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Autore: RizafromKeron    07/06/2007    9 recensioni
Lei, sul marciapiede.
Lui, un cliente.
L’altro, lo sponsor.
Due bottiglie di Scotch sul tavolo.
E una richiesta indecente tra le labbra.

Scritta per il compleanno della mia adorata beta ALE! Dei semplici auguri non possono far capire il bene che ti voglio (oddio, ma mi sto sentendo? Come sono smielata! Aiuto! XD), ma te li faccio lo stesso! AUGURI!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maes Hughes, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note importanti di inizio fan fic: Questa è una fic un po’ speciale.

Oggi la mia beta compie gli anni (quanti non ci è dato di sapere, l’informazione soggiace negli archivi top secret dell’FBI assieme al segreto dell’UFO di Roswell – cioè, io lo so, ma sono come l’Uomo che Fuma di X files. Non parlo! *_*), e questa fic la dedico a lei nella speranza che gradisca il pensiero. Anche perché se non lo gradisce scriverò una fic a rating ROSSO Edward/ENVY!!!! Ma non la voglio obbligare ad apprezzarla, no no! XD Ho scritto una cosa sciocca, un po’ allegra, perché per fare una fic con questi due non bisogna sempre per forza buttarla in tragedia. Spero che ti dia un po’ di buonumore, che da amante delle Roy/Maes ne hai grandemente bisogno.

Auguri di buon compleanno, Ale, e grazie.

Perché esisti.

Perché mi sopporti.

Perché correggi le mie fic.

E soprattutto per quello di coraggio ce ne vuole assai! XD

 

Questa volta mi ha dovuta sopportare un’altra beta d’eccezione (sono fortunata, nulla da eccepire! XD), Onda, che ringrazio di tutto cuore per l’ottimo lavoro svolto, per la pazienza (ho dimenticato di aggiungere un piccolo particolare – sono un’involontaria feticista delle ripetizioni! XD Ma forse è un po’ tardi per specificarlo : P), per la gentilezza, la rapidità, per l’inflessibile pignoleria. Ho tenuto in gran conto le sue correzioni, più che valide e, posso assicurarlo io che sono una permalosa di prima categoria, per nulla saccenti (mi è stato chiesto di rassicurarla in tal senso! XD). E spero di aver fatto un buon lavoro. Soprattutto non la ringrazierò mai abbastanza per aver apprezzato il titolo di questa storia dopo che io mi sono persa per giorni in paranoie per nulla! XD Bene, adesso basta fare la svenevole con le mie beta per farmi trattare meglio la prossima volta che le sfrutterò impunemente! XD

 

Buona lettura.

E buon compleanno alla festeggiata!

Vostra aficionada

RizafromKeron

 

RICHIESTA INDECENTE

 

Rieccola.

La sensazione che tutto giri attorno a due bottiglie di scotch.

Mi chiedo perché mai ogni volta che festeggiamo un mio ritorno a Central City ne dobbiamo sempre ordinare una ciascuno, se tanto lui trova disgustoso il sapore dell’alcool che gli marcisce in gola il giorno dopo.

E quindi è matematico che non finirà nemmeno quel primo boccale.

Poi toccherà a me scolarmi tutto, visto che offro io.

Anche se mi ha invitato lui.

Non ho mai capito bene che meccanismo ci sia dietro questa nostra vecchia abitudine, ma suppongo che un suo senso distorto ce l’abbia dal momento che continuo a farlo. Non può essere per il piacere che mi procura l’allegra compagnia del Tenente Colonnello Hughes, perché al momento nella testa ho un solo pensiero:

Quanto tempo riuscirò a sopportarlo prima che la pazzia prenda il sopravvento e io dia sfogo alle mie fantasie legandolo a una sedia e ballandogli attorno, tagliuzzandolo pezzo dopo pezzo con un rasoio arrugginito, lui e quella barbetta ridicola?

