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Autore: lievebrezza    20/11/2012    34 recensioni
Blaine e un duplex. New York. E Kurt sul suo divano.
Storia di un amore impossibile.
Storia di amore finito prima di cominciare.
Ma se il destino decide di giocare brutti scherzi, a volte l'amore è più forte di ogni fatalità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ehm... buonasera a tutti. Sono Lievebrezza, aka Alice. A volte mi capita di scrivere delle storie, e questa è una di quelle.

Vi auguro una buona lettura, spero che almeno l'intro di questa nuova storia sia passabile. Vi chiedo di darle una chance, poi chissà.

 

"FROZEN"

Capitolo primo

 

A New York, l'autunno cominciava a far sentire il suo profumo di foglie umide, castagne e stecche di cannella.

A New York, gli studenti trascinavano scatoloni dentro i dormitori del campus, pregustando le prime feste e pensando con angoscia ai primi esami.

A New York, tutti guardavano con nostalgia all'estate appena conclusa, schiacciati uno contro l'altro nei vagoni della metropolitana, correndo da un lato all'altro della città.

In quella stessa città, Blaine stava dormendo profondamente, con il viso affondato nel consunto bracciolo di un divano di seconda mano. Una gamba poggiava malamente a terra e i capelli erano una matassa di riccioli dolorosamente intrecciati.

"Seriamente, Blaine... Io ti voglio bene, e tu lo sai, ma ora te ne devi andare." Il brusco tono di voce di Wes non ammetteva repliche, era evidente. Nell'udire quelle parole, pronunciate con tono tanto grave, Blaine aprì un occhio, indeciso tra l'affrontare l'amico o fingere di continuare a dormire, pur di evitare una conversazione che si prospettava spiacevole. 

Una fugace immagine di Wes con le braccia incrociate, un pigiama scozzese spiegazzato e le sopracciglia corrucciate in uno sguardo serio lo convinse che era meglio dare un taglio a quella farsa. Si alzò con un sospiro, stropicciandosi gli occhi con i palmi delle mani; fece una smorfia infastidita, scuotendo la gamba intorpidita, poi guardò Wes.

"Lo so..." biascicò, ancora mezzo addormentato. 

Anche se gli seccava ammetterlo, Wes aveva ragione. Non solo stava sfacciatamente approfittando della sua ospitalità, bivaccando abusivamente sul suo divano, ma dormire in una posizione tanto scomoda lo stava uccidendo. Ogni mattina, la sua schiena si esibiva in una preoccupante sinfonia di scricchiolii che si faceva di giorno in giorno più articolata.

"Oggi vedrai qualche altro appartamento?" domandò, con voce solo appena ansiosa, Camille, la ragazza di Wes; era in piedi, a pochi passi da entrambi, con la schiena appoggiata al piano di cottura che occupava un angolo del minuscolo salotto. La ragazza sbocconcellava nervosa una fetta di pane tostato; Blaine aveva il sonno talmente pesante da non svegliarsi nemmeno con lei che friggeva le uova a un paio di metri di distanza dal suo cuscino.

Comprensibilmente, dopo quasi tre mesi di convivenza forzata con Blaine, Camille non vedeva l'ora di sbatterlo fuori di casa, anche se non voleva darlo troppo a vedere; stretti com'erano in quel misero monolocale, era un miracolo che lei e Wes avessero resistito tanto a lungo.

Quando a inizio giugno, fresco di laurea e appena atterrato nella Grande Mela, Blaine aveva chiesto ospitalità al vecchio amico, giusto per qualche giorno, non pensava che avrebbe faticato tanto a trovare un posto dove stare.

Desiderava davvero andarsene e liberarli della sua ingombrante presenza: gli mancava la privacy della sua vecchia stanza al campus e non vedeva l'ora di recuperare i suoi strumenti dal magazzino in cui li aveva scaricati non appena giunto a New York. Insomma, non desiderava altro che trovare una stanza tranquilla dove ritirarsi, per suonare e comporre: era arrivato in città esattamente con quello scopo. 

Inoltre, i suoi risparmi non sarebbero durati all'infinito: Blaine aveva bisogno di trovare un lavoro, e al più presto. Aveva ricevuto alcune offerte, ma senza uno spazio per comporre con la dovuta concentrazione, era inutile farsi illusioni.

