To Stand For.
So I learned
to cook
and finally lose my kitchen phobia
So I've got the arms to cuddle in
When there's a ghost or a muse
That brings insomnia
To buy more thongs
And write more happy songs
It always takes a little help from someone
[Shakira –The One]
Labbra che
premono sul collo, braccio attorno alla vita.
I capelli
a spazzola sono ancora umidi - è appena uscito dalla doccia, quando è entrata
in casa sentiva l'acqua scrosciare - e lei si è lasciata cogliere di spalle
mentre addentava un sandwich trovato sul mobile della cucina.
"E
chi ha detto che questo spuntino fosse per te?" Baci leggeri sulla pelle
nuda, brividi che ignora per gioco. Le braccia si appoggiano sul mobile ad
intrappolarla.
Natasha non si scompone, seguita a masticare
in tutta tranquillità. "Vuoi farmi credere che hai preparato questa
prelibatezza al tacchino per te?"
Altro
morso, è costretta a spostare la mano di lato per non farsi rubare un boccone
da lui.
Polso
bloccato.
Passa il
panino nell'altra mano: oh no, non intende proprio dividere quella delizia con
nessun altro. La bocca di Clint si chiude sulla punta delle dita libere.
Scivolano tra le sue labbra con una lentezza esasperante, la lingua a
stuzzicare i polpastrelli.
Gran bella
idea che ha avuto a lasciargli le chiavi di casa: in materia di accoglienza
Clint è veramente un portento, è un campione di tempismo e... ha una Calibro 357 nascosta sotto
l'asciugamano o è contento di vederla?
Natasha simula noncuranza, continuando a
fingere di prestare attenzione solo al sandwich: sa di essere stuzzicante
quando gioca a non considerarlo, e sa come Clint reagisca con più impegno nella sua opera di convincimento in questo gioco.
Così,
mentre lecca via la maionese delle sue dita - un dito per volta tra le labbra - quelle di Clint sono sui bottoni
della camicia, a farli scivolare tra le asole con una semplicità straordinaria:
sanno essere magiche, prima o poi dovrà chiedergli se è un'abilità data
dall'addestramento con l'arco.
La camicia
scivola sulle spalle, lungo la schiena e le braccia, raggiunge per terra
l'asciugamano che Clint aveva attorno alla vita sino ad un secondo prima.
Penultimo
boccone, adesso fa fatica a deglutire, il bicchiere d'acqua lì di fianco sembra
una benedizione.
"Avrai
tempo di mangiare più tardi." Il suo respiro è sulla nuca ed è il bottone
dei pantaloni scuri ad arrendersi alle sue dita.
"Difficile,
parto tra sette ore." Già, proprio
così: lui ritorna, lei parte. Qualcuno nello S.H.I.E.L.D.
deve sospettare qualcosa
I jeans
scivolano lungo i fianchi accompagnati dal fiato caldo che percorre la sua
spina dorsale verso il basso: "Garantisco che partirai sazia."
"Non
è meglio se dormi un po'?" Clint batte il palmo sul cuscino a fianco del
suo come invito: Natasha sta controllando la sua
attrezzatura - per la terza volta da perfezionista qual'è
- e mancano soltanto cinque ore alla sua partenza.
Lei
bofonchia un 'adesso arrivo'
piuttosto distratto mentre rimette le mani sui suoi Morsi di Vipera.
"Tasha..."
"Finisco
solo di calibrare..."
"Tash.."
"Giuro,
controllo solo che le munizioni siano..."
"Nat..."
"Un
po' di pazienza e..."
"Nattie..."
La testa
rossa si volta di scatto, gli occhi mandano lampi. "Come mi hai
chiamato?"
Clint
incrocia le braccia dietro la testa, non si da cura neppure di celare il
sorriso sornione. "Nattie, bambolina." cinguetta canzonatorio.
Morsi di
Vedova ai polsi, scatto e salto sul letto: "Mi serviva giusto una cavia su
cui testarli..."
La sveglia
suona, a Clint sembra di essersi appena addormentato. Si stropiccia gli occhi
mentre la sente alzarsi ed andare in bagno.
Si mette a
sedere sul letto per impedirsi di riaddormentarsi, che la vuole salutare prima
della partenza.
Natasha ci mette poco, pochissimo. Esce dal
bagno pronta, recupera la borsa con l'attrezzatura e gli schiocca un bacio a
fior di labbra, per poi lamentarsi del suo alito pestilenziale post dormita.
"Ci vediamo tra qualche giorno."
"Sempre
che non mi mandino dall'altro capo del mondo." Lei alza gli occhi al
cielo: "Niente di più facile."
"Puntiamo
sulla qualità, non sulla quantità, Natasha."
Sorride.
"Natalia."
“…?”
"Quando
vuoi usare il mio nome intero... non dico sempre, però ogni tanto... sentiti
libero di chiamarmi Natalia."
Annuisce,
le passa una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Lo preferisci?"
"Credo
mi piaccia sentirlo, ogni tanto." Fa una pausa, lo fissa con l'angolo
delle labbra piegato in un sorriso: "Mi piace che tu mi chiami con il mio vero nome."
È
un'autorizzazione, un privilegio a suo esclusivo uso e consumo. Clint sorride
di rimando: "D'accordo" La bacia. "Ci vediamo, Natalia."
È alle
spalle.
Incocca la
freccia, ma l'avversario blocca l'arco e vira il colpo. Si divincola, respinge.
