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Autore: Banana_Mecha    20/11/2012    6 recensioni
"La signora Kim siede vicino alla vetrina, nella sua caffetteria.
La porta è stata chiusa dall'interno con una spessa catena allucchettata; eppure non è neanche il tramonto.
Dentro le luci sono accese, e diffondono un caldo bagliore arancione, ma adesso che questo locale è vuoto… Prima che scatti il coprifuoco c'è ancora chi si azzarda a venire a trovarla. Sono molte meno di prima, certo, però vengono quasi ogni giorno.
Le passano ancora le lettere. Alcune addirittura portano del cibo.
Le si avvicinano e le sussurrano: «Yesung sta bene?»
Gli occhi della signora Kim si riempiono di lacrime. Non lo so, vorrebbe rispondere, mi manca mio figlio e non so niente di lui da mesi. Però non dice niente. Annuisce, e cerca di sorridere."
Settembre 2013. E' bastata una notte, e nessuno poteva sospettare che sarebbe accaduto così. Il Nord ha attaccato il Sud e la capitale è in ginocchio. La musica viene bandita dalla legge.
Gli artisti vengono costretti a rifugiarsi e a combattere contro i traumi di una guerra crudele e la paura di essere trovati. Non saranno soli però. Presto nel sottosuolo di Seoul nascerà la ribellione.
SJ, SNSD, B1A4, B.A.P.
Genere: Generale, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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WARNING : Sono tornata. E' passato un sacco di tempo, ma nel frattempo ci ho dovuto incastrare la compilazione di un dossier per l'anno in Giappone, forum, occupazioni, lucca comics e ore di sonno (?) per cui ci ho messo un po'. 
Innanzitutto volevo scusarmi tantissimo se non ho ancora risposto ai commenti, provvederò prima possibile. Ammetto che li ho visti da tempo ma tutta questa positività era così inaspettata che lì per lì non sapevo neanche che dire. Non credevo che questa storia sarebbe mai piaciuta a nessuno, e ho visto comunque che alcuni dei recensitori non sono neanche miei conoscenti. Grazie infinite, mi avete fatto sentire importante per un po'. çAç
Con la premessa che è stato un mese di fuoco e che ho riscritto il capitolo qualcosa come 10 volte e tuttora mi lascia insoddisfatta, scusate se farà schifo e ci saranno un sacco di errori. L'ho riletto ma qualcosa sfugge sempre (Eleonora, confido nel tuo occhio di falco!).
In questo capitolo all'apparenza palloso (ooops, passatemi il termine) e banale si nascondono due grandi svolte. La prima: l'incontro fra Bani e Jinyoung. Sono due persone rimaste sole, che non sentono più il cuore battere e si incontrano davanti a delle tombe. Mhm.... non promette bene, per niente!
La seconda svolta, che è probabimente una delle più importanti (e per questo una delle peggio scritte): La dinamica ci è per ora sconosciuta, ma una guardia è morta a casa di Bang Yongguk, leader dei B.A.P, il quale chiede aiuto a Zelo. Zelo gli troverà un rifugio, ma finirà per essere scoperto dalle milizie nordcoreane e pagherà molto caro il suo silenzio!
Ok, dopo questa presentazione da quattro soldi.... buona lettura!


Non sa perché è ancora lì. Anzi lo sa, ma non vuole ammetterlo.

