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Autore: Kia85    20/11/2012    3 recensioni
JohnxPaul
"Doveva trattarsi certamente di un mostro.
Sì, quella massa nera che emetteva un suono stridulo, terribilmente fastidioso, non era nient’altro che un mostro, uno dei soliti. I mostri di John."
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hey Jules

 

Doveva trattarsi certamente di un mostro.

Sì, quella massa nera che emetteva un suono stridulo, terribilmente fastidioso, non era nient’altro che un mostro, uno dei soliti. I mostri di John.

John era piccolo, doveva avere pochi anni. Correva, correva per tutta Menlove avenue (1) alla ricerca disperata di un riparo da quel mostro che voleva mangiarlo. No, lo voleva prima stordire con quei rumori fastidiosi e poi l’avrebbe mangiato in un sol boccone. Ma non c’era alcun riparo per lui, le porte erano chiuse, nessuno voleva John Lennon, neanche la zia Mimi.

Poi era arrivato quel suono meraviglioso a confortarlo. Quelle note dolci e armoniose che si diffondevano intorno a lui sembravano volergli dire che andava tutto bene e che non doveva aver paura.  E un istante dopo il mostro cominciò prima a zittirsi e poi a rimpicciolirsi. Alla fine era così piccolo che John avrebbe potuto facilmente schiacciarlo con il suo piedino, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla, perché lui sarebbe tornato.

Lui e tutti gli altri.

I mostri tornavano sempre.

Per John e nessun altro.

John aprì lentamente gli occhi e si ritrovò nel suo letto. Era sudato, come se avesse corso venti maratone. Il cuore martellava furiosamente nel suo petto. Appoggiò una mano all’altezza del cuore e percepì perfettamente la sua pelle vibrare a ogni battito cardiaco. Doveva calmarsi. Ma come?

Ah sì. Grazie a lui.

Ma lui non c’era.

John si era rigirato nel letto e aveva allungato un braccio nell’altra metà, aspettandosi di trovare il calore del suo compagno pronto per confortarlo come ogni volta che i mostri tornavano da lui. Trovando solo lenzuola fredde, si svegliò completamente e si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi. Cercò di mettere a fuoco ciò che lo circondava, ma alla fine fu costretto a recuperare gli occhiali dal comodino accanto al letto. Si guardò intorno, chiedendosi dove fosse finito Paul, e per tutta risposta udì in lontananza il suono di un pianoforte.  Era un suono così lieve che sembrava provenire direttamente dall’aldilà, o meglio ancora, dal mondo dei sogni. Ascoltandola attentamente, capì che si trattava della melodia che aveva allontanato il mostro del suo incubo. John la riconobbe all’istante, perché gli fece provare nuovamente la stessa sensazione di sollievo. Sapeva che era opera di Paul. Era sempre opera sua dopotutto.

John si mise a sedere, appoggiando la schiena alla spalliera del letto. Non era come averlo accanto, ma almeno era nella sua testa e per il momento bastava così. Perché quando Paul era nella sua testa, John era al sicuro e i mostri non potevano prendere il sopravvento su di lui.

L’uomo allungò una mano sul comodino, alla ricerca dell’unica altra cosa che non piaceva ai suoi mostri: il fumo dolciastro della sigaretta. Ma il pacchetto era sparito.

John sbuffò contrariato.  Anche quella era opera di Paul.

Deciso a fargliela pagare, John si alzò dal letto. Il freddo della stanza lo fece rabbrividire e per un momento pensò di tornarsene a letto con tanti cari saluti a Paul e alle sigarette. Ma, diamine, non voleva  riaddormentarsi senza  Paulie tra le sue braccia!

Stupido McCartney!

John uscì dalla stanza e si avviò verso il piano inferiore. Scese le scale silenziosamente, mentre la melodia del pianoforte diventava ad ogni passo sempre più chiara. E più John riusciva a percepire la melodia, più si chiedeva che cosa fosse e da dove l’avesse presa il piccolo Paulie.