L'ombra è veloce, scompare scivolando tra la ringhiera della passerella di
metallo. Riappare al suo fianco.
Calcio
alla vita, colpo al torace.
OcchioDiFalco arretra di un passo, coltello in
mano, studia l’ombra per un istante, prima di attaccare.
Braccia
bloccate, respiro affannoso ad un palmo dal suo viso. Afferra l'ombra per i
capelli, torce la testa all'indietro.
La punta
della lama le sfiora la gola. L'ombra resiste, è forte. Cerca di spostare la
testa di lato, di togliersi dalla punta del coltello per mordergli la mano.
Non ce la
fa.
La lama è
affilata, le taglia la trachea come burro.
Sangue. Un'onda
bollente sulle sue mani.
Non va
bene, l'ombra muore troppo velocemente, così. Doveva soffrire, doveva pregarlo
di risparmiarla - questa è la sua
volontà.
Scivola a
terra sulla schiena, tenta una strenua resistenza: incredibile come non si
arrenda neppure in quelle condizioni. Solo quando è chino su di lei - Il
coltello conficcato nell'addome e lei si muove sempre meno - la vista gli
diventa nitida.
"Dimmi tutto."
Aveva obbedito.
Una risata bassa, di stupto
scherno."...è amore, Agente Barton?"
Il Tesseract è più che conoscenza:
è verità, il suo influsso non lascia spazio ad esitazioni.
Estrapolava le risposte direttamente dal suo cuore, senza che
potesse porre nessuna barriera razionale.
"Sì."
I capelli
dell'ombra hanno lo stesso colore del sangue. La belle madida di sudore è
bianca, le labbra carnose, schiuse, solcate da un rivolo di sangue.
Sangue che
lo imbratta sino al gomito, che brucia la pelle.
"...Natasha..."
Il pugno
di Clint colpisce la lampada sul comodino - un modello di vetro dozzinale ed
economico, niente di minaccioso o potenzialmente dannoso - scagliandola a
terra.
C'è il
rumore del vetro infranto, la scintilla elettrica dei contatti che si rompono e
il silenzio della camera.
Cerca a
tentoni l'interruttore della luce, lo trova e lo schiaccia.
La lampada
è ridotta ad una nuvola di schegge sparse sul pavimento.
Non c'è
nient'altro. Nessun corpo sul letto insieme al suo.
Si guarda
le mani.
Pulite
Calli e
pelle secca, ma niente sangue.
Riprende
fiato, realizza.
Un incubo.
Piuttosto
frequenti dalla battaglia di Manhattan. Di solito però riusciva a non
prendersela con i suppellettili di casa.
Di solito però non sogna di uccidere Natasha
al termine del loro scontro sull'Helicarrier.
Un paio di
volte si era limitato a rifilarle nel sonno un calcio nelle costole e si era
risvegliato con un occhio nero o sul divano. Senza contare di quella volta che
si era messo a parlare nel sonno ed al risveglio si era accorto di essere stato
abbandonato sul pianerottolo, testa sullo zerbino.
Guarda
l'orologio: Le otto di mattina, ora di alzarsi.
Natasha a quell'ora doveva già essere
arrivata a destinazione, probabilmente era già impegnata nella sua missione.
Sul cellulare non c'è nessun messaggio, nessuna chiamata: il professionale silenzio di una spia
impegnata sul campo, che non può e non deve avere contatti con il mondo
esterno, tranne quelli di vitale importanza con la base.
Fuori c'è
il sole di una bella e fredda giornata d'inverno che lo invita a fare una corsa
all'aria aperta per stendersi i nervi.
E a
comprare una lampada nuova.
“Posso
farti una domanda? Sei libero di non rispondermi, è … personale.”
Clint si
porta la bottiglia alle labbra, beve un sorso di birra e lo invita con una
mezza smorfia a continuare.
Banner
giocherella con il bicchiere “Non per farmi gli affari tuoi è solo che...” si
gratta la nuca in un modo più imbarazzato che nervoso. “Mi domandavo se fra te
e Natasha … ecco, se tra voi due ci fosse qualcosa.
Sei libero di non rispondermi, ne hai tutte le ragioni, capisco che sia stato
indiscreto solo che … beh, me lo domandavo. Ecco tutto.”
La
bottiglia di birra è mezza piena, è da quasi mezz’ora che si trovano al bancone
del locale ed hanno esaurito gli unici argomenti trattabili: Battaglia di New
York, relazioni con Tony Stark.
Riassegnato
ad una missione di controllo sicurezza, Clint è andato nel pomeriggio a
ritirare la sua attrezzatura nuova direttamente dalla provvisoria sede dei
laboratori della Stark Industries,
che Tony in persona aveva insistito per dare
un’occhiata alle nuove munizioni intercambiabili delle frecce e doveva
restituirgliele.
La sua
nuova faretra era il doppio più capiente ed il triplo più accessoriata, l'inserimento
delle punte era praticamente immediato e Stark aveva
inserito un sensore nell'arco in grado di richiamare le frecce cadute nell'arco
di quindici metri. .
Si era
sentito come un bambino in un negozio di giocattoli: Non poteva chiedere di
meglio.
Il suo
umore era migliorato ulteriormente dopo un breve test balistico.
Dopo
essersi assicurato di essere solo e fuori dall'occhio indiscreto delle
telecamere di sicurezza, si anche era messo a saltellare come un idiota per
l'eccitazione.