Pensa che il ragazzo, assorto com'è, non si sentirà disturbato se lei indugia ancora un po' lì. Si dondola sulle gambe, si sfrega le mani per scaldarsi e finge ancora un po' di guardare la foto di suo padre sulla lapide di marmo. In realtà, con la coda dell'occhio sbircia il ragazzo. Da un po' di tempo lo ritrova sempre lì, al cimitero. Bani non era solita recarcisi spesso prima. Un sabato pomeriggio, di punto in bianco, lui c'era. Vestito di scuro, con le braccia lungo i fianchi, pietrificato. In mano stringeva un mazzo di rose gialle, fiori insoliti per un cimitero. 
Probabilmente, quel giorno lo ha guardato molto. Il problema dei cimiteri è che non sembrano soggetti a nessun tipo di cambiamento, e non appena se ne varca la soglia si perde la cognizione del tempo. 
Ci sono sempre le stesse tombe, sempre gli stessi fiori, file e file di ceri accesi, e qualche ghirlanda vicino alle lapidi più grandi. Se anche in qualche punto capita di trovare una fossa scavata da poco, è come se fosse stata lì da sempre.
Forse è per questo che lui è sempre lì. Quando Bani se ne va, stringendosi nel suo cappotto rosso, con le mani intirizzite, lui è ancora in piedi davanti alla lapide come quando è arrivata. E quando ritorna, per cambiare l'acqua dei fiori, lui c'è ancora. Quasi anche lui ormai fosse stato inglobato in quello strano mondo parallelo e senza tempo, e non si fosse mai mosso. 
E' bello, di una bellezza triste. Ha lineamenti dolci, ma lo sguardo è pieno di rimorsi. Bani passa di lì ogni giorno ormai, e ogni giorno lui è lì, come sempre; solo i fiori che porta sono diversi.
Oggi ad esempio sono dei crisantemi. Bani è un po' delusa; durante le sue lunghe meditazioni era giunta alla conclusione che lui portasse tutti quegli insoliti fiori proprio come si farebbe con una persona viva, ma i crisantemi sono fiori da morti.
Che c'è? Hai già accettato che questa persona sia sparita davvero? 
Questa cosa va avanti da tre settimane ormai, e Bani si sente una vera stupida. Non capisce neanche cosa le interessi di lui, visto che neanche lo conosce. Allora perché ogni giorno torna lì? Perché sta tutto quel tempo al freddo, immobile, fingendo di non guardarlo?
Bani getta uno sguardo all'orologio. E' lì da un'ora. Si china a riprendere la sua borsa e fa per andarsene quando qualcosa di piccolo e freddo le si posa sulla punta del naso arrossato; in pochi secondi dal cielo bianco e pesante iniziano e scendere lentamente dei piccoli fiocchi di neve. Sono minuscoli, quasi invisibili, ma in poco tempo si impigliano nei suoi lunghi capelli mossi. 
Bani sente qualcosa al cuore. Come se qualcuno stesse bussando per uscire. Per pochi istanti rimane sopraffatta dall'emozione; non ricordava che un cuore potesse battere così forte. Lentamente si avvicina al ragazzo, come se le sue gambe si muovessero da sole.
«Ciao», mormora. «Sei qui al freddo da tanto tempo, e sta iniziando a nevicare… forse è il caso che per oggi torni a casa», gli sussurra. Se ne pente subito dopo, e arrossisce. Non sa cos'è successo, non sa neanche come le sia venuto in mente. Lui per la prima volta le rivolge uno sguardo. E' uno sguardo indecifrabile, ma molto sorpreso.
«S-scusa, non volevo esserti di disturbo! A… Allora ciao, eh?», farfuglia grattandosi la nuca, si inchina un paio di volte, poi si caccia le mani in tasca e si incammina velocemente verso l'uscita del cimitero, coprendosi il volto paonazzo con le mani. 
Stupida, stupida Bani!

Jinyoung sbatte le palpebre, confuso, mentre la ragazza sparisce in pochi secondi nella nebbia. Non gli ha dato neanche il tempo di risponderle. Alza gli occhi al cielo, e si accorge solo ora che sta nevischiando e che non riesce neanche più a muovere le mani tanto sono congelate. Non sa calcolare da quanto è lì.
E' come se si fosse bruscamente risvegliato da un lungo sonno, non si aspettava che qualcuno gli avrebbe rivolto la parola. Forse lei ha confuso la sua espressione sorpresa per uno sguardo infastidito e se n'è andata per quello. 