Quando raggiunse la sala con il pianoforte a muro, lo vide lì, seduto sullo sgabello nero con le gambe accavallate e chino sui tasti d’avorio. Muoveva le mani lentamente, dando vita ad accordi di una meravigliosa armonia, dolci e struggenti allo stesso tempo. John si appoggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia, e continuò a fissarlo. Quando Paul si sistemava al piano o prendeva in mano la chitarra tutto ciò che usciva era semplicemente irresistibile.

E altrettanto irresistibile per John era la visione di quella schiena, i cui muscoli seguivano perfettamente i movimenti delle sue braccia. Amava quella schiena e ogni occasione era buona per toccarla o anche solo sfiorarla, quasi volesse ricordargli che apparteneva a lui… sempre. Dovunque fosse andato, Paul era suo.

Così perso nelle sue fantasticherie, John non si accorse che Paul aveva smesso di suonare. L’uomo più giovane portò la mano sinistra alla bocca, prese la sigaretta tra le dita ed  emise una nuvoletta di fumo bianco che si dissolse poco dopo. Sorridendo fra sé, John si avvicinò e avvolse le braccia intorno al suo collo.

“Ti sembra il caso di sparire dal mio letto in questo modo?”

Paul chinò il capo, appoggiandosi al braccio di John, e sorrise.

“Sai com’è, John, quando l’ispirazione chiama è impossibile aspettare che si faccia giorno.”

“Sai com’è, Paulie, quando hai le mie sigarette devi stare attento a non allontanarti troppo da me.” esclamò John e con un rapido gesto gli rubò la sigaretta, portandosela alle labbra.

Paul scoppiò a ridere, mentre il compagno prendeva posto accanto a lui.

“Ti ho svegliato?”

“No, non proprio.”

In effetti l’aveva salvato, pensò John, accavallando le gambe. Poi fissò il pentagramma sul leggio del pianoforte, su cui vi erano scribacchiate note e accordi del pianoforte.

“Allora, di cosa si tratta?”

Paul arrossì lievemente, premendo un tasto a caso.

“È  solo una cosuccia che mi ronzava nella testa stanotte, mentre cercavo di dormire.” rispose l’uomo e subito dopo afferrò  la matita vicino al pentagramma.

Cancellò l’ultima nota dello spartito, correggendola con un Fa. Poi osservò lo spartito, appoggiò la matita fra le labbra sottili e inclinò il capo di lato.

John lo guardò perplesso:  “E le parole?”

Paul scosse il capo energicamente.

“Oh, finiscila, idiota!” esclamò John e, così dicendo, gli tolse la matita dalla bocca.

“Non ci ho ancora pensato.” rispose lui timidamente e abbassò il capo.

“Sei proprio uno stupidone, Paulie.- disse John, dandogli una lieve pacca dietro la nuca - Se non avessi  già avuto le parole giuste, non ti saresti messo all’opera.”

Paul lo fissò con l’aria imbronciata, ma John non poteva fare altro che sorridere.

“Sì, beh… è solo che non sono sicuro che vadano bene.”

“Se non me le fai sentire, non potremo mai saperlo.”

Paul sospirò e accarezzò un tasto del pianoforte. John gli si avvicinò e cominciò a stuzzicarlo con la matita nell’orecchio.

“Dai, Paulie… mio piccolo beatle…”

L’uomo rivolse lo sguardo al cielo e sospirò: “Oh, d’accordo. Tutto pur di finire questa tortura.”

John ridacchiò soddisfatto e poi cercò di tornare serio per ascoltare con ogni fibra del suo essere la nuova  “cosuccia” di Paul.