In verità, nessuno avrebbe potuto accusarlo di essere stato schizzinoso nella ricerca di un appartamento. Prima aveva cercato delle stanze in affitto, con l'intento di dividere il costo dell'affitto con dei coinquilini, ma nessuno sembrava voler accogliere un giovane musicista e la sua rumorosa presenza. Così aveva dirottato le sue ricerche su monolocali e piccoli appartamenti dove poter abitare da solo, ma anche rinunciando a ogni extra, gli spazi che avrebbe potuto permettersi erano comunque troppo piccoli per ospitare il suo pianoforte. E quando lo spazio era abbondante, l'affitto era proibitivo e le regole condominiali ferree. 

Un agente immobiliare dopo l'altro, un buco nell'acqua dopo l'altro, l'insofferenza di Wes e Camille era cresciuta: se all'inizio dell'estate erano stati entusiasti nell'accoglierlo, ora la loro pazienza si era esaurita.

Ma c'era anche qualcos'altro che frenava Blaine, che gli impediva di firmare un contratto d'affitto e liberare il loro divano. Qualcosa che, per l'ennesima volta, lo stava intralciando.

"Ecco, vede? È molto luminoso. Inoltre i due coinquilini sono silenziosissimi, il che non è sempre un valore aggiunto, non è vero?" cinguettò l'agente immobiliare che nelle ultime due settimane aveva fatto del caso di Blaine una sorta di crociata personale. Lui si guardò intorno, individuando immediatamente nel salotto un angolo perfetto per il pianoforte.

"Di cosa si occupano?" domandò con nonchalance, fingendo di controllare i serramenti di una delle finestre. 

"Matt è un broker, praticamente rientra solo per dormire. Alyssa e James sono studenti di medicina, quindi si dividono tra qui, le lezioni al campus e i turni in ospedale." rispose lei. Blaine si lasciò sfuggire un sospiro: anche quella casa non andava bene. Ma anche se avesse detto a Wes e Camilla che l'aveva scartata per evidente incompatibilità con i potenziali coinquilini, sapeva che il motivo era un altro.

Fin da quando era solo un bambino, Blaine non si era mai considerato una persona spirituale: in sostanza, considerava idee come aura e vibrazioni un mucchio di sciocchezze. 

Nonostante questo, appartamento dopo appartamento, Blaine continuava a cercare qualcosa che nemmeno riusciva a comprendere. Qualcosa che non riusciva a identificare e riconoscere. Era come se una parte irrazionale del suo animo sapesse che in qualche angolo di quella enorme e rumorosa città, esisteva l'appartamento perfetto per lui.

Non per l'affitto o il numero di stanze.

Non per l'abbondanza di spazio o la pazienza dei vicini.

Semplicemente, giusto per lui come non avrebbe potuto esserlo per nessun altro. In tutti gli altri, si vergognava ad ammetterlo, sarebbe stato condannato a vivere in modo incompleto. E Blaine continuava a cercare, avanzando una scusa dopo l'altra, il suo posto perfetto.

Finse di guardarsi ancora intorno, di rimuginare ancora un poco sulla decisione che aveva preso dal primo momento in cui aveva messo il piede oltre la soglia. Mentre simulava interesse per i doppi vetri del salotto, si domandò se era possibile sentire la mancanza di qualcosa che nemmeno riusciva a identificare con chiarezza. Come poteva percepire con tanta intensità l'assenza di qualcosa che ancora non conosceva?

"Mi dispiace, ma anche questo non va bene." disse all'agente immobiliare, che si strinse nelle spalle, sconsolata. 

"Vedremo qualcos'altro settimana prossima, suppongo" gli rispose quindi, ormai abituata a Blaine e alle sue continue peregrinazioni. Lui le rivolse solo un sorriso silenzioso, prima di andarsene.

Giunto al marciapiede, scalciò un sasso. Non aveva il coraggio di tornare a casa da Wes e raccontargli dell'ennesimo buco dell'acqua.

