-Sfumature-
Perché a volte basta solo chiedere per
ottenere
(un aiuto, un sorriso, una carezza).
***
“L'amigdala,
o corpo amigdaloideo, è una parte del cervello che gestisce
le emozioni ed in
particolar modo la paura”.
Il ragazzo
seduto in biblioteca, circondato da decine di volumi, enciclopedie e
quaderni
di appunti ricoperti da una fitta scrittura imputabile al giovane
stesso,
mormorava a voce bassa la definizione, facendo scorrere velocemente gli
occhi
sulla pagina. Quella di studiare alla biblioteca pubblica era diventata
un’abitudine sin da quando le vacanze estive erano iniziate,
perché
difficilmente sarebbe stato disturbato da studenti desiderosi di
passare la
mattinata a fare i compiti.
Voltando
pagina si portò distrattamente una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, a
confondersi con i già numerosi ciuffi castano scuro
trattenuti da una molletta
trovata per caso in borsa, evidentemente appartenente alla sorella
considerata
l’improbabile sfumatura rosa acceso. Ma andava bene lo stesso
se l’alternativa
era passare le ore, altrimenti di studio, a litigare con i propri
capelli, il
caldo e il sudore, irritandosi più di quanto non fosse
già.
“A livello anatomico scientifico
viene
definita anche come un gruppo di strutture interconnesse, di sostanza
grigia
facente parte del sistema limbico, posto sopra il tronco cerebrale,
nella
regione rostromediale del lobo temporale, al di sotto del giro uncinato
(uncus)
e anteriormente alla formazione dell'ippocampo” si
stropicciò gli occhi
stancamente, trovando difficile concentrarsi sulla definizione che
avrebbe
dovuto imparare a memoria, che rileggeva ininterrottamente da venti
minuti, per
cui non provava il minimo interesse “Ha una struttura ovoidale (in latino amygdala significa mandorla) situata
nel punto più basso della parete superiore del corno
inferiore di ogni
ventricolo laterale. È in continuità con il
putamen, dietro alla coda del
nucleo caudato”.
A volte si
sentiva di studiare solo per non sentirsi un perdente, sebbene non ne
avesse un
reale motivo. Era stato uno studente modello per tutto il periodo delle
medie e
del liceo, diplomato con ottimi voti e ora abbastanza ben avviato al
terzo anno
della Facoltà di Medicina. Quasi nessun problema con la
giustizia, se si
sorvolava sul fermo per ubriachezza a quindici anni fuori da una
discoteca, ora
astemio, in salute e con la testa relativamente a posto. Annoiato. Come
un
puntolino poco più scuro in un’intera valle di
grigio opaco, spento nella fioca
luce della sera, aveva letto una volta, trovando questo paragone
incomprensibile e incredibilmente calzante insieme.
“Si ritiene che l'amigdala sia
coinvolta nel
sistemi di comparazione degli stimoli ricevuti con le esperienze
passate,
nell'elaborazione delle esperienze olfattive e nel comportamento
sessuale.
Oltretutto rappresenta un centro di integrazione di processi
neurologici
superiori come le emozioni, ed è coinvolta anche nei sistemi
della memoria
emozionale”.
Se, una volta
tornato a casa, avesse trovato Anna ancora davanti alla televisione e
le tazze
della colazione nel lavello, con tanto di sciacquatura di piatti
stagnante
dall’odore disgustoso, le avrebbe gridato dietro –
continuò a divagare
prestando sempre meno attenzione al testo.
Sua sorella,
che teoricamente sarebbe dovuta rimanere in casa per fare i compiti,
passava la
mattina a dormire e vedere sit-com smielate, facendo rumore e
commentando senza
tregua tanto da averlo costretto ad andare a studiare altrove. Con
tutta
sincerità, raramente aveva incontrato persone irritanti
quanto lei.
Fortunatamente
per lui, il giorno successivo si era organizzata con delle amiche e
sarebbe
rimasta tutta la mattina ad un Acquapark.