E dalla
porta della palestra era comparso Bruce Banner.
"Birra.
In cambio del tuo silenzio."
Inaspettatamente
il dottore si era messo a ridere. "Stark mi ha
già fatto firmare un contratto di riservatezza al momento in cui ho messo piede
qui dentro, e ti posso assicurare che in soli due mesi ho visto ben di peggio.
E poi... beh, ecco … la birra rende l’Altro Tizio … su di giri, diciamo.” Si
era giustificato pulendosi gli occhiali con l’orlo del camice.
Oh, beh,
peccato.
“Tuttavia… beh, se scegliessi un locale che serve anche analcoolici…”
La
compagnia di Banner si era rivelata piacevole: non che sia un gran
chiacchierone, ma almeno non sembrava camminare sul filo della malinconia come Rogers o essere un logorroico spaccone come Stark. Insomma, per passare una serata fuori non era male,
anche se se ne era uscito con quella domanda.
Al suo
posto Natasha avrebbe optato per una risposta ambigua
del tipo: “Siamo Partners”
valevole sia sul piano lavorativo che su quello sentimentale. Di sicuro, quella
sarebbe stato il tipo di risposta più azzeccato e consono: la loro relazione
era pur sempre sconsigliata, e
avevano sorvolato sull’idea o meno di renderla pubblica a pochi intimi.
Anche perché loro, fondamentalmente, non avevano intimi.
Neppure pochi.
Altro
sorso di birra.
Gli torna
in mente Coulson e a tutte le volte che l'aveva
accusato di essere un 'Pusillanime Coglione' quando si trattava di Natasha.
E come biasimarlo, con una che come soprannome faceva
“Vedova Nera”?
Probabilmente
a lui l'avrebbe detto, della sua storia con Natasha: Coulson era una persona fidata e discreta. L'avrebbe preso
in giro, poco ma sicuro, ma ci poteva scommettere il suo bulbo oculare sinistro
che non ne avrebbe fatto parola con nessuno, e probabilmente avrebbe anche
fatto in modo di non farli alternare così velocemente nelle rispettive
missioni.
Ma Banner
non è Coulson, non gli darebbe una pacca sulla
schiena ordinando un’altra birra e facendo una battuta su un ipotetico Nido
d’Amore e sul comprare cioccolatini alla vodka per San Valentino. Ma non è
neppure Stark, che spammerebbe
con gif animante di lui e Nat i terminali di tutto lo
S.H.I.E.L.D.
E poi c’è
anche un'altra cosa: C'è che Natasha ha dimostrato di
essere incredibilmente affabile con il dottore, e lui con lei.
Un po'
troppo, per i suoi gusti, e a Clint sorge il sospetto che quella domanda sia
stata posta per sondare il terreno.
Gelosia e Paranoia. Cristo Santo, Barton,
che ti ha fatto quella donna?
“Sì.”
risponde soltanto, altro sorso alla birra.
Con sua
somma sorpresa, piuttosto che abbattuto Banner pare piacevolmente
colpito.“Immagino questa sia un’informazione assolutamente riservata, giusto?”
“Giusto.”
Sorso di
birra per Clint. Di CocaCola per Banner. “E come fate
a …”
“… a?”
“Voglio
dire … con il vostro lavoro, immagino vi vediate … poco.”
“Diciamo
che puntiamo sulla qualità, non sulla
quantità.”
Bruce
ride, e pare di gusto: “Oh, questa è ottima. Un sacco di coppie dovrebbero
applicare questa tesi."
La birra
finisce, la CocaCola pure. Banner insiste per offrire
lui ma Clint è irremovibile, d'altronde si è ripromesso di pagargliela mesi
prima ed ha una ragione in più per farlo, e si salutano. Mentre torna alla
macchina Clint da un'occhiata al cellulare.
Nessuna
chiamata.
La missione
di Natasha sta procedendo correttamente.
I motori
dell'elicottero sono già in funzione quando la voce della Hill alla radio
ordina al pilota di non decollare e a Barton di
scendere. "Il Direttore Fury ti attende nel suo
ufficio."
"Il
preside chiama." scherza con il pilota: "Deve avermi scoperto a
fumare nei bagni."
Non è la
prima volta che accade, che viene fermato mentre parte per una missione o fatto
tornare indietro dopo cinque minuti e riassegnato.
È un po'
una scocciatura, quando si è già entrati nell'ottica di una missione, venire
sballottati a fare tutt'altro. Come per il New Mexico, l'anno prima: si era
ritrovato nel deserto con l'attrezzatura e gli indumenti per sopravvivere in
Groenlandia.
Ma tant'è,
il lavoro è questo, e Clint è il tipo che in genere prende gli imprevisti con
filosofia.
A
stupirlo, piuttosto, è la presenza di Rogers, in
divisa.
Che non è decisamente il tipo da dover essere richiamato dal
preside.
"Hey Cap, vieni a farti un giro
anche te?"
"Si,
viene con te." Taglia corto Fury. "Cambio
di programma." Il Capo non è decisamente di buon umore: batte le dita sul touch screen con decisamente
troppa forza. "E cambio di destinazione."
Sullo
schermo compare il protocollo dell’operazione Perovsk corredata dalla foto di Natasha.
Località: Kyzylorda - Kazakistan.
