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Autore: HappyCloud    21/11/2012    8 recensioni
Cecilia Molinari ha ventun anni, frequenta l'università a Verona e vive in simbiosi con un pesce rosso, l'unico componente della sua famiglia che la comprenda.
Matteo Maestri ha ventidue anni, frequenta l'università a Verona tra una partitella a calcio e un'altra e trascorre la propria esistenza cercando di sfuggire dalle grinfie di Gisella e Melissa.
Non si conoscono, nonostante s'incrocino quasi ogni giorno nei corridoi della Facoltà di Lettere. Ma se ci si mettono una festa in maschera, la strana proprietaria di un ancor più strano negozio e un orribile paio di scarpe, nessuno è al sicuro.
Una rivisitazione in chiave moderna e stravagante della fiaba di Cenerentola.
(Storia che avrebbe voluto partecipare al contest "Un mondo di fiabe" indetto da IoNarrante, ma che, come al solito, è arrivata in ritardo).
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VI
 
Lisa era l’essere più strano con cui Matteo avesse mai avuto a che fare.
Non stava ferma un secondo; ora fumava una sigaretta, ora si perdeva tra le bancarelle etniche della piazza, trascinandolo con sé in quel labirinto di passanti, ambulanti e cani al guinzaglio dei padroni per il loro giro serale. Era un vulcano d’idee e di parole, tante parole, sembrava non prendere nemmeno fiato per continuare a chiacchierare, tanto che Maestri era riuscito a dire solo poche frasi nella mezzora trascorsa da soli, dopo il Firefly. Lisa era travolgente, ma nel modo più divertente possibile: lo faceva ridere, avvolta in quel vestito verde, così lontano dal suo stile da renderla ancora più buffa. E quegli stivaletti da biker poi! Cecilia non era riuscita nell’intento di farle indossare un normalissimo paio di ballerine nere, la Zanin riteneva che già l’abito fosse un’ampia concessione per l’appuntamento e non voleva rischiare di modificare troppo il proprio look.
Matteo non credeva fosse tanto spigliata, pensava di dover trascorrere l’intera serata a cercare di toglierle il broncio che aveva avuto sin dal loro primo incontro-scontro con gli appunti volati per aria, ma, al contrario, lei si era rivelata parecchio rilassata e decisamente propensa al dialogo. Aspetto molto positivo, visto che erano rari i momenti in cui lui riusciva ad abbattere timidezza e goffaggine e ad affrontare una normale conversazione senza diventare ancora più impacciato di prima.
- Ti va un gelato? – propose infine lui, bloccando per qualche istante l’imperitura danza di Lisa tra la folla.
- Perché no? – rispose lei – Lo sai che il gelato ha origini antichissime? Già l’uomo di Neanderthal ne faceva una sua personale versione, nascondendo tra la neve bacche selvatiche, frutta secca e carne di cervide…
Tutto ad un tratto la magia di morbide onde di crema e cioccolato svanì, lasciando spazio a deliziosa carne di cervide con granella di bacche e nocciole.
 - Interessante…? – si sforzò di constatare Maestri, nonostante il tono vagamente interrogativo.
Si fermarono ad una piccola gelateria in via Mazzini, accanto ad un gruppetto di turisti dall’aria smarrita. Presero entrambi un cono, che Matteo pagò prontamente tra le lamentele di Lisa sulla parità dei sessi e l’arcaicità della galanteria, mista alla crisi economica. La rassicurò che non sarebbe finito sul lastrico per tre euro, ma lei tentò invano per svariati minuti di infilargli nelle tasche almeno la sua quota.
S’incamminarono verso la Casa di Giulietta, in direzione opposta rispetto a Piazza delle Erbe, sperando di trovare meno marasma di quello che riempiva la zona di giorno, tra stranieri curiosi e residenti occupati a sovrintendere i lavori pubblici.
Lisa si soffermò qualche istante su Vicolo San Sebastiano, ricordando per un attimo il vicino Sale in zucca, il polveroso negozio di Fatima Turchetta, ma quando una goccia di gelato cominciò a colarle sulla mano, si dimenticò di abiti e merletti e tornò a torturare le orecchie di Matteo. Lui, nel frattempo, si era goduto la breve quiete e le luci della città di notte, sgranocchiando la parte superiore del cono.
- Mi pare che abbiamo fatto le cose al contrario… – irruppe Lisa, proseguendo con un discorso mentale chiaro solo a lei.
Matteo, infatti, si voltò verso di lei, in viso un’espressione confusa.
- In che senso?
- Sai, – spiegò lei con una verve da maestra navigata, – prima è successo ciò che è successo, poi lo scontro in università e ora a passeggiare sul Lungadige. Insomma, abbiamo bruciato un po’ le tappe, o quantomeno ne abbiamo confuso l’ordine.
Maestri continuò a camminarle al fianco, ruotando la testa verso di lei per tentare di comprendere se lei lo stesse prendendo in giro con uno strano scherzo.
- Continuo a non capire… – ammise.
- Parlo di quello che è accaduto alla festa di Franzoni.
Lisa gli restituì un’occhiata eloquente. Sapeva che era un argomento un po’ imbarazzante per i ragazzi, ma non c’era proprio nulla di cui vergognarsi, dal momento che entrambi erano a conoscenza dell’accaduto.
- Oh. – Lui realizzò finalmente ciò a cui lei alludeva. – Te ne ricordi? Perché eri parecchio sbronza, io ti ho solo aiutato…
- Beh, – lo interruppe lei, – diciamo che ci siamo aiutati a vicenda… è stata una collaborazione. È stato divertente, no?
Divertente non era proprio la prima parola che gli veniva in mente per descrivere la situazione, ma in fin dei conti poteva concederle che il lancio dell’orribile stivaletto avesse avuto un certo risvolto umoristico.
- Sì. Di certo non ti sarai sentita molto bene dopo.