S'infilò nel primo vagone della metropolitana che gli capitò davanti senza nemmeno controllare quale fosse la destinazione. In piedi, incastrato tra una coppietta che amoreggiava rumorosamente e un anziano signore che odorava di naftalina e succo di limone, rimase a lungo perso nei suoi pensieri; almeno finché sui muri di una delle stazioni una locandina pubblicitaria attirò tutta la sua attenzione. 

Era un negozio di dischi usati e strumenti musicali. Del tutto ignaro del quartiere dove si trovava, Blaine si lanciò attraverso la porta, del tutto intenzionato a rimediare qualche nuovo disco per la sua collezione; se c'era qualcosa che poteva distrarlo, quella era la musica.

Il posto era poco distante dall'uscita della metropolitana e sembrava il rifugio perfetto in cui rintanarsi: poco luminoso, poco frequentato, a modo suo affascinante. Passò l'intera mattinata sfogliando spartiti e ammucchiando alla cassa dischi in vinile che per nessuna ragione al mondo poteva rinunciare ad acquistare: carico di sacchetti e affamato, lasciò il negozio ben oltre l'ora di pranzo.

Si ritrovò sul marciapiede, senza avere ben in mente dove andare; si guardò intorno, indeciso. Ancora non se la sentiva, di tornare al suo divano.

La sua salvezza fu una caffetteria, che raggiunse attraversando semplicemente la strada: gli interni gli ricordarono talmente tanto il Lima Bean che per qualche istante tornò quel giovane e inesperto barista di tanti anni prima.

Affondati i denti in una focaccina ancora tiepida e bevuto un sorso di cappuccino, si riservò qualche minuto per osservare con attenzione i dettagli del locale; le finestre, i tessuti, perfino il menù, gli sembrarono familiari. 

Per la prima volta dopo settimane, si sentì a casa. Una sensazione di dolce calore liquido gli si acciambellò sul petto, e lui ne godette senza esitazioni. Non era casa, ma ci arrivava vicino. Blaine si sentiva parte integrante di quel luogo.

Fu quando notò la bacheca degli annunci che comprese di essere capitato in quel luogo per una ragione. In quel caotico azzuffarsi di post it, fogli di block notes e fotografie di cuccioli in cerca di casa, su tutti ne spiccava uno.

"Affittasi parte di duplex. Prezzo ragionevole, locali spaziosi."

Seguiva un numero di cellulare, stampato su tante linguette. Quando si piazzò davanti alla bacheca, con la tazza di cappuccino ancora stretta tra le mani, vide che nessuno ne aveva ancora strappata una.

Chiamò quel numero senza pensarci due volte, senza chiedersi in che quartiere si trovasse o se fosse il caso di rifletterci. Agì spontaneamente, mosso solo dall'istinto.

Trenta minuti più tardi, Jane, la più seriosa agente immobiliare di sempre lo raggiunse nella caffetteria; indossava uno spolverino color crema e berretto nero, decorato con piccolo fiocco. Gli strinse la mano e descrisse brevemente l'immobile per cui Blaine l'aveva chiamata: perfino a parole, sembrava assolutamente perfetto.

"Dunque lei è un musicista?" commentò prendendo appunti su un'agenda dall'aspetto costoso. Le labbra sottili non mutarono espressione, nel pronunciare quella domanda.

"Sì. Ho bisogno di uno spazio in cui poter comporre e studiare senza disturbare nessuno, né essere disturbato." Inutile mentire, pensò.

Lei appoggiò la penna e si raddrizzò gli occhiali, prima di dire: "Il proprietario è molto scrupoloso nella scelta degli inquilini. Mi ha chiesto espressamente di dare una corsia preferenziale agli studenti e agli artisti. Non affitta questa casa per motivi economici, ma solo perché rimanga viva e in buone condizioni. Il canone d'affitto è questo."

Sfilò un foglietto dall'agenda e vi poggiò sopra due dita, poi lo spinse attraverso il tavolo, verso Blaine. Prima che lui potesse leggerlo, aggiunse: "Nell'eventualità che si tratti di una cifra troppo onerosa, il proprietario è sempre disponibile a rivedere la propria richiesta. Nel suo caso, essere un musicista originario dell'Ohio è un ottimo biglietto da visita per chiedere uno sconto."

Blaine alzò gli occhi verso di lei, sorpreso.