Hong è disteso a terra, e singhiozza. Non credeva si sarebbe mai più messo a piangere così. Come un neonato, rannicchiato sul pavimento, singhiozza senza quasi più fiato.
Ha sbattuto così forte la testa che è diventato tutto nero. Riesce solo a vedere qua e là delle macchie rosse. Tossisce e le labbra bianche si macchiano di sangue vischioso.
Non riesce neanche più a respirare perché il sangue gli ostruisce la gola, e annaspa grattando spasmodicamente il pavimento, come per trovare un appiglio. Qualcosa nell'addome brucia e non ha il coraggio di toccare.  Ha perso la sensibilità al volto. Sente solo che è bagnato, ma non capisce se di lacrime, di sangue, o se di entrambi. 
Non è per il dolore fisico, bensì sente una ferita dentro. Nel suo mondo, ancora a metà fra adolescenza e età adulta, pensava che la sua giovane età l'avrebbe in qualche modo protetto. Invece  è stato pestato a sangue senza nessuna pietà. Neanche a un animale pensava sarebbe mai stato destinato un simile trattamento; si è sentito un oggetto contro cui qualcuno ha sfogato la sua rabbia. E l'hanno lasciato lì, a piangere, in quella stanza buia e fredda. Non sa da quanto è lì, non sa quanto tempo passerà prima che qualcuno lo trascini fuori. Piano piano il pianto si affievolisce. Non ha più il fiato e la forza di piangere, chiude gli occhi e rilassa le mani. 

Hong apre gli occhi, sbatte le palpebre. La sua cameretta è ancora immersa nell'oscurità. Fuori dalla finestra, la notte sembra il fondo di un oceano. Le nuvole coprono le stelle e sembra davvero che là fuori non ci sia niente se non un nero sconfinato. Quando gli capita di svegliarsi nella notte per il rumore di un aereo guardando oltre il vetro ha paura che aprendo la finestra potrebbe essere risucchiato da quell'oscurità. 
Gli unici pallidi bagliori vengono dalla sveglia luminosa sul suo comodino, che segna le una e tredici, e dal suo cellulare; ci mette un po' prima di capire che sta vibrando. A tentoni lo afferra. Avviso di chiamata: Bang Leader.
«Pronto…», biascica. Dall'altra parte del telefono sente un respiro affannoso.
«Bang, Bang Yongguk?», domanda. Niente.
Sta per riattaccare quando lui risponde. Sta piangendo.
«Jun Hong, aprimi, sono sotto casa tua…»
Yongguk si siede sul letto, con le mani che tremano e lo sguardo terrorizzato. Hong guarda i suoi vestiti insanguinati a bocca aperta. La sveglia luminosa indica le una e un quarto di notte. Come ha fatto Youngguk ad arrivare fino a casa sua? Dopo il coprifuoco uscire è pericolosissimo; incappando in una pattuglia di ricognizione il minimo che può succedere è essere sbattuto in prigione. E poi fuori è buio pesto… Hong sospetta che Yongguk sia arrivato lì correndo. Ha il fiatone e i jeans strappati sulle ginocchia sbucciate. 
Hong fa un lungo respiro. C'è da prendere una decisione razionale e non c'è molto tempo. Yongguk non è riuscito a dire niente, se non a emettere dei mugolii strozzati, ma quel sangue non è suo di certo.
«Alza le braccia, sbrigati», Hong inizia a spogliarlo, poi in silenzio lo trascina sotto la doccia. Yongguk si lascia muovere come se fosse una bambola. E' come se qualsiasi parvenza d'umanità l'avesse abbandonato per lasciare spazio ad un contenitore vuoto e freddo. Hong prende i vestiti insanguinati e li infila in un sacco dell'immondizia, lo chiude e spera che sua madre non lo riapra.