Le mani del compagno si posizionarono sopra i tasti, lui chiuse gli occhi e cominciò a cantare:

“Hey Jules, don't make it bad,

Take a sad song and make it better,

Remember, to let her into your heart,

Then you can start to make it better. “ (2)

Paul si fermò e guardò John, con trepidante attesa. Ma lui non sapeva cosa dire, se non che era semplicemente perfetta e… ah, sì, c’era una parola che l’aveva colpito più di qualunque altra.

“Jules?” domandò John, guardandolo sorpreso.

“Jules.”

“Jules, mio figlio?”

Paul annuì, sospirando: “Jules, tuo figlio.”

“Hai scritto una canzone per mio figlio?”

“Sì.”

“Perché?”

Paul arrossì appena e distolse lo sguardo.

“Non ci deve essere sempre un motivo per scrivere una canzone, sai John?”

“Oh, d’accordo.” affermò John, scrollando le spalle.

Non disse più nulla e fissò Paul che aveva lo sguardo incollato ai tasti del pianoforte, come se avesse  molto altro da dire, qualcosa che forse a John non sarebbe piaciuto, ma sembrava proprio che Paul non avesse il coraggio. Tuttavia John non si illuse, perché…

“È solo che…”

Perché Paul il coraggio di affrontarlo lo trovava sempre, prima o poi, e John sorrise fra sé. Amava anche questo suo lato.

“Cavolo, John! Ti stai separando da Cynthia. Siete i suoi genitori. Non importa quanto cercherete di non farglielo pesare, è qualcosa che lo segnerà per sempre, che tu lo voglia o no.”

John annuì, riuscendo a capire perfettamente cosa volesse dire Paul: “E quindi questa canzone è per… confortarlo?”

“Una cosa del genere. Sai, oggi non ho potuto fare a meno di notare che c’era qualcosa di strano in Jules. È stato qualcosa negli occhi. Ti ricordi com’erano vispi prima i suoi occhi, eh Johnny? Come guardavano  tutto ciò che lo circondava con interesse e curiosità? Quella curiosità che hanno solo i bambini… Ma adesso non è più così. Si capisce perfettamente.  So che non era giusto restare insieme solo per lui, ma vorrei fare qualunque cosa in questo momento per aiutarlo. Allora perché non scrivere una canzone per dirgli: Hey, Jules, so che sei triste adesso, ma vedrai che un giorno starai meglio!” (3)

John lo guardò, sorridendo dolcemente. Poi allungò la mano, la appoggiò sulla nuca di Paul e lo attirò a sé, appoggiando la fronte a quella del compagno.

“Ecco perché ti amo…” disse John in un sussurro e Paul ridacchiò.

John rimase in quella posizione ancora per qualche istante, godendo di quella vicinanza, del sorriso dolce di Paul e di quegli occhi verdi che lo osservavano sempre con attenzione, l’attenzione che John aveva cercato  in tutta la sua vita. Poi gli baciò la punta del naso e appoggiò il capo sulla sua spalla.

“Continueresti a suonare, Paulie? Per me?” gli chiese.

“Non sono sicuro di come continuare.”

“Sì, invece. – ribatté lui, afferrando la mano destra dell’altro e appoggiandola sulla tastiera del pianoforte. - Dai, Paul. È una canzone per mio figlio, devo sapere cosa ascolteranno le sue piccole, innocenti orecchie.”

Paul sbuffò: “Sai essere davvero irritante certe volte, lo sai, Johnny?”

John fece scivolare il braccio attorno al suo fianco e lo strinse: “Ecco perché mi ami.”

Paul sospirò e con quel gesto non voleva dire nient’altro che John aveva ragione e aveva dannatamente ragione.

Così Paul riprese a suonare e John chiuse gli occhi, assaporando quel piccolo momento di musica e intimità. Con il profumo muschiato della pelle di Paul che stuzzicava piacevolmente il suo olfatto e quelle parole e  melodia che l’avevano conquistato fin dal primo ascolto.

“So let it out and let it in

Hey Jules begin,

You're waiting for someone to perform with.

And don't you know that it's just you.