[v. dettagli satellite - ultima localizzazione - area di interesse]
Assegnazione: Vedova Nera [v. profilo - ultima
localizzazione]
Tipologia: Spionaggio militare/ antiterrorismo. [v.
collegamenti]
Stato della missione: SOSPESA IN DATA ODIERNA. [v. riassegnazione]
Fury batte il dito sull'ultima voce.
RIASSEGNAZIONE TIPOLOGIA: Recupero.
A Clint
manca un battito e non si da neppure troppa pena di nasconderlo.
"Dalle
ore 19.37 di ieri sera, ora locale, abbiamo perso ogni contatto con l'Agente Romanoff sia via radio che via satellite. Come da protocollo,
abbiamo attivato il Localizzatore di emergenza passate dodici ore.
È stato
rimosso."
Un brivido
percorre la schiena di Clint: serra la mascella e stringe i polsi, cerca di
recuperare freddezza e lucidità, di scacciare dalla testa l’immagine di Natasha in un lago di sangue.
Steve lo
osserva con la coda dell'occhio mentre lo sguardo di Fury
resta fisso su Clint, a studiarne la reazione. "L'Agente Romanoff è ufficialmente dispersa, la procedura di recupero parte ora. Avete quarantotto
ore di tempo."
Il Quinjet va troppo piano, per i suoi gusti.
"Stiamo
andando incontro ad una tempesta tropicale sull'Atlantico, sarebbe rischioso
aumentare la velocità di volo" Rogers esce dalla
cabina di pilotaggio barcollando ed aggrappandosi.
"Stronzate,
questo pezzo di latta ha resistito ai fulmini di Thor."
Rogers ignora il suo ultimo commento,
raggiungendo il sedile a fianco e sedendosi. "I piloti ne prevedono il
superamento tra tredici minuti."
"Dovevo
pilotare io, quei due avranno preso il brevetto da una settimana scarsa."
"Gli
ordini di Fury sono stati chiari."
"Degli
ordini di Fury me ne fotto per hobby."
"No,
quello è Stark." Clint lo fulmina con lo
sguardo, poi si alza e si appoggia alla porta della cabina di pilotaggio.
"Ti chiedo scusa, ho fatto una battuta in un momento pessimo."
"Decisamente."
Il
capitano abbassa la testa, giocherella con le dita nervoso. Si scusa nuovamente,
lo raggiunge e gli appoggia una mano sulla spalla. "So benissimo cosa si
prova quando un proprio amico, un compagno è disperso e probabilmente in
mani nemiche."
Clint ha
uno scatto: "Non. Dirlo. Natasha non è in mani nemiche. Non è così stupida da
cadere in una trappola o così incapace da non riuscire a liberarsi."
“Barton, il Localizzatore..."
“È un
equipaggiamento nuovo. Probabilmente non ancora testato a dovere. Mi sentirà Stark, al ritorno."
"Clint..." OcchioDiFalco
gli volta le spalle, si risiede e si mette ad armeggiare con le munizioni.
Steve rimane in silenzio, aspetta che si calmi e quando vede che controlla
l'equilibrio delle frecce con meno nervosismo si azzarda a chiedere: " È
la tua ragazza?"
"No."
risponde secco. Rimette la freccia nella faretra, abbassa la voce sino quasi a
sussurrare. "I liceali hanno la ragazza. Lei è la mia donna, la differenza è abissale."
C'è stata
una raffica di colpi: uno dei membri della squadra di recupero è caduto a terra
colpito ad una spalla ed un altro lo trascina dietro ad un muro.
Clint si
getta di lato rotolando sull'asfalto sconnesso. Individua l'origine degli
spari, focalizza la guardia - il visore notturno non gli impedisce di avere la
sua solita vista eccellente- e fa fuoco.
Due volte.
Il
cadavere della guardia cade dalla balaustra dell'edificio.
Altri
colpi, si rintana dietro un muro. Rogers e gli altri
sono dal lato opposto della strada.
I colpi
cessano. Probabilmente le guardie stanno chiamando rinforzi e si preparano ad
attaccare. "Abbiamo poco tempo, Barton." Cap si toglie lo schermo rilevatore dalla cintura e lo fa
strisciare sulla strada, nella sua direzione. "Il Localizzatore non è lontano:
vai avanti, noi li fermiamo."
"Affermativo."
Il
localizzatore è un microchip di ultima generazione, una banda flessibile
impiantata sotto la cute del braccio, in grado di trasmettere il segnale via
satellite con una precisione millimetrica.
Ed è solo
grazie al rilevatore che stringe tra le dita che lo trova.
È
incastrato in una fessura del pavimento sbeccato di un condotto sotterraneo.
C'è del sangue, per terra, abbastanza per più di una persona.
E segni di
trascinamento: due corpi sono stati spostati.
Clint ha
la gola riarsa e fa fatica a deglutire. Il localizzatore è lordato di sangue,
ha pochi dubbi che sia di Natasha.
"...è amore, Agente Barton?"
"Sì."
Stringe il
microchip nel pugno: nessuno può dire che sia finita, e finché non troverà un
cadavere con le sue sembianze rifiuterà di credere che tutto quel sangue
appartenga a lei.
Passi
lungo il condotto.
Non si fa
trovare impreparato: una freccia, due, tre.
Tre
cadaveri a terra.
Quello a
cui non è preparato è stato il rimbalzo del proiettile che il terzo è riuscito
a sparare: cade in ginocchio, il fianco che sanguina copiosamente.