Lasciando ondeggiare davanti agli occhi il liquido nel mio bicchiere osservo dietro lo schermo ambrato spalle curve chinarsi in avanti, e mani rapaci che controllano lo stato del portafogli.
Ogni tanto lo sguardo nervoso indugia fuori dalla vetrina unta del locale, su quella ragazza minuta che ha appena adocchiato in strada, quella che sorride stanca ai suoi ultimi clienti. Do una sbirciata anch’io.

Capelli castani, occhioni scuri.

Un sorriso lentigginoso da bambina.

E, quel che è più importante, un seno niente male.

Ritorno alla vista decisamente meno piacevole del mio, per così dire, “compagno di bevute”, nel momento in cui questo strozza un’imprecazione nella gola: lo vedo scuotere il portamonete con foga, dando pacche sul fondo nella vana speranza di far uscire qualcosa che non siano ragnatele e tarme smagrite. Stringo le labbra in una smorfia tesa, lasciando che anche le sopracciglia si accartoccino di sottile perplessità. Se era vuoto quand’è uscito di casa cosa si aspetta di trovarci dentro, adesso?

Credeva forse che qualche malfattore mosso a pietà dallo stato delle sue finanze gli infilasse del denaro nelle tasche durante un tentativo di rapina?

Guarda disperato la giovane.

La osservo anch’io mentre, spostando il peso da una gamba all’altra, ondeggia piano: è poggiata ad uno dei lampioni con le mani incrociate dietro la schiena e il capo chino a fissarsi le scarpe. Deve essere piuttosto fiaccante starsene lì in piedi per tante ore.

Si è legata i capelli in un ciuffo disordinato con quello che sembra un fermacoda da bimba.

Rosa, assurdo, sfilacciato da una parte.

Un accessorio da bambola.

Poi guardo Hughes. Mi sta fissando.

Con quegli occhi lucidi e sperduti. Occhi da cucciolo.

E solo un uomo può comprendere quanto sia disgustoso farsi venire in mente un paragone simile parlando di un altro uomo, e sempre e solo un uomo può capire lo sforzo che sto facendo in questo istante per non accasciarmi in avanti, rigettandomi sulle scarpe tutto il contenuto del mio stomaco.

Reggo bene l’alcool, ma certe immagini sono troppo anche per me.

So cosa sta per chiedermi.

“Hai dei soldi?”

Non spreco nemmeno tempo a sollevare gli occhi al soffitto, affranto, tanto non mi sta neanche prestando attenzione. Ha incollato lo sguardo alla ragazza, e dal cipiglio ansioso che gli increspa la fronte posso indovinare con certezza quasi assoluta che questa si sta preparando per tornare a casa. Se non si sbriga a correre da lei coi soldi rimarrà a bocca asciutta.

Poi non potrebbe nemmeno andare da un’altra.

Maes è un inguaribile abitudinario.

Mi porto il bicchiere alle labbra e sorseggio piano, prendendomi tutto il tempo che mi occorre, mentre fingo di perdermi in elucubrazioni.

Mi diverte osservare Maes artigliare il tavolo, in tacita e ansiogena attesa, con gli occhi a saettare da me a lei. Lo spettacolo mi ripaga di tutti i soldi del mondo.

Alla fine poso il boccale ormai vuoto e poi lo riempio ancora, versando l’ultimo Scotch della serata con la dovuta calma, in un rivolo sottile: intreccio le dita sul tavolo, piegando appena la nuca in avanti con aria complice.

Maes mi imita, ansioso.

Sarebbe un’azione così spregevole dire NO?

Decisamente.

Per questo è così piacevole farlo.

“Non ho nessuna intenzione di finanziare le tue voglie.”

“Cosa?!”, esclama incredulo al mio rifiuto. “Ma te li restituirò!”

Trattengo a stento l’impulso di scoppiare a ridergli in faccia, perché rifiutare un favore a un amico è una cosa che richiede profonda serietà. Hughes non mi ha mai restituito un solo prestito in vita sua, fosse anche solo la penna presa in ufficio per firmare dei documenti, e non comincerà certo adesso. Eppure, per quanto strano possa sembrare detto da me, il problema non è quello.

