come nome, non era uno di quei luoghi in cui tante volte aveva pensato di poter andare a vivere. Tuttavia in quel momento anche un nome insignificante come Nassau le sapeva di paradiso, perché sarebbe tornata perfino a Port Royal più che rimanere più del necessario in quella nave maledetta.

Quei due tipi, piuttosto singolari ma simpatici nel loro essere mascalzoni, dovevano essere sicuramente molto amici, dato che erano l’uno l’ombra dell’altro. Uno più basso, mezzo pelato e l’altro, più alto, biondiccio, ancora più strano e per di più senza un occhio.

L’alloggio che le avevano riservato era meglio di quello che si era immaginata. Un letto con un accenno di coperta sopra e un piccolo armadio, di lato. C’era anche un comodino ed uno specchio ovale, sopra, anche parecchio grande. Peccato che era rotto in cinque grandi parti. Fortunatamente lei non era affatto superstiziosa. No, non si poteva lamentare.. non era proprio una stanza reale, ma sicuramente meglio della cella in cui era stata confinata per due settimane e anche meglio di casa sua, sotto un certo punto di vista.

Non c’erano tende raffinate né spazzole grandi ma le andava benissimo così.

“Il capitano.- iniziò uno dei due, quello più basso e con gli occhi tutti e due al suo posto.- si chiedeva se volevate mangiare, questa sera.”

“Grazie.-sussurrò.- non ho fame.”

I due si passarono uno sguardo interrogativo. “Non mangerete nulla?”

“Vedremo domani. Sono stati giorni difficili per me.” Mormorò lei con uno sguardo duro ma profondamente fragile.

“Il capitano non sarà contento.”

“il capitano non sarà contento no.” fece eco l’altro.

Lei sorrise, amaramente. “Mi dispiace.”

I due pirati la lasciarono poco dopo. Evelyne si sedette pesantemente sul suo letto di legno, pensando che forse aveva davvero fame e che comunque, per quanto barbaro e furfante fosse  Jack, era comunque l’unica persona che conosceva in quel posto, l’unica faccia amica, diciamo, e rivederlo non sarebbe stato poi così male.

Ma.. non ce la faceva. Qualcosa dentro di lei non riusciva ancora ad accettare tutto questo.. forse sarebbe dovuta morire, quella vita non aveva alcun senso, né l’avrebbe mai avuto a Nassau.

Diavolo, che miseria ci faceva lei,  in una nave di pirati?

Lei aveva la sua vita, il suo posto.. suo marito.. il suo quasi marito, o meglio. Non aveva voglia di cenare con loro, preferiva starsene sola con i suoi ricordi, le sue angoscia e le sue colpe. Era giusto così. Cinica, fredda, forte e distaccata..

Bussarono improvvisamente alla porta e lei, stanca e un po’ incantata, sobbalzò dalla paura.

Andò quindi ad aprire e non si meravigliò più di tanto quando davanti a lei vide Jack  in persona. Telepatia, pensò. Non aveva forse desiderato vederlo, poco prima?

“Salve tesoro.- le rivolse uno di quei sorrisi che stava iniziando davvero ad apprezzare.- mi è giunta voce che osi rifiutare il mio invito..”

“Non sto molto bene.” Disse, accarezzandosi le spalle, in un gesto lento e accomodante, in cui un attento osservatore avrebbe visto tutta la tristezza, la fragilità e la tragicità di quella donna. Non solo la forza.

Lui si avvicinò, osservandola attentamente con i suoi occhi abissali, i suoi abissali occhi neri. “Sembri sconvolta, infondo sei solo stata quasi impiccata, niente di tragico, su con la vita!”

“Scusami, hai ragione. – la sua bellissima voce si tinse di sarcasmo.- ma ogni tanto queste questi divertimenti mi stancano, sai com’è, noi aristocratiche non siamo abituate a morire spesso.”

Il suo muro, eccolo, ben alto, davanti a lei. Non doveva mai mostrare la sua debolezza a nessuno. Ricordò le parole di suo padre.. non mostrarti debole con nessuno, chiunque ne approfitterà.

Osservò Jack. C’era.. affetto.. nel suo sguardo… no, forse lui non se ne sarebbe approfittato..

Oh Evelyne, è un pirata, chi ti assicura che non farà il contrario? Che cosa?

“Immagino che vorrai riposare allora.” Continuò Jack con un’aria un po’ casual.

“Che acume.”

Il pirata stava per parlare quando si sentì un tuono così forte che credettero quasi d’aver visto tremare le pareti lignee della stanza.