Altri
passi, Clint incocca una freccia.
Dolore.
Stringe i denti e scocca – Quarto
cadavere a terra.
La vista
gli si offusca.
Colpi di
pistola alle sue spalle – Quinto cadavere
a terra.
Si volta:
a sparare è stata un’ombra.
Un’ombra bellissima, dai capelli rossi come il fuoco.
Clint
sorride prima di perdere i sensi.
La sua
figura è quella che desidera vedere ad ogni risveglio, più di quelli che
accadono nella realtà. Sta frugando tra gli scaffali di una vetrinetta, dandogli
le spalle.
Prova a
muoversi ma il dolore al fianco lo fa desistere: gli scappa un gemito e lei si
volta di scatto: “Stai fermo. Sono riuscita a toglierti la scheggia del
proiettile e a darti qualche punto, ma hai perso molto sangue prima che
riuscissi a fermare l’emorragia.”
Ha la
guancia destra sporca di sangue rappreso, all'altezza del neo che lui le preme
sempre quando sono da soli ed in vena di scherzare e prendersi in giro.
“Natalia…” bisbiglia e lei si ferma un istante ed abbozza un
sorriso.
“Presto
starai meglio.” Prende in mano un fonendoscopio, due grossi aghi ed uno
sfigmomanometro. Li appoggia ad un carrello al suo fianco, gettando a terra
garze sporche ed una siringa.
“Natalia…”
“Hey, ti ho detto di usarlo ogni tanto quel nome, Non
sempre.”
Alza un
braccio ad accarezzarle il viso. È vera,
è reale. È qui ed è viva. È con me. Sente gli occhi che pizzicano e
realizza che mai in vita sua si è sentito più felice, nonostante sia ferito e
nascosto chissà dove.
“Il Localizzatore…”
“È a causa
di quello che mi hanno localizzata, l’ho dovuto togliere” spiega indicando con
lo sguardo il braccio fasciato: Si è dovuta tagliare da sola, nel tunnel, ed
estrarre il chip con il solo ausilio del suo coltello d’ordinanza. “Ho dovuto
fare la stessa cosa con te.”
Poco male,
ha sempre trovato quel chip eccessivamente invasivo. E forse era a causa di un
controllo interno sui loro spostamenti che lo S.H.I.E.L.D.
aveva intuito la loro relazione. La rimozione era assolutamente una splendida
idea.
Si sente
uno stupido ad aver dubitato di Natasha; doveva
capirlo, doveva arrivarci subito, che quello era tutto un piano. Ma con chi pensava di avere a che fare?
Davvero, si era spaventato come se lei fosse una principiante,
una donzella in pericolo?
La guarda
ammirata tagliare il tubo in caucciù degli strumenti medici ed assemblarlo
diversamente, con la pompa dello sfigmomanometro in mezzo e due tubetti che
terminano nei due aghi, che sterilizza con la fiamma di un accendino.
“Cosa stai
facendo?”
“Come ti
dicevo, hai perso molto sangue.” Natasha si alza la
manica strappata della tuta e si avvolge un laccio emostatico a monte del
gomito: “Ed i nostri gruppi sanguigni sono compatibili. Non farò molta fatica a
trovarti la vena…” Infila uno degli aghi nel suo
braccio, così sicura e veloce che Clint ha un sussulto.
Poi
picchietta le dita sul proprio avambraccio per rendere più evidenti le vene ed
infila l’altro ago con la stessa sicurezza.
“Non
starai facendo una trasfusione corpo a corpo, vero?”
“Bravo,
che intuito!” Natasha stringe tra le mani la pompa di
gomma, lentamente.
Una. Due.
Tre volte. Attende un attimo, probabilmente sta calcolando la quantità di
sangue trasfuso.
Quattro,
cinque, sei, sette. Natasha recupera un pezzo di
cotone, preme sul foro e sfila l’ago, invitandolo a tenerlo premuto. Strappa il
nastro adesivo, lo fissa al braccio.
“Dammi,
faccio io.” Clint le sfila l’ago delicatamente dal braccio appoggiando un
batuffolo sul foro, poi prende il pezzo di nastro adesivo che lei porge e lo
applica con una carezza per farlo aderire bene alla pelle. “Questa non me
l’aspettavo, davvero.”
"Credi
di essere il solo a vantare un diritto sulle sorprese?"
"Le
tue solo decisamente più utili."
Natasha piega la testa sulla spalla, un
piccolo sorriso sul volto sporco. "Ma le tue sono più piacevoli, in
genere." Si china su di lui per schioccargli un bacio veloce. Poi cambia
tono ed espressione: "Voglio sperare tu non sia un cavaliere
solitario."
Clint le
spiega la composizione della squadra, la loro posizione e l'equipaggiamento.
"Immagino che le comunicazioni via radio qui siano impossibili,
giusto?"
Natasha annuisce: "L'area è schermata,
è per questo che non sono riuscita a comunicare con l'esterno."
"Ma
si può sapere dove siamo?" domanda Clint guardandosi intorno. Nessuna
finestra, un neon freddo a rischiarare la stanza. Ci sono ferri chirurgici,
attrezzatura medica ammonticchiata in un angolo, casse di medicinali
impolverate. Ed è coricato su una barella.
"Nella
sala operatoria del bunker sotterraneo."
"Sembra
tu conosca questa zona piuttosto bene."