- Non è una cosa abituale, se è quello che intendi. È capitato. Certo, sarebbe stato meglio se non ci fossero stati gli altri due in mezzo alle scatole. Saremmo potuti uscire insieme subito ed indisturbati.
- Già. – Cecilia e Niccolò gli stavano facendo venire ulcera, gastrite, bruciore di stomaco, reflusso esofageo, colon irritabile. Il documentario che aveva visto in tv nel pomeriggio era stato illuminante, in tal senso. – Quella festa mi ha provocato non pochi problemi, ma d’ora in poi spero che si risolvano, a partire dal fatto che non parlerò mai più con Franzoni.
- Addirittura? – La Zanin alzò un sopracciglio, sorpresa. D’accordo, non era stato il massimo trovarsi a tu per tu in bagno con Melissa e il padrone di casa, soprattutto per le circostanze e le condizioni in cui il tutto era avvenuto, ma troncare ogni rapporto con Filippo a causa di quello le sembrava un’esagerazione.
- Avrebbe potuto dirmi di loro due, prima che la situazione mi sfuggisse di mano.
Lisa, di nuovo, si trovò a discordare con lui: forse non era premeditata la liaison tra quei due, era probabile fosse frutto di una momentanea euforia alcolica, ma decise di lasciar perdere. Dopotutto, non le importava un accidente di quella papera col cervello pieno d’aria, figuriamoci se si doveva preoccupare di difenderla con Maestri. Che annegasse nel suo profumo costoso e marcisse nella sua antipatia.
- Inutile piangere sul latte versato. Piuttosto dobbiamo affrontare le conseguenze: hai qualche malattia venerea? – A Matteo andò di traverso il gelato. Divenne paonazzo e prese a tossire furiosamente. Si autodiagnosticò un attacco di tubercolosi, ma Lisa non era tipo da farsi intimidire nemmeno da quella. – Hai dolori, pruriti, ingrossamenti? Sii sincero, niente battutine sulle dimensioni del tuo armamentario.
Maestri cercava di riprendersi, ma i discorsi imbarazzanti della Zanin non lo stavano aiutando per niente. Ora il suo viso era di un rosso tisico e di disagio, combinazione potenzialmente mortale, secondo le sue nozioni mediche.
- Quindi, è un sì o un no? – lo incalzò lei, impassibile anche di fronte alla tua precarissima condizione psicofisica. – Perché dal giorno della festa accuso qualche problemino e volevo capire se tu fossi la fonte di tutto.
Matteo si voltò verso l’Adige e cominciò a fare dei profondi respiri, tentando di non far cadere ciò che era rimasto del cono.
- Io? – riuscì a pronunciare, tra un colpo di tosse e l’altro.
Lisa non si fece impietosire e continuò come un treno.
- Sì, siamo nel 2011, possiamo parlare liberamente di queste cose. Ogni anno ci sono 340 milioni di nuovi casi registrati nel mondo per malattie sessualmente trasmissibili, AIDS escluso.
Pensava forse di tranquillizzarlo e di metterlo a proprio agio con quelle premesse?
- Ammettendo che avessi qualcosa,– cercò di ragionare, – come te l’avrei trasmesso?
La ragazza strabuzzò gli occhi, avvicinandosi a lui e spingendo gli occhiali sul naso.
- Non sai come si trasmettono le malattie sessualmente trasmissibili? Matteo, sicuro di avere la quinta elementare?
Lui arrossì per l’ennesima volta e appoggiò entrambi i gomiti sul Ponte delle navi, dando le spalle all’Adige.
- Certo che lo so! – controbatté.
- Quindi, me l’hai trasmesso quando abbiamo fatto sesso.
Il pollice della mano di Matteo per la sorpresa si conficcò nel cono del gelato, aprendo un varco che fece implodere l’intera struttura su se stessa, prima di riversarsi con un rumore secco sul marciapiede.
- Lisa, non è mai successo! – si difese.
- Maestri, ne abbiamo parlato finora! Hai l’Alzheimer forse? Io, te, Franzoni e la Cedreo in bagno. – lo fissò con insistenza negli occhi. – No, non fare quella faccia, non tutti insieme, idiota.
Matteo lasciò che due ragazzine sghignazzanti li sorpassassero, prima di cambiare posizione e voltarsi verso di lei.
- Ma io credevo stessimo discutendo del fatto che ho aiutato Cecilia e Lamberti a trascinarti in macchina!
Per la prima volta nella serata, Lisa si prese qualche secondo per pensare.
- Dopo essere stato in bagno con me? – tentò.
- Non sono mai stato in bagno con te. – le rispose lentamente, come per farle digerire pian piano tutte le parole.
- E allora perché cavolo mi hai invitato ad uscire?
Perché voglio fare ingelosire la tua migliore amica, lo pretendo, perché non mi posso essere immaginato tutto quello che è successo a casa di Franzoni.
Questa sarebbe stata la risposta sincera, quella che avrebbe voluto darle, ma non poteva permettersi di esporsi, di ammettere pubblicamente di essere stato fregato e di essere rimasto incastrato in quella intricata situazione da allora.  
- Perché… mi andava! – mentì.
- Dunque non perché pensavi di avermi trasmesso una malattia…
Matteo le sorrise bonario, rassegnato alla caparbietà con cui la ragazza sembrava rimanere ancorata all’assurda convinzione di essere stata con lui.
- No.
- Tutto ciò è molto confuso. – continuò Lisa, che ancora non era persuasa del tutto. – Ma ora non pensare che io sia una poco di buono, che va a letto col primo che capita e poi neanche si ricorda chi è lui. Perché io lo sapevo, che eri tu… anche se poi, in effetti, non eri tu.
Matteo si lasciò sfuggire un sospiro, esausto: Lisa gli faceva girare la testa, ma non nel modo in lui avrebbe voluto.