"Il compito di un agente immobiliare non dovrebbe essere quello di concludere un contratto vantaggioso? Se io ottengo uno sconto, la sua percentuale di guadagno diminuisce."

"Io non ho mai detto di essere un'agente immobiliare, signor Anderson. Il mio lavoro è aiutare il proprietario a trovare le persone giuste, nient'altro. Ora, se per lei la proposta è interessante, la inviterei a visitare la casa. È poco distante."

Lui smise di farsi domande e passò quindi al dunque. Deglutì vistosamente, quando lesse che la cifra richiesta era meno della metà di quanto avesse intenzione di spendere. Ed era perfino negoziabile.

"Per me va bene." disse con voce strozzata.

"Bene. Come le dicevo, l'appartamento è poco distante da qui. Ha tempo e desiderio di vederlo ora? Ho già le chiavi con me e al momento, come avrà intuito, non ci sono inquilini."

Con un movimento fluido, si alzò e si infilò la giacca. Blaine si scagliò giù dalla poltroncina e fece lo stesso, chinandosi poi per raccattare tutti i suoi sacchetti; quando fu certo di non avere dimenticato nulla, la donna era già fuori dal locale.

La seguì lungo il marciapiede, passando accanto al negozio di musica, finché non raggiunsero una piccola via laterale. Blaine riconobbe immediatamente l'edificio, e lo amò fin dal primo sguardo.

Era come incontrare una vecchia amica, le cui fattezze negli anni non fossero cambiate, rimanendo sempre le stesse.

Il vialetto in porfido e l'edera che si arrampicava tra i mattoni rossi del portico. Le finestre ampie e i muri spessi. La cassetta delle lettere color caffè e la campanella di ottone, appesa vicino al portone, che dondolava pigra.

Non sembrava nemmeno di essere a New York.

Trattenne il fiato, bevendo ogni singolo dettaglio con occhi avidi. 

Nel vederlo tanto stupito e ammirato, lei accennò un sorriso.

"Prego, mi segua all'interno." disse aprendo il piccolo cancello d'ingresso e avviandosi verso la casa. Senza parole, fece quello che lei aveva chiesto. Girò su se stesso, inciampando quasi nei suoi stessi piedi mentre ammirava il piccolo giardino. Le foglie giallastre cadute dagli alberi del giardino gli scricchiolarono sotto la suola delle scarpe, accompagnando i suoi passi trasognati; riusciva già a immaginarsi seduto vicino a una delle finestre, con la chitarra tra le mani e una matita incastrata tra i denti. Riusciva già a sentire la musica corrergli tra le dita.

Il portone si aprì con un cigolio appena sinistro, in un affettuoso gemito di benvenuto. Il primo locale non permetteva di accedere direttamente all'appartamento, ma era un disimpegno occupato da una lunga cassapanca, uno specchio e una grande scala che portava al piano superiore.

Di fronte a loro, una porta blindata.

"Come le ho detto, l'edificio è un duplex. Gli spazi al piano superiore sono più piccoli e se dovesse stipulare il contratto non le sarà comunque permesso accedervi. Allo stesso modo, non potrà accedere alla soffitta. Potrà usufruire del locale attiguo al garage, se avesse necessità di riporre scatoloni od oggetti ingombranti. Il proprietario è stato molto chiaro, su questo punto."

Con due ampie falcate, Jane raggiunse la porta e l'aprì senza esitazione, pescando al primo tentativo la chiave giusta dal mazzo voluminoso che aveva stretto tra le mani. Si diresse subito alle persiane, spalancandole così che la polverosa luce autunnale potesse penetrare all'interno.

Blaine rimase impalato sulla soglia, osservando come, una finestra dopo l'altra, gli interni prendessero vita. Dal lato opposto della stanza si trovavano un divano e un mobile adatto a ospitare una televisione; in un angolo, poco distante, riconobbe una macchina da cucire.

Alla sua destra si affacciava una graziosa cucina, in cui troneggiava un'enorme macchina per caffè; il tavolo era piccolo, sufficiente appena per ospitare due persone. Ne sfiorò la superficie, mentre Jane finiva il suo giro.

"Tutti i mobili che vede sono compresi nell'affitto."

Disse tornando nel salotto.

