La speranza del cavaliere
Autore: Aerie
Disclaimers: come tutti saprete bene, i personaggi di Saint Seiya non
appartengono a me (per fortuna loro…) ma all'immenso Masami Kurumada.
La trama è quella della storia "Un crepaccio nella neve gelata"
di Bernardo Atxaga, adattata ai personaggi di Saint Seiya, e i diritti sono
suoi.
L'ombra della morte attraversò l'accampamento dove i cavalieri di Asgard
e i Bronze Saints discutevano quando Shun, che si era allontanato ad
esplorare con Hyoga, giunse con la notizia che il cavaliere del Cigno era
caduto in un crepaccio. Il chiasso e la risate abituali del momento della
cena cessarono di colpo, e le tazze di the, ancora fumanti, rimasero sulla
fredda neve di Asgard. Nessun cavaliere osava chiedere particolari, nessuno
riusciva a parlare. Temendo che non lo avessero sentito, Shun ripeté la
notizia. Il ghiaccio aveva ingoiato Hyoga, il crepaccio sembrava profondo.
"Non potevi tirarlo fuori tu, Shun?" domandò un ragazzo che era
rimasto impassibile. Era Artax, cavaliere di Asgard, padrone del caldo
soffio del meriggio.
Il cavaliere di Andromeda scosse il capo.
"Freddo, Artax. Quasi notte…"disse.
Era un valido motivo. Con il calare della notte il freddo raggiungeva nei
dintorni di Asgard i quaranta gradi sotto zero; una temperatura che già di
per sé poteva essere mortale, ma che, inoltre, rendeva instabili le grandi
masse di ghiaccio della montagna dove si erano accampati.
Di notte si aprivano nuovi crepacci, e molti dei vecchi si chiudevano per
sempre. Andare in soccorso di Hyoga era quasi impossibile.
Artax, contro il parere di tutti, decise di uscire immediatamente a cercarlo
e disse di voler andare da solo.
Gli altri sentirono una profonda ammirazione per quell'uomo che rischiava la
propria vita per quella di un amico.
A Hyoga la profonda ferita nel fianco e la gamba rotta facevano molto
male. Ciononostante stava addormentandosi; il sonno, dovuto al freddo del
crepaccio, era più forte del dolore, più forte di lui. Non poteva tenere
gli occhi aperti. Ormai provava quel senso di calore che precede sempre la
dolce morte dei cavalieri.
Era disteso sul ghiaccio, assorto in una lotta personale, incerto fra
l'oscurità del crepaccio o l'oscurità del sonno, e non si accorse delle
corde che, gettate dall'alto, caddero sui suoi stivali.
E non vide nemmeno il ragazzo che, dopo essere sceso lungo esse, gli si era
inginocchiato accanto ed aveva puntato su di lui la lanterna.
"Sposta quella lanterna Shun!" disse sorridendo. Era salvo.
"Sono Artax." sentì. La voce aveva un tono di minaccia.
Hyoga piegò la testa di lato per evitare la luce della lanterna. Ma anche
la lanterna cambiò posizione. Continuava ad abbagliarlo.
"Perché sei venuto?" domandò.
"Ti parlerò da amico, Hyoga, da uomo a uomo. E forse ti sembrerà
ridicolo quello che sto per dirti. Ma non ridere, cavaliere. Pensa che chi
ti sta davanti è una persona che soffre molto."
Hyoga stava in guardia. Dietro quella rivelazione percepiva l'inganno.
Artax rise con sarcasmo:
"Per poco non sono impazzito nel vedere le foto che mi avevano
mostrato, Hyoga. Tu e Flare che vi tenevate per mano."
Hyoga aveva la bocca secca. I muscoli del volto indurito dal freddo ebbero
una contrazione.
"Dai importanza a cose che non ne hanno, Artax!"esclamò.
Ma era come se nessuno lo ascoltasse. L'occhio implacabile della lanterna lo
fissava senza pietà.
