15.
Mentre
il caffè si raffreddava
«Le
decisioni
devono essere prese con coraggio, distacco e, talvolta con una certa
dose di
follia – non la follia che distrugge, bensì quella
che conduce l’essere umano a
compiere il passo al di là dei propri limiti.»
Paulo Coelho
Fu
un sussurro lieve, come quello del vento tiepido primaverile, a
svegliarla con
una dolcezza estenuante.
Furono
delle labbra – morbide, morbidissime – sulla sua
spalla nuda, in un tocco
paziente, a farle aprire gli occhi, in un movimento estremamente lento.
La
prima cosa che Anne vide, furono due enormi occhi chiari che la
fissavano con
un interesse che uno scienziato è solito rivolgere ad una
specie animale
protetta.
Poi,
un sorriso.
Non
uno di quei sorrisi dolci ed amorevoli, quelli che ti strappano il
cuore e ti
fanno venire voglia di vendere l’anima al diavolo, no. Uno di
quei sorrisi che,
piuttosto, potrebbe sfoderare un bambino pestifero quando ha appena
avuto
l’idea geniale di fare un dispetto alla sorellina.
Un
sorriso colpevole.
Infine,
come previsto, acqua.
Acqua
gelida sul suo viso ancora assopito e, seduto sul letto di fronte a
lei, un
Davide rosso in faccia a causa delle troppe risate con in mano un
bicchiere
vuoto.
Divertente.
Veramente divertente,
Lombardo.
Anne
si mise in ginocchio sul letto per catapultarsi con rabbia selvaggia su
Davi,
facendolo rotolare tra le lenzuola ed iniziando così una
vera e propria lotta.
«Ho
pensato che sarebbe stato carino svegliarti in un modo
romantico» iniziò
Davide, non appena ebbero terminato quel gioco scherzoso.
La
cantante riuscì finalmente a spiegarsi, allora, i baci
amorevoli e le carezze
che aveva sentito sulla sua pelle quando era ancora nella fase del
dormiveglia.
Una sensazione magnifica.
«Poi
mi sono detto che tutte quelle smancerie non facevano per me,
così ho optato
per l’acqua.»
Ora
è tutto più chiaro.
Davide
rimaneva un vero e proprio mistero per lei. Certo, pian piano riusciva
a
scoprire particolari strambi della sua persona, come ad esempio il
fatto che
odiasse i piedi e non sopportasse di essere toccato con essi;
però sembrava
essere sempre circondato da quell’alone di enigma che ti
faceva venire voglia
di capirne di più riguardo a lui.
Forse
era proprio per quel motivo che Anne lo amava tanto.
Lo
amava.
Lo
amava.
Lo.
Amava.
Due
semplici parole che erano un’idea concreta nella sua mente,
un vero e proprio
pilastro impossibile da distruggere; eppure non sentiva il bisogno di
confessarlo al suo compagno, perché il loro amore era
espresso nelle piccole
cose: un sorriso di sottecchi, una carezza di sfuggita, un bacio.
«Ovviamente!
Adesso per farti perdonare mi vai a fare il caffè. Su,
su.»
Prese
a spintonarlo giù dal letto, finché non lo vide
rovesciarsi a terra, proprio
come un sacco di patate. Rise, perché le veniva spontaneo
quando si trovava in
compagnia di Davide, che riusciva a rallegrare sempre quella che
iniziava come
una giornata tempestosa.
Ormai
erano mesi che i Mad stavano in testa alle classifiche, i giornali
parlavano di
loro, i fans creavano dei club per idolatrarli e le loro mamme...
continuavano
a fare la torta in casa. Ciò che Anne non riusciva a capire
era che le persone
estranee li vedevano come delle vere e proprie rock star, ma se solo
avessero
saputo chi erano davvero avrebbero cambiato idea.
Rimase
sdraiata sul materasso, le mani dietro la testa, ad osservare con
sguardo
affamato Davide, soffermandosi con interesse su ogni piccola parte del
suo
corpo.
Benessere.