 
Fuori dal Firefly, in una Classe A vecchia di qualche anno, Cecilia osservò i movimenti di Niccolò con una certa circospezione. Seduta quasi a ridosso della portiera del lato passeggero, con le mani in grembo, cominciò a chiedersi se davvero fosse valsa la pena di ritrovarsi nell’auto del suo ex, da soli, soltanto per fare un dispetto a Matteo… Che era ad un appuntamento con la sua migliore amica, magari sbaciucchiandola con trasporto in uno dei luoghi spudoratamente romantici di Verona. Ah, la sua città non le era mai piaciuta. 
La mano di Mannino si posò sul poggiatesta del sedile del passeggero e il suo viso si sporse esageratamente verso quello di Cecilia; quella non sembrava una retromarcia, era una gigantesca accelerata.
Niccolò completò la manovra con agilità e imboccò la stradina, racchiusa tra due file di auto parcheggiate. Percorsero per qualche minuto alcune delle vie strette e lastricate del centro, illuminate dai lampioni e dai fari delle poche auto in circolazione in una sera di un giorno feriale. La biondina si accorse subito che quella che non era la corretta direzione per tornare a casa. Quantomeno non la sua: quella, infatti, era la più che corretta direzione per raggiungere l’abitazione dei signori Mannino. C’era stata una decina di volte in tutto, giusto per conoscere i suoceri e frequentare le lenzuola del loro unicogenito.
- Vorrei tornare a casa, se non ti dispiace. – Il tono inflessibile con cui aveva pronunciato quelle parole aveva smorzato il tentativo di non risultare troppo infervorata; dopotutto, lui le stava facendo un favore. Ad ogni modo, decise di non dargli la soddisfazione di aver immediatamente riconosciuto il percorso che portava alla sua villetta e non aggiunse altro.
- Pensavo ti avrebbe fatto piacere rivedere Ned, ci vorranno pochi minuti, dai. – Ecco che Niccolò tornava all’attacco, con l’astuzia di sempre, giocandosi la carta del cucciolo: emotivo, come l’espressione che si era appena stampato in faccia, e fisico, quello che avevano scelto insieme al canile quattro anni prima. E Cecilia non era in grado di resistere a nessuno dei due; al musetto di quella cagnolina grigia che l’aveva subito colpita in quella gabbia anonima e grigia, al viso compassionevole di Mannino. Il silenzio della ragazza valse quanto un assenso, sebbene a Niccolò non servisse affatto; aveva deciso che lei sarebbe ritornata ad essere sua, non gli serviva di sapere – e volere – altro.
- Moll.
- Come? – Lui finse di non capire. Tenera, dolce, ingenua Cecilia. Forse era persino troppo facile irretirla, non gli sarebbe dispiaciuto che lei si dimostrasse un po’ più restia a cedere: conquistarla sarebbe stato una sfida maggiormente intrigante.
- Si chiama Moll Flanders, non Ned. – ripeté lei, spiegando l’equivoco.
Il nome del cane l’aveva scelto lei, ispirandosi all’omonimo romanzo di Daniel Defoe e alla vita della protagonista, tanto travagliata quanto quella del cucciolo, abbandonato in un cassonetto ad appena qualche mese di nascita. Ma a Niccolò questa metaforica scelta a lungo ponderata non era sembrata affatto divertente, perciò l’aveva ribattezzata Ned, salvando solo il cognome; poco importava che il cane fosse una femminuccia e che il religiosissimo vicino de I Simpsons nulla avesse a che spartite con lei, se non una fastidiosa voce acuta.
- Ormai si è abituata ad essere chiamata Ned… – Mannino stava per riportare alla memoria ricordi che era meglio mantenere nel passato al fine dei suoi stessi scopi. Si accorse dello scivolone e proseguì con la nonchalance di cui era capace. – Sarà molto felice di vederti, ha sempre preferito te a me.
Almeno il cane! Lo avesse fatto anche il padrone…
Cecilia abbozzò un sorriso e spostò lo sguardo davanti a sé, ai lampioni che diventavano sempre più rari, nella periferia che conduceva a casa di Niccolò. Lui poggiò un gomito sullo sportello dell’auto e continuò a guidare tranquillo fino al viale antistante la villetta dei suoi genitori. Il cancello ora si apriva con il telecomando, era di un grigio più scuro di quanto Cecilia si ricordasse; nel giardino non c’era più la grande quercia a cui il signor Mannino tanto teneva, al suo posto ora svettava un ulivo dai rami sporgenti e pieno di frutti da raccogliere, sparsi anche sul cemento del cortile.  
Niccolò parcheggiò l’auto fuori dal cancello e scese dall’abitacolo, seguito dalla biondina. In lontananza scorsero la sagoma di un cane che giunse abbaiando fino ai loro piedi.
Beh, Moll era decisamente cresciuta. L’ultima volta che l’aveva vista, non pesava che qualche chilo, mentre ora era grande il triplo e superava i venticinque chili. La ragazza l’accarezzò e lei, in risposta, le leccò la mano con qualche esitazione.
- Ne è passato di tempo, eh Ned? – le scompigliò il folto pelo sulla testa, arricciandolo tra le dita, prima che lei decidesse che era il momento di fare le feste al proprio padrone.
Mannino si abbassò e si lasciò riempire di attenzioni. Cecilia lo guardò coccolare Moll, che per lui si rotolava sull’asfalto, scodinzolava furiosamente, si alzava sulle zampe posteriori per cercare di poggiare quelle anteriori sulle sue ginocchia. Dopo qualche minuto, lui si alzò, stufo di essere travolto da tante manifestazioni d’affetto. La ragazza non poté fare a meno di pensare a quanto era successo durante gli anni del liceo: anche lei si era comportata come Ned, anche lei aveva fatto di tutto per stare vicino a Niccolò, gli aveva sempre dimostrato fedeltà e amore. E lui si era semplicemente stancato di lei.