“È ritenuta il centro di
integrazione di
processi neurologici superiori come le emozioni, coinvolta anche nei
sistemi
della memoria emozionale” riprese forzandosi di
continuare nonostante la
frustrazione crescente “Mentre
l’ippocampo "rimembra" i fatti, l’amigdala ne
giudica la valenza
emozionale. L'amigdala quindi fornisce a ogni stimolo il livello giusto
di
attenzione, lo arricchisce di emozioni e, infine, ne avvia
l'immagazzinamento
sotto forma di ricordo”.
Il suo
desiderio, al momento, era quello di finire il capitolo di
neuroscienza,
tornare a casa, accendere il ventilatore e non pensare più a
niente. Starsene
in pace senza alcuna seccatura almeno fino al giorno successivo, quando
avrebbe
sentito la voce stridula della madre chiamarlo per costringerlo ad
alzarsi e
aiutarla a sistemare la casa prima che andasse al lavoro.
Insofferente,
poggiò pesantemente la testa su una mano e cercò
di reprimere il crescente
desiderio di staccare il cartello “Vietato fumare”
dalla parete e accendersi
una sigaretta. Cosa che avrebbe fatto se una delle bibliotecarie
– quella che
lo squadrava sospettosa tutti i giorni – non avesse notato il
pacchetto di
Marlboro spuntare da una delle tasche del suo zaino e sbucasse dalle
scale per
controllarlo.
“L’amigdala è
dunque l'archivio della nostra
memoria emozionale, per ciò analizza l’esperienza
corrente, con quanto già
accaduto nel passato” concluse la pagina con uno
sbuffo, cerchiando
l’ultima definizione con un evidenziatore e allargando lo
sguardo sugli appunti
presi a lezione, confrontando i due testi. Si sentiva la testa bollire
e la
pazienza venire meno.
Non ne poteva
più. Tutta la sua vita sembrava reggersi sulla noia e le
scocciature che
puntualmente apparivano a rovinargli la giornata. Sua madre che aveva
sempre
qualcosa da dire e le sue ansie pressanti, sua sorella su cui avrebbe
volentieri sorvolato, un padre più assente che altro, sempre
in giro per
lavoro; degli amici che sentiva e poi per una settimana si dimenticava
della
loro esistenza. Gli esami che si avvicinavano e un caldo insopportabile
che non
aiutavano certo a metterlo di buon umore. Il tutto condito con una
bibliotecaria petulante e il ronzio inutile del condizionatore,
difettoso da
anni, che invece di rinfrescare l’ambiente sembrava scaldarlo
ulteriormente.
Sospirò
pesantemente per l’ennesima volta – troppe per
essere contate – chiedendosi se
non fosse il caso di uscire a fumarsi qualcosa prima di rivedere il
capitolo
che era riuscito finalmente a concludere.
«Ehi» lo
chiamò una voce femminile, esitante, distraendolo dalla
lettura «mi senti?»
«Scusa?»
chiese di rimando, cercando di non far trasparire il fastidio scatenato
dall’essere stato disturbato, alzando lo sguardo dal volume
di anatomia.
Dall’altra parte del tavolo cui era seduto, c’era
una ragazza.
Aggrottando le
sopracciglia ne studiò il viso ovale e i larghi occhi grigio
chiaro – simili ai
suoi, si trovò a pensare durante l’intero esame
della figura di lei –
seminascosti dai lisci capelli biondi, tagliati regolari alle spalle, e
dalla
frangia che le copriva le sopracciglia. Non sembrava essere molto alta
e
indossava un leggero vestito bianco dai bordi neri, che le arrivava
fino alle
ginocchia.
Tornando al
viso – senza averla riconosciuta come una delle persone viste
in biblioteca
durante il periodo in cui era stato lì – vide le
sue labbra stirarsi in un leve
sorriso che lo mise inspiegabilmente a disagio.
«È la seconda
volta che ti chiamo, la prima eri troppo concentrato» lo
informò facendo un
passo indietro e fissandolo dritto negli occhi, probabilmente a disagio
per
l’esame a cui la stava sottoponendo, oppure semplicemente
perché il riflesso
degli occhiali di lui non le permetteva di vederlo chiaramente in viso
«stavo
quasi per farla finita».