Era
proprio quello il termine che riassumeva alla perfezione la sua
sensazione
quando aveva il chitarrista accanto: i pensieri tristi che invadevano
le sue
memorie svanivano, le sue paure diventavano cenere e le montagne
insormontabili
sembravano divenire scalabili.
Benessere
erano i capelli neri del ragazzo.
Benessere
erano
quegli occhi chiari che sembravano contenere i segreti
dell’universo.
Benessere
era
il suo sorriso scaltro che ti faceva venire voglia di giocare.
Benessere
era Davide.
Anne
si chiese da quando era diventata così sdolcinata; se ci
fosse stato Matteo
accanto a lei, con tutte le probabilità del caso, le avrebbe
tirato un quaderno
in testa, accompagnato da qualche parola intimidatoria. Ma, in fondo,
erano
cambiate così tante cose nel giro di pochi mesi che Anne
faticava ad
assimilarle tutte e a starci dietro senza impazzire.
Allungò
la mano verso il comodino e afferrò il pacchetto di
sigarette di Davide,
estraendone una senza farsi vedere.
«Ti
ho vista, volpe.»
O
almeno così pensava.
Si
accese la cicca sorridendo, prima di smontare dal letto una volta per
tutte e
raggiungere il ragazzo, intento a versare il caffè in due
tazze raffiguranti i
personaggi de “I Simpson”.
Lo
abbracciò da dietro, appoggiando la testa sulla sua schiena,
inebriandosi del
suo profumo – profumo di Davide –
e
pensando che ultimamente le cose andavano davvero per
il verso giusto.
«Che
ne dici di berlo più tardi, questo
caffè?» chiese Davi voltandosi verso di lei,
le mani già posate possessivamente sui suoi fianchi, la
bocca così vicina da
poterne vedere la perfezione.
E
Anne non pensò che probabilmente la bevanda si sarebbe
raffreddata e sarebbe
divenuta imbevibile, perché Davide – lui,
lui, lui – la stava baciando ormai, il sapore di
lui sulla sua bocca.
Dio,
quanto lo amava.
Lo
amava.
Lo
amava.
Lo
amava.
«Ehm,
ehm.»
Il
suono di una voce che si schiariva la gola li indusse a staccarsi in
modo
colpevole, consci di essere appena stati colti in flagrante.
Ricca
e Matte se ne stavano in piedi davanti alla porta d’ingresso
ancora aperta,
segno che dovevano essere appena arrivati a casa.
«Tempismo
perfetto, ragazzi.» borbottò Davi, ormai
concentratosi nuovamente sulle sue
tazzine, prima di prenderne altre due dalla credenza.
«Caffè?»
Riccardo,
però, sembrava essere visibilmente nervoso: continuava a
mandare occhiatine a
Matteo che, a sua volta, si massaggiava le mani in un gesto che non era
da lui.
Qualcosa
bolle in pentola.
«Ragazzi,
sediamoci un momento... dobbiamo dirvi una cosa importante.»
Centro.
Davide
smise di trafficare e Anne, ormai curiosa di sentire
cos’avevano da dire, si
alzò per andarsi a sedere al piccolo tavolo di legno. Il suo
migliore amico
puntò subito gli occhi su di lei, quasi volesse farle capire
ciò che stava per
succedere.
«Allora?»
domandò Davide che, come al solito, dimostrava la pazienza
di un primate.
E
poi ci fu uno di quei momenti che solo loro quattro uniti in una sola
stanza
riuscivano a creare.
Uno
di quelli in cui il tempo sembrava non esistere più,
così come lo spazio, il
mondo, le galassie, i loro nomi, le loro vite, i loro ricordi.
Solo
la musica persisteva.
La
musica vera, quella che avevano creato insieme, volando nei cieli
inesplorati,
tracciando le vie di nuove strade sconosciute.
La
musica del prima.
E
allora Anne lo seppe.
Lo
seppe con certezza.
«Io
e Riccardo abbiamo deciso di lasciare i Mad.»
Anne
lo seppe mentre il caffè si raffreddava.