- Possiamo andare? – chiese veloce. Non si sentiva più a suo agio, quella scena sapeva di déjà-vu e lei non era pronta per affrontarlo. Aveva seppellito i ricordi del Maffei in fondo alla mente, non voleva rischiare di riportarli a galla.
Niccolò fu sorprendentemente di parola: la visita durò in effetti durata qualche minuto, lui si era premurato di offrirle qualcosa da bere e qualche snack, rinfrescarle la memoria su dove fosse il bagno, senza risultare impacciato a causa dei trascorsi e dei traumi che lei avrebbe potuto rammentare. Cecilia lo aveva sempre invidiato per quella sua caratteristica abilità nel destreggiarsi in situazioni critiche con assoluta disinvoltura e prontezza. Quelle peculiarità, però, erano probabilmente anche la causa del suo successo nel mantenere più relazioni sentimentali – sentimentali? – allo stesso tempo.
Risalirono in macchina, Niccolò accese la radio ed entrambi lasciarono allo speaker di una stazione nazionale il compito di parlare. Tanto nessuno dei due stava ascoltando.
Quando l’auto sterzò per fermarsi sotto casa di Cecilia, lei non fece in tempo a salutarlo frettolosamente – come aveva programmato per la maggior parte del viaggio –, perché lui l’anticipò. 
- So di aver fatto un casino in passato. – Oh-oh. La biondina sperò con tutto il suo cuore che lui non avesse intenzione d’intraprendere di nuovo quel discorso. – Ma Ceci, non succederà più.
Lei si sganciò la cintura di sicurezza e lo guardò sorridendo.
- Lo so che non accadrà più. – Niccolò rimase spiazzato. Ah, lei lo sapeva? Curioso, lui aveva detto quella frase soltanto perché in quel momento sembrava la cosa giusta da dire, ma non ne era molto sicuro di riuscire a non tradirla nuovamente. – Perché non avverrà mai più nulla tra me e te.
Quella risposta non gli piacque per nulla e gli fece comprendere che il manico del coltello stava lentamente scivolando nelle mani della ragazza.
Cecilia aprì la portiera per uscire, ma lui si allungò verso di lei, la sorpassò e richiuse lo sportello.
- Aspetta, aspetta, parliamone. – Lei si appoggiò stancamente al sedile, fissando la tappezzeria sul tettuccio. – Io tengo ancora a te. Sei pur sempre il mio pesciolino, no?
Sorrise debolmente e le sfiorò una guancia con due dita. La ragazza rimase immobile, respirando regolarmente. Si compiacque dell’effetto che quel contatto le provocava: nulla. Non ne era esaltata, non ne era nemmeno infastidita. Sentiva solo una grande stanchezza, dovuta alla sveglia suonata alle 6.30 per andare a correre, alla mattinata in università, al pomeriggio da Lisa, all’incontro con Matteo…
Niccolò interpretò quella sua rilassatezza come un invito a proseguire le carezze, lungo il collo scoperto e poi verso il braccio. Cecilia gli bloccò il polso, giusto un attimo prima che lui continuasse la scia – ribadendole la più assoluta mancanza di pudore – sul suo seno.
- Buonanotte, Niccolò.
Uscì dalla macchina, ma il ragazzo si sbrigò a fare altrettanto, non volendosi dare per vinto. La sua reticenza era esattamente ciò che lui desiderava. E lui la voleva di nuovo nel suo letto, il più presto possibile.
- Non mi dai nemmeno il bacio della buonanotte?
Cecilia avvertì il tono scherzoso, perciò si limitò a voltare la testa, mentre ancora proseguiva a camminare verso la porta di casa. Mannino non diede cenno di cedere e trotterellò fino a raggiungerla e a piazzarsi davanti a lei.
- Non mi va di giocare, dai… – provò a protestare.
- Solo un bacino e prometto che ti lascerò andare a dormire. – Posò  l’indice sulla guancia per farle capire che non aveva intenzione di forzare la mano, almeno non quella sera.
La biondina ci rifletté: era esausta, Matteo era uscito con Lisa, voleva togliersi Niccolò di torno, Lisa era uscita con Matteo, era arrabbiata, Matteo aveva scelto Lisa.
Accantonò i pensieri con stizza e si avvicinò a Mannino, poggiandogli le mani sulle spalle. Non sarebbe stato altro che un bacio innocente, atto a accontentare lui, a liberarsi di lui, a irritare un inconsapevole – e magari indifferente – Maestri.
Niccolò gongolò nel vedere l’espressione della Molinari, ormai persuasa a concedergli un buffetto, fosse anche per sfinimento. Doveva complimentarsi con se stesso, era sempre stato bravo a lavorare ai fianchi. Soprattutto quelli femminili. Cecilia tenne gli occhi aperti, con il suo ex non c’era da fidarsi, la sua tendenza a fare il provolone persino durante il sonno non andava sottovalutata. Gli depositò un bacetto sulla guancia, sollevata che lui non avesse fatto gesti avventati e infantili per deviare la sua bocca direttamente sulla sua. Niccolò non ci aveva provato. Quasi quasi si commuoveva. Ma non fece in tempo a finire il suo pensiero che lui le afferrò la testa tra le mani, premendole le labbra contro le sue con veemenza e sfruttando la sorpresa che le aveva spalancato la bocca per introdurvi la lingua. Cecilia si scoprì molto più forte di quanto non pensasse, mentre respingeva le labbra di Mannino al mittente, con maggiore grazia e delicatezza del necessario, visto il soggetto.
Fu abbastanza lesto ed accorto da ritirare la lingua subito, perché Cecilia serrò la mascella, facendo cozzare i denti tra loro, pur di sbarrargli l’accesso. Non insisté oltre e le lasciò libera la testa.