"Questa alle mie spalle è la camera da letto. Dato che il primo proprietario occupava entrambi i piani e dormiva al piano di sopra, qui manca il letto. Gli inquilini in passato hanno usato gli armadi e acquistato da sé i mobili mancanti, portandoli via quando lasciavano la casa."

La stanza era grande, occupata su due lati da un grande armadio bianco. Blaine non ebbe il tempo di pensare a quale cassetto fosse l'ideale per i suoi papillon, perché Jane lo stava già accompagnando a vedere il bagno.

La vasca a bagno fu il colpo di grazia per il fragile animo di Blaine.

La voleva.

Voleva quella casa.

"Va bene. Per me... È ok. Quando possiamo firmare il contratto d'affitto?" Domandò ansioso. Una casa tanto particolare, e a quel prezzo, non sarebbe rimasta tanto a lungo sul mercato, nonostante l'inconsueto metodo nel ricercare inquilini e i criteri con cui sceglierli. 

Sicuramente non a New York, che pullulava di artisti e studenti.

"Per onestà e completezza, devo dirle un paio di cose, prima che prenda la sua decisione definitiva. La casa ha già qualche anno, quindi di tanto in tanto saranno necessario degli interventi di manutenzione; nulla di grave, giusto qualche fastidio di poco conto. Inoltre la casa è piuttosto fredda e il proprietario non vuole che si intervenga eccessivamente sul l'aspetto degli ambienti interni."

Ma Blaine la voleva lo stesso.

La voleva disperatamente, con un'intensità quasi innaturale.

"Non importa." sussurrò. Con la mente, stava già impilando i suoi dischi su una delle mensole del corridoio, stendendo il sua adorato plaid patchwork sul divano e macinando il caffè della sua miscela preferita.

"Non importa." ripeté.

 

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Quando Blaine annunciò trionfante che sarebbe andato da IKEA, quel weekend, Wes pensò che fosse per acquistare l'ennesimo sacchetto di candele. O di biscotti alle spezie.

"Blaine, non abbiamo ancora finito quelle dell'ultima volta. E poi sinceramente non muoio dalla voglia di creare un'atmosfera romantica, con te che bivacchi sul nostro divano. Che diavolo te ne fai di tutte quelle candele?" disse spalancando le braccia.

"Devo comprare un letto. E un comodino. E un televisore. Lunedì mi trasferisco." Rispose lui, fingendo nonchalance.

Se Wes non comprese da subito il significato di quel l'affermazione, a Camille furono sufficienti pochi secondi per squarciare il silenzio con un grido di felicità. Quella sera ordinarono una pizza e la mangiarono seduti a terra davanti alla televisione, godendosi le repliche di Friends; per la prima dopo parecchio, Wes e Camille furono genuinamente felici della presenza di Blaine.

Poche settimane dopo, incontrò di nuovo Jane: si era trasferito ormai da un paio di giorni, ma doveva ancora firmare le ultime carte; Blaine stava rientrando dopo alcune commissioni quando lei si palesò severa davanti alla casa. Entrarono insieme dal portone principale e lei lo lasciò pazientemente pasticciare con le chiavi, con i documenti stretti tra le braccia.

"Mi scusi, ma ancora non ci ho preso la mano." disse quando finalmente aprì e si scansò per farla entrare per prima. Furono accolti dalla musichetta allegra di una pubblicità.

La televisione era accesa. Blaine si sfregò le mani intirizzite una sull'altra, poi afferrò il telecomando, soffocando una risatina complice: "È talmente tanto che non ho una televisione tutta mia, da non ricordarmi nemmeno di spegnerla."

Non era la prima volta che gli succedeva, da quando aveva traslocato. Avere tante cose per la testa lo rendeva distratto, evidentemente. Lei non commentò, ma non si tolse la giacca nemmeno mentre spiegava a Blaine in cosa consistessero i documenti che gli aveva portato.

"Ci rivedremo il prossimo mese, per l'affitto. Le auguro una buona permanenza." Si congedò, lanciando un'ultima occhiata alla casa. Blaine la salutò con riconoscenza, poi si accoccolò con un libro sul divano, buttò i piedi sul bracciolo e si coprì con una trapunta. 

In effetti, Jane gli aveva detto la verità, c'erano momenti in cui la casa era ghiacciata; sfregò le mani una contro l'altra e tirò il plaid fin sotto il mento.