Hong ha appena iniziato a ricopiare in bella il suo tema "Recensione di un libro che ti è particolarmente piaciuto". Traccia fuori luogo dal momento che fatica a pensare che al professore di letteratura, con tutti i casini che deve affrontare, interessi veramente sapere la trama di Starship Troopers, ma è comunque soddisfatto di ciò che ha scritto. Va a capo, e posa la penna sul foglio; traccia due parole quando la porta si apre con un tonfo e tutti gli studenti, immersi fino ad allora in un silenzio immacolato, trattengono il fiato e alzano lo sguardo verso la porta. Anche il professore guarda i due soldati in piedi sulla soglia e ci mette qualche secondo a realizzarlo. 
«Chi è Choi Jun Hong?», domanda un dei due entrando nell'aula a grandi passi, avvolto nella sua divisa nera.  Hong ha smesso di respirare, il suo cuore si ferma per qualche istante, tutto diventa silenzioso. Come se qualcuno avesse tolto l'audio alla tivù. Quando finalmente riprende un respiro e sente il sangue tornare a scorrergli nelle vene, anche i suoni rifanno la loro comparsa. Sente un brusio nervoso tutto intorno a lui.
«Choi Jun Hong», ripete il soldato, con il suo accento metallico. Hong alza la mano e bisbiglia un "io" poco convinto. Pochi istanti dopo i soldati lo alzano bruscamente e lo trascinano via per le braccia. Appena uscito dall'aula, dentro scoppia il putiferio, qualcuno urla, altri piangono per lo spavento. Mi dispiace di avervi spaventati, pensa Hong, ma sarebbero arrivati a prendermi prima o poi.
Hong era stato sbattuto su una vecchia sedia traballante, dentro una sorta di sporco, umido e buio sgabuzzino. Gli avevano malamente sfilato la giaccia della divisa, poi gli avevano legato le mani dietro la schiena.
Hong era rimasto in silenzio, serrando le labbra. Non doveva tradire la sua paura, e soprattutto non doveva tradire Yongguk.
La porta si era aperta ed era entrato un uomo sulla cinquantina a passo marziale che gli si era messo davanti, squadrandolo dall'alto in basso con uno sguardo carico di disgusto.
«Sarò breve», aveva scandito l'uomo. Hong lo trovava terrificante: era ossuto, spigoloso. La divisa nera gli stava palesemente larga, e gli si afflosciava sul bacino. Era brutto, arcigno, aveva la faccia di chi non ha mai sorriso in vita sua, e con le mani secche stringeva una cartelletta sgualcita.
L'aveva aperta, mostrando in prima pagina una vecchia fototessera di Yongguk, presa da chissà quale archivio.
«Bang Yongguk, dimmi tutto quello che sai».
Hong aveva deglutito, poi gli aveva puntato lo sguardo dritto negli occhi.
«E' il leader del gruppo in cui canto, ha 24 anni e ama molto i dolci», aveva risposto impassibile.
Il vecchio soldato aveva alzato gli occhi al cielo, quasi divertito, e aveva abbozzato una risata. Poi era tornato serio e lo aveva schiaffeggiato con forza servendosi della stessa cartelletta. Hong aveva piegato la testa di lato, ma l'uomo lo aveva costretto a guardarlo negli occhi afferrandogli il mento in una morsa d'acciaio. Si era abbassato al suo livello e lo aveva guardato come si guarda un verme sporco di terriccio e aveva ripetuto la domanda.
«Due sere fa ho mandato uno dei miei uomini ad arrestare Bang Yongguk. Quest'uomo è stato ritrovato morto nel suo appartamento, ucciso da un colpo di pistola», aveva sussurrato a denti stretti. Hong aveva iniziato a sentire il sangue ghiacciarsi nelle vene, mentre dalla bocca dell'uomo uscivano pesanti zaffate puzzolenti di tabacco. Voglio vomitare, aveva pensato Hong, ma non aveva tentato di ritrarsi. Sarebbe comunque stato impossibile, quella presa era così forte che da un momento all'altro gli avrebbe staccato la mandibola. 
«L'ultimo numero chiamato da Bang Yongguk è il tuo. Quindi, ora formulerò la domanda in modo che anche uno stupido ragazzino che ha la merda al posto del cervello come te la possa capire: dove hai nascosto Bang Yongguk?».
Hong aveva deglutito. Nega, nega tutto quanto, si era ordinato, e poi sfoggiando il suo migliore sguardo di sfida aveva replicato: «Non so di che parla, io non ho nascosto nessuno».
L'uomo lo aveva afferrato per i capelli. Hong aveva stretto i denti per trattenere le lacrime. 
«Questa è l'ultima volta che te lo chiedo con le buone. Dimmi dov'è».
Hong aveva serrato le labbra fino a farle diventare livide, con le lacrime agli occhi per il dolore. L'ufficiale aveva mollato la presa con uno strattone.
«Ti avevo avvertito ragazzino. Non ci andrò leggero».
Era uscito sbattendo la porta, ed era rientrato pochi minuti dopo con le maniche della divisa arrotolate fino al gomito e uno strano arnese in mano. Hong ci aveva messo un po' per capire cosa fosse. Gli ricordava una cesoia per potare, solo che non aveva due lame, bensì presentava delle estremità curve. 
Una volta realizzatane la funzione però il soldato gli aveva già tirato indietro la testa e glielo aveva cacciato in bocca.
Hong aveva spalancato gli occhi e aveva iniziato a gridare disperatamente e a tentare di divincolarsi, ma l'ufficiale gli aveva già saldamente stretto il molare nella morsa della pinza. Hong aveva iniziato a sentire il sapore ferroso del sangue in bocca.