Lo schiaffo che lo colpì in pieno viso, dopo appena qualche frazione di secondo, gli intorpidì la guancia e lo stordì.
- Non cambierai mai, – esclamò lei delusa, girando i tacchi e risalendo il vialetto per entrare in casa e abbandonare il cretino sul ciglio della strada.
Niccolò rimase solo a massaggiarsi il volto dolente, gradevolmente sorpreso dalla reazione di Cecilia. Oh, sì, quello che aveva visto gli era piaciuto molto: il suo agnellino si era trasformato in una lottatrice. Non gli restava che procurarle una tutina attillata, un po’ di fango e farla arrabbiare di nuovo. 
 
Matteo si schiarì la voce e cambiò canzone del cd per la centesima volta, schiacciando a rallentatore i tasti dell’autoradio. Lisa Zanin era zitta da circa due minuti e lui non sapeva come interpretare quel silenzio: non ne era abituato, ignorava come fronteggiarlo e soprattutto si chiedeva perché fosse tanto imbarazzante.
La ragazza stava fissando con autentico interesse le proprie mani poco curate e le unghie cortissime, attendendo il modo adatto per concludere l’uscita. Ma Maestri non dava cenni di voler accelerare il processo o quantomeno di iniziarlo; anzi, il suo sguardo perso le faceva intendere che avrebbe preferito piantare una tenda nel suo giardino e passare la notte lì, arrostendo marshmallows e carne di cervide da congelare.
- Beh, esclamò lei di punto in bianco: aveva sempre odiato il campeggio, – grazie della serata. E per avermi trasportato nella macchina di Lamberti dopo la festa da Franzoni. E per non avermi trasmesso malattie durante il rapporto sessuale che non abbiamo mai avuto.
- Ehm, – Matteo avvolse le dita attorno al freno a mano, giusto per tenersi occupato e nascondere il disagio che le parole smaliziate di Lisa gli procuravano, – prego.
La Zanin lo fissò, incredula da tanta imbranataggine e si affrettò risoluta a proseguire col discorso.
- Senti, Maestri, ad essere completamente onesta, io ho accettato di uscire con te per la questione del bagno. Sei carino, sei abbastanza sveglio, – stava mentendo, però lui le aveva offerto il gelato e lei non se la sentiva di ammazzare il suo ego, – ma non credo che tra di noi possa funzionare. Sai, non credo di essere la ragazza giusta per stare con un calciatore.
Matteo finse di non accusare il colpo al proprio orgoglio e si concentrò sulla sensazione di sollievo che avvertì; trascorrere del tempo con lei era stato divertente, ma anche un pochino pesante e… troppo strano! E lui di certo non poteva negare di non aver avuto un doppio fine.
- Ad essere completamente onesto, ti ho chiesto di uscire per fare ingelosire un’altra, – ammise a sua volta, sentendosi più leggero.
- Oh, – non era certo la risposta che Lisa si era aspettata, però in fin dei conti non le importava poi molto. A conti fatti era quasi lusinghiero essere scelte per quello scopo… – almeno siamo pari. Ha funzionato?
Maestri afferrò con entrambe le mani il voltante e ruotò i polsi ripetutamente, trattenendo a stento una risata assai poco divertita.
- Vuoi la verità? Non lo so. Forse dovrei solo dimenticarla e guardare avanti, senza drammi o paranoie.
Lisa annuì, senza saper bene cosa dire. Evitò con accuratezza di approfondire l’argomento e puntò a definire il loro rapporto.
- Amici?
- Certo. Ci vediamo la settimana prossima in facoltà.
Matteo finalmente sorrise, dispiaciuto solo che il suo ingegnoso piano per infastidire Cecilia si fosse rivelato tanto fallimentare.
 
Quella notte, in una Verona assopita e intorpidita dal primo vero freddo della stagione invernale, quattro persone, legate fra loro da un singolare destino, tornarono alle loro case con umori e sentimenti contrastanti.
Cecilia era furiosa. Con Niccolò, con Lisa, con Matteo, con sua madre che l’aveva messa al mondo e poi si era scoperta inadatta a farle da genitore, con suo padre che l’amava troppo e male, con Van Gogh, il pesce rosso, che pur aprendo la bocca in continuazione, non aveva mai una parola di conforto…
Matteo era confuso. Aveva creduto che la serata sarebbe servita a chiarirgli le idee, magari divertendosi e provando a costruire qualcosa a piccoli passi con un’altra ragazza. Beh, era evidente che l’obiettivo fosse sfumato. Sbadigliò, mentre s’infilava sotto la trapunta e ridacchiava tra sé. Avrebbe dovuto saperlo: cercare di dimenticare qualcuna, uscendo con la sua migliore amica, era proprio un piano del cavolo.
Niccolò era ormonale quanto una donna in gravidanza. Aveva i boxer in subbuglio e la gamba un po’ dolorante, in seguito all’incidente al centro sportivo a causa di quell’idiota di Maestri. Ridacchiò rumorosamente, ripensando a quello che aveva sempre considerato un amico; aveva appena trovato un ulteriore motivo per cui spassarsela con Cecilia e sarebbe stato divertente: avrebbe avuto il piacere di farla sotto al naso di Matteo.
Lisa era irritata. Fisicamente, perché il prurito tra le gambe la stava facendo ammattire e la crema lenitiva di sua madre non sembrava funzionare, ed emotivamente, perché ancora non sapeva chi fosse l’artefice di un tale fastidioso pasticcio.
Il bip di un messaggio in arrivo le ricordò che non aveva ancora tolto la suoneria al cellulare. Provvide subito, leggendo poi l’sms. Era di Cecilia.
- Com’è andata?
Lisa compose in fretta la risposta, non conscia dell’ansia che impediva alla sua amica di restare seduta sul letto. Infatti, la biondina non riusciva a rimanere ferma, passeggiando nervosamente su e giù per la stanza.