"Durante
l'Unione Sovietica era una base operativa piuttosto importante." risponde
evasiva "La sala operatoria nel bunker serviva in caso di attacco, per
curare meglio i feriti."
"Ah,
non per esperimenti segreti, eh!" Doveva essere una battuta ma Natasha non sorride, anzi, distoglie lo sguardo e cambia
discorso, spiegando velocemente dove dovranno dirigersi per uscire dalla zona
schermata. "Meglio aspettare un paio d'ore, in modo che ti riprenda."
aggiunge.
Ci sono
due barrette energetiche nelle tasche dei pantaloni di Clint, una per uno:
"Provvedi sempre alla cena tu, eh?" A Natasha
scappa un piccolo sorriso mentre scarta la barretta: è evidentemente affamata,
fatica a controllarsi e a mangiare la barretta a piccoli bocconi per farsela
durare di più.
"Sono
uno chef in incognito, lo sai..."
Mangiano
in silenzio, si scambiano un paio di sorsi dalla stessa fiaschetta d'acqua. Poi
Clint si mette inaspettatamente a ridacchiare.
"Che
c'è?"
"Nulla."
"Rispondimi."
"Nulla,
davvero."
"Guarda
che ti tolgo i punti....!" Natasha punta il dito
contro il fianco, come a rendere più reale la sua minaccia e lo fissa con il
sopracciglio alzato nella sua espressione da 'Guarda che faccio sul serio'. Clint
smette di ridacchiare, le sfiora la mano sul taglio catturando le dita tra le
sue e spostandosele sul petto.
"Mi è
solo tornato in mente un vecchio film western, uno di quelli che guardavo da
bambino."
"Quelli
con indiani ed cowboys?"
"Sì,
esatto, proprio quelli. Ce n’era uno – non ricordo neppure il nome – dove un
'viso pallido' si innamorava della squaw
figlia del capo tribù e la sposava. E durante la cerimonia, si praticavano
a vicenda un piccolo taglio lungo il palmo e si stringevano le mani, a sancire
la loro unione con piccole gocce di sangue. Mi è tornata in mente quella scena,
con la nostra trasfusione!"
Un leggero
rossore si fa largo nelle guance di Natasha che sbatte
le ciglia stupita. "Beh, fortunatamente, noi non siamo indiani, giusto?
Almeno, io non la sono per niente."
"Beh,
già. Fortunatamente, eh." C'è un
pizzico di fastidio nel fortunatamente
che pronuncia, non gli è piaciuto il sollievo espresso da Natasha.
Che poi,
la sua era solo una battuta, un aneddoto sciocco per rompere il silenzio. Non
c'era bisogno di rispondere così piccati, ecco.
Anche se,
lo ammette con sé stesso, sarebbe più consono per Natasha
sezionargli il palmo della mano che infilargli l'anello all'anulare sinistro in
abito bianco.
Ok. Basta. È solo talmente felice di ritrovarla e di averla di nuovo
con sé – ma ha davvero pensato che Natasha si facesse ammazzare da un gruppo di pseudoterroristi? – che si è messo a fare pensieri
simili.
O forse è
l'effetto della trasfusione.
Oppure...
"...è amore, Agente Barton?"
"Sì."
"Se
ti senti meglio, potremmo andare."
"Sì, Nat. E' decisamente ora di muoversi."
Il bunker
è un dedalo di tunnel, scale e porte scrostate che Natasha
insiste a definire 'ininfluenti per
l'esito dell'operazione'.
Camminano al
buio per non farsi individuare, approfittando del visore notturno, con la
memoria di Natasha che indica quale direzione sia
meglio prendere.
Non mi freghi, cara mia, tu questo posto lo conosci come le
tue tasche.
Clint fa
qualche calcolo mentale: Natasha non dimostra che
circa trent'anni – il suo vero anno di nascita però è un mistero per tutti e
lui stesso ha dovuto pregarla a lungo per solo sapere qual'era il giorno del suo
compleanno – quindi, alla caduta dell'U.R.S.S., non poteva avere al massimo
sette, otto anni. Dunque in quel posto doveva esserci stata da bambina. Che
avesse ricevuto lì i primi addestramenti?
E nella sala dove si era risvegliato probabilmente non operavano
le reclute di appendicite.
"Natasha...."
"Sssht!" Passi in lontananza. La sente togliere la
sicura alla pistola, ma le blocca la mano sulla fondina. "Gli spari
attirerebbero altre guardie, non possiamo permettercelo Nat."
Allunga una mano verso il muro, trova la maniglia di una porta e la apre per
poi spingerla dentro ignorando le sue proteste, seguirla e chiudere la porta
senza fare il minimo rumore.
Solo
quando i passi si allontanano decide di estrarre dal taschino del giubbotto la
torcia di dotazione ed accenderla.
"Tasha... dove siamo?"
Sembra un
ambulatorio. O forse un laboratorio. O peggio ancora, entrambi,con le
piastrelle sbeccate e sporche di muffa, un tavolo operatorio in mezzo alla stanza e banconi pieni di
provette ed attrezzature ammonticchiate alla rinfusa.
"Un
posto." risponde, appoggiando la mano sulla torcia e premendo il tasto
dell'accensione. "Andiamocene." Appoggia la mano sulla maniglia ma è
Clint a fermarla, questa volta. "Natalia,
per favore."
La vede
mordersi il labbro e a fissare un punto imprecisato del pavimento, indecisa.
