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Autore: Vortex    22/11/2012    1 recensioni
Invece, in una stanza ordinata, lui rappresenta quel disordine a cui non c’è rimedio.
Principalmente è una di quelle persone che sembrano complesse e quindi affascinanti, ma alle quali ci si avvicina a causa della novità e si lascia perdere prima ancora di averle capite. Uruha è una calamita per la gente sconosciuta, passata una certa manciata di tempo, si ritrova sempre solo all’improvviso.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi all'interno dello scritto non sono di mia proprietà, al contrario questo materiale intellettuale (ma quanto mi piace questo termine? xDD) mi appartiene.


Perfect But Wrong.




Si chiamava Uruha, ed era l’incarnazione degli errori sistematici. Di quelli che per quanto tenti di eliminare, sfalseranno perennemente il risultato. È un dato di fatto, come l’olio che galleggia sull’acqua. E forse fu semplicemente per questo che la sua intera vita venne definita un’illusione.

Il sogno di uno psicopatico.


<< Merda! >>, il flusso di suoni si arresta bruscamente, la stanza sembra all’improvviso vuota. << Ho sbagliato di nuovo … Non riesco a fare questo passaggio. >> commenta Uruha con stizza.
<< Ma c’eri quasi riuscito. >> gli fa notare Aoi. Lo sguardo che riceve è amaro, rassegnato.
<< Quasi. >> sottolinea l’altro.
Da quando ne ha memoria, Aoi ricorda che Uruha è sempre stato così; la mania di perfezione lo porta a esercitarsi e spingersi oltre i propri limiti. Ovviamente, avendolo conosciuto circa dieci anni prima, ci sono fatti riguardanti Uruha di cui Aoi non può essere a conoscenza; fin dalla più tenera età il chitarrista non ha fatto altro che impiegare tutto se stesso nel cercare di raggiungere il massimo.

Obbedienza. Diligenza. Parole autoimposte alle quali sottostare perennemente.

Adesso guardarlo è quasi doloroso, la sua essenza ricorda troppo l’immagine dell’inarrivabile, ciò che si vorrebbe avere ma è impossibile toccare. Una bellissima bambola, finta, vuota, ma i cui occhi di vetro ardono con una determinazione mozzafiato.

Perché Uruha è perfetto.

Il suo volto cesellato nella porcellana ha una struttura delicata, androgina, armonica, tanto da sembrare più vicina alla dimensione divina che non a quella umana; rappresenta i sogni romantici ed erotici di migliaia di adolescenti –maschi compresi. Ha un fisico invidiabile per il quale adopera ogni giorno una lunga serie di accorgimenti, sfoderando un autocontrollo ferreo. È il chitarrista di una band di successo, i suoi assoli monopolizzano l’attenzione del pubblico in delirio, può incantare quella gente pizzicando le corde tese di una chitarra lustrata. Compone canzoni di successo. Finché era stato uno studente i suoi voti erano sempre stati soddisfacenti, anche se la materia in questione non lo interessava più di tanto, lui avrebbe fatto di tutto per ottenere comunque il risultato minimo che si era prefissato.

Ma Uruha non è mai adeguato.

Sì perché la reazione naturale di chi non può raggiungere l’oggetto del desiderio è quella di disprezzarlo, perciò l’invidia nei suoi confronti è considerevole. Inoltre ha la passione per l’alcol, nonostante il manager e i produttori gli abbiano continuamente fatto notare di non ostentare troppo questo fatto, non fa bene alla sua immagine; ovviamente nessuno si è mai chiesto il motivo per il quale sia spesso, se non ubriaco, brillo. Beve per affogare dei ricordi che si sentono soli e lo tormentano. Unico figlio maschio dopo due femmine, aveva atteggiamenti e preferenze opposte; a causa loro i genitori non potevano etichettarlo, come facevano per ogni cosa. Era attratto dalla borsetta dei trucchi della madre –a cui poi si erano aggiunte quelle di entrambe le proprie sorelle-, con quei cosmetici che profumavano di proibito; gli piaceva indossare –più o meno- segretamente le gonne con spacco sulla coscia che aveva trafugato dall’armadio sorella maggiore. Intanto amava giocare a calcio assieme agli altri bambini del quartiere, facendo amicizia aveva imparato parecchie espressioni terribilmente volgari e abbiette le quali i suoi genitori gli avevano proibito di ripetere.
Si impegnava per studiare, aveva dei voti alti, ma non abbastanza. Era bravo in tutto, ma non eccelleva in niente.