Poco gli importava. Non desiderava stare in nessun altro posto al mondo.

Inforcò un paio di occhiali e, con la lingua stretta tra i denti, s'immerse nella lettura.

 

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Era pieno inverno, quando accadde.

 

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Comporre, in quel clima tranquillo, familiare e confortevole, fu semplice. Blaine non era di certo famoso, ma riuscì ad accaparrarsi alcuni incarichi piuttosto interessanti; lavorò incessantemente, con solerzia e soddisfazione, lanciando solo di tanto in tanto uno sguardo alla neve che s'accumulava sulle foglie ormai appassite, sui rami ormai scheletrici.

Una mattina qualunque di dicembre, Blaine stava ancora armeggiando con le chiavi, sforzandosi di ricordare quale tra tutte fosse quella della porta principale, quando udì distintamente un suono provenire dall'interno dell'appartamento: riconobbe immediatamente la familiare sigla di Project Runaway. Imprecò tra sé e sé maledicendo la sua sbadataggine, domandosi come fosse possibile che avesse dimenticato per l'ennesima volta il televisore acceso; con quel pensiero in mente, spalancò la porta, rimuginando.

 

Fu solo quando stava per rinchiuderla alle sue spalle che si accorse di lui.

Fu solo a quel punto che lo vide.

 

Accoccolato sul suo scalcinato divano, con le ginocchia raccolte al petto e gli occhi fissi sul televisore, c'era un ragazzo. Un ragazzo che non solo sembrava non badare affatto alla sua presenza, ma che all'apparire di Blaine non aveva nemmeno distolto lo sguardo dallo schermo e dalle modelle intente a sfilare. A pochi metri di distanza, Blaine lasciò cadere le chiavi in una piccola ciotola che teneva vicina all'ingresso, nel tentativo di attirare l'attenzione di quello sconosciuto. Quando anche quel gesto non sembrò sortire alcun effetto, decise di simulare un colpetto di tosse, giusto per schiarirsi la voce.

 "Ehilà?" disse incerto. Blaine se ne rendeva perfettamente conto: la situazione era quasi surreale, e lui si sentiva più perplesso che infuriato per quella inaspettata irruzione; grazie all'aria trasognata con cui fissava lo schermo, il ragazzo sembrava del tutto innocuo. Era talmente immerso nella visione da non badare minimamente al suo timoroso approccio.

A Blaine non era mai capitato di dover affrontare un ladro, se quello era il termine giusto per definire la strana vicenda che stava vivendo: aveva sempre pensato che i malviventi si introducessero in casa furtivamente, con addosso una calzamaglia nera, e che lui dovesse al più rincorrerli nell'oscurità brandendo una mazza da baseball. 

Di certo, non immaginava che si piazzassero sul suo divano per scroccargli la pay-tv. Nè potessero avere l'aspetto di uno splendido uomo di poco più di vent'anni, dalla pelle candida e gli occhi innocenti.

Avvicinandosi con cautela, Blaine notò che non indossava scarpe, ma solo dei calzini a righe colorate. Sul momento, ancora preso dalla confusione, non si chiese come accidenti fosse arrivato completamente scalzo nel suo appartamento.

 "Scusami... Chi sei?" Domandò, ormai a pochi passi dall'estraneo, che solo a quel punto reagì, voltandosi lentamente. Guardò Blaine con espressione quasi annoiata, come se leggermente disturbato dalla sua interruzione; stava per rivolgere nuovamente la propria attenzione al televisore, quando qualcosa stravolse completamente la sua reazione. 

Agghiacciato, tornò a incrociarne lo sguardo, quasi a cercare la conferma a un dubbio; a quel punto, Blaine appoggiò le mani sul bracciolo del divano, si chinò appena verso di lui e ripeté la domanda.

"Scusami... Chi sei? E cosa stai facendo in casa mia? Riesci a capire le mie parole?" Era certo di aver pronunciato quelle parole in tono gentile, ma la situazione gli sfuggì comunque di mano. 