"Ho avuto molti dubbi, Hyoga. Non sono un assassino. Stavo male ogni
volta che pensavo di ucciderti. Al posto mio, Hyoga, ti ha giudicato la
montagna, e ora ti trovi qui perché ti ha condannato. Non so se ti
toglierà la vita, non lo so. Magari arriverai vivo sino all'alba e forse
gli altri ti salveranno. Ma lo dubito, Hyoga, ho l'impressione che resterai
in questo crepaccio per sempre. Perciò sono venuto, proprio perché non te
ne andassi da questo mondo senza sapere quanto ti odio."
"Tirami fuori di qui, Artax!" A Hyoga tremava il labbro inferiore.
"Non io, Hyoga. Come ti ho detto sarà la montagna a deciderlo".
Il cavaliere del Cigno respirò profondamente, doveva accettare la sua
sorte.
La sua voce era sprezzante:
"Ti credi il migliore di tutti, Artax. Un cavaliere esemplare, un
ragazzo esemplare. Ma sei solo un lurido pagliaccio! Chi ti conosce bene non
ti può sopportare!"
Troppo tardi. Artax stava già salendo lungo le corde.
"Flare piangerà per me. Non lo farebbe mai per te!" gridò Hyoga
con quanta forza aveva.
L'eccitazione provocata da quella visita risvegliò il corpo di Hyoga.
Ora il suo cuore batteva con forza e il sangue che prima sembrava rappreso
dal freddo, irrorava in ogni suo muscolo.
La speranza si era impossessata di lui.
Si sollevò meglio e cominciò a tastare il ghiaccio nel buio. Fu un attimo,
ma così intenso che lo fece ridere di gioia. Lì c'erano le tre corde che
Artax aveva abbandonato dimenticandosene.
Le ferite gli facevano molto male, ma sapeva che una sofferenza maggiore
lo avrebbe atteso in fondo al crepaccio. Stringendo i denti, Hyoga si appese
alle corde e cominciò a salire, adagio, cercando di non urtare contro le
pareti ghiacciate. Approfittava dei punti stretti per formare un arco con le
spalle e la gamba sana e così riposare. Un'ora dopo aveva già percorso i
primi dieci metri.
Quando la sua ascensione stava per raggiungere i diciotto metri, una valanga
di neve gli fece perdere l'equilibrio, spingendolo contro un sporgenza della
parete. Hyoga accusò una botta sul fianco ferito e il dolore gli riempì
gli occhi di lacrime. Per un attimo pensò alla dolce morte che lo attendeva
in fondo al baratro. Ma la speranza che non aveva ancora abbandonato il suo
cuore gli sussurrò un <
Mezz'ora dopo le pareti del crepaccio divennero dapprima grigie e poi
bianche. Hyoga pensò che, nello scagliarlo contro la sporgenza, il destino
avesse voluto imporgli un'ulteriore prova e che ora finalmente lo premiasse.
"Il cielo." esclamò. Ed era effettivamente il cielo rosa
dell'aurora. Un nuovo giorno illuminava Asgard.
Il sole riluceva sulla neve. Di fronte a lui, verso nord, si stagliava la
gigantesca montagna. Alla sua destra, nella valle ghiacciata, zigzagava il
sentiero che portava all'accampamento.
Hyoga sentì i suoi polmoni vivificati dall'aria limpida del mattino. Aprì
le braccia dinanzi a quell'immensità e, levando gli occhi verso il cielo
azzurro, mormorò qualche parola di ringraziamento ad Athena e alla
montagna.
Si trovava in quello stato di grazia quando ebbe una sensazione
sgradevole. Gli sembrò che le braccia che teneva aperte si contraessero di
nuovo e che, senza volerlo, lo abbracciassero. Ma chi lo stava abbracciando?
Abbassò lo sguardo per vedere cosa stesse accadendo, e una smorfia di
terrore gli contrasse il volto. Artax gli stava di fronte.
"E' una brutta cosa tramare inganni, Hyoga." udì poco prima di
sentire la spinta. Per un attimo, mentre precipitava verso il fondo del
crepaccio, Hyoga credette di capire il senso di quelle ultime ore della sua
vita.
"Tutto, la visita, l'avere dimenticato le corde, era stato solamente
una tortura premeditata: Artax non aveva voluto risparmiarmi la sofferenza
della speranza".
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