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Autore: fulvia70    20/11/2012    1 recensioni
"Il colonnello Sebastian Moran era tornato a casa, a Londra.
Nel sole ossessivo dell’India o in quello rovente delle montagne afghane, aveva rimpianto il fumoso cielo di Londra perennemente avvolta dalla nebbia d’autunno come d’inverno.
(...)
James Moriarty non si mosse e sorrise ancora alla sua preda, che quella era davvero la migliore delle prede che gli fossero capitate negli ultimi anni, un fiero cacciatore di cui diventare il padrone, l’unico mentore, un maestro severo e generoso nel medesimo tempo."
L'incontro tra il professor James Moriarty e il colonnello Sebastian Moran nella Londra vittoriana.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti: i personaggi citati non mi appartengono, i diritti sono di Sir Arthur Conan Doyle e dei suoi eredi. Li uso per scopi di puro piacere letterario (non posso altrimenti ahimè XD) e non per scopi di lucro.


Il colonnello Sebastian Moran era tornato a casa, a Londra.

Nel sole ossessivo dell’India o in quello rovente delle montagne afghane, aveva rimpianto il fumoso cielo di Londra perennemente avvolta dalla nebbia d’autunno come d’inverno.

Scese dalla carrozza, recuperò il bagaglio ed entrò in quella che una volta era stata la sua casa.

Il giardino era in condizioni pietose, da quanto mancava ormai? Avrebbe mandato a chiamare dei buoni operai, doveva tornare a una vita civile di cui avrebbe fatto volentieri a meno ma che si era ritrovato imposta dalla sua cacciata dall’esercito. Ecco, questa era una cosa che un po’ di abilità non avrebbe dovuto conoscere nessuno.

Entrò in casa, c’era odore di muffa, di morte, di abbandono. Anche quello doveva sparire. Lasciò cadere a terra la sua borsa. Avrebbe dovuto assumere una governante, almeno due cameriere, un maggiordomo e due giardinieri.

Domani. Ora era stanco. Stanco.

Avrebbe dovuto sorridere a persone inutili, ingraziarsi potenti, cercare qualche pollo da spennare a carte, vivere al di sopra delle proprie possibilità, usare con tutti quella educazione che il suo rango e la sua nascita imponevano invece di poter bastonare gli idioti e sparare ai parassiti.
Rimpianse una volta di più la libertà del suo essere un militare in India, dove sotto l’apparenza di una rigida società i vizi più torbidi si celavano senza affanno e senza paura di essere scoperti.
Chiuse con violenza la porta alle sue spalle e rimase ad ascoltare il silenzio della sua casa vuota.
 
Il professor James Moriarty era ricco di nascita, apparteneva a quella classe agiata che dirigeva le sorti della nuova Inghilterra, quella voluta da Sua Maestà la Regina Vittoria, Sovrana dell’Impero Britannico.

Si alzò dalla poltrona in cui si era rifugiato ore prima, depositò con cura il bicchiere di cristallo sul tavolino tondo in ebano intagliato, accanto alla bottiglia panciuta decorata in argento e si accostò alla finestra che dal suo studio guardava sul parco che circondava la sua casa.

Era annoiato, il professor Moriarty. Annoiato. In quella stramaledetta città tutto era stato già fatto, già visto. Ora poi pareva avere un nuovo avversario, forse uno degno, un uomo con un nome improbabile, Sherlock Holmes, che si dilettava di studi di chimica e di matematica e che viveva in un piccolo appartamento in Baker Street con un medico militare in congedo di ritorno dall’Afghanistan.

Entrambi erano stati coinvolti nella risoluzione di alcuni casi criminali da quell’idiota dell’ispettore Lestrade di Scotland Yard. Ovviamente il nome di Holmes e quello del suo amico non erano mai apparsi nelle cronache sui giornali, ma al professore non servivano i giornali per conoscere che cosa accadesse realmente nella sua città.