Se possibile, tra i due fu proprio l'intruso ad avere la reazione più sorprendente alla cauta domanda di Blaine; aprì un paio di volte le labbra, boccheggiando per la sorpresa, poi ruzzolò giù dal divano, inciampando nelle sue stesse gambe mentre si metteva frettolosamente in piedi. Non disse nulla, rimase solo lì qualche istante, fissando Blaine con occhi stupefatti; a dividerli, solo il divano su cui era seduto fino a pochi secondi prima. Sullo schienale era drappeggiata una lunga sciarpa grigia.

Il ragazzo rivolse a Blaine una lunga occhiata, poi si voltò e corse via, senza fare il minimo rumore; quando attraversò la soglia, lasciata spalancata da Blaine, quest'ultimo si decise a seguirlo, afferrando l'indumento dimenticato sul divano.

Quando arrivò all'ingresso principale della casa, il portone era già chiuso.

Evidentemente, si disse mentre perlustrava il vialetto, era stato troppo lento nel rincorrerlo; quando rientrò in casa e si premurò di chiudere la porta a chiave, Blaine si accorse che qualcosa, in quella vicenda, non aveva senso.

Rimuginò ancora qualche istante sull'accaduto, poi scrollò le spalle: cambiare le serrature sarebbe stato sufficiente perché episodi come questo non si ripetessero. Magari avrebbe anche aggiunto un catenaccio, o qualcosa del genere.

Per qualche istante, prese addirittura in considerazione l'idea di chiamare la polizia. Tuttavia, anche se stava pensando a quali provvedimenti prendere per rendere la sua casa più sicura, inspiegabilmente, Blaine non aveva paura. Si trovò invece a cercare la sciarpa, con il desiderio di piegarla e conservarla, nell'eventualità che il ragazzo tornasse, magari per scusarsi e spiegarsi.

Nonostante i suoi sforzi, non riuscì a trovarla: tornò inutilmente nel giardino anteriore e nell'ingresso, concludendo le sue ricerche senza successo. Non ricordava di averla appoggiata in nessun posto particolare, eppure sembrava essersi dileguata, esattamente come il suo proprietario.

Sconfortato e intirizzito, con le scarpe zuppe di neve ghiacciata, Blaine rinunciò al suo intento: contemplò l'intrico di impronte che i suoi scarponcini aveva impresso sulla neve del prato e rabbrividì appena ripensando ai piedi scalzi di quel ragazzo. Non fece troppo caso al marciapiede perfettamente intonso, dove la neve aveva già cancellato i segni del suo passaggio; probabilmente lo sconosciuto aveva scavalcato la staccionata ed era fuggito attraverso il giardino dei vicini.

Probabilmente.

Quando rientrò, si preparò un sacchetto di pop corn nel microonde e li versò ancora scoppiettanti in una scodella, poi con quella stretta tra le braccia si lasciò cadere esattamente accanto a dove quel ragazzo si era accomodato per godersi l'ennesima replica di Project Runaway. Blaine non era mai riuscito a sedersi da quel lato, e se ne rese conto solo in quel momento; preferiva avere vicino il pouf, per allungarci sopra le gambe.

A quel punto, mentre cercava il telecomando con la ciotola in bilico sulle ginocchia, si accorse che la televisione era spenta: non si ricordava di averla spenta, né prima, né dopo aver rincorso l'intruso fuori casa. 

Fissò lo schermo e per l'ennesima volta per quella giornata, si trovò ad affrontare delle domande cui non sapeva dare risposta. Scosse la testa, si ficcò in bocca una manciata di fragranti pop corn e si strinse nelle spalle, troppo esausto per dare davvero forma a quelle perplessità.

Stava per cominciare TopGear,ma la sua mente lo martellava di domande.

Chi era quel ragazzo?

Come era entrato nel suo appartamento?

Se aveva qualcosa da nascondere, perchè lo aveva ignorato, per poi fuggire via all'improvviso?

E soprattutto... sarebbe mai riapparso sulla sua soglia?

 

 

nda

Potete trovarmi qui su efp, su twitter (@Lievebrezza) e su facebook (qui).

Dato che mi fa piacere tenermi in contatto con tutti e sapere cosa pensate, ma sono quasi sempre offline, vi chiedo di taggarmi o di scrivere direttamente sulla mia pagina. ^_^

Sono una piotta, lo so.

#Frozen

Smuack.

A settimana prossima.

   
 
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