Evelyne sospirò, un po’ impaurita. “Risposare, si, se gli agenti atmosferici me lo permetteranno… sembra in arrivo una tempesta..”

“Bazzecole, mia cara. Pioggerella primaverile.”

 

 

-o-

 

Evelyne non dormiva da nemmeno un’ora quando improvvisamente si ritrovò schiaffata per terra, ruzzolata dal proprio letto e distesa sul pavimento. Si svegliò subito, di soprassalto, quasi presa dal panico. “Mio Dio, che botta..” borbottò massaggiandosi la testa e la spalle, le prime cose che si erano scontrate duramente con il pavimento della nave.

Era stata troppo concentrata a pensare alle proprie parti doloranti che non si era nemmeno resa conto di stare praticamente seduta sull’acqua.

Realizzò che sul pavimento c’erano quasi due dita d’acqua, effettivamente molto dopo, quando, ripresasi dal torpore post sonno, sentì il contatto freddo con l’acqua marina.

Scattò subito in piedi, quasi ferita da quel tocco, inorridita. Presa quasi dal panico spalancò la porta e si rese finalmente conto di quello che stava accadendo. C’era una confusione enorme, gli uomini che non facevano altro che girovagare per la nave con secchi d’acqua ed incitarsi a vicenda.

“Che sta succedendo?” domandò, quasi urlando, cercando di sovrastare le voci di tutti.

Fu proprio William Turner a risponderle. “Una tempesta, miss Smith.”

“Ci siamo fermati?”

“La nave ancora un po’ terrà.”

Un pirata passava di lì e le tirò addosso un secchio, urlando. “Vai sul ponte, c’è bisogno di braccia!”

Evelyne sospirò guardando il secchio vuoto. Assomigliava a quello con cui aveva avuto a che fare per tutta la mattinata. Ah, che bella Ring Komposition!*

Tuttavia le sorti della nave stavano a cuore anche a lei, dato che c’era improvvisamente finita dentro, così corse per le scale e s’immise sul ponte. Capì subito che non era stata una buona idea, non appena si sentì investire da una folata d’acqua e vento. Fu subito fradicia e credette anche di andare all’indietro, ricadendo sulle scale. Facendosi forza avanzò lungo il ponte da cui gli uomini sotto il comando di Barbossa e del signor Gibs toglievano secchi d’acqua, rigettandoli nel mare impazzito, anche se spesso con pochi risultati, perché la nave non faceva altro che ondeggiare paurosamente da destra a sinistra e molti perdevano l’equilibrio rovesciando tutto il contenuto dei secchi di metallo.

Lei cadde un paio di volte, rischiando anche di essere calpestata da qualcuno, con il vestito che le ingombrava e così fradicio, pesava il doppio. Cercando di schermarsi gli occhi con una mano, proteggendosi dall’acqua, raggiunse il timone dove Jack, concentratissimo, dava ordini a destra e a manca, reggendo il timone e governando la nave.

“Pioggerella di primavera, eh?” gli urlò lei, faticando persino a reggersi in piedi.

“Ogni tanto un po’ d’acqua ci vuole! Altrimenti chi li convince a lavarsi!” rispose lui indicando con il capo il resto della ciurma.

I fulmini illuminavano il cielo e i loro volti, rendendoli capace di vedersi anche se di notte. Il pirata faceva velocemente andare il timone, poi lo fermava e lo reggeva forte, visibilmente affaticato dallo sforzo. “Anche se quest’acqua è effettivamente troppa.- mormorò il pirata, fradicio, anche lui.- rischiamo di dirottarci, e di perdere Nassau.”

“Nassau..- ripeté lei, quasi urlando.- so che non è il momento.. ma perché proprio Nassau?”

“Hai proprio centrato la questione dolcezza..- rispose lui, con poco fiato, a causa dello sforzo.- non è il momento.”

“E Port Royal?” insistette Evelyne aiutandolo istintivamente a reggere il timone.

Il capitano si volse verso di lei, quasi sorpreso.

La luce dell’ennesimo fulmine illuminò gli occhi di ghiaccio di lei, rendendola un’apparizione quasi irreale. I capelli erano appiccicati al viso ma allo stesso tempo smossi dal vento che, impetuoso, gonfiava le vele della nave e cercava di smuoverla per sballottarla chissà dove.

“Mai sentito parlare..- sussurrò l’uomo, vicinissimo all’orecchio di lei.- di Chefalos?”