Alla fine di quel massacro, Hong è un pezzo di carne da macello. Sente a malapena il chiavistello girare nella toppa, poi qualcuno lo afferra per i piedi e lo trascina fuori. Sbatte le palpebre cercando di mettere a fuoco qualcosa.
Il signor Kim guarda il corpo di Hong che viene trascinato fuori con le lacrime agli occhi. E' irriconoscibile, sporco di sangue com'è fino ai capelli. Si lascia trascinare per le caviglie inerme, e ha appena la forza di sbattere le palpebre e di puntare le pupille assenti negli occhi del manager. 
Il signor Kim ha come l'impressione che non lo stia davvero guardando. La signora Choi entra in caserma in quell'istante, e senza curarsi di niente e nessuno si getta urlando sul figlio. 
Il signor Kim si lascia ammanettare in silenzio, e viene accompagnato nella stanza da cui è uscito Hong. 

Hyukjae apre gli occhi. Ha il fiatone come se avesse corso, ma è disteso nel suo letto, immerso nella più totale oscurità. Si alza e non accende neanche la luce, tanto ormai sa farlo a occhi chiusi. Corre in bagno, ci si chiude dentro a chiave, china la testa reggendosi ai bordi della seggetta e vomita finchè non sente lo stomaco svuotarsi del tutto. Rimane lì immobile, con le lacrime agli occhi, a fissare la brodaglia mezza digerita che galleggia placidamente nell'acqua del gabinetto.
Giura che non ce la fa più ad andare avanti così, dormire sonni tormentati e alzarsi per vomitare ogni santa notte che Dio mette in terra. Si rannicchia sul tappetino del bagno e inizia a piangere come un bambino.
Si sente un pessimo leader.
Non si è mai sentito veramente all'altezza del posto di Leeteuk, ma i primi tempi aveva tentato di andare avanti bene o male. Ora si sente così smarrito, però. Non è di aiuto a nessuno, sconvolto com'è. Si sente stupido, ridicolo e inutile. 
Si afferra le caviglie e soffoca il pianto mordendosi le ginocchia. 
Per otto anni Leeteuk è stato il suo punto di riferimento, il suo amico e il suo fratello. Era abituato a vedere la sua faccia ogni giorno e a subire pazientemente da lui e da Heechul ogni tipo di trattamento o scherzo. Quando sono partiti è stato come se qualcuno gli avesse imposto di vivere senza un braccio o una gamba, ma ara comunque andato avanti con la convinzione che glielo avrebbero restituito. 
Ma Leeteuk è sparito e anche di Heechul non c'è traccia. Al secondo mancava così poco per tornare… aveva praticamente finito. 
Hyukjae sente lo stomaco stringersi di rimorsi. Vorrebbe tornare indietro per impedire tutto quello, ma sa bene che è un'assurdità. Che lui, così piccolo e stupido, non avrebbe potuto fare niente.
In tutta la sua vita non si è mai sentito così inadeguato come adesso. O forse sì, ma se ne era dimenticato. Stando con Yangee si era sentito una persona così importante, così indispensabile…
Si sorregge la testa con le mani e tenta di calmarsi, non vuole che qualcuno lo senta.  Si alza in piedi, si sciacqua bocca e viso, e torna a letto strisciando i piedi.
Dopo quell'incubo non riprenderà sonno, lo sa. Controlla il telefono sul comodino, e quasi senza farci caso inizia a giocarci, aprendo e scorrendo i nomi nella rubrica. Si blocca.
"Dancing Queen Hyoyeon".
Posa il telefono sul comodino con un sospiro. Per un attimo uno strano pensiero gli ha attraversato la mente. Che sciocco, pensa, in un momento così vuoi vedere Hyoyeon?
  
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