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Autore: AAVV    21/11/2012    5 recensioni
Seconda parte dei ''punti di vista di David'', il personaggio della serie Non Lasciarmi/ Stringimi. In questa fase leggerete i suoi pensieri durante il fatidico evento che ha dato la svolta alla sua vita...
Per chi ha letto Non lasciarmi/Stringimi.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Serie: Non lasciarmi/ Stringimi'
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Il punto di vista di David. Parte 2.

Apro la porta di casa con la mia sacca sulla spalla. Stranamente non sento alcun rumore, nessuna grida all'interno, e questo mi stupisce molto.
Quando torno a casa da scuola è sempre la stessa storia. Trovo la mamma che piange a terra e, nella maggior parte dei casi, Johan è in camera sua, sbraita, si arrabbia e non si cura delle sue condizioni. Io stringo i pugni tutte le volte, ma prima o poi credo che la mia rabbia trattenuta scoppierà tutta insieme.
Un forte odore di rum mi pervade le narici immediatamente, appena metto piedi in casa. Lui non c'è, proprio come avevo previsto. Ma non sento la mamma piangere.
Entro in cucina, deve essere lì per forza. E, difatti, la vedo seduta a tavola, la testa china coperta dai lunghi capelli castani, in mano stringe una bottiglia di non so quale alcolico.
''Mamma'' mormorò avvicinandomi. Lui è in casa, e arriverà in cucina tra non molto, penso.
La donna che mi ha concepito alza appena lo sguardo, è sbronza fino alla punta dei capelli, lo vedo dai suoi occhi. Mi guarda con espressione impassibile.
'' Stai bene?'' E' una domanda stupida, ma in questo momento non so cos'altro chiederle. Faccio cadere a terra la sacca con un tonfo secco. Lei stringe ancora di più la bottiglia di vetro e mi guarda impassibile. Poi abbassa il viso, e in quel momento capisco che ormai non c'è più nulla da fare. Il mio primo pensiero va a Susan.
Lascio quella che un tempo chiamavo madre da sola con la sua coscienza- se mai ne avesse una- e cerco la mia sorellina di otto anni tra le stanze della casa. Oltrepasso il corridoio e avverto degli strani rumori provenire dalla camera matrimoniale. Singhiozzi. Quel tragitto fino alla camera sembra non finire mai.
Un'eternità. Un'eternità sono i secondi che impiego ad aprire la porta socchiusa.
Un'eternità è la durata della scena che mi si presenta di fronte.
Susan è rannicchiata su se stessa sul letto sfatto, le lenzuola raggrinzite e piange. Quei singhiozzi erano i suoi. Sul bianco lenzuolo vedo una macchia di sangue, proprio sotto di lei.
Johan è in piedi- non si è accorto della mia presenza- indossa una canottiera sgualcita e sta armeggiando con la cintura dei jeans. Quando mi vide biascica queste parole: '' Ah, sei già qui?''
Capisco cos'è successo e il resto si svolge in frazioni di secondo. Mi avvicino a quell'uomo e afferro l'attrezzo che lui usa per il lavoro- e che ho visto molte volte tra le sue mani, in procinto di colpire mia madre- e lo stringo. Non riesco a vedere cosa succede in seguito, ma solo tante sfumature di rosso. Rosso come il sangue che gli scorre dalla testa dopo che l'ho colpito. Cade a terra con un tonfo secco.
Susan ha aperto gli occhi e mi sta fissando impaurita. Trema. Vorrei che non mi avesse visto in questa situazione. Vorrei che non le fosse successo niente di grave. Vorrei aver frainteso tutto, che le cose non fossero andate come ho pensato. Ma le prove sono evidenti, non ho frainteso un bel niente, me ne accorgo quando le vado incontro e la stringo a me, poi la porto in cucina quasi correndo.
Annette è come l'ho lasciata un minuto prima. '' Perché non l'hai fermato?'' le urlo addosso, ma lei non sente. Le scuoto le spalle con le lacrime che spingono per uscire, una mano che stringe forte quella di Susan, ma nulla. Non vede e non sente. Sembra un cadavere ambulante.
Corro alla mia camera, trascinandomi dietro Susan, che non smette di piangere. Ryan arriverà tra poco.
Apro l'armadio e riempio una valigia con l'occorrente indispensabile.
Voglio andarmene da tutta questa merda.

Cerco le chiavi dell'auto e quando sono lì davanti mi appoggio contro il cofano. Non so come farò a tirare avanti di questo passo. Ho lasciato l'Islanda per fuggire dal male, e adesso mi sembra di essere tornato con lo stesso amaro in bocca, nonostante siano passati anni.
Ricordo ancora l'espressione di mia madre quando me ne sono andato- l'unica viva nella mia mente- e ci ripenso mentre guido per arrivare alla mia meta. Accosto l'auto sotto un albero e scendo, lasciandomi alle spalle tutto lo schifo di quel periodo. Sono cambiate molte cose da allora, e inconsciamente la mia mente va ad Azzurra.
Socchiudo gli occhi, evito l'immagine del suo viso e quando questa se ne va mi sento vuoto. Cammino e mi fermo improvvisamente. Eccola qui.
Annette Lesbury.
1962-2005

Non c'è nemmeno una sua foto.
Sono solo con il fantasma di mia madre e mi sorprendo a piangere di fronte la sua lapide. Mi chiedo se mai riuscirò a dirle addio.
   
 
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