Hey Jules, you'll do,

The movement you need is on your shoulder.”

D’improvviso John alzò la testa: “Ehi… mi piace questo verso.”

Paul si fermò e lo guardò curiosamente: “Quale?”

The movement you need is on your shoulder.”

“Davvero? – chiese Paul sorpreso - In verità volevo cambiarlo, mi serviva solo per ricordare la melodia.”

“Invece non devi cambiarlo. È la frase migliore del testo.” (4)

Paul sorrise, evidentemente soddisfatto dell’apprezzamento di John.

“Anzi, dovremmo segnarcelo prima che ce lo dimentichiamo.” affermò John e, dopo aver preso carta e penna, cominciò a scrivere le parole, mentre Paul si occupava dello spartito.

Il cuore di John si era calmato e lentamente era tornato a un ritmo regolare. E come poteva essere altrimenti in una situazione come quella? Comporre era la sua vita e comporre con Paul rendeva la sua vita migliore. Ora come ora era tutto ciò che lo faceva star bene e non poteva fare a meno né dell’uno né dell’altro.

“Papà?” esclamò all’improvviso una flebile vocina.

John e Paul si voltarono nello stesso momento e videro il piccolo Julian in piedi sulla soglia della porta, che si stropicciava un occhio, mentre con l’altra mano stringeva il suo orsacchiotto preferito.

Hey, Jules!” esclamò John, facendo l’occhiolino in direzione di Paul, che per tutta risposta gli diede una pacca sulla spalla.

Poi rivolse la sua attenzione al bambino.

“Cosa c’è, piccolo?”

Il bambino si avvicinò ai due uomini: “Non riesco a dormire.”

“Oh no. E perché mai?” chiese John, sollevandolo di peso e sistemandoselo sulle gambe.

Paul lo osservò mentre lo circondava con le sue braccia e lo stringeva teneramente.

“Perché ci sono i mostri in camera mia.” rispose Julian con la faccia imbronciata.

Il cuore di John perse un battito: i mostri, i dannati mostri. Paul aveva ragione, mentre lui non si era accorto di nulla e si odiava per questo. Rivolse lo sguardo verso il compagno e non vide nessun segno di biasimo nei suoi occhi. Solo molta comprensione.

“I mostri? – esclamò subito dopo - Santo cielo, è terribile, ci credo che non riesci a dormire. Ma ti dico una cosa, Jules.”

Il bambino si voltò verso il padre e John si rispecchiò nei suoi occhi chiari, che non riuscivano a nascondere l’agitazione per quei mostri che non erano in camera sua, sotto il letto, ma erano dentro il suo cuore e sarebbero rimasti lì per tutta la vita. Esattamente come i mostri che portava lui stesso dentro il cuore da tutta una vita e non sarebbero mai andati via. Solo la musica poteva acquietarli. O Paul. E quella canzone di Paul era esattamente ciò di cui sia lui che Jules avevano bisogno.

Perciò appoggiò una mano sul capo del bambino e gli sorrise: “Sei fortunato, Jules, sai? È la notte perfetta per dare la caccia ai mostri.”

“Perché?” gli chiese lui, diventando improvvisamente più entusiasta.

“Perché… aspetta, è un segreto. Prometti di non dirlo a nessuno?” gli chiese John e gli rivolse uno sguardo complice.

Julian annuì, lasciandosi scappare un sorriso: “Prometto!”

“Bene, allora. Devi sapere, Jules, che lo zio Paulie ha appena composto una canzone scaccia-mostri.”

“Una canzone scaccia-mostri?! Non ci credo.”

“Come non ci credi?” esclamò John, fingendosi indignato.

“Non esistono canzoni scaccia-mostri, te lo stai inventando tu.” protestò il bambino.

“Ah, Jules, questo proprio non me lo aspettavo da te! - esclamò John, scuotendo il capo - Zio Paulie, per favore, vuoi dire qualcosa anche tu a questo bambino?”