- Tutto okay. Appena ci vediamo, ti spiego; non mi va di raccontartelo così. Tu, piuttosto?
Tutto okay. Che cavolo significava? Moderatamente positivo, fondamentalmente inutile e privo di contenuti.
Cecilia si morse d’istinto un labbro, perché quello era proprio la risposta che più aveva temuto di ricevere, quella che in fin dei conti le sembrava la peggiore, dal momento che la segregava in uno stato di consapevole ignoranza da cui non poteva uscire, almeno fino al giorno in cui si sarebbero incontrate. Il che significava passare una notte d’inferno, a tormentarsi mente e stomaco per immaginare i diversi modi con cui quei due avevano passato la serata.
Fece un ultimo disperato tentativo, strizzando gli occhi per lo sforzo che le costava farle quella patetica domanda.
- Non mi anticipi nulla?
Tamburellava le dita sul comodino ed era sul punto di mangiarsi persino i gomiti per la paura d’insospettirla. Era sempre stata molto discreta sulle vite private altrui, non amava il gossip – anche se doveva ammettere che era pronta a cambiare idea, in caso le fosse servito a scoprire qualcosa in più su Matteo –, adesso stava divenendo improvvisamente curiosa.
Lisa, ora sdraiata e coperta fino al naso dal piumone, aggrottò la fronte perplessa; la stranezza di Cecilia in quei giorni proseguiva e lei non era sicura di come andasse affrontata.
- Da quando sei così impicciona? Te l’ho detto, Matteo è un tipo a posto, rimarremo in contatto. A proposito di contatti, mi daresti il nome di un ginecologo?
A proposito di contatti? Contatti? Di che genere, in 3D?
Nonostante il groppo alla gola, non riuscì a chiederle nient’altro a riguardo e le digitò laconica l’unico dottore che le sovveniva.
- Guido Rastrelli.
- Il papà di Carlo? Qualcosa mi dice che mi sentirei a disagio a mostrare Priscilla al padre del mio peggior nemico. Grazie comunque, buonanotte.
Cecilia si sedette alla scrivania, i gomiti poggiati sulla scrivania e le mani incastrate tra i capelli. Dell’appuntamento di Lisa e Matteo non sapeva nulla. L’unica cosa di cui era certa era che quella non sarebbe stata una buona notte.
 
Le lezioni della facoltà di lettere non si protendevano mai oltre il mercoledì, perciò, quel giovedì, Cecilia si ritrovò a pretendere di studiare, assonnata, il pensiero che correva in alternanza alla propria disastrosa vita sentimentale e alla cena che quella sera l’avrebbe costretta a sedere al tavolo con Ferdinando, la sua fidanzata Maria Carolina e la di lei deliziosa sorella Melissa. Una vera e propria tortura ciclica, a cui si sottoponeva quasi ogni settimana per poter dire che anche nella sua famiglia esisteva una tradizione; c’era chi pranzava con nonni e zii la domenica mattina, chi il sabato sera mangiava sempre pizza e c’era lei, con i suoi terribili giovedì sera a casa di suo padre, dalla quale tornava costantemente con il mal di testa da sovraesposizione di acidità da matrigna.
Per questa ragione, si preparava sempre come se dovesse andare al patibolo: si vestiva bene – perché Maria Carolina esigeva che lei indossasse un abbigliamento adeguato alla sua presenza –, pregava – soprattutto che Maria Carolina fosse di buonumore – e accettava il proprio crudele ed ineluttabile destino – Maria Carolina era una un’autentica punizione divina.
Quella sera indossò un abito che sua madre aveva scartato, dal momento che le andava decisamente troppo largo, come si era premurata di dirle almeno una decina di volte, nonostante fosse almeno di due evidentissime taglie più piccolo. Cecilia aveva taciuto e ringraziato per la generosa concessione materna, senza osare ribattere l’ovvio.
Arrivata a destinazione, spense il motore della macchina, cercando di perdere tempo e trovare una scusa per fuggire o quantomeno trovare il coraggio per affrontare la routine: fingere di apprezzare cibo, compagnia e atmosfera per più di due ore richiedevano un allenamento costante ed intenso, al quale purtroppo era abituata. Quelle serate a casa Molinari-Cedreo le ricordavano tanto il corso di danza classica che sua madre le aveva fatto frequentare in prima elementare, quando ancora sognava di farla diventare un’étoile de La Scala; lo detestava, le riusciva piuttosto bene – nonostante la pignola maestra la rimbeccasse ogni tre secondi per correggere qualche posizione –, ma se poteva evitare di andarci, lo faceva molto volentieri.
Tolse le chiavi dal quadro e scese dall’auto; sapeva di non avere alcuna possibilità di scampare alla finta cortesia di Maria Cretina, al diabete da complimenti fraterni di Melassa e all’assoluta imparzialità di Ferditonto. E lei, Cepigliaescappa, avrebbe come al solito trattenuto l’impulso di inforcare la via della porta, recitando l’ormai consueto copione di figlia e ospite modello. Condizione, quest’ultima, che Maria Carolina pareva sempre dimenticare, dal momento che a fine cena amava confinarla in cucina a lavare i piatti, mentre lei si godeva il meritato riposo. Riposo da cosa esattamente non era dato sapersi: la cena era preparata dalla gastronomia, la tavola rassettata da Ferdinando, la cucina lustrata da Cecilia… forse erano le sei ore settimanali di lavoro nella profumeria dei suoi a renderla così inesorabilmente stanca, ragion per cui aveva ritenuto necessario assumere una donna delle pulizie che riordinasse la casa, facesse il bucato e innaffiasse le tre pianticelle spelacchiate che popolavano il giardino.