****
Davide
dovette assicurarsi di essersi lavato le orecchie quella mattina, prima
di
rendersi conto che ciò che aveva sentito non era finzione,
ma la dura e triste
realtà.
Io
e Riccardo abbiamo deciso di
lasciare i Mad.
Il
silenzio regnava nella stanza, quasi a voler sottolineare che non
potevano
davvero esistere parole per esprimere ciò che il chitarrista
sentiva dentro di
lui: un minestrone di emozioni confuse; gli sembrava quasi che tutto il
sangue
che aveva in corpo gli fosse improvvisamente salito al cervello,
facendogli
schizzare i nervi al massimo e il cuore in gola.
«Non
prendiamoci in giro, ragazzi.» Fu tutto ciò che
Davide riuscì a dire, la voce
spezzata, il groppo in gola che gli impediva di deglutire.
C’erano
stati momenti nella sua vita, in cui aveva pensato di non potercela
fare, come
quando Riccardo era stato ricoverato in clinica per disintossicarsi, ma
poi si
era ripreso e, con la forza di un toro, aveva affrontato ciò
che la vita gli
aveva posto come ostacolo e ci era riuscito. Il fatto era che ci aveva
creduto
con tutta la sua anima, il suo cuore, il suo spirito.
Proprio
com’era successo fin da quando era un bambino, per via di
quello sciocco sogno.
Il
sogno.
Il
sogno irrealizzabile che, invece, era riuscito a realizzare con lo
stupore di
ogni persona che lo circondava, mettendoci passione, impegno, sudore e
dolore.
Il
sogno che ora sembrava crollare piano, così piano che ogni
mattoncino che si
sfracellava sembrava scavare una ferita nella sua pelle, facendo uscire
fiumi
di sangue, togliendogli il fiato.
Io
e Riccardo abbiamo deciso di
lasciare i Mad.
«Davide,
amico mio» lo chiamò Ricca, gli occhi dolci
puntati su di lui come una
richiesta di ascolto in onore di quell’amicizia tanto
sofferta e tanto forte.
«Non è uno scherzo.»
Sentì
il rumore di un bicchiere che si infrangeva e, con occhi allucinati,
notò che
Anne aveva appena lanciato la sua tazza a terra e ora guardava il
pavimento, i
pugni stretti lungo i fianchi e l’espressione di viso
contratta in una maschera
di rabbia.
Per
un istante, Davide pensò di abbracciarla, stringerla forte a
sé, farle sentire
che, dopotutto, erano ancora insieme, che potevano ancora consolarsi
con un
bacio, ma fu solo un attimo e rimase seduto su quella maledetta sedia,
fissando
il vuoto quasi stesse cercando nell’aria una risposta.
Sconvolto.
Doveva proprio sembrare sconvolto, sì.
«Dopo
tutto quello che abbiamo sacrificato! Cosa cazzo vi salta in
mente?» urlò Anne,
gli occhi iniettati di sangue, la sua ira quasi palpabile.
Matteo
doveva essere al corrente degli scatti di rabbia dell’amica,
eppure non si era
preoccupato della sua reazione, era rimasto seduto a guardarla con
occhi
impotenti, mentre mormorava delle inutili scuse a bassa voce.
Dio,
possibile
che quei due fossero diventati così egoisti? Avevano
dimenticato tutto ciò che
avevano passato per arrivare alla vetta? Non poteva essere
già finita, no.
Davide non aveva neanche ancora assaporato il gusto
dell’essere arrivato al suo
obiettivo: voleva sentire le urla degli spettatori mentre si esibiva in
un
assolo di chitarra degno di Jimmy Page, voleva dischi su dischi, voleva
premi,
concerti di beneficenza.
Voleva
vivere il sogno.
«Polloni
ha espressamente chiesto di negare la nostra omosessualità,
Anne.» La voce di
Matteo gli arrivò pacata alle orecchie, ma attirò
lo stesso la sua attenzione,
inducendolo ad ascoltare. «Sono disposto a dei compromessi,
Annie, davvero. Ma
come posso nascondere chi sono dopo tutti questi anni di lotta per
vivere alla
luce del sole?»