“Ma certo! Jules, le canzoni scaccia-mostri esistono eccome e, se davvero non ci credi, te lo dimostro subito.”

Paul posizionò le mani sopra i tasti del pianoforte e tornò a guardare il bambino.

“Promettimi che l’ascolterai bene, però, perché altrimenti non funziona. Ok?” gli disse Paul, facendogli l’occhiolino.

Julian annuì energeticamente con il capo: “Ok!”

Così per la seconda volta in pochi minuti John potè ascoltare nuovamente quella canzone, “Hey Jules”…

Hey Jules… Forse il titolo non andava molto bene, avrebbero dovuto cambiarlo in seguito. Ma per il momento era perfetta così come Paul l’aveva pensata.

Julian ascoltò la canzone attentamente e per magia, la magia di Paul, il bambino appoggiò la schiena al torace del padre, poi i suoi occhi cominciarono a chiudersi, sebbene lui facesse di tutto per restare sveglio. John lo cullò dolcemente per conciliare il sonno e quando la testa del bambino sfiorò il suo braccio, capì che era tornato nel mondo dei sogni e i suoi mostri erano stati cacciati. Almeno per il momento.

Un nuovo mostro si era annidato quella sera nel cuore di John. La consapevolezza di aver portato quelle paure anche nel cuore di suo figlio, quando come genitore avrebbe dovuto allontanarle. Paul aveva ragione, Julian non sarebbe tornato più a essere lo stesso bambino.

E da quel momento in poi, John ripromise a se stesso che avrebbe fatto anche lui di tutto per far stare meglio il suo bambino. Ma da solo non ce l’avrebbe fatta.

John abbandonò il capo sulla spalla di Paul e chiuse gli occhi. Aveva bisogno di lui, ora più che mai, e della sua magia.

Prima o poi Paul avrebbe dovuto spiegargli cosa avesse di così speciale per riuscire a compiere quella magia anche con lui. Ma per il momento John si sarebbe accontentato di quella canzone, scritta sì per Julian, ma forse un po’ anche per lui. Perché nessuno conosceva i suoi mostri meglio di se stesso. O meglio di Paul.

“John?” lo chiamò Paul.

“Mm?”

“Julian posso anche portarlo a letto, ma non pensare che valga lo stesso per te.”

“Paul?”

“Mm?”

“Sei un mostro!”

 

 

 (1) Menlove avenue, a Liverpool, è la via in cui si trovava la residenza degli zii di John Lennon.

(2) Paul McCartney cominciò a canticchiare la melodia di “Hey Jude” mentre andava a far visita alla ex moglie di John Lennon e a suo figlio Julian e al posto di Jude c’era proprio Jules.

 (3) “Hey, Jules, so che sei triste adesso, ma vedrai che un giorno starai meglio!” citazione di Paul McCartney (Fonte: il libro bianco dei Beatles)

 (4) “Invece non devi cambiarlo. È la frase migliore del testo.” citazione di John Lennon. Paul voleva davvero cambiare il verso perché lo riteneva “bruttarello”. (Fonte: Il libro bianco dei Beatles)

 

 

Non avrei pensato mai e poi mai di scrivere una fanfiction sui Beatles e forse ancor meno una slash su John e Paul. Ma davvero son di grande ispirazione. Con quegli sguardi che si lanciavano, le canzoni che si scrivevano, le foto di Paul con Julian e la storia dietro Hey Jude… e dici, d’accordo, scrivo su di voi, basta che la finite di essere così carini insieme!! :D Anche se sai che non la smetteranno mai di essere così perfetti l’uno per l’altro.

Ok, la finisco e ringrazio con tutto il mio cuore la mia betareader mamogirl, che mi ha prontamente corretto la storia. Thanks!! :D

Spero sia piaciuta, è stato il mio primo esperimento! XD

Alla prossima

Kia85

   
 
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