Cecilia non si capacitava di come suo padre, un uomo acculturato, sveglio e dinamico, potesse sopportare anche la sola presenza di una donna come Maria Carolina. Tutte le volte che si poneva questa questione, però, doveva anche ricordare che Ferdinando Molinari era lo stesso che qualche decennio prima aveva sposato sua madre, Marina, che di certo non era l’emblema della brava mamma e moglie. Il problema era che proprio non sapeva scegliersele, le compagne. Avrebbe dovuto considerare l’eremitaggio.
L’oggetto dei suoi pensieri si materializzò davanti ai suoi occhi, ancor prima che lei potesse suonare il campanello; faceva sempre così suo padre, precedendola di qualche secondo. Probabilmente se ne stava appostato alla finestra a controllare che lei arrivasse, per poi salutarla e guardarla con gli occhi di chi non se l’aspettava di vederla arrivare di nuovo al proprio cancello. Forse si stupiva pure lui di trovarla ancora lì, pronta a sopportare un’altra noiosa serata con lui.
D’altronde, Cecilia non ci avrebbe mai rinunciato. Benché tutto ciò le costasse fatica, quei giovedì sera costituivano gli unici momenti disponibili da trascorrere con Ferdinando e avrebbe continuato a rispettare l’impegno settimanale, anche se ciò comportava fare da sguattera alle sorelle Cedreo. Non poteva permettere che il suo rapporto con suo padre si riducesse alla consegna dell’assegno mensile degli alimenti.
- Ceci, sempre puntuale, eh? – le depositò un bacio sulla guancia e se ne stette a fissarla per una manciata di istanti, con le mani in tasca. Sua figlia gli sorrise con una punta di amarezza: era davvero così difficile riuscire a parlare con lei? Il loro rapporto sarebbe sempre stato così freddo e imbarazzato? – Vieni dentro, comincia a far buio. Allora, l’università?
La biondina aveva appena iniziato a raccontare l’andamento flemmatico delle prime lezioni dell’anno accademico, quando Maria Carolina le si avvicinò sgambettando sulle sue mezzo tacco di vernice. Tanta impazienza davvero non le si addiceva. Interruppe il discorso padre-figlia – con sollievo da parte dei presenti –, mentre si risistemava un ciuffo di capelli dietro le orecchie.
- Oh, cara, finalmente sei qui! Ti spiacerebbe andare in cucina a mescolare le patate? Non vorrei si bruciassero.
Calò il silenzio per qualche secondo, il tempo necessario perché Cecilia assimilasse la domanda e se ne ponesse un’altra: perché diavolo non lo fai tu?
- Tesoro, lo posso fare io… – s’intromise Ferdinando, che si proponeva sempre di difendere la figlia, ma che finiva sempre col fare la figura dell’uomo senza attributi.
- Amore, sono certa che alla tua Ceciliuccia non dispiacerà aiutarmi, visto che è qui tutti i giovedì a mangiare. Sai dov’è la cucina, cara. – Appunto.
La ragazza si avviò mesta verso i fornelli, mentre il rumore del campanello rimbombava per dieci secondi consecutivi nel salone centrale: Melissa era arrivata.
La conferma le giunse quando la voce strascicata della ragazza cominciò a parlare a raffica, come di consueto.
- La macchina si è rotta. Ho dovuto prendere un taxi, ma non avevo idea che avrei speso una tale cifra! Ho dovuto scegliere tra pagare la corsa e comprarmi domani una nuova pochette. Il tassista è ancora qui fuori che aspetta! – ridacchiò e sua sorella si unì allo starnazzio.
- Ferdy, ti dispiace?
Cecilia si sporse dalla cucina, giusto in tempo per assistere alla scena. L’uomo mise prontamente mano alla tasca posteriore dei pantaloni e ne trasse il portafoglio, dirigendosi verso il vialetto esterno. Sua figlia osservò con rassegnazione tutto il concatenarsi di azioni, ormai priva di commenti silenziosi da fare; il problema di suo padre era sempre lo stesso da cinquant’anni a questa parte: la mancanza totale di spina dorsale. Così era stato con Marina, dalla quale era stato prosciugato – economicamente ed emotivamente – e poi gettato come uno straccio vecchio, così era con Maria Carolina, che in quanto a spessore emotivo era l’equivalente di un pizzocchero della Valtellina.
Ed eccolo, dopo un matrimonio fallito, una figlia semi estranea, una convivenza quadriennale, ancora a elemosinare amore alle donne sbagliate, donne che al cui confronto il Sahara sembra un’immensa piscina olimpionica.
- Bene. Ora raccontami tutto di questa nuova pochette che vuoi comprare.
Le due sorelle Cedreo ben presto si dimenticarono di Cecilia, lasciata in sala da pranzo a finire di apparecchiare e sistemare il centrotavola.
Quando Ferdinando rientrò dal giardino, a fatica riuscì a radunarle tutte e tre attorno alla tavola. Sua figlia, però, riuscì a rilassarsi; solitamente, la parte più indigesta della cena era, per paradosso, quella che non riguardava il cibo. Melissa e Maria Carolina, infatti, avevano l’abitudine di conversare fittamente tra di loro durante il pasto, lasciando gli altri due a scambiarsi imbarazzate occhiate di sottecchi e sorrisi che entrambi amavano illudersi fossero di complicità. Quella sera, invece, Melissa apparve determinata a voler approfondire il rapporto con i parenti acquisiti. A modo suo, certamente.
- Allora Cecilia, qualche novità? – La biondina bloccò il braccio che reggeva la forchetta a mezz'aria, facendo cadere un pezzo di lasagna di nuovo nel piatto. Perché le stava rivolgendo la parola? Fece per farfugliare qualcosa, ma l’altra ricominciò a parlare. – Io sì. Io e Matteo Maestri usciremo insieme.
Stavolta fu l’intera posata a cadere, stridendo all’impatto con la ceramica della fondina, causando un brivido alla povera Caro. Se quella marmocchia avesse osato rovinare il servizio nuovo di Richard Ginori, le avrebbe spezzato le ossicina delle mani una ad una.