Non mi interessa nemmeno se finirà col ridursi sul lastrico per colpa di una donna: sono suo amico, non la sua banca.

E neanche se verrò lasciato solo in quel posto come un coglione una volta che avrà ottenuto ciò che cerca, perché non sono mica una donna. Anche se l’idea non è che mi vada tanto a genio.

Voglio solo che se li sudi un po’, quei soldi.

Tanto sappiamo entrambi che cederò, alla fine.

“Sta andando via, Roy.”

E’ disperato adesso.

E io capitolo.

Con un gesto infiacchito infilo una mano nella tasca dei pantaloni, mancando il bersaglio un paio di volte, poi riesco a tirare fuori il portafogli e ne controllo il contenuto con un sospiro rassegnato. Non devono essere tanti gli uomini che mettono in mano a un amico i soldi per le sue voglie balorde. E sì che specialmente nell’esercito gli idioti non mancano.

Scorro le banconote coi polpastrelli.

“Quanto ti serve? Trenta?”

“Sessanta, se ne hai.”

Smetto di contare.

“… Scherzi.”

Lui si stringe nelle spalle con un sorriso cretino appena imbastito, passandosi un indice sul mento ruvido: mi guarda sfuggevole da dietro gli occhiali quadri, un po’ intorbidati. No, non scherza affatto.

“Gliene do sempre sessanta.”

A guardarla non lo si crederebbe.

La testa scatta di lato a squadrare incredula la fanciulla da capo a piedi, mentre questa comincia a metter via le sue cose: non posso credere che dietro quel viso ingenuo e i vestiti logori si nasconda un’abile merciaia che guadagna l’equivalente del prodotto interno lordo di una piccola città grazie a un gaio imbecille.

Poi rido.

Una risata piatta e prevedibile.

Non mi meraviglia che sia sempre a corto…
“Tieni.”

Gli sbatto in mano i soldi.

Come prevedevo resto solo nel locale, con le mie due bottiglie di scotch ormai vuote, il bicchiere colmo, e una cameriera imbarazzata al fianco: sembra indecisa tra il desiderio d’infilarsi tra le mie lenzuola stanotte e quello di chiedermi di pagarle il conto prima che fugga a gambe levate come il mio collega. Non sarei il primo e neanche l’ultimo militare a comportarmi così. Le metto in mano il dovuto per toglierla dalla spiacevole situazione, e ci aggiungo anche una ricca mancia.

Il suo sorriso mi ripaga del denaro speso.
In questo io e Maes siamo così simili che mi torna la nausea.

Controllo l’ora e storco le labbra quando mi accorgo che il mio treno parte tra trenta minuti, e io adesso, come al solito, sono anche senza passaggio. Non ho voglia di correre in queste condizioni, quindi prenderò il prossimo.

Dovrei avvertire Havoc del mio ritardo, ma l’idea di lasciarlo aspettare tutta la notte davanti alla stazione mi fa tornare il buonumore.

Prosciugo gli ultimi resti del mio drink.

Un basso rutto e un sospiro salutano quel fuoco che mi incendia piacevolmente l’esofago, e già sento lo stomaco gorgogliare nervoso, con quella fitta al fegato che mi avverte che non potrà girare sempre tutto attorno a due bottiglie di Scotch.

Solo per stavolta fingi che sia tè, dai, lo calmo mentalmente e mi trattengo a stento dal passarmi una mano sul ventre per zittirlo. Parlare coi miei organi interni mi fa sentire cretino almeno quanto Hughes.

Guardo la strada, adesso deserta, pensando al suo sorriso imbecille mentre corre a casa dalla sua ragazza.

 

Giuro che questa è l’ultima volta che gli do i soldi per comprarle un mazzo di fiori dalla fioraia all’angolo!

  
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