Furono
parole amare, parole che colpirono Davide allo stomaco,
perché, nonostante
tutto, non avrebbe mai saputo cosa si provava a non essere accettati, a
dover
fingere di essere qualcuno che non si era, in realtà; non
poteva dire il suo
parere, perché non aveva lottato per la propria
libertà, non aveva dovuto
combattere contro sé stesso pur di arrivare ad accettarsi.
Voltò
lo sguardo verso il suo migliore amico, Riccardo, che lo stava
osservando con
occhi colpevoli, l’espressione del viso demoralizzata di chi
sa di aver deluso
una persona a cui si vuole bene. E Davide non seppe più
ciò che era giusto
perché non poteva rimanere distaccato vedendo quanto il suo
amico stesse
soffrendo, non poteva negare che ciò che Mauro aveva imposto
ai due ragazzi era
ingiusto e razzista. Anne si sedette sul pavimento a gambe incrociate e
si
prese la testa tra le mani, in una posa disperata.
Non
c’era più traccia di rabbia nella stanza, no; essa
aveva lasciato posto alla
tristezza, alla delusione, alla rassegnazione, all’idea che
il loro sogno tanto
agognato era corrotto.
E
Davide dovette trattenersi dall’urlare, perché non
poteva credere che tutto ciò
per cui aveva vissuto fino a quel momento era finto. Doveva esserci pur
qualcosa di reale.
La
musica.
La
musica doveva essere vera, lei era pura in ogni minimo accordo, in ogni
singola nota, in ogni loro canzone. E se i Mad erano davvero destinati
a
morire, allora la verità sarebbe sopravvissuta nei loro
testi, nei video delle
loro esibizioni dal vivo, nella loro musica
che urlava parole incontaminate dalla
commercialità e dal denaro.
E
Davi si accorse che erano tutti distrutti da quel mondo che gli stava
chiedendo
troppo, pretendeva gli abiti giusti, le compagnie giuste, i luoghi
giusti, le
chitarre giuste, i cocktail giusti. Anne, che il giorno in cui
l’aveva
conosciuta era energica, schietta e sfrontata, sembrava essere divenuta
un
fantasma di sé stessa: era dimagrita visibilmente, i suoi
sorrisi erano meno
arzilli di quelli usuali e aveva preso a fumare come una ciminiera.
Anche
Matteo, solito curare il suo aspetto fisico in una maniera esagerata,
aveva
accantonato le camicie di marca per indossare magliette a maniche corte
sciupate e nemmeno stirate. Riccardo, poi, sembrava subirne
più di chiunque
altro le conseguenze: non era ancora del tutto disintossicato, quindi
era
obbligato a continuare le terapie di gruppo e di certo
quell’ambiente in cui la
droga era all’ordine del giorno non gli era d’aiuto.
E
tu, Davide? Come ti sei ridotto?
Davi
si rese conto di aver perso quell’entusiasmo infantile tipico
di sé stesso:
conservava la voglia di salire sul palco e dimostrare al mondo chi era,
ma
avrebbe voluto farlo a modo suo e non seguendo le istruzioni di stupidi
manager.
Non
c’era più tensione.
Non
c’era più rabbia.
C’era
solo rassegnazione.
E
Davide seppe, mentre il caffè si raffreddava, che i Mad
erano niente più che un
ricordo sfumato.
****
Come prima cosa
mi scuso immensamente
per l’imperdonabile ritardo con cui pubblico questo capitolo,
ma la scuola mi
sta veramente rubando la vita, ultimamente D:
I Mad si sono
sciolti, avete capito
bene, non è una finzione e non ci sarà un colpo
di scena. La storia si avvicina
al termine, i nostri protagonisti stanno prendendo decisioni drastiche.
Dopotutto il
mondo della musica è
realmente così: difficile, corrotto, per persone forti.
Come sempre vi
chiedo di lasciare un
commentino se leggete! :D
Grazie mille a
tutti per aver letto!
Un abbraccio,
Eryca.