Lei lo fissò, sconvolta dalla pioggia e dal vento. “si, mi sembra… in una favola”

Jack alzò lo sguardo al cielo. “Via!” urlò lasciando il timone, lei fece altrettanto e per un attimo la nave sembrò impazzita e seguì i favori dell’uragano. “salpate l’ancora!”continuò Jack.

“Capitano verremo spazzati via!” si oppose il signor Gibs con gli occhi quasi chiusi dalla pioggia.

“C’è troppa corrente.” Urlò qualcun altro.

“La sfrutteremo branco di cani rognosi!- s’intromise Barbossa, urlando, quasi uguale ad un fantasma delirante.- su l’ancora!”

“Salpiamo l’ancora!” urlarono quindi tutti in coro e s’apprestarono ad inseguire l’ordine.

“Sappi tesoro.- continuò Jack osservandola intensamente.- che le favole non esistono.”

L’ennesimo sballottamento esigette di nuovo il controllo del timone e Jack ed Evelyne, in contemporanea, rimisero le mani sul organo direzionale ligneo. Si osservarono un istante negli occhi, poi il pirata sottolineò il gesto, stupito. “Te ne intendi, hai naufragato altre volte?”

“Cosa? no!- fece una piccola pausa, quasi rendendosi conto solo ora di quello che avevano detto.- Naufragheremo sul serio?”

“Non hai mai naufragato?” ribatté lui, incredulo.

Lei negò con il capo, spazientita. “C.. certo che no, ovvio!”

“Allora qualcuno nella tua famiglia.” Insistette il pirata, girando il timone con lei.

“Mio padre è un soldato, molte volte è andato per mare. Ed io con lui.” Rispose lei, a fatica, un po’ per lo sforzo, un po’ per l’argomento in sé. “Ma questo che diavolo centra con Port Royal?”

“E Port Royal che diavolo centra con la tempesta e con il fatto che tu non fai il tuo dovere di mozzo aiutando a togliere l’acqua dalla nave?” ribatté lui quasi ridendo.

Lei restò un attimo senza parole. “Io non sono un mozzo. E poi ti ho fatto una domanda.”

“Anch’io.”

“Tu non hai risposto però.”

“Rispondi alla mia ed io alla tua.”

Sparrow girò velocemente il timone a destra e lei, spazientita, ci mise ancora più foga. “Mi vuoi dire che cosa ci facevi a Port Royal si o no? Se devo morire qui, questa notte, voglio almeno sapere che cosa ti ha spinto sulla mia strada!”

Lui rise, divertito. “ Saresti morta ore fa se non ci fossimo incontrati.”

“Ma di una morte molto meno dolorosa.- rispose lei, mentre lasciarono in contemporanea il  timone, lasciando la nave girarsi di nuovo su un fianco.- allora?”

“Mi serviva l’anagramma di Chefalos, che si trovava, guarda un po’, proprio a Port Royal.”

La pioggia intanto era un po’ diminuita ma l’intensità del vento non accennava a voler ridursi. “E a che cosa ti serviva l’indovinello di una creatura mitologica!?”

Lui le regalò un sorriso di quelli che stava iniziando ad apprezzare sul serio. “è quell’indovinello che ci porta a Nassau.”

Lei sospirò, sentendosi quasi sconfortata dall’assurdità di quella situazione. “Sarà meglio che vada a dare una mano” disse quindi allontanandosi a malincuore da Jack, dato che non aveva più bisogno del suo aiuto.

Ritrovò il suo secchio e iniziò a riempirlo e poi svuotarlo sui bordi della nave, restituendo l’acqua al mare. Si ritrovò vicino a Turner il quale la sorresse mentre stava per cadere di nuovo. “Vi ha lasciato pilotare la sua nave.” Disse l’uomo con un sorriso tenero.

Lei aggrottò la fronte, quasi confusa e lui continuò. “Il timone. Oltre Barbossa e Gibs non ha mai permesso a nessuno di toccarlo.” Gli occhi di Evelyne quasi increduli si volsero così verso Jack Sparrow, chiedendosi quasi il perché, mentre sentiva le parole di  Turner confonderla ancora di più. “ La Perla Nera è il suo piccolo gioiello e ne è molto geloso..”

Lo sguardo vellutato della giovane rimase concentrato sulla figura misteriosa del capitano, finché l’ennesimo sballottamento non la costrinse a svegliarsi dalle sue elucubrazioni e a fare il suo dovere. Riprese a dare una mano, seguita, senza saperlo dallo sguardo ombroso di Jack.

C’era qualcosa in quella ragazza che non quadrava.

Bellissima, forte. Troppo forte.

Troppo giovane per essere così forte. C’era una sensualità nel suo sguardo, nei suoi occhi, qualcosa di adulto, di sofferto forse.