«Che?»
arricciò il naso di rimando, lasciando cadere le spalle e
mostrando più
fastidio di prima. Cosa diavolo voleva da lui?
«È che ti ho
visto ancora qui» spiegò lei inclinando il capo
«di solito vai via prima
di pranzo e per mezzogiorno il piano è
vuoto»
fece un pausa «non mi aspettavo di trovarci ancora
qualcuno».
Lui la guardò
confuso, come non avesse capito quello che gli era stato detto. Confuso
e
sempre più irritato da quella presenza imprevista.
«Generalmente
arrivi per le otto e mezza, le nove quando ti presenti con la faccia
arrabbiata» riprese a parlare lei, ripercorrendo un filo
mentale che il ragazzo
ignorava di aver creato un giorno dopo l’altro «ti
siedi ad uno dei tavoli del
secondo piano e non ti stacchi dai libri fino alle undici almeno. Poi
ti alzi e
te ne vai per ritornare la mattina successiva. Raramente salgo al
secondo
piano, ma so che ci sei perché Livia, la responsabile al
bancone, quella più
giovane, sale spesso a controllarti» alzò le
spalle lievemente «visto che oggi
ha smesso prima del solito ho pensato te ne fossi già
andato…»
«Ma che fai?
Mi spii?» alzò la voce confuso se non vagamente
spaventato, senza
effettivamente capire cosa volesse. Sospettoso, perché
sembrava veramente conoscere
bene le sue abitudini mentre lui non l’aveva mai notata prima.
«No» si
affrettò a negare lei candidamente, come non le fosse mai
venuto in mente che
qualcuno avrebbe potuto pensare qualcosa del genere del suo
comportamento
«certo che no».
«Allora come
fai a sapere che vengo qui, a che ora e le mie abitudini?»
indagò sospettoso.
«Come ho già
detto vengo spesso qui e un giorno dopo l’altro certe scene
diventano parte del
quotidiano. Sarei una persona incredibilmente distratta se non avessi
notato nulla
dopo mesi di routine quotidiana» la ragazza continuava a
parlare, a voce bassa
e calma, ma nella quale sembrava esserci come una sfumatura ambigua,
qualcosa
di strano. Che non andava bene e gli metteva i brividi.
«Si può sapere
cosa vuoi?» la interruppe nuovamente, molto più
diretto rispetto a poco prima,
sempre più insofferente nei suoi confronti e a disagio ogni
secondo che
passava.
La vide
prendere un respiro profondo e lanciare un’occhiata circolare
tutt’intorno,
soffermandosi sulla porta che dava sulle scale e sui banchi vuoti
dall’altra
parte della sala, prima di tornare a lui.
«Va bene»
esalò tutto d’un fiato, smettendo di intrecciare
le dita tra loro e facendo
ricadere le braccia lungo i fianchi. L’ansia percepita nel
comportamento di lei
sostituita da una fermezza che lo mise maggiormente a disagio,
nonostante non
sapesse dirne esattamente il motivo «dammi una- no, almeno
due ragioni per le
quali io non debba buttarmi da quella finestra, adesso».
«…»
«…»
Aveva capito
male, non c’erano dubbi. Doveva aver chiaramente capito male,
fischi per
fiaschi, Roma per toma, cozze per- aveva capito male, malissimo. Non
c’erano
altre spiegazioni. Sua nonna gli aveva detto che studiare troppo e
farsi troppe
fisime mentali lo avrebbe fatto ammalare, ma non credeva potesse
succedere sul
serio. Possibile che il troppo impegno portasse, come effetto
collaterale,
oltre che una fame da lupi, tutta una serie di allucinazioni uditive di
dubbia
provenienza? Perché non le aveva dato retta quando ancora
era in tempo?
E perché ora
doveva pensare che concedersi un minimo di sana immaginazione potesse
essere
considerato sintomo di una qualche malattia? Magari quella ragazza gli
stava
chiedendo di poter chiudere la finestra perché sentiva
freddo. Con trentacinque
gradi all’ombra e in pieno agosto.