Cecilia non riuscì a reagire per qualche secondo, paralizzata da quel nome che sembrava emergere in qualsiasi posto o situazione, come un campo minato tutt’intorno a lei. Matteo Maestri sembrava essere sulla bocca di tutti, tranne che sulla sua.
- Ceci, stai bene?
No!
- Ce-certo, papà, – si sforzò di sorridere e Ferdinando fece altrettanto, tornando a mangiare, sollevato di non dover affrontare una crisi figliale senza aver assolutamente idea di come farlo.
- Oddio, quel Matteo? Brava Mely!
Maria Carolina scordò in fretta il buon Richard e si concentrò sulla sorella, con l’intenzione di celebrare il momento come una di quelle party mamas della tv. Certo, Maestri non era esattamente il sultano del Brunei, ma compensava le assenti abbondanze finanziarie con un aspetto fisico niente male e un possibile futuro da calciatore. Tutto sommato, poteva rivelarsi un buon investimento.
Melissa era in fissa per lui dalla prima elementare e aveva riempito la camera che condividevano con foto sue, intere, a mezzo busto, di arti,  di frammenti non ben identificabili di corpo, scattate ai giardini, in classe, a casa, al centro sportivo, stampate sul giornalino della scuola, della parrocchia… il ragazzo doveva considerarsi fortunato a ricevere tante attenzioni da parte di una Cedreo. E Melissa era una ragazza fortunata: all’epoca non esisteva ancora il reato di stalking.
Cecilia fissò le due sghignazzare per la presunta conquista e si immaginò come sarebbe potuta cambiare la loro faccia nel momento in cui avessero scoperto che il loro castello in aria si stava sgretolando ad opera di niente meno che Lisa. Si sentì un po’ dispiaciuta per entrambe – sapeva bene cosa significasse desiderare qualcosa, qualcuno, e non poterlo avere –, ma era stufa di starsene zitta e inerme. In fondo, stava facendo loro un favore, le stava informando!
- Davvero? – domandò con un sopracciglio alzato. – Strano, l’ho visto uscire con un'altra.
Riprese in mano la forchetta e infilzò un ricco boccone di lasagne. Se lo ficcò in bocca e assaporò con gusto, mentre i visi delle donne che la circondavano impallidivano e si contraevano in una smorfia di stizzito stupore.
- Ti sarai sbagliata, – sentenziò la maggiore delle Cedreo che mosse in un gesto secco il braccio per afferrare il bicchiere e scolarsi d’un fiato il vino rosso che Ferdinando le aveva versato.
- Non credo. Ci ho anche scambiato due parole, – E mezzo bacio.
Melissa la osservò inorridita, pronunciando, con un filo di voce, vagamente isterica, le tre parole che più temeva in quel momento.
- Lei chi è?
Non appena finì la frase, intuì la risposta: la lesse direttamente nell’espressione serafica di Cecilia, che le confermò ogni cattivo presagio.
- Lisa Zanin.
La stracciona. No, tutte, ma la stracciona no! Come aveva potuto non prevederlo? Non avrebbe potuto, ecco perché! Chi diavolo considerava la Zanin parte della concorrenza? Persino Eva la Ciofeca era meglio di… quella! Almeno lei aveva il monociglio, Lisa che aveva di tanto speciale da renderla più attraente di una vasca colma di letame?
Melissa optò per un cambio rapidissimo di argomento, ma parve palese a tutti gli altri commensali che, nonostante lei e Maria Carolina discutessero di accessori e cachemire – escludendo una più che contenta Cecilia –, il pensiero fosse rimasto fisso su Matteo Maestri.
La minore delle Cedreo pretese che Ferdinando l’accompagnasse a casa, mentre Cecilia veniva invitata a prendere il suo posto in cucina, tra le stoviglie sporche e il pavimento da spazzare.
Perlomeno, ora sapeva che Melissa, con l’onta subita, non le avrebbe rivolto la parola per una quindicina di cene.
 
Fatima Turchetta stava passeggiando placidamente lungo un infinito viale alberato del centro città, in compagnia di un bel bassotto color cioccolato al guinzaglio con una mantellina verde e gialla. In testa portava una vivace berretta arancione con delle stelline iridescenti ricamate che lasciavano una strana scia luminosa nell’aria che si lasciavano alle spalle. Stava camminando da quasi un chilometro, quando la donna si fermò in prossimità di un grande tiglio, dietro al quale si nascose. Fece sporgere solo la testa, e gli occhi corsero ad osservare una finestra illuminata, al secondo piano di un bel palazzo ristrutturato di recente. L’ombra familiare di Cecilia si distinse da dietro la tenda e sostò per quasi un minuto davanti al vetro, prima di sparire nel buio che oscurò l’intera stanza.
Fatima scosse la testa, corrucciando la bocca. Lanciò un’occhiata al bassotto, che le restituì uno sguardo torvo e accigliato.
- Lo so, lo so. È il momento d’intervenire. Penserò a qualcosa. E tu smettila di fare il broncio, te lo sei meritato! Azzardati a mangiare di nuovo tutto il formaggio nel frigorifero e ti trasformo in un pidocchio, la prossima volta. Capito, GasGas?
 


Non so che dire, ormai lo sapete che sono una ritardataria cronica, senza margini di miglioramento.
Purtroppo, ciò che del prossimo e ultimo capitolo avevo già scritto (mancava solo un paragrafo T___T ) è andato perso quando mi si è rotto l'hard disk. Sarebbe stato troppo furbo da parte mia salvare il tutto su un una chiavetta, naturalmente.
Vi ringrazio comunque della pazienza e delle recensioni, a cui risponderò ora.
Grazie  a Nessie di aver betato, spero di tornare presto con il capitolo 7.
Buona giornata!
S.

 
 
   
 
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