Un segreto.

Fece velocemente girare il timone mentre un sorriso intrigato si dipingeva sul suo volto. Una ragazza costretta a crescere troppo in fretta, qualcosa che l’aveva portata in prigione. Bene, gli piacevano i segreti, adorava i misteri.

Lo eccitavano a continuare, a spingersi oltre, a scoprire.

E forse, in qualche modo, lo eccitava lei.

 

-o-

 

Jack si svegliò quasi soprassalto. Disorientato, si guardò intorno, quasi inconsapevole di dove fosse, di chi fosse, di come… ah no, no, ecco ricordava.

Primo: era Jack Sparrow. No, Capitan Jack Sparrow.

Dov’era.. ah beh… questo era più difficile. Ad occhio e croce gli sembrava di essere nella sua nave. Non appena però sentì uno strano peso e vide la bottiglia di rum che troneggiava tra le sue braccia fu tutto più chiaro, ricordò tutti i particolari della serata precedente e spiegò anche quello stranissimo mal di testa. Si si.. la tempesta, l’uragano, poi la quiete, l’ubriacatura con i suoi uomini eccetera.

Si alzò dal letto tutto vestito esattamente come si era coricato e, un po’ traballante, si diresse sul ponte, sperando che un po’ di brezza marina gli rinfrescasse le idee. Era quasi deserto il ponte, c’era Gibs che teneva il timone – uno dei pochi a cui era concesso farlo.- e qualche mozzo che si era addormentato lì, da qualche parte.

“Buon giorno capitano!” esultò Gibs non appena lo vide.

“Parla piano, caprone.” Rimbrottò l’altro, infastidito a qualsiasi rumore. Si appoggiò barcollando, sentendosi ancora mezzo stordito. “allora, come siamo messi?”

“Tre giorni da Nassau, signore.” Rispose l’altro, pimpante. “Ah, capitano.. so che queste sono considerazioni personali ma.. permettetemi.. che cosa andiamo precisamente a fare a Nassau?”

Jack si lisciò la barba con un gesto piuttosto stanco. “Precisamente, Gibs. Hai mai sentito parlare dell’anagramma di Chefalos?”

L’altro aggrottò la fronte. “Chefalos, capitano?”

“Si. Chefalos.”

“Non era l’Isla de Muerta e il tesoro di Cortes il nostro obbiettivo?”

Jack si coprì il volto con una mano. “Come raggiungeresti un’isola che nessuno sa dove sia a parte chi sa già dove trovarla, isola irraggiungibile senza una mappa che non indica le possibili tracce per effettuare suddetto raggiungimento, senza avere il mezzo nautico per raggiungere l’irraggiungibile?”

L’altro pirata restò quasi sconcertato. “..A .. Nassau?”

“Nassau? Che centra Nassau?- sbottò l’altro.- con una bussola, no?”

Gibs annuì, poco convinto. “Ah.. eh.. una bussola,certo.”

“E dove si trova la bussola?”

“All’isla de Muerta?

 “A Nassau, no??”

L’improvviso suono di un violino interruppe quella chiacchierata che stava avendo esordi davvero parossistici. I due uomini si voltarono di scatto verso l’altra parte della nave da dove proveniva lo strano suono. Era bello, comunque, dolce quasi romantico. Jack si volse verso Gibs indicandogli con lo sguardo di rimanere lì dov’era e si spostò, un po’ crucciato, verso la prua della nave tutta l’illuminata dalla nascente luce dell’alba. I suoi occhi neri focalizzarono la figura di spalle di Evelyne, autrice di quello strano strimpellio.

Ma dove diavolo l’aveva trovato quell’arnese infernale?

La guardò, di sottecchi, e si avvicinò, naturalmente, quasi ipnotizzato da quel suono, si appoggiò alla balaustra senza una ragione. Aveva anche mal di testa, capirai.

Eppure guardarla  suonare ... era davvero piacevole.

Aveva il volto sereno anche se un po’ teso, gli occhi chiusi e le sue mani si muovevano armonicamente su quello strumento, i capelli neri che cadevano un po’ scomposti da un modesto tentativo di appuntarli e le incorniciavano il viso con piccole onde nere.

Non appena si accorse di essere osservata si stoppò di botto e riaprì gli occhi. “Che..- iniziò, un po’ in imbarazzo.- che diavolo ci fai qui?”

“Sai com’è. è la mia nave.”

“Intendevo..”

“Qui le domande le faccio io.- l’interruppe Jack notando che oltre al violino Evelyne indossava anche un bellissimo vestito rosso bordò.- dove diavolo hai trovato tutta questa roba?”