" È il posto in cui sono nata."
"Mi
hanno raccontato che mia madre era una spia e che mi ha offerto volontariamente
per il progetto Red-Room, in alternativa ad un
orfanotrofio. Sai le spie, a quei tempi, non era il caso che avessero famiglia.
Ma capitava, sai... e quindi hanno creato questo posto. Ci addestravano, fisicamente
e mentalmente, a diventare armi umane. Qui avveniva la Fase Uno: ci forgiavano
il carattere, ci indottrinavano e ci selezionavano. E quelle di noi che non si
dimostravano all'altezza, venivano riciclate per il bene delle altre."
"Cosa
significa riciclate?"
"Diventavano
cavie. Per testare medicinali o sieri che contribuissero a rendere le altre
reclute più forti. Le migliori invece continuavano l'addestramento con la Fase
Due, tornando in Russia."
"E
poi?"
"E
poi una volta terminata la Fase Due con successo si diventava operative. Si
ricevevano i primi incarichi, si andava sul campo. Terminai la Fase Uno a nove
anni, e passammo al livello successivo solo in due. Nonostante il regime fosse
caduto, la Red Room continuava ad esistere: era
ritenuta molto utile, nonostante la guerra fredda fosse da considerarsi finita.
Il progetto Red Room cessò di esistere ufficialmente,
ma come ben sai, noi eravamo comunque operative. Poi mi è stato ordinato di
eliminare l'altra, che si era compromessa con uno dell'MI6, e così sono rimasta
la sola. L'ultima, e con un carico di informazioni marce che avrebbe fatto
cadere almeno cinque governi. Ed hanno fatto in modo che cadessi in una
trappola, a Budapest."
A Budapest
le gocce di sangue macchiavano la neve candida.
La punta
della freccia era ad un millimetro dal suo occhio sinistro, eppure la Vedova
Nera restava immobile, stesa sul selciato imbiancato di un vicolo cieco.
Non
tentava più di difendersi – con una
probabile frattura al bacino data dalla caduta da un cornicione era impossibile
anche per lei.
Non
cercava di salvarsi la vita impietosendolo – sapeva che non avrebbero fatto effetto le sue parole.
Non
provava neppure ad offrire merce di scambio – lui era lì per ucciderla, non per estrapolarle informazioni.
Restava lì
ferma e basta, in attesa, con gli occhi verdi aperti e vuoti a facilitargli il
compito.
Non
mostrava dispiacere, né paura, né sollievo. Nulla.
Il vuoto
totale.
Forse era stato quello a convincerlo ad abbassare la
freccia.
"Mi
sembra di aver passato tanti anni in una bolla." mormora guardandosi
intorno. "Ad apprendere come imitare sentimenti, movenze, espressioni ed
accenti. Alla fine, tutto quello che riuscivamo a provare davvero era il dolore
fisico. Per noi era quasi mistico: era l'unica sensazione reale che avevamo. Il
resto era una finzione, la necessità e la volontà di altri."
Clint le
passa una mano tra i capelli, la guida ad avvicinarsi e ad appoggiarsi a sé, le
bacia la testa "Mi dispiace." sussurra.
"E di
cosa? Non è colpa tua. E non hai avuto di certo una vita facile anche tu. A te
è stata tolta la famiglia, sapevi chi erano i tuoi genitori e cosa si provava a
stare con loro: suppongo che vivere dopo aver perso i propri affetti sia peggio
che crescere senza sapere cosa siano, no?"
"Non
lo so, Nat. Ma non credo sia peggio di passare la
propria infanzia qui dentro."
"Beh,
sono sopravvissuta." Natasha ha gli occhi
asciutti e Clint si domanda come faccia, che solo a pensare a cosa possa essere
accaduto in quel mondo sotterraneo, a quelle bambine, gli fa salire una rabbia
sorda nel petto. "Avevo comunque del cibo caldo ed un tetto sopra la
testa. Fossi finita in un orfanotrofio, non credo sarebbe stato lo
stesso." C'è una piccola nota tremula nella sua voce, qualcosa che solo
chi è abituato a sentirla sempre ferma e decisa può captare: sottolinea quella
frase con magra consolazione e disperato auto-convincimento. Clint vorrebbe
dire qualcosa, qualsiasi cosa suoni meno stupido e più concreto di una frase
fatta come "Non sei più sola" e "Ci sono qui io per te." Eppure
non riesce a dire nulla, resta solo con un braccio attorno alle sue spalle e le
labbra appoggiate alla fronte ad elaborare quello che Natasha
ha appena raccontato.
Quasi
preferirebbe piangesse, una reazione del genere lo sconvolgerebbe abbastanza da
riuscire a reagire. Invece Natasha resta tranquilla
ed impassibile ad abbracciarlo rigidamente, quasi per inerzia.
La radio
che torna a gracchiare li fa trasalire.
"Appena
siamo riusciti a neutralizzare le guardie sulla torre delle comunicazioni, gli
altri uomini hanno eliminato la schermatura e abbiamo così potuto riprendere le
comunicazioni radio." Rogers non sembra aver
risentito dei combattimenti: la divisa è solamente sporca qua e là ed i capelli
appena spettinati dall'utilizzo della maschera. "Pare che dispongano di
sistemi di intercettazione all'avanguardia, se riescono ad impedire ad i nostri
dispositivi di funzionare. Senza contare che potevano rilevare la presenza del
Localizzatore praticamente nell'esatto momento in cui entrava nel loro perimetro."