Aveva visto una sola volta il signor Sherlock Holmes, ad un concerto di musica, al Royal Opera House, a Covent Garden.
Appassionato di Bach, il professor Moriarty non aveva potuto resistere. E aveva incontrato Sherlock Holmes e quel suo amico onnipresente, il dottor John Watson. Alto e magro, pelle candida e occhi azzurri, capelli nerissimi e movenze altere per il Consulente Investigativo, così si presentava Holmes, basso, muscoloso, agile e biondo il suo amico dottore cui il sole afghano aveva marcato i lineamenti, schiarito i capelli, segnato rughe attorno agli occhi.
Forse qualcosa stava per cambiare.

Il professor Moriarty aveva saputo dell’arrivo in città di uno dei suoi figli migliori, il colonnello Sebastian Moran, espulso con ignominia dall’esercito, ottimo tiratore, scaltro, furbo, senza scrupoli. Conosceva le motivazioni dell’espulsione del colonnello, per questo aveva deciso che lo avrebbe incontrato.
Aveva bisogno di gente come lui il professor Moriarty, gente in gamba e con un senso morale abbastanza elastico.
L’avrebbe consociuto presto.
Per quella sera aveva accettato un invito, un ricevimento a casa della Duchessa del Kent, una delle donne più in vista di tutta la Corte. E aveva fatto in modo che il colonnello Moran fosse anch’egli invitato.
Sorrise, James Moriarty, ammirando le cime degli alberi nudi nell’autunno inoltrato e scossi dal vento.
 
Il colonnello Sebastian Moran era alto, snello, muscoloso, forte, la sua figura virile risaltava in modo perfetto nello smoking che indossava per il ricevimento.
Si stava ancora chiedendo perché la Duchessa del Kent lo avesse voluto a casa sua, a chi dovesse gratitudine, quando la carrozza che aveva noleggiato lo aveva lasciato nel parco illuminato che circondava l’austera ma elegante dimora.
Riconobbe qualche vecchio compagno di college e ne approfittò per salutare.
Veniva bene accolto, il colonnello Moran. Nella Londra devota ai militari che costruivano l’Impero Britannico, il colonnello Moran aveva buon gioco.

Si ritrovò a parlare con una donna elegante, di cui ammirò molto più la collana di smeraldi che la scollatura, che un tempo era stata la snella giovane sorella di uno dei suoi compagni di college, quando un uomo lo avvicinò.
Dapprincipio il colonnello Moran non guardò con interesse quel giovane uomo. La sua interlocutrice parve illuminarsi però all’apparire dello sconosciuto e lo presentò come il professor James Moriarty.
Il colonnello Moran salutò con garbo ed eleganza, con un leggero cenno del capo, l’altro, che lo guardava con un sorriso strano, che diede i brividi a Moran.
Leggermente più basso, bruno, capelli neri, occhi nocciola quasi neri, ardenti, luminosi di vita propria e un sorriso da predatore, il professor Moriarty salutò la donna e poi concentrò la sua attenzione sul colonnello Moran.

Vestiva con impeccabile eleganza, il professor Moriarty, notò Moran, così come si muoveva con una grazia quasi felina.
Si ritrovarono a parlare, accanto alla porta finestra spalancata sul giardino avvolto dalla nebbia in quella fredda notte autunnale.
_ Sentirete la mancanza del sole dell’India in questa nostra fredda Londra, colonnello. –
La voce del professor Moriarty era calda, bassa, quasi sensuale, leggermente strascicata in un mondo dove tutti avevano o cercavano di avere una pronuncia perfetta, a volte roca, con un meraviglioso accenno di accento dublinese che Moran riconobbe immediatamente.