Lei sorrise, ridendo. “Infondo all’armadio della mia stanza.” Disse alzando lo strumento.

“Ah ricordo.- mormorò Jack guardando il violino.- però l’ultima volta che ci siamo incontrati aveva…”

“Tutte le corde strappate.- continuò lei.- è vero. L’ho aggiustato.”

“Ah ecco.- borbottò lui.- Anche aggiustare i violini, oltre a pilotare navi.”

Lei si appoggiò alla balaustra, vicino a lui. “Ti confesserò un segreto: io non so pilotare una nave.”

Lui si avvicinò ancora. “Interessante. Una bambina prodigio, allora.”

“Diciamo che imparo in fretta.- lei non accennava ad allontanarsi e lui si avvicinò di nuovo, finché non furono entrambi ad un soffio.- se ho un buon maestro..”

Jack sorrise e senza lasciarla con lo sguardo andò ad accarezzare con le dita  il polso della sua destra. “Per quanto riguarda il violino..”

“Non è difficile. Lo faceva anche mio nonno.”

“Il vestito, allora.- sorrise.- no, scommetto che te l’hai cucito.”

Lei scoppiò a ridere questa volta mentre i suoi occhi si perdevano in quelli abissali dell’uomo. C’era qualcosa che l’attirava fatalmente in lui, forse qualcosa di magnetico, di ipnotico. Comunque di fortissimo. La sua vicinanza gli dava alla testa e gli suggeriva pensieri non proprio innocenti. “Sotto il letto. Lo riconosci, magari era di qualcuna delle tue amichette?”

Lui si avvicinò ancora e spinse la mano sull’avambraccio della ragazza. “No, era della sorella di Barbossa.”

“Oh, e che fine ha fatto?”

“Se l’hanno sbranata gli squali del sud. L’unica cosa che i pescecani hanno risparmiato era il vestito.”

Lei quasi sobbalzò e fece per allontanarsi ma Jack strinse la presa e l’avvicinò a lui, con slancio. “Non sarai mica un tipo che s’impressiona facilmente, vero? O temi la collera di Miss Barbossa?”

“Mi fa impressione portare il vestito di un morto.” Confessò lei con un mezzo sorriso.

“Oh non sei mica l’unica. L’ha portato Giselle, Carmen, Hodie, Jaime..”

“Va bene,va bene.- l’interruppe, quasi seccata.- l’abbiamo capito. Diciamo che il pericolo è scongiurato, sto più tranquilla.” Sospirò, mentre la brezza marina le accarezzava il viso.

La mano di Jack viaggiò lungo la spalla, arrivando al collo di lei. Istintivamente, senza pensare a nulla se non a quello che stava per accadere, lei si girò verso di lui, ascoltando il battito accelerato del suo cuore e le sensazioni che il tocco del pirata le procurava, quell’adorabile serie di brividi lungo la spina dorsale.

Le loro labbra erano ad un soffio, vicine. Jack era lì, doveva sporgersi appena un po’ e l’avrebbe avuto.

Lei era lì, appena ad un centimetro da lui. Ancora un passo e avrebbe scoperto che sapore avevano quelle labbra su cui indugiava da parecchio, colto la vera essenza di quella ragazza.

Ma non fu così.

Evelyne si fermò.

S’irrigidì e si spostò leggermente all’indietro, improvvisamente a disagio. Jack rimase, lì, davanti a lei, come un pesce lesso. Ma che diavolo le era preso?

“Scusa.” Mormorò, sentendosi improvvisamente inadeguata, sporca, sbagliata. Si portò una mano tra i capelli e prima che Sparrow potesse aggiungere qualcosa lo piantò lì, correndo via.

Attacco di panico?

Può darsi.

Evelyne si sbatté in camera, chiudendo forte la porta di legno e probabilmente svegliando mezza ciurma. Si appoggiò alla porta con le spalle, adagiando la nuca alla superficie dura. Chiuse forte gli occhi, sospirando.

Ma che cosa stava per fare? Con quel pirata? No, no, no, no, no. Assolutamente no.

Sospirando, sentendo il terrore assalirla improvvisamente, iniziò a piangere come una bambina. Non piangeva da molto tempo, esattamente da quando aveva baciato un uomo, l’ultima volta.

Si lasciò portare dal dolore forse per la prima volta in vita sua e, lentamente, si lasciò cadere.

 

 

 

 

 

 

* termine tedesco per “Composizione ad anello”

 

 

To be continued…

Diomache.

 

 

  
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