«Tu vuoi che
io faccia… cosa!?» esalò stridulo.
«Ti ho chiesto
di darmi-»
«Lo so cosa
hai chiesto» sbottò infastidito, interrompendola.
Non era sua intenzione
mostrarsi petulante, ma gli era sfuggito. La richiesta era talmente
assurda che
per un attimo era venuto meno anche il tono irato.
«Allora
rispondimi» controbatté con ovvietà,
mostrando una calma e una sicurezza che
tutto dicevano tranne che una richiesta del genere potesse essere
provenuta da
lei.
Era una
domanda? Doveva rispondere? E cosa avrebbe potuto dire?
«Se è uno
scherzo io-» s’interrupe incapace di proseguire,
mordendosi un labbro nella
foga di esprimere quanto gli stava passando in testa «senti,
io non ho niente
contro le ragazze che cercano di abbordare in biblioteca con tecniche
strane o
simili – anche io una volta ho fermato una che mi piaceva
chiedendole se per
caso non ci fossimo già visti da qualche parte –
ma usare una scusa come
questa» scosse la testa con disapprovazione «rischi
che scappino a gambe
levate» sottolineò il suo ragionamento con lo
svolazzare di una penna in aria
«sempre che non decidano di prenderti sul serio e portarti
gentilmente alla
finestra perché tu possa concludere il tuo
intento» rise seccamente.
Lei lo fissò
per una manciata di secondi prima di sospirare affranta.
«Non ho certo
chiesto a te perché rappresenti il mio ideale di
ragazzo» sollevò il mento
socchiudendo gli occhi e studiando la figura del giovane, dalle scarpe
di tela
ai pantaloncini neri, fino alla punta dei capelli scuri
«preferisco i biondi».
«Preferisci i
biondi» ripeté lentamente, come a sincerarsi di
aver capito bene quanto gli era
stato detto «e io ho un debole per le more, invece. Vai a
tingerti e poi,
magari, possiamo riparlarne».
«Non era
previsto ci fosse qualcuno a quest’ora»
ripeté ancora «tu di solito vai via
prima. Pensavo di essere da sola».
Sbuffò in
risposta. Per quanto ancora avrebbe insistito a riguardo?
«Non vedo il
problema» le disse comunque, interrompendo il contatto visivo
e tornando a
sfogliare il libro – che aveva abbandonato quando era
arrivata – nella speranza
che si stancasse e se ne andasse da sola «se hai qualcosa da
fare fallo pure,
basta che non mi coinvolgi. Grazie».
“In un certo senso, abbiamo due
cervelli, due
menti - e due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella
emotiva”
lesse la prima frase che gli capitò sotto gli occhi, a
mostrarle che sì, adesso
era concentrato su qualcosa di veramente importante e no, non sarebbe
più
rimasto ad ascoltare i suoi vaneggiamenti “Il
nostro modo di comportarci nella vita è determinato da
entrambe: non dipende
solo dal QI (quoziente dell’intelligenza), ma anche
dall’intelligenza emotiva.
La complementarietà del sistema limbico e della
neocorteccia, dell’amigdala e
dei lobi prefrontali (destro e sinistro), significa che ciascuno di
essi è
solitamente una componente essenziale a pieno diritto della vita mentale”
«Quindi» la
sentì dire lentamente, nuovamente attirato dalle sue parole
nonostante il fermo
proposito di ignorarla «se io ora ti dicessi che sto per
andare alla finestra e
farlo… me lo lasceresti fare senza provare a
fermarmi?»
«Non mi piace
impicciarmi dei fatti degli altri. Semplicemente non mi interessa. Sei
libera
di fare tutto quello che ti pare, purché tu non lo faccia in
mia presenza, sono
un tipo impressionabile» continuò a reggerle il
gioco, momentaneamente indeciso
se indossare le cuffie per evitare di sentirla ancora parlare con
quella
vocetta petulante o fare i bagagli e andarsene.
«Puoi
andare in bagno nell’attesa, così potresti dire
che non mi hai nemmeno vista»
suggerì allargando gli occhi e accennando alla porta al di
là del corridoio
che, come diceva il cartello multicolore attaccato su di essa, era
l’anticamera
per le due toilette, quella maschile e quella femminile.
“Tra questi si distingue
la psicologia cognitiva che studia le funzioni più complesse
della mente
umana” riprese
esasperato “ad esempio come si
elaborano
le percezioni per produrre giudizi, decisioni, soluzioni di problemi
oppure
come i pensieri vengono rappresentati nella nostra mente, codificati,
immagazzinati e poi recuperati-”
«Senti» alzò
gli occhi al cielo incapace di trattenersi oltre, stanco e irritato
dalla sua
presenza, desideroso solamente che quel seccante imprevisto biondo
dalle
battute esagerate e fuori luogo svanisse nel nulla, così
come gli era apparsa
davanti poco prima «te l’ho già detto:
il gioco è bello quando dura poco, ma io
detesto giocare, specie oggi, soprattutto ora e tanto meno con
te» abbassò la
testa sui fogli nella speranza che scomparisse veramente «ora
se non ti
dispiace vorrei stare da solo, grazie».
«Anche io lo
vorrei» rispose scuotendo la testa e smuovendo dolcemente i
capelli sul suo
viso, sfiorando le spalle con lentezza «come vorrei portare a
termine quanto mi
sono prefissata, ma ci sei tu che non faciliti molto».
«Ma si può
sapere chi sei?» sibilò alterato.
«Mi chiamo
Andrea» rispose dopo parecchi secondi di silenzio,
sfregandosi un palmo
sull’altro avambraccio, ignorando il momento di stupore del
ragazzo,
probabilmente imputandolo al fatto che non si sarebbe mai aspettato
potesse
rispondergli sul serio.
«Bene, Andrea»
sillabò il nome lentamente, come ad imprimerselo
indelebilmente nella memoria
«quello che vorrei sapere è se, con questo tuo
simpatico teatrino e desiderio
di darmi più fastidio di quanto io riesca a sopportarne al
momento, tu ti renda
conto di cosa…» lasciò la frase in
sospeso nel tornare a guardarla, il fiato
mozzato in gola e le parole che avrebbero dovuto seguire ferme da
qualche parte
tra le corde vocali e l’ugola «cosa diavolo stai
facendo?» completò mentre sul
finire della domanda il tono di voce saliva di qualche ottava,
strozzandosi
sulle ultime sillabe.
Quella
ragazza, quell’Andrea – come aveva detto di
chiamarsi – era indietreggiata di
qualche passo, arrivando a toccare con la schiena il davanzale della
finestra,
aperta per far passare un filo d’aria
nell’altrimenti caldo torrido del secondo
piano.
Lo guardò per
un momento prima di darsi una spinta all’indietro con le
braccia e sollevarsi
da terra.
«Cosa ti
sembra che stia facendo?» domandò retorica, senza
tuttavia mostrare segni di
sarcasmo o impazienza nella voce così come nelle espressioni.
«Ti stai
sedendo sul davanzale?» azzardò lui esitante,
sentendosi la gola secca e un
improvviso rivolo di sudore sulle tempie «Perché
magari trovi che le sedie
della biblioteca sono troppo morbide o scomode?»
«Ti sto
lasciando solo, come richiesto» stese le labbra malinconica,
aggiustando la
presa sugli infissi e dondolando leggermente, seguendo il ritmo dei
suoi
movimenti con le gambe «adesso potresti per favore girarti o
andartene per un
po’? Non hai risposto e se non ti spiace vorrei che tutto
finisse prima che
quelli del piano di sotto finiscano di pranzare».
Bene, non
dirò molto
a commento, se non che, ciò che ha dato origine a questo
racconto, è un fatto
accaduto veramente (ma non vi dirò quale, niente sconti mi
spiace).
Ho deciso di
scrivere e postare questo per una persona molto vicina a me e che si
riconoscerà subito leggendola.
L’ho
scritta come
lei, un po’ ironica, un po’ malinconica e molto
lunatica..
Un bacio e
grazie
per averla letta.
NLH