I suoi sensi di militare si allertarono. Chi era quell’uomo troppo giovane per essere un professore e troppo disinibito per essere del tutto un gentiluomo?
Moran camminò con le mani dietro la schiena, affidando più ai propri allenati sensi che alla fioca luce dei lampioni a gas la capacità di trovare un sentiero nel parco ovattato dalla nebbia.
_ Non così come credevo professor Moriarty. –
L’uomo gli sorrise accostandoglisi. _ Vi prego, Sebastian, posso chiamarvi Sebastian? – chiese e senza attendere la risposta proseguì _ Chiamatemi James. –
Moran lo valutò con una lunga occhiata penetrante. Poi abbozzò un sorriso educato.
_ Siete sempre così familiare con gli estranei signore? –
Moriarty rise appena e il colonnello Moran si scoprì a rabbrividire a quel suono. Gli parve di riconoscere qualcosa che non sentiva più da troppo tempo.
_ Mio caro Sebastian, io so molto di voi. So tutto quello che c’è da sapere, in effetti. –

Moran non replicò e non distolse lo sguardo dal volto sornione dell’altro.
_ Che cosa volete da me, James? – domandò con freddezza, calcando la voce mentre pronunciava il nome dell’uomo che aveva di fronte.
_ Voi, mio caro colonnello! Voi, la vostra passione, la vostra bravura, il vostro sangue freddo, la vostra capacità di obbedire agli ordini. –
Moran fece un passo indietro. Chi era quell’uomo che gli parlava con tanta semplicità e sfacciataggine?
Sorrise ancora James Moriarty e poggiò la mano destra sul braccio sinistro di Moran, che vinse l’impulso di allontanarsi e si limitò a fissarlo con una luce impassibile negli occhi verdi.
_ Chi vi dice che io abbia intenzione di darvi credito, professore? – domandò con altera freddezza e una postura rigida Sebastian Moran.
James Moriarty non si mosse e sorrise ancora alla sua preda, che quella era davvero la migliore delle prede che gli fossero capitate negli ultimi anni, un fiero cacciatore di cui diventare il padrone, l’unico mentore, un maestro severo e generoso nel medesimo tempo.
_ Oh, accadrà, mio caro Sebastian, io non sbaglio mai nel valutare le persone. Vi ripeto, so tutto di voi. So chi siete, chi eravate, i vostri trascorsi in India e in Afghanistan, so come e perché e quando siete stato ... allontanato... dal vostro incarico... so che cosa state pensando ora, mentre mi valutate e decidete se fidarvi di me o meno. –

Il colonnello Sebastian Moran respirò a fondo, lentamente, arretrò di un passo, liberandosi dal contatto troppo caldo di quella mano sul suo braccio e senza distogliere lo sguardo da quello del suo interlocutore, replicò _ Dovremmo parlarne in un altro luogo. Non siete d’accordo, James? –
Moriarty sorrise soddisfatto e assentì, con palese eccitazione.

Rientrarono. Il ricevimento era affollato, rumoroso, la musica dell’orchestra giungeva ovunque, molte coppie danzavano, altre discorrevano, altre ancora sognavano un futuro assieme, ma tra tutte queste ce n’era una che s’era appena formata e il cui sodalizio sarebbe durato ancora a lungo, molto, molto a lungo.

Quando il professor Moriarty si congedò dalla sua nobile amica, ringraziandola per la squisita cortesia del suo invito, il colonnello Moran lo seguì, salutò a sua volta e si incamminò nella nebbia notturna di Londra.

I tocchi del Big Ben squarciarono l’apparente silenzio.

Era iniziato un nuovo giorno, pensò Moran. Una nuova vita. La sua.
 
Angolo dell'autrice: ho immaginato l'incontro tra Sebastian e Jim nella Londra della Regina Vittoria, dove in effetti dovrebbero essersi conosciuti nel Canone. Ho già in mente altri spaccati della vita di questo duo/coppia, ma vedremo... lì il rating potrebbe cambiare. Questo, invece, è un inizio che potrebbe rimanere anche a se stante.Spero vi piaccia.
Commentate, le vostre opinioni mi interessano molto. Grazie.
  
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