E a dire il vero Uruha desidera soltanto poter dire, senza mentire, di non conoscere l’ironia sottile della vita, di essere estraneo alla sensazione che si prova nello scoprirsi inadeguato, nel non essere all’altezza. Non può fare a meno di auto-mortificarsi al minimo errore, non importa quanto male faccia. Vorrebbe essere diverso e magari dimostrare agli altri che lui vive ed esiste sempre, e non solo nei momenti in cui fa comodo.

Invece, in una stanza ordinata, lui rappresenta quel disordine a cui non c’è rimedio.

Principalmente è una di quelle persone che sembrano complesse e quindi affascinanti, ma alle quali ci si avvicina a causa della novità e si lascia perdere prima ancora di averle capite. Uruha è una calamita per la gente sconosciuta, passata una certa manciata di tempo, si ritrova sempre solo all’improvviso. Quella complessità che si evince standogli accanto, in realtà non c’è mai stata, infatti lui è un uomo semplice nei suoi meccanismi, il problema sta nel fatto che nessuno si è mai voluto sforzare di comprenderlo.

Conosce il significato del sentirsi amato, lo ha provato più volte, ma in un trentina di anni di vita con se stesso Uruha ha imparato ad associare l’affetto altrui alla necessità di rendersi utile, oltre a non avere margine di errore, peccato che, per quanto si sforzi, lui questo margine di errore lo conservi, e c’è sempre qualcuno da deludere.
E potrebbe benissimo essere paragonato ad un bicchiere di vetro, che prende il colore di ciò che lo riempie; eppure, quando cade, quest’ultimo si spacca, le vibrazioni che produce provocano un rumore assordante. Al contrario, lui è precipitato senza emettere suono. Per questo motivo nessuno lo ha mai raccolto.

<< E’ pronto per incidere, Uruha-san? >> l’addetto alla registrazione ha un sorriso cordiale mentre si riferisce ad entrambi i musicisti. L’interpellato annuisce e, portandosi la chitarra dietro, entra nella sala insonorizzata per poi cominciare a suonare.
Aoi lo guarda da dietro uno specchio; non sarebbe dovuto esserci quel giorno lì con lui a guardarlo fallire ancora una volta, ma, avendo composto la canzone, ha una buona scusa per assistere alle registrazioni che non lo riguardano.
Da dietro il vetro spesso della sala insonorizzata, immagina di poter poggiare una mano sulla superficie levigata solo per potersi sentire in qualche modo più vicino all’altro. Gli sembra quasi che tutti quegli uomini con cui è solito lavorare, parlare, mantenere buoni rapporti, adesso stiano spremendo Uruha come la metà di un agrume; l’idea di accompagnarlo con la propria chitarra gli ronza in testa ma la ignora quasi fosse un moscerino decisamente fastidioso. Chiude gli occhi con rassegnazione quando l’altro sbaglia nuovamente.

Uruha esce dalla stanza senza dire una parola, la mascella serrata. Nel chiamarlo Aoi si vede puntare contro uno sguardo colmo d’odio e, anche se sa che questo sentimento non è rivolto a lui, un brivido gli attraversa la schiena.
<< Non ti preoccupare, Kou-kun, oggi non è giornata, domani andrà meglio. >> cerca di confortarlo. L’altro si sofferma con gli occhi, diventati lame di ghiaccio, su di lui esclusivamente pochi istanti, per poi mostrare l’ombra di un sorriso amareggiato e lanciare un’occhiata al proprio riflesso opacizzato sul vetro della sala.
<< Domani, eh? >> si limita a dire.

Per quanto possa sforzarsi di raggiungere l’eccellenza, non è mai adeguato. Non è mai abbastanza.
Ha una smorfia di disgusto a deformargli lo splendido volto e due mani a cercare di sopprimere un cuore troppo rumoroso, Uruha.

Sempre così perfetto, eppure dannatamente sbagliato.


Si chiamava Uruha, ed era l’incarnazione degli errori sistematici. Di quelli che per quanto tenti di eliminare, sfalseranno perennemente il risultato. È un dato di fatto, come l’olio che galleggia sull’acqua. E forse fu semplicemente per questo che la sua intera vita venne definita un’illusione.

Il sogno di uno psicopatico.
 



Note di Vortex: Ogni tanto si ritorna XD
Niente da dire a questo giro... Se non che questa fic è terribilmente personale. Uruha mi rispecchia molto, è stata dura deciderci a rendere pubblica questa rifessione e... Che dire? Nemmeno posso dire di sperare in tante recesioni o cose del genere perchè questa cosa è molto mia, per intenderci, tanto da non sentire il bisogno di farla leggere ecco.
E voi qui mi chiederete "ma perchè l'hai pubblicata" e avete ragione pure voi! Non lo so. Tenetevela così com'è.
LOL
Sono scorbutica ultimamente.
Alla prossima ^_^.

  
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