"Stark mi sentirà, quando torniamo."
"Già.
Tutta quella tecnologia futuristica e poi abbiamo risolto con i vecchi
metodi!" Il Capitano abbozza un sorriso mentre li guarda sedersi vicini
sull'Helicarrier, con Natasha
che invita Clint a fare attenzione ai punti, poi ordina ai piloti di fissare
sul radar un centro medico convenzionato con lo S.H.I.E.L.D.
per il primo soccorso. "Credo che vi lascerò soli." ridacchia,
prendendo posto con gli altri tre membri della squadra nella cabina di
pilotaggio.
"Clint,
non è che il Capitano..."
"Beh,
ecco...io..."
"Non
gli avrai mica detto tu...!"
"Sai,
mentre venivamo qua..."
"Io
... io ... io ti ..."
"NATASHA
NO, TI PREGO, IL TAGLIO NO!
New York
imbiancata è un bel panorama. Ha sempre trovato la neve catartica, e lo incanta
ogni volta vedere come riesce ad impreziosire tutte le superfici su cui si
posa.
La strada
su cui si affaccia la finestra della camera sembra una bomboniera.
Un uomo
porta a spasso il cane e scivola sul marciapiede.
Clint
sorride.
È inverno,
l'inverno di una New York che in pochi mesi ne ha viste di cotte e di crude, e
nonostante tutto vuole e deve andare avanti.
Hanno
riaperto la pista di pattinaggio su ghiaccio al Rockfeller
Center, e lui ha una mezza idea di proporre un paio di giri a Natasha, appena i punti glielo permetteranno. Ha sempre
pensato fosse capace di pattinare, ma ora non ne è più sicuro, e pregusta il
momento in cui riderà di gusto nel vederla con il sedere a terra sulla
superficie fredda.
La sente
uscire dal bagno e spegnere la luce, infilarsi sotto le coperte nel letto alle
sue spalle e bofonchiare qualcosa sullo smettere di farsi i fatti del vicinato.
"D'accordo." risponde tirando la tenda. La raggiunge sotto le
lenzuola, l'abbraccia stampandole un bacio sulla guancia. La sente sorridere,
voltarsi per ricambiare e poi farsi
seria:
“Mi spiace
solo che non riuscirò a darti quello che desideri.”
Una
dichiarazione così, a bruciapelo, non se l'aspettava. Resta un attimo
spiazzato, a cercare di afferrare bene il senso delle sue parole.
“E cosa
desidero?”
"Credo
tu desideri una storia normale. Una relazione comune, ecco, che segua il suo
corso e…”
"Le
relazioni normali finiscono con lei che non si fa più la ceretta ed ingrassa di
trenta chili e lui calvo, con la pancetta e le piaghe da decubito sul culo
per il troppo divano."
Natasha lo fissa per un secondo sorpresa.
Poi scoppia a ridere. Di gusto. Rida talmente forte da avere le lacrime.
“Che c’è?
E’ vero!” Natasha continua a ridere. “Beh, non che io
preveda di depilarmi ancora a lungo però…”
“OcchioDiFalco, di tutte le risposte stupide che potevi darmi … beh, questa è di gran lunga la
migliore.” Gli schiocca un bacio in bocca, cercando di riprendere il controllo:
“È che ho dei limiti. Non so ancora bene quali siano ma…
tutto quello che è successo là sotto … deve aver lasciato qualche traccia su di
me. Dentro di me. Ed io non so bene quale e come possa influire.”
“Non c’è
fretta, Nat. Lasciamo che tutto venga da sé. Quello
che desidero, ora, è di stare insieme a te. Voglio incontrarti dopo una
missione e lanciarti sul pavimento della cucina, preparare il tuo piatto
preferito e portarti fuori al cinema. O a pattinare. Tormentarti il neo sul
viso, scaldarti i piedi quando me li pianti sulla schiena mentre dormi, e
lasciarmi appestare dal tuo alito mattutino – non credere, neppure tu sai di
buono. Il resto verrà da sé, anche se staremo separati a lungo.”
“Faremo in
modo di incontrarci. Anche di nascosto.”
“Ohh… sarà intrigante!”
“Terribilmente
eccitante, non trovi?”
La bacia
di nuovo, a lungo. Poi i punti iniziano a tirare, così Natasha
appoggia un dito sulle labbra e lo fa staccare. “Il paziente ha bisogno di
riposo.”
“D’accordo,
signora infermiera.”
Natasha si volta su un fianco, Clint le fa
da cucchiaio. Intreccia le dita con le sue: “Io non sono un’infermiera. Sono
una squaw.”
FINE!!
Doveva essere una breve one-shot.
Si è trasformata quasi in un incubo, non riuscivo più a finirla!
Allora, non so bene che dire, se non che spero vi piaccia:
non credo sia all’altezza di Scent of a Woman, ma spero comunque sia di vostro gradimento.
Come sempre consigli e critiche costruttive sono ben
accette.
E, sì, è il sequel naturale di Washing
the Spider Out.
Ad ogni modo, GRAZIE, GRAZIE e GRAAAZZIIIEE a chi mi ha
seguito, letto, commentato ed inserito tra i preferiti sino ad ora.
Davvero,
Grazie.
EC
PS: e se
disgraziatamente aveste qualche domanda da farmi… http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos